"Arrivederci ragazzi" di Louis Malle

ARRIVEDERCI RAGAZZI Durata: 103' - Francia, Rft, 1987


Inverno 1943/44. Le vacanze natalizie sono finite, per i fratelli Quentin è arrivato il momento di rientrare in collegio; Julien, il piccolo di cosa, non si rassegna all'idea di staccarsi ancora una volto dalla madre. A Fontainebleau, nel collegio del Bambin Gesù, sono arrivati intanto dei nuovi compagni; Julien però non è dell'umore migliore e tratta bruscamente l'intruso che ha occupato il letto vicino al suo. 
Le giornate riprendono o trascorrere sui ritmi usati: la sveglia, la messa, la colazione nel refettorio, le lezioni talora interrotte dall'allarme antiaereo, lo ricreazione nel cortile, e poi ancora i posti frugali e la ritirata serale nelle camerate. I convittori non appaiono ben disposti verso i tre ragazzi che si sono uniti al gruppo; ogni occasione è buona per bisticciare e organizzare scherzi pesanti ai danni dei 'nuovi' o del malcapitato Joseph, un povero storpio che lavora in cucina e si arrangia con la borsa nera. 
Dapprima Julien è sostanzialmente indifferente nei confronti di Jean Bonnet. Ma il nuovo arrivato eccelle in tutte le materie di studio, è ben voluto dalla giovane insegnante di pianoforte perchè suona lo strumento con scioltezza e competenze, e perfino il rettore, padre Jeon, che è per i ragazzi maestro di vita e modello, ha per lui attenzioni particolari; inoltre egli riceve dalla madre lettere misteriose e prega di nascosto in una lingua sconosciuta. Tanto basta per suscitare nel piccolo Quentin il tarlo dell'invidia e della curiosità. 
Una volta alla settimana i convittori vengono accompagnati ai bagni pubblici, dove un cartello avverte che agli ebrei non è consentito l'accesso; vedendo uscire un uomo con la stella giallo in evidenze sul cappotto, i ragazzi commentano il fatto con parole di stupore e ammirazione. Julien comincia a sospettare dell'identità di Jean quando, rovistando nel suo armadio, scopre un documento su cui sta scritto un nome diverso: Jean Kippelstein. 
Durante una caccia al tesoro, i due ragazzi si smarriscono nel bosco; finalmente la paura li spinge ad allentare le difese e a fraternizzare. Riportati in collegio a notte fonda da una pattuglia tedesca, Quentin e Bonnet dilatano nel racconto la loro avventura e diventano agli occhi dei compagni due eroi. I piccoli e grandi segreti, le prime scazzottate e le passioni condivise (la letteratura, il cinema, la musica) contribuiranno ad avvicinare sempre più Julien a Jean. 
Un giorno il rettore scopre che Joseph, lo sguattero, ruba le provviste del convitto per rivenderle al mercato nero e si vede costretto a licenziarlo. 
Di li a poco arriva, inattesa, un'ispezione della Gestapo, Joseph ha denunciato la presenza di ebrei nel collegio. Dopo una sommaria indagine, questi vengono identificati, il rettore arrestato, il collegio chiuso di forza. Nel cortile, davanti ai ragazzi schierati per l'appello, sfilano gli sventurati compagni e padre Jean, colpevole di aver commesso un grave reato contro le forze di occupazione. C'è solo il tempo per scambiarsi l'ultimo sguardo e l'ultimo accorato arrivederci. 
"Arrivederci ragazzi si ispira al ricordo più drammatico della mia infanzia", ha dichiarato il regista, presentando il film alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. 
E il titolo reca già in sè l'emozione centrale, il senso del racconto: l'addio all'infanzia di Julien Quentin, personaggio chiaramente autobiografico. 
Malle racchiude la crescita di Julien tra due distacchi: 
- il commiato dalla madre, alla stazione di Parigi; 
- il commiato dall'amico e da padre Jean, nel cortile del collegio. 
