Giuseppe Zani
Pàrlô come t’à ’nsegnàt tò màder
Pubblicazione fuori commercio

 

Famìô, murùs, amùr, maricc e muér  
(Famiglia, morosi, amori, mariti e mogli)     

A mès an el cül el fa 'l scagn.gif (40231 byte)
Disegno di Tiziano Turelli

A mès an el cül el fa 'l scagn

 

A mès àn
el cül el fa ‘l scagn

A mezzo anno il culo fa da sedia.
A sei mesi il bambino può star seduto da solo. Di lì a poco verrà messo nell'«andarì», un reggibimbo rudimentale, in legno, con anello scorrevole col quale il bambino rafforza le gambe e impara a fare i primi passi.

A Pàsquô e a Nedàl
ognü al sò cazàl

A Pasqua e a Natale ognuno al suo casale.
Sono due feste che fa piacere passare con i propri cari.

Biancherìô e bé
g'è mai ashé

Biancheria e bene non sono mai abbastanza.
Sono cose di cui non si può dire: «Ne ho abbastanza».

Amùr de fredèi,
amùr de curtèi
(...o de pursèi)

Amore di fratelli è amore da coltelli (...o da maiali).
Alcune volte succede che ci sia odio tra fratelli che può portare anche ad usare il coltello. Qualcuno sostituisce l'immagine armata (curtèi) a quella di un rapporto sporco, incestuoso (pursèi).

Amur e gelusìô
i nàs en cumpagnìô

Amore e gelosia nascono in compagnia.
Se vuoi veramente bene, sei geloso.

Amùr nöf el và e ‘l vé,
amùr vècc el sa manté

Amore nuovo va e viene, amore vecchio si mantiene.
Un amore nuovo è più ballerino di uno consolidato.

Ca shò
e pò piö

Casa propria e niente di più.
Quando si parla di casa, la propria è sempre la migliore. L'ho sentita tradotta col proverbio italiano: «Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia».

Ca gràndô,
gran burlàndô

Casa grande, gran tripudio.
Quando si è tanti in famiglia, c'è un po' di tutto: allegria, confusione, spreco ecc.

Chi prèst i 'ndèntô,
prèst i 'mparèntô

Chi presto indenta (mette i denti), presto imparenta (avrà parenti) .
Si dice che quando i figli mettono presto i dentini (a tre o quattro mesi) questo sia un segnale dell'arrivo imminente di un fratellino: «L'è zà ré a rangiàs» (si sta già arrangiando).

De i sòc
vé zó le stèle(*)

Dai ceppi sortiscono le (*«stèle» sono dei grossi pezzi di legno da ardere, quasi sempre un «sòc» frazionato dalla scure).
Per dire che i figli sono come la famiglia li educa ed è un altro modo di dire "Talis pater, talis filius". Si dice anche: «De 'na brötô shòcô, tate ólte shurtés 'na bèlô stèlô» (Da una brutto ciocco, tante volte sortisce un bel pezzo di legno), ma, si fa intendere, queste sono le eccezioni perché: «La bòtô la dà 'l vì che sha ga dà» (La botte dà il vino che ci si mette).
Della tradizione del «Sòc de Nedàl» si è perso l’uso e, quasi, anche la memoria.
La notte di Natale, appeso alla catena del fuoco, c’era uno «stignàt» pieno d’acqua, intorno al caminetto venivano disposte le sedie e, prima di andare a dormire, si metteva sul fuoco «el sòc de Nedàl». I ceppi nodosi che non si riuscivano a rompere erano tenuti da parte per la Notte Santa perché, si diceva, la Madonna sarebbe passata a fare asciugare i «panizèi» (pannolini). Tutto era pronto: l’acqua calda per lavare i panni, le sedie per stenderli, il fuoco per asciugarli ed un ambiente caldo in cui cambiare il bambinello.
Era forse l’unica mattina d’inverno dove nella stanza non si trovava freddo e c’era l’acqua tiepida per lavarsi.
I resti incombusti del ceppo (era talmente grosso che si spegneva prima di consumarsi) venivano accantonati per essere usati a maggio nella «ca d'i caalér».

Dio créô,
Dio pérô
(Dio i-a fa e pò i-a ‘npérô)

Dio crea, Dio appaia (Dio li fa e poi li accoppia).
Si sono proprio trovati in una bella coppia ...di balordi!

