A mès àn
el cül el fa l scagn |
A mezzo anno il culo fa da sedia.
A sei mesi il bambino può star seduto da solo. Di lì a poco verrà messo
nell'«andarì», un reggibimbo rudimentale, in legno, con anello scorrevole col quale il
bambino rafforza le gambe e impara a fare i primi passi. |
A Pàsquô e a Nedàl
ognü al sò cazàl |
A Pasqua e a Natale ognuno al suo
casale.
Sono due feste che fa piacere passare con i propri cari. |
Biancherìô e bé
g'è mai ashé |
Biancheria e bene non sono mai
abbastanza.
Sono cose di cui non si può dire: «Ne ho abbastanza». |
Amùr de fredèi,
amùr de curtèi
(...o de pursèi) |
Amore di fratelli è amore da coltelli
(...o da maiali).
Alcune volte succede che ci sia odio tra fratelli che può portare anche ad usare il
coltello. Qualcuno sostituisce l'immagine armata (curtèi) a quella di un rapporto sporco,
incestuoso (pursèi). |
Amur e gelusìô
i nàs en cumpagnìô |
Amore e gelosia nascono in compagnia.
Se vuoi veramente bene, sei geloso. |
Amùr nöf el và e
l vé,
amùr vècc el sa manté |
Amore nuovo va e viene, amore vecchio
si mantiene.
Un amore nuovo è più ballerino di uno consolidato. |
Ca shò
e pò piö |
Casa propria e niente di più.
Quando si parla di casa, la propria è sempre la migliore. L'ho sentita tradotta col
proverbio italiano: «Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una
badia». |
Ca gràndô,
gran burlàndô |
Casa grande, gran tripudio.
Quando si è tanti in famiglia, c'è un po' di tutto: allegria, confusione, spreco
ecc. |
Chi prèst i 'ndèntô,
prèst i 'mparèntô |
Chi presto indenta (mette i denti),
presto imparenta (avrà parenti) .
Si dice che quando i figli mettono presto i dentini (a tre o quattro mesi) questo sia un
segnale dell'arrivo imminente di un fratellino: «L'è zà ré a
rangiàs» (si sta già arrangiando). |
De i sòc
vé zó le stèle(*) |
Dai ceppi sortiscono le (*«stèle»
sono dei grossi pezzi di legno da ardere, quasi sempre un «sòc» frazionato dalla
scure).
Per dire che i figli sono come la famiglia li educa ed è un altro modo di dire
"Talis pater, talis filius". Si dice anche: «De 'na brötô
shòcô, tate ólte shurtés 'na bèlô stèlô» (Da
una brutto ciocco, tante volte sortisce un bel pezzo di legno), ma, si fa intendere,
queste sono le eccezioni perché: «La bòtô la dà 'l vì che sha ga
dà» (La botte dà il vino che ci si mette).
Della tradizione del «Sòc de Nedàl» si è perso luso e, quasi, anche la memoria.
La notte di Natale, appeso alla catena del fuoco, cera uno «stignàt» pieno
dacqua, intorno al caminetto venivano disposte le sedie e, prima di andare a
dormire, si metteva sul fuoco «el sòc de Nedàl». I ceppi
nodosi che non si riuscivano a rompere erano tenuti da parte per la Notte Santa
perché,
si diceva, la Madonna sarebbe passata a fare asciugare i «panizèi» (pannolini).
Tutto era pronto: lacqua calda per lavare i panni, le sedie per stenderli, il fuoco
per asciugarli ed un ambiente caldo in cui cambiare il bambinello.
Era forse lunica mattina dinverno dove nella stanza non si trovava freddo e
cera lacqua tiepida per lavarsi.
I resti incombusti del ceppo (era talmente grosso che si spegneva prima di consumarsi)
venivano accantonati per essere usati a maggio nella «ca d'i caalér». |
Dio créô,
Dio pérô
(Dio i-a fa e pò i-a npérô) |
Dio crea, Dio appaia (Dio li fa e poi
li accoppia).
Si sono proprio trovati in una bella coppia ...di balordi! |
Dio l ma shégne
de i padrégn
e de le madrégne |
Dio mi "segni" dai patrigni e
dalle matrigne.
Segnare significa scongiurare, preservare dalle situazioni negative.
Un tempo vedovi e vedove si sposavano più frequentemente e questo detto è attribuito ai
figli di questi matrimoni.
Quando si parla di questo argomento si sente dire della tal famiglia, e quasi ogni paese
ne aveva una da portare ad esempio, dove c'erano «...i mé, i tò e i
nòscc» (i miei, i tuoi e i nostri).