Nella sequenza iniziale, dopo l'abbraccio della mamma, il bambino rimasto a lungo in silenzio accanto al finestrino del treno, fissando (primo piano) la campagna piatta e spoglia che scorre al di là del vetro. Nella sequenza finale, Julien (ancora in primo piano) segue con lo sguardo il gruppo dei prigionieri che si allontana, mentre la voce fuori campo commenta: "Più di quarant'anni sono passati, ma fino alla morte ricorderà ogni secondo di quel mattino di gennaio...... Crescere per Quentin, non vuol dire solo smettere di bagnare il letto di notte o vedersi spuntare sotto il naso la peluria dei primi baffi; significa confrontarsi con i modelli maschili offerti dalla famiglia e rifiutarli (il fratello François, maggiore d'età, lo tratta con sufficienza; il padre, sempre assente, sembra preoccupato più della fabbrica che dei figli). 
Quando riconoscerà in Bonnet il fratello vero, il vero padre in padre Jean, li avrà ormai perduti. Questa scoperta è raccontata dal regista con notevole finezza psicologica. I due ragazzi infatti non dichiarano mai in modo esplicito i loro sentimenti, eppure lo spettatore intuisce il passaggio dalla vicinanza dei letti a quello più profondo delle menti e dei cuori, autentica fratellanza spirituale. Malle usa tocchi leggeri: pensiamo per esempio alla luce della torcia (il 'terzo occhio' di Julien, che se ne serve per indagare oltre il buio della camerata o del rifugio, fin dentro a quella più inquietante dell'esistenza, per riconoscere i propri simili); oppure all'immagine dello scrigno (metafora del 'tesoro' tanto cercato e alla fine trovato: l'amicizia). 
Anche quella del rettore è una paternità spirituale, più importante di quella naturale. Julien da grande vorrebbe fare il prete, non l'ingegnere come invece sperano i genitori, perchè solo padre Jean sa entrare in sintonia con il groviglio di passioni, dubbi e speranze che gli si agitano nell'anima; solo lui parla d'Amore, di Pietà, di Giustizia, di Libertà. Pensiamo per esempio alle parole rivolte dal rettore agli allievi che si sono resi corresponsabili dell'illecito traffico di Joseph: "L'educazione, quella vera, sta nell'insegnarvi a fare buon uso della libertà"; è una lezione che Julien comprenderà solo all'ultimo, in quell'arrivederci che suona di fatto come un addio (padre Jean morirà a Mauthausen, Bonnet ad Auschwitz). Ruotando intorno al piccolo Quentin che progressivamente apre gli occhi sul mondo e ne scopre le brutture, la vicenda trascorre dall'ambito un po' angusto della cronaca (la vita di collegio) a quello più ampio e più drammatico della Storia (la Francia di Pètain, le persecuzioni razziali contro gli ebrei, la seconda guerra mondiale). 
Il regista tiene la macchina da presa all'altezza dello sguardo infantile, racconta sempre dal punto di visto del ragazzo, portato a trasfigurare la realtà con la fantasie. Nel film i segni concreti della guerra sono evidenti ma più efficace risulta la trasposizione metonimica dell'evento: la guerra "giocata", le accanite battaglie sui trampoli, in cui il conflitto barbarie nazista/civiltà è reso nella forma della chanson de geste ('Io sono il cavaliere senza macchia e senza paura!', "in guardia, vil fellone!", gridano i giovani guerrieri mentre vanno all'attacco). 
In quest'ottica del parlare per figure, la proiezione di Chorlot emigrante può essere letta come metafora esistenziale collettiva, tante sono le analogie con il microcosmo del collegio: la lontananza da casa, l'ansia di libertà, certi personaggi, etc. ("Sembra madame Perrin", commentano divertiti i ragazzi a proposito della donna grossa che rotola sul pavimento della nave e che assomiglia alla cuoca del convitto). 
Nel ricreare l'atmosfera dell'inverno più duro della sua infanzia, Louis Malle si avvale inoltre di una fotografia che privilegia l'assenza di sole negli esterni e i colori freddi, quasi lividi (marrone, blu, violetto): indizi di morte anche questi, lasciati trapelare senza indulgere a facili effetti. 
Se è vero che nella filmografia di un autore l'opera-prima è di solito legata a doppio filo con l'autobiografia, è altrettanto vero che Louis Malle sarà ricordato come l'eccezione alla regola. A detta dello stesso Malle, Arrivederci ragazzi (Leone d'oro alla 44 Mostra di Venezia) è il film che egli avrebbe dovuto girare trent'anni fa, quando debuttò con Ascensore per il patibolo. Ma, da allora, il regista francese ha esitato, ha aspettato, fino a quando il ricordo si è fatto più acuto e pressante, probabilmente stimolato e sollecitato dall'esperienza americana. 
