La Maremma patria di simboli storici

 Origine e significato di alcuni segni del potere pervenuti a noi dagli Etruschi

di Giombattista Corallo

Chi l’avrebbe mai detto; eppure è così. Non tutti sanno, infatti, che alcuni elementi simbolici della nostra storia antica e recente come il fascio littorio, la sella curule e la toga praetexta sono nati nella Terra di Maremma e, in particolare, in una cittadina costruita sopra una collina che domina dall’alto la pianura che fu sede geografica del lago Prile: l’etrusca Vetulonia, identificata da Isidoro Falchi nel borgo medioevale di Colonna di Buriano che, ritrovata, riprese il suo originario nome con il regio decreto del 1887. Segni di distinzione, di appartenenza a personalità di particolari ceti sociali ed espressione visiva della loro autorità, molto usati e talvolta anche abusati, nel tempo, nella vita di relazione. Ma entriamo subito nel merito.In origine, il fascio, era costituito da dodici verghe di olmo o di betulla della lunghezza di circa un metro e mezzo, tenute insieme da due corregge rosse e con una scure inserita tra le verghe stesse. Era principalmente il simbolo dei magistrati, nel mondo etrusco, formato dalle verghe che contenevano, all’interno del mazzo, un’ascia. I magistrati, i lucumoni e le persone che esercitavano il potere giudiziario, politico, militare, religioso, erano accompagnate da un littore che portava, sulla spalla sinistra, un fascio di verghe con in mezzo una scure: strumenti simbolo di fustigazione e di sentenze capitali. Il Littore precedeva il personaggio, un monito per tutto il popolo. Era una guardia, un ufficiale portatore di fascio che costituiva il segno dell’indiscussa autorità. Il simbolo, infatti,  incuteva timore e richiedeva grande rispetto per chi lo rappresentava.

Un esempio, un modello in metallo, è stato ritrovato nel 1898 nella Tomba del Littore a Vetulonia  da Isidoro Falchi, figura singolare di medico condotto e di archeologo dilettante, nel corso di una campagna di scavi che lo studioso portò avanti nel territorio durante l’arco della seconda metà del XIX secolo; una copia di dimensioni ridotte del vero fascio che costituiva, icuramente, un elemento di  arredo della sepoltura di un magistrato. E’ costituito da un insieme ferroso di verghe legate in un solo blocco dalle quali fuoriesce un’ascia bipenne. La tomba,  a  tholos, appartenente ad una necropoli che risale al VII secolo a.C.   conservava   questo    modello del  fascio    che    si    trova,    dopo l’intervento di restauro, custodito nel Museo Archeologico di Firenze. Il ritrovamento viene ad avvalorare, così, la testimonianza di uno scrittore latino che attribuisce alla cultura etrusca l’uso di questo elemento quale simbolo di unitaria potestà centralizzata. Così, infatti, scrive: “Maeoniaeque decus quondam Vetulonia gentis, bissenos haec prima dedit praecedere fasces et iunxit totidem tacito terrore securis” (Punica, Tiberio Cazio Asconio Silio Italico, Libro VIII, 483-485).  La cultura figurativa ce ne presenta numerosi esempi realizzati per ornamento di architetture o facenti parte di rappresentazioni a rilievo o pittoriche, (Littore, dalla Tomba Bruschi, II secolo  a.C.,  Tarquinia,     Museo Nazionale;    Un  littore, frammento  di affresco proveniente dalla tomba Arieti, appartenente alla necropoli dell'Esquilino, II secolo a.C., Roma, Musei Capitolini; Littore, Ara Pietàs, I secolo d.C., Roma, Villa Medici; Littore, Colonna Traiana, 

    

dalle campagne di guerra di Spagna e di Gallia, dove viene rappresentata nelle varie fogge. Ma il primo esempio in arte di questo indumento sembra sia quello della statua bronzea etrusco-romana dell’Arringatore del Trasimeno, realizzata verso il 90 a.C. ed esposta nel Museo Archeologico di Firenze, anche se non perfettamente implicava un  certo  gusto  nel  saper  disporre con disinvoltura il pezzo di stoffa direttamente sulla persona che appariva così in tutta la sua eleganza pur nella semplicità e sobrietà della forma del mantello stesso.

I tipi di toga erano diversi a seconda degli ornamenti stabiliti in relazione alle persone che la indossavano: la toga candida (di colore bianco era indossata dai candidati a cariche pubbliche), la toga pulla (veniva indossata nei periodi di lutto), la toga picta (era portata dagli àuguri). Ma la più nota era la toga praetexta o toga listata caratterizzata da una fascia di porpora nel bordo esterno. Era indossata dai magistrati, dai consoli e dai giovani fino al compimento del sedicesimo anno d’età quando, diventati adulti, la lasciavano per vestire la toga virile o pura per il suo colore bianchissimo e per l’assenza di ogni tipo di ornamento. Insieme alla toga praetexta, durante il rito religioso dei “Liberalia”, i giovani abbandonavano anche la bulla, un medaglione che portavano appeso al collo, distintivo della loro giovane età.