La prima notte dopo la celebrazione del matrimonio di un vedovo si usava «nà a ciucàgô le tóle» (andare a far chiasso) nelle
vicinanze della sua abitazione, in segno di disapprovazione per aver rotto la promessa di
eterno amore fatta al coniuge precedente. |
Dopo l matrimóne
ghè n més de mél
e 'l rest... l'è fél |
Dopo il matrimonio c'è un mese di
miele ed il resto... è fiele.
Nel matrimonio la felicità dura poco. |
Dòtô preparàdô,
fiölô maridàdô |
Dote preparata, figlia maritata.
Era detto con orgoglio dalle madri per far capire che la figlia era pronta per il
matrimonio con tanto di dote che era il suo patrimonio personale.
La dote. Per la donna doveva comprendere almeno: 8 coppie di lenzuola e 4 federe per
coppia, 1 coperta bianca di "piquet" per quando si era ammalati o per le
occasioni importanti, 1 coperta colorata per tutti i giorni, 1 coperta di lana, 6
salviette, 12 asciugamani, 12 fazzoletti, 1 tovaglia con tovaglioli, il vestiario
personale ed il proprio cassettone. Avevano anche dei rotoli di tela "casalina"
(fatta in casa). Era tela «Cròpô» (dura e non sottile) dalla quale ricavarne camicie
ed altra biancheria personale o lenzuola e federe per il letto.
L'uomo, doveva portare 1 letto, 2 comodini, 1 cassettone, 1 cassapanca o, più
recentemente, 1 «vestàre» (armadio). Il vestiario personale era fatto di maglie
e mutande sia estive che di lana per l'inverno, camicie da lavoro, scure, e una bianca per
la domenica, pantaloni per lavoro, mantelli sciarpa, cappello e guanti. |
el matrimòne:
she l va be lè 'na férô(*),
she l va mal lè 'na galérô |
Il matrimonio: se va bene è una festa,
se va male è una galera (*férô = letteralmente è festa, ma significa anche
difficoltà e spesso si gioca sul doppio significato di questa parola per dire che, se va
bene, nella migliore delle ipotesi, il matrimonio è una difficoltà). |
el föm... e la fónnô
che sha mèt ré a bruntulà
i càshô lòm fò de ca |
Il fumo e la donna che comincia a
brontolare cacciano l'uomo fuori di casa.
Tutte due sono situazioni decisamente insopportabili. |
el prüm àn a
brashète,
el segónt a pète |
Il primo anno a braccetto, il secondo a
botte.
Il matrimonio. |
Al prüm àn de
matrimòne
gàle e bindèi,
al segónt fàshe e panizèi |
Al primo anno di matrimonio gala e
nastri, al secondo fasce e pannolini.
Il primo anno da parata, ma dal secondo... Era la regola: il primo figlio dopo un anno di
matrimonio. |
(el Signùr)
el s'è pròpe shentàt zó ché |
(Il Signore) si è proprio seduto qui.
Si dice in famiglia quando capitano disgrazie una dietro l'altra. |
encö amùr,
dumà dulùr |
Oggi amore, domani dolore.
Man mano che i figli crescono, aumentano le preoccupazioni. |
en pàder lè bu
de mantègner dés fiöi,
ma dés fiöi g'è mìô bu
de mantègner en pàder |
Un padre è capace di mantenere dieci
figli, ma dieci figli non sono capaci di mantenere un padre.
È l'ammonimento e la sfida del padre che pensa a quando sarà vecchio: i figli si
scaricheranno l'un l'altro la responsabilità del suo mantenimento? |
Fa maià i córegn |
Far mangiare le corna.
In un rapporto di coppia significa tradire il partner. |
Fónne ca e becalà,
per fài deentà bu
g'è de pestà |
Donne cani e baccalà, per farli
diventar buoni sono da pestare.
«E, aggiungono i soliti esagerati, picchia sempre nello stesso posto, altrimenti è
inutile!». |
Fónne de nzó
e àche de nsö |
Donne di giù e mucche di su.
Per donne di giù si intendono le donne che conosci.
Infatti si dice anche: «Fónne e bò dei paés tò» (Donne e
buoi dei paesi tuoi) ... prendi ciò che conosci meglio. |
Fürtünàdô chèlô
spùzô
che la prümô lè 'na tùzô |
Fortunata quella donna che per prima ha
una figlia.
Se la prima è femmina, presto avrà un aiuto in casa, ma era detto anche come
consolazione per l'erede maschio non arrivato. |
G'è mìô töcc enguài
i dìcc de 'na mà,
epör g'è töcc i tò |
Non sono tutte uguali le dita di una
mano, eppure sono tutte tue.