Arrivederci ragazzi è arrivato infatti dopo un particolare momento di riflessione che ha segnato una svolta importante per il regista di Les amants, Zazie nel métro, Fuoco fatuo e Soffio al cuore. Nel 1978 Malle se ne era andato negli Stati Uniti dove aveva diretto Pretty baby. Due anni dopo, sempre negli Stati Uniti, ecco Atlantic City, che vinceva il Leone d'oro a Venezia, ma per i successivi Crackers "remake" dei Soliti ignoti di Monicelli, e Alamo Bay Malle sembra accusare qualcosa di più di un senso di stanchezza: quello che appesantisce il suo stile rendendolo farraginoso e anonimo è probabilmente la perdita di solide radici, lo spazio che si interpone fra la sua terra d'origine e la sua ispirazione, fino ad annullare quest'ultima.
Perciò Louis Malle torna in Francia e ricomincia da capo ritrovando sé stesso e la sua forma migliore in una specie di opera d'esordio che inaugura una nuova fase, quella del ritorno in un film che si ispira al ricordo più drammatico vissuto dal regista francese durante la sua infanzia. L'episodio al quale il regista fa riferimento è legato agli anni dell'occupazione tedesca della Francia nella Seconda guerra mondiale agli anni del collaborazioni smo e della resistenza, dei bombardamenti, delle retate, delle deportazioni.
Nel 1944 Louis Malle aveva undici anni e stava a convitto in un collegio dei gesuiti vicino a Fontainebleau. Un compagno arrivato all'inizio dell'anno lo incuriosisce e lo insospettisce nello stesso tempo. Il ragazzo è diverso, segreto, appartato, misterioso. Malle comincia a tenerlo d'occhio, a pedinarlo fino a quando scopre i motivi di quel ritegno e di quei modi circospetti. Il nuovo compagno è ebreo e il padre superiore lo ha accolto sotto falso nome per salvarlo dalla deportazione. Ma anche altri scoprono quel segreto ed ecco che in una fredda mattina d'inverno la Gestapo e i collaborazionisti piombano sul collegio, arrestano il ragazzo ebreo, altri due israeliti che avevano trovato rifugio tra gli allievi del convitto e il padre superiore che li aveva ospitati. Li attendono i lager nazisti, dai quali non faranno più ritorno. E la frase "Arrivederci ragazzi" che dà il titolo al film è l'ultimo saluto scambiato con i compagni che assistono sbigottiti e impotenti alla scena.
Quel tragico ricordo è stato consegnato alla memoria e lì custodito gelosamente indelebilmente fissato e conservato fino a quando Louis Malle ha sentito che il momento di liberarlo era arrivato e che egli era pronto a ricostruire quei fatti verificatisi quarant'anni prima.
L'immaginazlone ha così sfruttato la memoria come un trampolino di lancio e, oltre la ricostruzione storica Malle ha reinventato il passato che lo aveva tormentato per anni e anni fondendo il ricordo con la riflessione maturata attraverso il trascorrere del tempo, nell'intento di ritrovare quella prima amicizia, la più forte, brutalmente distrutta, e di riscoprire l'assurdità del mondo degli adulti con il suo corredo di violenza e di pregiudizi.
Insomma, come se Malle avesse avuto un rimorso che lo tormentava (lui, che quella mattina del '44 si trovò improvvisamente di fronte ai suoi privilegi di rampollo di una ricca e potente famiglia borghese, per questo intoccabile) e del quale si è finalmente potuto liberare.
E che il film sia superbamente cresciuto con il tempo lo dimostra un particolare curioso. Raphael Fejto, il giovane attore che interpreta il ragazzo ebreo, assomiglia in modo straordinario a Louis Malle, che nel film è invece impersonato da Gaspard Manesse. Come mai? Perché da quella mattina del '44 Malle ha sentito crescere dentro sé stesso come un senso di colpa per quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto, per l'amicizia più intensa e profonda che avrebbe potuto stringere con quel povero compagno, fino al desiderio di condividerne la sorte, fino al punto di proiettarsi in lui e identificarvisi, quasi a volerlo sostituire (proprio come faceva Alain Delon in Mr. Klein di Joseph Losey), quasi a volersi consegnare al suo posto nelle mani dei tedeschi.