Dio ‘l ma shégne
de i padrégn
e de le madrégne

Dio mi "segni" dai patrigni e dalle matrigne.
Segnare significa scongiurare, preservare dalle situazioni negative.
Un tempo vedovi e vedove si sposavano più frequentemente e questo detto è attribuito ai figli di questi matrimoni.
Quando si parla di questo argomento si sente dire della tal famiglia, e quasi ogni paese ne aveva una da portare ad esempio, dove c'erano «...i mé, i tò e i nòscc» (i miei, i tuoi e i nostri).
La prima notte dopo la celebrazione del matrimonio di un vedovo si usava «nà a ciucàgô le tóle» (andare a far chiasso) nelle vicinanze della sua abitazione, in segno di disapprovazione per aver rotto la promessa di eterno amore fatta al coniuge precedente.

Dopo ‘l matrimóne
gh’è ‘n més de mél
e 'l rest... l'è fél

Dopo il matrimonio c'è un mese di miele ed il resto... è fiele.
Nel matrimonio la felicità dura poco.

Dòtô preparàdô,
fiölô maridàdô

Dote preparata, figlia maritata.
Era detto con orgoglio dalle madri per far capire che la figlia era pronta per il matrimonio con tanto di dote che era il suo patrimonio personale.
La dote. Per la donna doveva comprendere almeno: 8 coppie di lenzuola e 4 federe per coppia, 1 coperta bianca di "piquet" per quando si era ammalati o per le occasioni importanti, 1 coperta colorata per tutti i giorni, 1 coperta di lana, 6 salviette, 12 asciugamani, 12 fazzoletti, 1 tovaglia con tovaglioli, il vestiario personale ed il proprio cassettone. Avevano anche dei rotoli di tela "casalina" (fatta in casa). Era tela «Cròpô» (dura e non sottile) dalla quale ricavarne camicie ed altra biancheria personale o lenzuola e federe per il letto.
L'uomo, doveva portare 1 letto, 2 comodini, 1 cassettone, 1 cassapanca o, più recentemente, 1 «vestàre» (armadio). Il vestiario personale era fatto di maglie e mutande sia estive che di lana per l'inverno, camicie da lavoro, scure, e una bianca per la domenica, pantaloni per lavoro, mantelli sciarpa, cappello e guanti.

el matrimòne:
she ‘l va be l’è 'na férô(*),
she ‘l va mal l’è 'na galérô

Il matrimonio: se va bene è una festa, se va male è una galera (*férô = letteralmente è festa, ma significa anche difficoltà e spesso si gioca sul doppio significato di questa parola per dire che, se va bene, nella migliore delle ipotesi, il matrimonio è una difficoltà).

el föm... e la fónnô
che sha mèt ré a bruntulà
i càshô l’òm fò de ca

Il fumo e la donna che comincia a brontolare cacciano l'uomo fuori di casa.
Tutte due sono situazioni decisamente insopportabili.

el prüm àn a brashète,
el segónt a pète

Il primo anno a braccetto, il secondo a botte.
Il matrimonio.

Al prüm àn de matrimòne
gàle e bindèi,
al segónt fàshe e panizèi

Al primo anno di matrimonio gala e nastri, al secondo fasce e pannolini.
Il primo anno da parata, ma dal secondo... Era la regola: il primo figlio dopo un anno di matrimonio.

(el Signùr)
el s'è pròpe shentàt zó ché

(Il Signore) si è proprio seduto qui.
Si dice in famiglia quando capitano disgrazie una dietro l'altra.

encö amùr,
dumà dulùr

Oggi amore, domani dolore.
Man mano che i figli crescono, aumentano le preoccupazioni.

en pàder l’è bu
de mantègner dés fiöi,
ma dés fiöi g'è mìô bu
de mantègner en pàder

Un padre è capace di mantenere dieci figli, ma dieci figli non sono capaci di mantenere un padre.
È l'ammonimento e la sfida del padre che pensa a quando sarà vecchio: i figli si scaricheranno l'un l'altro la responsabilità del suo mantenimento?

Fa maià i córegn

Far mangiare le corna.
In un rapporto di coppia significa tradire il partner.

Fónne ca e becalà,
per fài deentà bu
g'è de pestà

Donne cani e baccalà, per farli diventar buoni sono da pestare.
«E, aggiungono i soliti esagerati, picchia sempre nello stesso posto, altrimenti è inutile!».

Fónne de ‘nzó
e àche de ‘nsö

Donne di giù e mucche di su.
Per donne di giù si intendono le donne che conosci.
Infatti si dice anche: «Fónne e bò dei paés tò» (Donne e buoi dei paesi tuoi) ... prendi ciò che conosci meglio.

Fürtünàdô chèlô spùzô
che la prümô l’è 'na tùzô

Fortunata quella donna che per prima ha una figlia.
Se la prima è femmina, presto avrà un aiuto in casa, ma era detto anche come consolazione per l'erede maschio non arrivato.