I tuoi figli: ognuno è diverso dall'altro, sia fisicamente che come carattere. Sappine
valorizzare i lati positivi. |
Giü e du i shént de
bu,
chel d'i tré
l cumìnciô a ésher ashé |
Uno e due sentono di buono, il terzo
comincia ad essere abbastanza.
Si dice dei figli... ma non erano poche le famiglie numerose. |
I fiöi e i ca:
come sha a üzô sha ga à |
I figli ed i cani: come si educano si
hanno.
Educazione familiare. |
I parécc piö strècc
g'è i vizì de ca |
I parenti più stretti sono i vicini di
casa.
Sono i primi a cui ti rivolgi in caso di bisogno. Le cascine erano abbastanza lontane tra
di loro. Ma anche all'interno dello stesso «löc», se ti serve qualcosa con una certa
urgenza a chi ti rivolgi se non a loro? |
La fónnô del macù
lè shèmper sgiùfô |
La moglie del macaco è sempre gonfia,
gravida. |
La fónnô zùenô
e lòm vècc
i mpignés la ca de s-cècc |
La donna giovane e l'uomo vecchio
riempiono la casa di figli.
La donna giovane è più focosa e l'uomo vecchio non vuol essere da meno... |
La fónnô: che la
piàzô,
che la tàzô,
che la stàghe n càzô |
La donna: che piaccia, che taccia, che
stia in casa.
Queste sarebbero le qualità della donna ideale. |
La gh'à l supèl
elètric |
Ha lo zoccolo elettrico.
Con l'avvento dell'elettricità ecco una nuova immagine per dire che usa tirare lo zoccolo
con grande facilità.
|
La ròbô de scansìô
la pèrt la mercansìô |
La roba di scansia perde valore.
Finché sta sullo scaffale non fa mercanzia; la polvere ed il tempo la deteriorano. È
detto bonariamente a chi, arrivato ad una certa età, non si è ancora sposato. |
La s-cètô che dótô
nó gh'à,
la 'à piö fò de ca
(o... la fa la möfô n de la ca) |
La ragazza che dote non ha, non va più
fuori di casa (o ... fa la muffa in casa).
Senza dote, niente matrimonio. |
Le ca shènsô ècc
g'è cumpàgn
de le ca shènsô tècc |
Le case senza vecchi sono come le case
senza tetti.
In ogni casa, sopra tutte le decisioni c'era il consenso e tutto il potere del «bàrbô»
(il vecchio, il patriarca). |
Lanèl al dit
lè come l mèl del ca:
'na óltô mitìt...
i ta làshô piö nà |
L'anello al dito è come il collare del
cane: una volta messo... non ti lasciano più andare.
Col matrimonio perdi la libertà. |
el cumpàr de anèl
lè padrù
del prüm burdèl |
Il compare d'anello è padrone del
primo battesimo.
«Burdèl» (bordello) anziché battesimo indica la confusione della festa.
Colui che è testimone di matrimonio ha diritto ad essere il padrino al battesimo del
primo figlio. A questo detto spesso si sente aggiungere maliziosamente: «...e
de metà pèl» (...e di metà pelle) per insinuare che tra il testimone di
nozze e la novella sposa ci possa essere stato un affiatamento particolare, una specie di "ius
primae noctis" nostrano.
Dopo il parto, la donna non poteva uscire per un certo numero di giorni e per prima cosa
doveva essere benedetta e "purificarsi" prima di riprendere a frequentare gli
stessi riti religiosi. |
Lè mei
'na fónnô shènsô dòtô
che 'na fónnô che fa negótô |
È meglio una donna senza dote che una
donna che non fa niente.
A proposito di dote... Questo detto offre una possibilità di sposarsi anche per chi
ne è sprovvisto ed è contemporaneamente un ammonimento a chi pensa di essersi sistemata
andandosene da casa. E questo è stato il commento più frequente: «Na fónnô
shènsô dòtô che la gh'à òiô de laurà, la tirô 'nsèmô amò la sho ca, chèlô
che la gh'à mìô òiô de laurà la dèsfô a chel che la gh'à» (Una donna che ha
voglia di lavorare manda avanti lo stesso la sua casa, quella che non ha voglia di
lavorare disfa anche quel che ha). È così che nascono detti e proverbi? |
Lè mei uzèl de
bósc
che uzèl de gàbiô |
È meglio (essere) uccello di bosco che
uccello di gabbia.
«Al pasto garantito in gabbia, preferisco la mia libertà con tutte le difficoltà
che comporta». È detto in generale, ma, nella maggior parte dei casi, si riferisce al
matrimonio. |
La ròbô che dispiàs
la crès sótô l nas |
La roba che dispiace cresce sotto il
naso.
