"America oggi" di Robert Altman

AMERICA OGGI di Robert Altman USA, 1993, 180 min.

Nella caotica Los Angeles, sul cui territorio incombe la minaccia della mosca della frutta, si intrecciano le vicende di una galleria composita di personaggi. Earl Piggott è autista di una lussuosa limousine da noleggio, beve, ed è sposato con Doreen, cameriera in un fast food, con la quale ha un rapporto alquanto burrascoso. Costei un giorno investe un ragazzo, Casey, figlio del noto opinionista televisivo Howard Finnigan. Il ragazzo, che si rifiuta di farsi accompagnare dalla donna all'ospedale, soccorso in ritardo, cade in coma. Il pasticciere che ha preparato la torta per il compleanno di Casey, intanto tormenta la famiglia con telefonate minacciose perchè la torta non viene ritirata. All'ospedale ricompare, dopo trent'anni, il nonno del bimbo, Paul, che non lo ha mai visto ed ha lasciato la famiglia perchè sorpreso dalla moglie con la cognata, ma sembra più interessarsi alle sorti del figlio di una coppia di colore, ricoverato nello stesso ospedale, che ha subito due operazioni e si salva. Il medico che tenta di salvare Casey, Ralph Wyman, è sposato con la pittrice Marian, ed è ossessionato da un sospetto adulterio avvenuto anni prima, che poi la moglie finisce per ammettere. La sorella di Marian, Sherri Shepard, è sposata a Gener, poliziotto motociclista tutt'altro che integerrimo, che ha un'amante, Betty Weathers, e odia a tal punto il cagnolino da abbandonarlo all'estremo opposto della città, con disperazione dei bambini. Betty è tormentata dall'ex marito, il pilota di elicottero Stormy, che, pazzo di gelosia, le distrugge addirittura l'appartamento mentre lei è fuori per il week-end con un secondo amante.

Da nove racconti (e dalla poesia Lemonade: l'episodio con Jack Lemmon) di Raymond Carver. Nella sua mescolanza di generi e di toni questo grande capitolo della saga americana di Altman è una commedia umana dove si può trovare di tutto, come nella vita. Come Carver di cui sviluppa i racconti, modificandoli e allacciandoli l'uno all'altro il regista di Nashville non interviene a commentare i fatti: si limita a raccontarli con lucidità, dolente partecipazione e una libertà che lascia allo spettatore la possibilità del giudizio. Si apre con un minaccioso volo di elicotteri e si chiude con una scossa di terremoto a Los Angeles dove si svolgono le storie, ambientate da Carver a Seattle o Portland. C'è chi ha trovato quest'affresco troppo amaro, impietoso, disperato. Altman non ha bisogno di alzare la voce per fare l'apocalittico. America oggi? Ma qui si parla anche di noi. Leone d'oro a Venezia 1993, ex aequo con Tre colori-Film Blu di Kieslowski, e una Coppa Volpi straordinaria al complesso degli interpreti.
Fonte critica Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli

Short Cuts - il più grande, il più ricco il più altmaniano dei film di Altman dai tempi di Nashville, diciotto anni fa - rimette in scena la vita con la complessità dei suoi intrecci, la casualità delle sue crudeltà quotidiane, la "mancanza di sceneggiatura" delle sue storie, che, al contrario di quelle costruite secondo un arco narrativo per la letteratura o per il cinema, non hanno mai un vero inizio e una vera fine. Nella complessa tessitura l'unico cedimento ad un procedimento narrativo tradizionale è quello della cornice che inquadra tre giorni di una piccola apocalisse tra un volo di elicotteri violento e mozzafiato in apertura e, nel finale, un terremoto di settimo grado sufficiente a dare uno scossone ai sentimenti e alle vite... In Short Cuts, senza che Altman si erga mai a giudice, il paesaggio umano del postreganismo risulta desolato e desolante, squallido e depresso, infelice e miserando. E moralmente insensibile; con due sole eccezioni: il piccolo Carey che si spegne lentamente il giorno della sua festa di compleanno e la giovane violoncellista che non resiste all'indifferenza che la circonda... Le "scorciatoie" del titolo (ma short cuts allude anche ai brevi scampoli di storie che il film intreccia) sono quelle di una ronde malinconica di vite e sentimenti fallimentari in cui si incrociano e si sfiorano un poliziotto adultero e bugiardo e una separata in cerca di sistemazione, un idraulico sessualmente frustrato e una cantante senza illusioni, una cameriera di ristorante ed un aspirante truccatore cinematografico, un medico ossessionato dalla gelosia per la bella moglie pittrice e una giovane donna che sbarca il lunario sceneggiando telefonate sexy mentre dà la pappa al suo bambino, un ragazzino che corre felice a scuola e tre pescatori che scoprendo un cadavere di una donna nel fiume non sanno far altro che lasciarcelo, un pilota di elicotteri che fa metodicamente a pezzi la casa dell'ex moglie e un commentatore tv incapace di esprimere i suoi sentimenti, la difficoltà della vita e la casualità della morte... L'originalità assoluta del carosello di Altman sta nello sguardo, nel modo di ritmare le sue otto storie, nei tagli imprevedibili del tessuto narrativo, nella fluida conduzione di una squadra di attori diversissimi ma tutti intonati e sensibili al gioco... Dal detestabile Tim Robbins al nevrotico Matthew Modine, capace di ingoiare una dura verità e dimenticarla un minuto dopo nell'ubriachezza e nel gioco sociale, da Jannifer Jason Lee che dimostra quanto siano facili le bugie erotiche, ad Andy MacDowell, impietrita e inconsapevole nell'attesa accanto al letto del suo bambino in coma. Il demiurgo Altman ricostruisce i frammenti delle loro vite, li ruba, li insegue, li intreccia... sa che portare sullo schermo la vita quotidiana vuol dire dipingere un'irrimediabile infelicità e che il lieto fine è roba da cinema.
Autore critica: Irene Bignardi
Fonte critica: La Repubblica, America oggi è un film del 1993 diretto da Robert Altman tratto da 9 diversi racconti e una poesia di Raymond Carver. Altman amplia, intreccia e mescola le storie dello scrittore americano dando vita a un complesso affresco e un'altalena di toni ed emozioni che hanno per sfondo una brulicante e a tratti opprimente Los Angeles. I disperati carveriani dell'America provinciale, trasferiti nella morsa della grande metropoli, si trascinano ancora più stancamente, ancora più alienati, immersi in un dolore potenzialmente straziante ma che la mano ferma di Altman decide di trattenere, di non fare esplodere. Tra i protagonisti Jack Lemmon, Robert Downey Jr., Tom Waits e Huey Lewis.Insieme a I protagonisti , il film che segnò il grande ritorno di Altman dopo un quindicennio appannato e sotterraneo: America oggi , multiforme affresco losangelino dalla narrazione implosa, rimane il capolavoro di questa «seconda giovinezza». Dei «Seventies» Altman non rinnega niente, anzi preleva dal decennio successivo quella che ne è stata forse la più alta sintesi letteraria: i racconti di Raymond Carver. Il montaggio (musicalissimo) intreccia le canzoni della colonna sonora con un gusto quasi da cantastorie; ogni enfasi è bandita (contrariamente al farraginoso e retorico pseudo-allievo Paul Thomas Anderson di Magnolia ); il cast è semplicemente sbalorditivo e i pezzi di bravura così sciolti che non te ne accorgi nemmeno (il monologo di Jack Lemmon, il seminudo di Julianne Moore). Su tutto una tristezza spettrale e assolata, un blando terremoto osservato da uno sguardo imperturbabile che è già oltre la commedia e la tragedia. (emiliano morreale) 