G'è mìô töcc enguài
i dìcc de 'na mà,
epör g'è töcc i tò

Non sono tutte uguali le dita di una mano, eppure sono tutte tue.
I tuoi figli: ognuno è diverso dall'altro, sia fisicamente che come carattere. Sappine valorizzare i lati positivi.

Giü e du i shént de bu,
chel d'i tré
‘l cumìnciô a ésher ashé

Uno e due sentono di buono, il terzo comincia ad essere abbastanza.
Si dice dei figli... ma non erano poche le famiglie numerose.

I fiöi e i ca:
come sha a üzô sha ga à

I figli ed i cani: come si educano si hanno.
Educazione familiare.

I parécc piö strècc
g'è i vizì de ca

I parenti più stretti sono i vicini di casa.
Sono i primi a cui ti rivolgi in caso di bisogno. Le cascine erano abbastanza lontane tra di loro. Ma anche all'interno dello stesso «löc», se ti serve qualcosa con una certa urgenza a chi ti rivolgi se non a loro?

La fónnô del macù
l’è shèmper sgiùfô

La moglie del macaco è sempre gonfia, gravida.

La fónnô zùenô
e l’òm vècc
i ‘mpignés la ca de s-cècc

La donna giovane e l'uomo vecchio riempiono la casa di figli.
La donna giovane è più focosa e l'uomo vecchio non vuol essere da meno...

La fónnô: che la piàzô,
che la tàzô,
che la stàghe ‘n càzô

La donna: che piaccia, che taccia, che stia in casa.
Queste sarebbero le qualità della donna ideale.

La gh'à ‘l supèl elètric


Ha lo zoccolo elettrico.
Con l'avvento dell'elettricità ecco una nuova immagine per dire che usa tirare lo zoccolo con grande facilità.

La ròbô de scansìô
la pèrt la mercansìô

La roba di scansia perde valore.
Finché sta sullo scaffale non fa mercanzia; la polvere ed il tempo la deteriorano. È detto bonariamente a chi, arrivato ad una certa età, non si è ancora sposato.

La s-cètô che dótô nó gh'à,
la 'à piö fò de ca
(o... la fa la möfô ‘n de la ca)

La ragazza che dote non ha, non va più fuori di casa (o ... fa la muffa in casa).
Senza dote, niente matrimonio.

Le ca shènsô ècc
g'è cumpàgn
de le ca shènsô tècc

Le case senza vecchi sono come le case senza tetti.
In ogni casa, sopra tutte le decisioni c'era il consenso e tutto il potere del «bàrbô» (il vecchio, il patriarca).

L’anèl al dit
l’è come ‘l mèl del ca:
'na óltô mitìt...
i ta làshô piö nà

L'anello al dito è come il collare del cane: una volta messo... non ti lasciano più andare.
Col matrimonio perdi la libertà.

el cumpàr de anèl
l’è padrù
del prüm burdèl

Il compare d'anello è padrone del primo battesimo.
«Burdèl» (bordello) anziché battesimo indica la confusione della festa. Colui che è testimone di matrimonio ha diritto ad essere il padrino al battesimo del primo figlio. A questo detto spesso si sente aggiungere maliziosamente: «...e de metà pèl» (...e di metà pelle) per insinuare che tra il testimone di nozze e la novella sposa ci possa essere stato un affiatamento particolare, una specie di "ius primae noctis" nostrano.
Dopo il parto, la donna non poteva uscire per un certo numero di giorni e per prima cosa doveva essere benedetta e "purificarsi" prima di riprendere a frequentare gli stessi riti religiosi.

L’è mei
'na fónnô shènsô dòtô
che 'na fónnô che fa negótô

È meglio una donna senza dote che una donna che non fa niente.
A proposito di dote... Questo detto offre una possibilità di sposarsi anche per chi ne è sprovvisto ed è contemporaneamente un ammonimento a chi pensa di essersi sistemata andandosene da casa. E questo è stato il commento più frequente: «’Na fónnô shènsô dòtô che la gh'à òiô de laurà, la tirô 'nsèmô amò la sho ca, chèlô che la gh'à mìô òiô de laurà la dèsfô a chel che la gh'à» (Una donna che ha voglia di lavorare manda avanti lo stesso la sua casa, quella che non ha voglia di lavorare disfa anche quel che ha). È così che nascono detti e proverbi?

L’è mei uzèl de bósc
che uzèl de gàbiô

È meglio (essere) uccello di bosco che uccello di gabbia.
«Al pasto garantito in gabbia, preferisco la mia libertà con tutte le difficoltà che comporta». È detto in generale, ma, nella maggior parte dei casi, si riferisce al matrimonio.