Se c'è una persona che ti è proprio antipatica va a finire che te la trovi sempre
davanti. Si dice anche dei dispiaceri familiari. |
Lòm el gh'à i
décc del ca:
she l pìô mìô n cö
l pìô dumà |
L'uomo ha i denti del cane: se non
morde oggi morde domani.
Così dicevano le donne. Era un avvertimento che si usava sussurrare alle ragazze da
marito che prima di sposarsi vedono tutto bello. |
Lòm piö bu
fàghel fa shö al maringù |
L'uomo più buono fallo costruire al
falegname.
Suonava come un «...che ci vuoi fare, gli uomini sono tutti così... a meno che tu non
voglia un burattino...» |
Màder che fìlô póc:
ai sò s-cècc sha ga èt èl cül |
Madre che fila poco: ai suoi figli si
vede il culo. |
Màmô pietùzô
fiölô rugnùzô |
Mamma pietosa, figlia rognosa. |
'Na fónnô per famìô,
n prét per sagristìô |
Una donna in ogni famiglia, un prete in
ogni sagrestia.
Per non litigare! |
'Na nus en scarsèlô
la ciòcô mìô, dói e trèi sé |
Una noce in tasca non fa rumore, due e
tre sì.
Quando ci sono suocere o nuore in casa c'è sempre da dire. Qualcuno applica questo detto
ai bambini in una casa. |
'Na óltô al dé...
pènsegô té;
'na óltô a la shetimànô...
lè 'na ròbô shànô;
'na óltô al més...
a miô fal... sh'è coió fés |
Una volta al giorno... pensaci tu; una
volta alla settimana... è cosa sana; una volta al mese... se non lo fai si è coglioni
molto.
Con che cadenza fare all'amore... |
Nó gh'è shàbot
shènsô shul,
gnè fónnô shènsô amùr |
Non c'è sabato senza sole, né donna
senza amore.
Pare che si tratti di cose inevitabili. |
Nöre e madóne,
per be idìs,
le sta be
n de 'na curnìs |
Nuore e suocere, per ben vedersi,
stanno bene in una cornice.
In una casa possono starci tutte due, ma solo se una delle due è in un bel quadro con
tanto di cornice. Solo così possono riuscire a sopportarsi. |
n töte le ca
gh'è l sò òs de pelà |
Ogni casa ha il proprio osso da pelare.
Credi... in ogni casa c'è qualche difficoltà da superare. |
Pa de zèner,
pa de shèner |
Pane di genero, pane di cenere.
Lo dice il suocero per far capire che non può comandare e, in casa d'altri, deve
"mandar giù" di tutto e tacere. |
Pa e pagn
g'è du bu cumpàgn |
Pane e panni sono due buoni compagni.
Sono due cose indispensabili e sempre gradite. |
Pócô brigàdô,
étô beàdô |
Poca brigata vita beata.
Quando si è pochi in famiglia ci sono meno lavoro e meno preoccupazioni. |
Prümô i sò e pò i
óter
(she sha pöl) |
Prima i propri e poi gli altri (se si
può).
Il primo prossimo sono i propri familiari. |
Puòerô ca shènsô
tet... |
Povera casa senza tetto...
Si dice di una famiglia senza protezione, senza ruoli e comunque allo sbando. |
Purtà l mòcol
(o l candilì) |
Portare il moccolo (o la candelina).
Guardare passivamente gli altri, star lì impalato a controllare i due fidanzati. Era
usanza che il più piccolo della famiglia svolgesse questo compito.
. |
Quan che
lamùr el gh'è,
la gàmbô la tìrô l pè |
Quando l'amore c'è, la gamba tira il
piede.
Quando sei innamorato o stai andando in cerca dell'anima gemella non badi a quanta strada
devi fare. Si usa anche per dire che si va d'accordo e le cose funzionano a dovere |
La nòt de Shàntô
Lüshìô
l'è la piö lóngô che ga shìô |
La notte di Santa Lucia è la più
lunga che ci sia.
Per i bambini lo è sicuramente! Andavano a letto più presto del solito, ma prima
avevano già preparato per l'asinello l'acqua e un po' di crusca dentro un piatto, uno
«stignadì» (piccolo paiolo) o una calzatura (scarpa, zoccolo o «sgàlber»), a
seconda dello stato sociale, e dicevano: «Shàntô Lüshìô - la
scàrpô l'è mìô. Co la bórsô de la màmô - e coi sólcc del bubà - Shàntô
Lüshìô la pasherà» (Santa Lucia - la scarpa è mia. Con la borsa della
mamma - e coi soldi del papà - Santa Lucia passerà).