Un desiderio di espiazione che si allarga a quel più vasto senso di responsabilità collettiva che ancora oggi pesa sulla Francia per l'indifferenza, l'egoismo e l'equivoca ambiguità di molti suoi figli durante l'occupazione nazista. Quell'ipocrisia che il padre superiore bolla a fuoco durante l'omelia: una delle scene più toccanti di questo film sconvolgente e straziante, nobilissimo e indimenticabile. 


LOUIS MALLE 

Data e luogo di nascita: 30 Ottobre 1932, Thumeries, Francia 
Data e luogo di morte: 23 Novembre 1995, Beverly Hills, California, USA 
Dopo aver frequentato l'università del Cinema di Parigi, diventa aiuto-regista di Robert Bresson. Esordisce nel 1957 con Ascensore per il patibolo, un pregevole thriller psicologico con richiami hitchockiani. Segue il racconto erotico-libertino Les amants (1958) con Jean Moreau e Jean-Marc Bory che balza all'attenzione del pubblico per lo scandalo suscitato da alcune scene erotiche presenti nel film. Con il terzo film Zazie nel metrò (1960), tratto dal romanzo omonimo di R. Queneau, rivolge la sua attenzione a temi meno commerciali e definisce il suo linguaggio basato sulla qualità formale dell'immagine, attentissima alla dimensione figurativa, e combinato a una sottile e costante polemica nei confronti dei costumi borghesi. Questa poetica dà ragione anche della sua predilizione per il documentario che inizia ad alternare ai film a soggetto. Tra questi ultimi il suo capolavoro è Fuoco fatuo (1963) che racconta gli ultimi giorni di vita di un trentenne che sceglie la morte per non diventare adulto. In polemica con il cinema del suo paese, si trasferisce in India dove gira un quantità impressionante di pellicola da cui nascono i reportage Calcutta (1969) e Humain, trop humain (1973). Torna al cinema a soggetto con un copione destinato a dare ancora scandalo, quel Soffio al cuore (1970) che narra le fantasie incestuose di un adolescente, modello contrapposto al mondo ipocrita e scontato degli adulti. Affronta poi un altro tema scottante della società francese, quello del collaborazionismo con il nazismo, in Cognome e nome: Lacombe Lucien (1974) nel quale dipinge un personaggio, il collaborazionista, decisamente simpatico positivo. Dopo l'India, è stata la cultura americana ad esercitare una forte influenza su molti dei suoi ultimi lavori: ne sono una prova soprattutto Pretty Baby (1978), Atlantic City, USA (1980), Crackers (1983), Alamo Bay (1985). A metà degli anni Ottanta torna in Francia per realizzare una delle sue opere più importanti, Arrivederci ragazzi (1987), premiato a Venezia con il Leone d'oro. Gira quindi Milou a maggio (1989), una sulla contestazione del 1968. Con Il danno (1992) riprende le tematiche “scandalose” tipiche della la sua filmografia, portando sullo schermo la travolgente passione di un maturo padre di famiglia per la fidanzata del figlio. Rimarchevole infine è Vanya sulla 42ma strada (1994). 
«E' solo quando la memoria viene filtrata dall'immaginazione, che i films arrivano realmente nel profondo dell'anima»
(Louis Malle)
Esponente delle Nouvelle Vague. Attento alla qualità formale dell'immagine e alla dimensione figurativa. Costante polemica antiborghese.
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Figlio dell' alta borghesia, discendente della nobiltà francese, la famiglia si è arricchita grazie al commercio dello zucchero durante il periodo napoleonico.
Studia all' Università di Parigi, che abbandona per seguire i corsi della Scuola superiore di cinema della capitale, per apprendere la professione di cameraman.
In questi anni sviluppa la collaborazione con Jacques Cousteau, esploratore oceanografico, partecipando ad alcune spedizioni in qualità di addetto alle riprese. Nel 1955, con il documentario Il mondo del silenzio, vince la Palma d'Oro al Festival di Cannes, e nel 1956, per lo stesso, il Premio Oscar.
Incomincia così la sua carriera di regista, esponente della Nouvelle Vague, dirigendo i grandi attori francesi di quegli anni, da Brigitte Bardot a Jean-Paul Belmondo.
Muore nel 1995 a causa di una leucemia.
Sposato tre volte, due figli avuti da relazioni esterne al matrimonio, si lega nel 1980 con l' attrice statunitense Candice Bergen, fino al termine della sua vita.