La ròbô che dispiàs
la crès sótô ‘l nas

La roba che dispiace cresce sotto il naso.
Se c'è una persona che ti è proprio antipatica va a finire che te la trovi sempre davanti. Si dice anche dei dispiaceri familiari.

L’òm el gh'à i décc del ca:
she ‘l pìô mìô ‘n cö
‘l pìô dumà

L'uomo ha i denti del cane: se non morde oggi morde domani.
Così dicevano le donne. Era un avvertimento che si usava sussurrare alle ragazze da marito che prima di sposarsi vedono tutto bello.

L’òm piö bu
fàghel fa shö al maringù

L'uomo più buono fallo costruire al falegname.
Suonava come un «...che ci vuoi fare, gli uomini sono tutti così... a meno che tu non voglia un burattino...»

Màder che fìlô póc:
ai sò s-cècc sha ga èt èl cül

Madre che fila poco: ai suoi figli si vede il culo.

Màmô pietùzô
fiölô rugnùzô

Mamma pietosa, figlia rognosa.

'Na fónnô per famìô,
‘n prét per sagristìô

Una donna in ogni famiglia, un prete in ogni sagrestia.
Per non litigare!

'Na nus en scarsèlô
la ciòcô mìô, dói e trèi sé

Una noce in tasca non fa rumore, due e tre sì.
Quando ci sono suocere o nuore in casa c'è sempre da dire. Qualcuno applica questo detto ai bambini in una casa.

'Na óltô al dé...
pènsegô té;
'na óltô a la shetimànô...
l’è 'na ròbô shànô;
'na óltô al més...
a miô fal... sh'è coió fés

Una volta al giorno... pensaci tu; una volta alla settimana... è cosa sana; una volta al mese... se non lo fai si è coglioni molto.
Con che cadenza fare all'amore...

Nó gh'è shàbot shènsô shul,
gnè fónnô shènsô amùr

Non c'è sabato senza sole, né donna senza amore.
Pare che si tratti di cose inevitabili.

Nöre e madóne,
per be idìs,
le sta be
‘n de 'na curnìs

Nuore e suocere, per ben vedersi, stanno bene in una cornice.
In una casa possono starci tutte due, ma solo se una delle due è in un bel quadro con tanto di cornice. Solo così possono riuscire a sopportarsi.

‘n töte le ca
gh'è ‘l sò òs de pelà

Ogni casa ha il proprio osso da pelare.
Credi... in ogni casa c'è qualche difficoltà da superare.

Pa de zèner,
pa de shèner

Pane di genero, pane di cenere.
Lo dice il suocero per far capire che non può comandare e, in casa d'altri, deve "mandar giù" di tutto e tacere.

Pa e pagn
g'è du bu cumpàgn

Pane e panni sono due buoni compagni.
Sono due cose indispensabili e sempre gradite.

Pócô brigàdô,
étô beàdô

Poca brigata vita beata.
Quando si è pochi in famiglia ci sono meno lavoro e meno preoccupazioni.

Prümô i sò e pò i óter
(she sha pöl)

Prima i propri e poi gli altri (se si può).
Il primo prossimo sono i propri familiari.

Puòerô ca shènsô tet...

Povera casa senza tetto...
Si dice di una famiglia senza protezione, senza ruoli e comunque allo sbando.

Purtà ‘l mòcol
(o ‘l candilì)

Portare il moccolo (o la candelina).
Guardare passivamente gli altri, star lì impalato a controllare i due fidanzati. Era usanza che il più piccolo della famiglia svolgesse questo compito.
.

Quan’ che l’amùr el gh'è,
la gàmbô la tìrô ‘l pè

Quando l'amore c'è, la gamba tira il piede.
Quando sei innamorato o stai andando in cerca dell'anima gemella non badi a quanta strada devi fare. Si usa anche per dire che si va d'accordo e le cose funzionano a dovere

La nòt de Shàntô Lüshìô
l'è la piö lóngô che ga shìô

La notte di Santa Lucia è la più lunga che ci sia.
Per i bambini lo è sicuramente! Andavano a letto più presto del solito, ma prima avevano già preparato per l'asinello l'acqua e un po' di crusca dentro un piatto, uno «stignadì» (piccolo paiolo) o una calzatura (scarpa, zoccolo o «sgàlber»), a seconda dello stato sociale, e dicevano: «Shàntô Lüshìô - la scàrpô l'è mìô. Co la bórsô de la màmô - e coi sólcc del bubà - Shàntô Lüshìô la pasherà» (Santa Lucia - la scarpa è mia. Con la borsa della mamma - e coi soldi del papà - Santa Lucia passerà).
Al mattino avrebbero trovato il dono lasciato dalla Santa. Spesso si trattava di frutta di stagione come cachi e «bilìne» (castagne secche e sgusciate) ed erano sempre una gradita sorpresa.
Anche Santa Apollonia, pur non avendo una data fissa, era molto attesa dai bambini. Quando il dentino, dopo aver dondolato a lungo, cadeva veniva messo sulla finestra in modo che la Santa potesse prenderlo. Per riconoscenza avrebbe lasciato un dono o una mancia.