Al mattino avrebbero trovato il dono lasciato dalla Santa. Spesso si trattava di frutta di
stagione come cachi e «bilìne» (castagne secche e sgusciate) ed erano sempre una
gradita sorpresa.
Anche Santa Apollonia, pur non avendo una data fissa, era molto attesa dai bambini. Quando
il dentino, dopo aver dondolato a lungo, cadeva veniva messo sulla finestra in modo che la
Santa potesse prenderlo. Per riconoscenza avrebbe lasciato un dono o una mancia. |
Quan' che la raìs
lè malàdô
la piàntô la patés |
Quando la radice è ammalata, la pianta
soffre.
Se i genitori sono ammalati, non si può pretendere che i figli crescano sani o senza
qualche problema più del normale. Ereditarietà. Non è detto solo della condizione
fisica, ma anche del comportamento: il difetto è alla radice. |
She 'l cör nó 'l döl,
piànzer nó 'l pöl |
Se il cuore non duole, piangere non
può.
Non si può piangere per gli altrui dolori. |
Shìto-shìto che
ghè ché i òm |
Silenzio-silenzio che ci sono qui gli
uomini.
Questo non è un proverbio o un detto in rima, ma era frequentemente sulle labbra delle
donne. L'ho sentito commentare così: «...e tiràsh en de 'n cantù... e pò shervìi» (...e
ritirarsi in un angolo... e poi servirli). |
Shö i tèrmegn lónc
i ga pìshô shö i ca |
Sui termini lunghi orinano i cani.
I termini sono le pietre con le quali si delimitava una proprietà o si segnalava una
distanza. Quando le cose vanno per le lunghe perdono valore o sono disprezzate. Si dice
ironicamente a chi va a morose per tanti anni, ma non è ancora in vista il giorno del
matrimonio.
Se poi succedeva che il fidanzamento tra i due si fosse rotto... la gente avrebbe atteso
il giorno del matrimonio del primo fra i due, per mettere segni di derisione sulla casa
dell'altro. Di notte qualcuno avrebbe appeso un «frashèl de lìgô-bósc» (ghirlanda
di edera) con al centro un calice segno dell'amarezza del momento «...come amaro fu
il calice della sofferenza di Cristo nell'orto degli ulivi». |
Spùzô bagnàdô
spùzô fürtünàdô |
Sposa bagnata sposa fortunata.
In questo caso serve a consolare la delusione per l'avversità del tempo, ma è
consuetudine bagnare una cosa nuova per inaugurarla (bere insieme alla salute di...). Che
sia la versione povera della benedizione per aspersione dell'acqua santa? |
S-cècc e galìne
i spórcô le cuzìne |
Bambini e galline sporcano le cucine.
Le galline giravano liberamente sotto il portico della cascina. Spesso trovavano la porta
della cucina aperta ed entravano a beccare le briciole che i bambini lasciavano cadere,
provocando gli ovvi disagi.
Il tutto per dire: «Che ci vuoi fare... quando ci sono, sia gli uni che gli altri,
bisogna imparare a conviverci!». |
Ta gh'arèshèt de bazà
n dó che la fùlô |
Dovresti baciare (la terra) che
calpesta.
...tanto è brava. Fortunato. Ingrato. |
Tacà vià l
capèl |
Attaccare via il cappello.
Appendere il cappello in casa d'altri significa essere ospiti o comunque non poter vantare
diritti perché si è padroni solo di quel cappello. Il genero che fa casa dai suoceri
deve stare zitto «...e mandà zó» (mandare giù, tenere dentro). |
Ta sha scürtô 'l
camizì |
Ti si accorcia il camicino.
Si dice ai bambini indicando la madre col pancione e significa che dovrà dividere ciò
che ha col fratellino che sta arrivando.
Probabilmente il detto prende origine dal fatto che si utizzassero i «pedüi de
camìzô» (lembi inferiori delle camicie da uomo) per fare le mutandine di tela ai
bambini. |
Töcc i dìs: «Cumànde
mé!»
ma a ca
la cumàndô shùlche lé |
Tutti dicono: «Comando io!» ma a casa
comanda solo lei.
«Lo dici qui all'osteria, ma a casa... Sappiamo bene come stanno le cose!». |
Töcc i ma öl,
ma nishü i ma töl(*) |
Tutti mi vogliono, ma nessuno mi (*töl
= prende. Quando uno si sposa «el töl muér», se invece è solo fidanzato/a si dice che
«el ga pàrlô a...»).
Lo si fa dire a colei che, pur vantando molti corteggiatori, non si sposa mai.
|