E la praetexta, così come il fascio, fu un’altra invenzione degli Etruschi di Vetulonia. Ne parla lo stesso Tiberio Cazio Asconio Silio Italico nel Libro VIII, 487 del poema epico Punica. “...et principes Tyrio vestem praetexvit ostro”.

Anche della sella curule (sedia da carro) troviamo le prime tracce nella cittadina grossetana. Era una sedia di grande pregio ornata con decorazioni in avorio a sottolineare la preziosità di una poltrona il cui uso era destinato a personaggi di rango quali erano considerati gli alti magistrati. Ed è ancora nell’opera Punica che ritroviamo l’origine di questo oggetto di grande pregio e dall’indiscutibile valore simbolico. “…haec altas eboris decoravit honore curulis...” (Punica, Tiberio Cazio Asconio Silio Italico nel Libro VIII, 486).

Nella pittura rinascimentale compare in un’opera a soggetto religioso usata come sedile dalla Vergine Maria ad indicare la sua preminente personalità rispetto ai comuni mortali in quanto Madre di Gesù, in contrapposizione alla più modesta sella dell’asinello raffigurata vicino a Lei. (Adorazione dei Magi, Masaccio, 1425-1426, Berlino, Staatliche Museen).

Possiamo concludere con la traduzione della frase riportata dall’opera di Silio Italico che recita cosi: “Vetulonia una volta onor della gente Meonia, essa per prima insegnò che i dodici fasci, avanzassero in testa e di silenzioso terrore, altrettante scuri congiunse; e troni d’avorio, alti intarsiò. Una veste di porpora tiria, listò per i primi re; le trombe di bronzo, fece squillare all’inizio di ogni battaglia”.

Oggi l’uso di questi tre storici elementi di distinzione sociale sono scomparsi ma altri simboli, alcuni positivi, altri negativi, sono apparsi nella vita dell’uomo del Terzo Millennio: la Storia che il futuro scriverà avrà il compito di documentarli.

Fascio littorio di Vetulonia, VII sec. a. C.

 

Apollodoro   di  Damasco,  attr.,  113  d.C., Roma, Foro di Traiano).

Il fascio littorio ebbe un grande sviluppo nell’antica Roma. I re romani erano preceduti da dodici littori, prerogativa che, successivamente, passò ai consoli e ai magistrati. Il dittatore ne aveva ventiquattro così come gli imperatori Augusto e Domiziano e sei i pretori e i magistrati di rango pretorio. Nel periodo repubblicano il Senato di Roma poteva concedere i fasci ai suoi ambasciatori e ai governatori. Littori con i fasci senza scure avevano i magistrati municipali nel periodo repubblicano perché, all’interno delle città, il loro potere era limitato dal diritto di appello al popolo. Il magistrato di grado inferiore toglieva la scure e abbassava i fasci al cospetto dei magistrati superiori. Nel I secolo a.C. le Vestali, il Pontefice Massimo ed alcuni sacerdoti avevano diritto al fascio. La caduta di Roma fece dimenticare questo simbolo che ritornò di moda con la Rivoluzione Francese e con il Risorgimento Italiano con il significato di unità. La storia dell’inizio del Novecento lo ha rispolverato e gli ha conferito un valore politico e le caratteristiche di una mentalità, con i risvolti che tutti conosciamo. Fu reintrodotto da Mussolini nel 1915 che ne fece l’emblema dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria e, dal 30 dicembre del 1926, il fascio diventò il simbolo ufficiale dello Stato Italiano.

Anche il termine “littorio” fu molto usato: la gioventù dell’epoca fu denominata “littoria” e così tutte le competizioni sportive, artistiche, culturali. Anche una città del Lazio, a sud di Roma, oggi Latina dal 1945, in origine si chiamava Littoria e chi non ricorda la vecchia littorina soppiantata dai moderni treni che oggi corrono sulle rotaie della rete ferroviaria italiana?

Lo stesso luogo maremmano dette i natali ad uno dei capi di abbigliamento più noti e rappresentativi dell’antichità: la toga praetexta (toga della fanciullezza).

Sappiamo che nel mondo romano la toga era uno degli indumenti principali degli uomini; le donne indossavano una sopravveste simile chiamata palla. Il termine deriva da tego = copro ed era un pezzo di stoffa, originariamente solo di lana, successivamente di lino, cha avvolgeva il corpo lasciando scoperto il braccio destro e ricadendo con un gioco di pieghe immortalate dall’arte in tante opere, soprattutto nei rilievi storici dell’Ara Pacis Augustae fatta costruire dal Senato romano tra il 13 e il 9 a.C. in onore di Augusto ritornato vittorioso

"Le Antiche Dogane": nr. 34 - Aprile 2002

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