Quan' che la raìs l’è malàdô
la piàntô la patés

Quando la radice è ammalata, la pianta soffre.
Se i genitori sono ammalati, non si può pretendere che i figli crescano sani o senza qualche problema più del normale. Ereditarietà. Non è detto solo della condizione fisica, ma anche del comportamento: il difetto è alla radice.

She 'l cör nó 'l döl,
piànzer nó 'l pöl

Se il cuore non duole, piangere non può.
Non si può piangere per gli altrui dolori.

Shìto-shìto che gh’è ché i òm

Silenzio-silenzio che ci sono qui gli uomini.
Questo non è un proverbio o un detto in rima, ma era frequentemente sulle labbra delle donne. L'ho sentito commentare così: «...e tiràsh en de 'n cantù... e pò shervìi» (...e ritirarsi in un angolo... e poi servirli).

Shö i tèrmegn lónc
i ga pìshô shö i ca

Sui termini lunghi orinano i cani.
I termini sono le pietre con le quali si delimitava una proprietà o si segnalava una distanza. Quando le cose vanno per le lunghe perdono valore o sono disprezzate. Si dice ironicamente a chi va a morose per tanti anni, ma non è ancora in vista il giorno del matrimonio.
Se poi succedeva che il fidanzamento tra i due si fosse rotto... la gente avrebbe atteso il giorno del matrimonio del primo fra i due, per mettere segni di derisione sulla casa dell'altro. Di notte qualcuno avrebbe appeso un «frashèl de lìgô-bósc» (ghirlanda di edera) con al centro un calice segno dell'amarezza del momento «...come amaro fu il calice della sofferenza di Cristo nell'orto degli ulivi».

Spùzô bagnàdô
spùzô fürtünàdô

Sposa bagnata sposa fortunata.
In questo caso serve a consolare la delusione per l'avversità del tempo, ma è consuetudine bagnare una cosa nuova per inaugurarla (bere insieme alla salute di...). Che sia la versione povera della benedizione per aspersione dell'acqua santa?

S-cècc e galìne
i spórcô le cuzìne

Bambini e galline sporcano le cucine.
Le galline giravano liberamente sotto il portico della cascina. Spesso trovavano la porta della cucina aperta ed entravano a beccare le briciole che i bambini lasciavano cadere, provocando gli ovvi disagi.
Il tutto per dire: «Che ci vuoi fare... quando ci sono, sia gli uni che gli altri, bisogna imparare a conviverci!».

Ta gh'arèshèt de bazà
‘n dó che la fùlô

Dovresti baciare (la terra) che calpesta.
...tanto è brava. Fortunato. Ingrato.

Tacà vià ‘l capèl

Attaccare via il cappello.
Appendere il cappello in casa d'altri significa essere ospiti o comunque non poter vantare diritti perché si è padroni solo di quel cappello. Il genero che fa casa dai suoceri deve stare zitto «...e mandà zó» (mandare giù, tenere dentro).

Ta sha scürtô 'l camizì

Ti si accorcia il camicino.
Si dice ai bambini indicando la madre col pancione e significa che dovrà dividere ciò che ha col fratellino che sta arrivando.
Probabilmente il detto prende origine dal fatto che si utizzassero i «pedüi de camìzô» (lembi inferiori delle camicie da uomo) per fare le mutandine di tela ai bambini.

Töcc i dìs: «Cumànde mé!»
ma a ca
la cumàndô shùlche lé

Tutti dicono: «Comando io!» ma a casa comanda solo lei.
«Lo dici qui all'osteria, ma a casa... Sappiamo bene come stanno le cose!».

Töcc i ma öl,
ma nishü i ma töl(*)

Tutti mi vogliono, ma nessuno mi (*töl = prende. Quando uno si sposa «el töl muér», se invece è solo fidanzato/a si dice che «el ga pàrlô a...»).
Lo si fa dire a colei che, pur vantando molti corteggiatori, non si sposa mai.

 

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