ALTRE CRITICHE "Film straordinario, giustamente premiato a Venezia tre settimane fa (seppur con un ex-aequo) e testimonianza di una felicità creativa che Robert Altman ha ritrovato a un passo dai settant'anni. 'America oggi', titolo italiano ambizioso che stride con il minimalismo programmatico dell'originale 'Short Cuts' ("Tagli brevi"), è un'opera corale lunga tre ore e sulle prime piuttosto ostica: non capisci bene che storia ti stanno raccontando, l'andamento divagante spiazza, ma poi capisci che è proprio l'intreccio apparentemente casuale di quelle nove storie a fornire il cuore del film e non staccheresti più la spina." (L'Unità, Michele Anselmi, 04/10/93) "I racconti di Raymond Carver. Scorrendoli per farne degli Short Cuts come rilevava il titolo originale riferendosi ai "brevi ritagli", Altman ne ha isolati alcuni facendosi aiutare anche dalla vedova dello scrittore. Fedeltà narrativa quasi zero, ma forte adesione allo spirito con cui lo scrittore tratta i suoi personaggi e il loro milieu sociale, salvo forzarne e condensarne - per ovvia necessità cinematografica - gli spessori emozionali. Il resto, come lo spostamento dell'azione dagli ambienti originari del North West con le sue periferie operaie alla Los Angeles meno smaltata, la creazione di nuove figure e situazioni, e tutta la devastante scia d'amplificazione strutturale che un trasloco nella metropoli comporta, è semplicemente il contributo creativo di Robert Altman e, per quel che riguarda Carver, la scoperta - o la conferma - che il significato del suo lavoro rientra tra quelli che si usa chiamare "universali". 'America oggi' è un capolavoro. Tre ore e dieci di durata che non sono fatte di lentezze, stasi o passi di danza ma si presentano compatte e densissime, traboccanti di pensieri e situazioni in divenire, fulminanti ed elettriche, sempre in equilibrio tra tensioni capaci di sostenere gli obiettivi "esistenziali" del racconto e vibrazioni perfino poetiche. Di quella tragica e sgualcita poesia che cresce solo tra gente comune di grandi città avvelenate. Senza particolari acrobazie tecniche, anzi con esemplare semplicità di rappresentazione, Altman raccoglie tutto questo in una commedia corale che associa il dramma al riso, richiamando in un finale ben lontano dell'happy ending, così come aveva fatto all'inizio, un altro incubo profetico, rivelatore e collettivo, assai 'specifico' della costa californiana: il terremoto. Stendendolo su quelle 'storie' di gente che, se non è proprio verissima, è comunque concreta abbastanza da soddisfare la doppia esigenza di realismo e di che film ed autore, tanto stimolanti, inevitabilmente sollecitano." (Il Tempo, Claudio Trionfera, 05/10/93) "Quello di Robert Altman è un crudo humour nero che va ben oltre le ansie redentoristiche e le vibranti denunce. Los Angeles, nel complesso, agghiacciante, memorabile 'Short Cuts', diventa un gigantesco pannello luminoso: dall'alto, il paesaggio è cementificato in una sorta di giungla artificiale; da vicino, il puzzle è dissezionato pietra su pietra, fisionomia su fisionomia, colore su colore. La macchina da presa penetra nelle traiettorie del caso e del destino, identificandosi nel gesto più transitorio, nel rapporto più contorto, nella sofferenza più oscena, nell'emozione più turbinosa. Tempi, struttura e poetica del film premiato a Venezia sono concatenati per raccogliere l'eco degli urli d'angoscia che il respiro della megalopoli disperde ad ogni istante. La sceneggiatura smonta e rimonta racconti e poesie di Raymond Carver, il guru del minimalismo morto a cinquant'anni di cancro nell'88. L'importanza dello scrittore sta nel suo metodo di scarnificata immediatezza e nell'attenzione spasmodica concessa alle anime morte che popolano i sottoscala, gli angiporti e i mattatoi del Sogno Americano. Altman ha ripreso con delicatezza la barcollante andatura carveriana, rispettandone la "pietas" narrativa, ma reinventandone i punti tonali. Le non-storie di ventidue personaggi fioriscono con cinica vitalità, s'incrociano facendosi sempre del male e infine vengono ricoperte da un nero sudario di dolore: non sono soltanto l'indifferenza generale, l'aridità societaria e la violenza sessuale ad intristire, quanto la disarmonia totale che inizia sin dalle relazioni fra le coppie." (Il Mattino, Valerio Caprara, 05/10/93) "Affresco, mosaico, ritratto collettivo di un'America sempre più amara e smarrita, Short Cuts è una grande macchina narrativa dove ogni racconto è compiuto in se stesso, ma l'insieme ha un senso diverso da quello che emerge dai singoli episodi. E' la differenza - fondamentale - fra Carver e Altman. Una differenza di sguardo, dunque di morale. Carver isola, enuclea, seziona personaggi e sentimenti. Altman incrocia, confronta, soppesa. Ogni personaggio entra nella vita di un altro a lui estraneo, la modifica magari per sempre ma non lo sa e forse non lo saprà mai. Ognuno è messo di fronte a una prova, una possibilità di riscatto, l'occasione di fare la cosa giusta: ma non la fa, per caso, per inerzia, perchè non ne ha il tempo o forse la voglia. Di qui lo strano impasto di pietà e di cinismo all'opera in questo film-fiume, che per comodità divideremo in tante piccole voci. "Short Cuts", appunto, "tagli brevi". (Il Messaggero, Fabio Ferzetti, 07/10/93) "Bob Altman risulta più compatto, emozionante e controllato rispetto ad altri suoi film: le crudeli o comiche vicende quotidiane di gente comune sono introdotte da una simbolica epidemia e concluse da un'emblematica scossa di terremoto, sono intervallate dalla voce dolcemente stanca d'una cantante di jazz, antiquata e carica di nostalgia per un passato diverso, per un'altra cultura. Un altro grande merito del film sta nella scelta dei magnifici attori: oltre a Jack Lemmon, che recita benissimo un suo numero, Tim Robbins, Jennifer Jason Leigh e Tom Waits sono i più ammirevoli. La riuscita è così piena che Altman conta di realizzare, con lo stesso schema e gli stessi interpreti, almeno altri due film." (La Stampa, Lietta Tornabuoni, (01/10/93) Copyright © Cinematografo 2006.