Giuseppe Zani
Pàrlô come t’à ’nsegnàt tò màder
Pubblicazione fuori commercio

 

Giüstìsiô e ingiüstisiô
... ma gh'è pòst a' per: fürbi, 'mbruiù, làder, empustùr, ciciarù e balù
(Giustizia e ingiustizia ... ma c'è posto anche per: furbi, imbroglioni, ladri, chiacchieroni e cacciaballe)

... i taà i la sfóndô.gif (23138 byte)
Disegno di Luca Ferrari

La lége l'è come la talamórô:

le mosche le rèstô 'n tràpulô,
i taà i la sfóndô

 


 

ànemô shô,
mànegô shô

Anima sua, manica sua.
Fatti suoi! Si diceva frequentemente dei potenti o dei poco di buono contro i quali non era conveniente mettersi. «Se sbaglia non ti immischiare, prima o poi dovrà fare i conti con Dio».

A untà...
le röde le 'à

Ungendo... le ruote vanno.
Corrompere. Sbloccare a proprio favore una situazione con l'aiuto interessato di chi ne ha il potere. Detto soprattutto delle pratiche burocratiche.

Beàt chel fiöl che ‘l gh'à
shò pàder a l’infèrno

Beato quel figlio che ha suo padre all'inferno.
È ricco "grazie" alla disonestà del padre.

Bizògnô shintìle shunà töte
le campàne!

Bisogna sentirle suonare tutte le campane!
È necessario sentire tutte le versioni di un fatto, perché ognuno, dal proprio punto di vista, ha ragione. Solo dal confronto delle varie versioni potrai scoprire se c'è e dov'è la stonatura.

Chei che pöl en pit,
i cumàndô ‘n pó

Quelli che possono pochino, comandano un po'.
Quelli che hanno anche un piccolissimo potere vogliono comandare un po' più di quanto sia loro consentito.

Chei che ùzô shö piö tat
i gh'à rezù

Quelli che gridano di più hanno ragione.
La versione più diffusa, quella che si sente di più, rischia di diventare "verità" anche quando non lo è. Bisogna prestare attenzione e non bersi tutto ciò che si sente anche se va per la maggiore, infatti si dice anche che «chi gh'à tórt i vùzô piö fórt» (chi ha torto grida più forte).

Chel che 'é de rinf
el và de ranf

Quel che vien di riffa va di raffa.
Quel che è rubato o malamente guadagnato, in un modo o nell'altro lo perdi. Si dice anche...

Chi che ròbô
nó i fa ròbô

Chi ruba non fa roba.
Come il più famoso "la farina del diavolo va tutta in crusca".
E poi si sa che... «Ròbô rubàdô fa pócô düràdô» (Roba rubata fa poca durata).

Chi capés
i cumpatés

Chi capisce compatisce.
Invito a mettersi nei panni dell'altro. In una contesa, a volte, chi si ritira dimostra più maturità e buon senso. Qualcun altro dice: «Chi che gh’à piö tat có... i la dòpre» (Chi ha più tanta testa... l'adoperi).

Chei che gh'à maiàt la càren
i cìce a' i òs

Quelli che hanno mangiato la carne succhino anche le ossa.
Chi ha già goduto della parte migliore, i vari aspetti positivi della vita, accetti anche gli aspetti negativi che possono seguire, la famose "vacche magre. Si dice frequentemente quando qualcosa non va nel matrimonio.

Chei che gh'à ‘l pa
i gh'à mìô i décc,
ch'i gh'à i décc,
i gh'à mìô ‘l pa

Chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane.
Spesso potere e volere non si trovano insieme.

Chi nó i laùrô
nó i maiùnô

Chi non lavora non mangia.
È la regola da rispettare in famiglia.

Chi che 'ngànô
'l rèstèrà 'nganàt

Chi inganna resterà ingannato.
Sarai ripagato con la stessa moneta. Chi la fa l'aspetti.

Ciapàt söl fàto

Preso sul fatto.
Sorpreso in flagrante... Con le mani nel sacco.

el bé e ‘l mal che ta fé'
‘l ta tùrnô ‘ndré

Il bene ed il male che fai ti ritorna indietro.
All'occorrenza il bene o il male fatto ti sarà reso.

el diàol el fa le pignàte,
ma mìô i cuèrcc

Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.
Prima o poi il malfatto viene a galla.

el fa de bò e de tìrô pè

Fa da bue e da calzascarpe.
Tuttofare. Chi si presta a tutto.

el ga l'à 'n pànsô

Ce l'ha in pancia.
Non è imparziale. Con lui ha un trattamento di favore, come la madre col proprio figlio. Il preferito.

el s'è mitìt la mà al cör

Si è messo la mano al cuore.
Si è mosso a compassione. Bontà. È stato generoso, caritatevole, altruista.

el sensàl,
el negusiànt
e ‘l pòrc
sha a pézô(giüdicô)
dopo mórcc

Il mediatore, il negoziante ed il maiale si pesano (giudicano) dopo morti.
Giudicare sta per stimare ad occhio. Si dice così perché il mediatore tende a favorire la parte che lo paga di più, il negoziante cerca sempre di fregarti, del peso e quindi del valore del porco si potrà sapere qualcosa di preciso solo quando sarà morto e verrà pesato. Un giudizio giusto e definitivo sui tre soggetti, dunque, si potrà dare solo con la bilancia (morale o commerciale che sia).
Qui si accenna, quasi si minaccia, che nell'aldilà il buon Dio userà le stesse regole e la stessa bilancia usata sulla terra dal mediatore e dal negoziante. Di solito è considerato un buon affarista colui che riesce a "fregare" l'altro; ne consegue che affare e fregatura sono solo i due, opposti, punti di vista della stessa esperienza.

el Signùr
el ga n’à per töcc

Il Signore ne ha per tutti.
Consolatorio. Si dice a chi si trova in una brutta situazione. Usato anche come ammonimento diventa: «el Signùr el gh'è per töcc» (Il Signore c'è per tutti).

el Signùr
el pàgô mìô shèmper
al Sàbót

Il Signore non paga sempre il Sabato.
Il sabato (fine settimana) era giorno di paga. Sul significato del detto ci sono un paio di versioni. La prima è un invito ad essere sempre a posto con se stessi perseverando nel giusto nonostante le avversità della vita, perché nessuno sa quando saremo chiamati nell'aldilà per essere giudicati. La seconda, invece dice che il Signore può decidere di punirci subito senza aspettare la fine della vita.

el spigùlô
prümô de regòer

Spigola prima di mietere.
Finita la mietitura nel campo restavano alcune spighe di grano che, con pazienza, chi voleva poteva andare a raccogliere.
Il "furbo" invece pensa di andarci prima della mietitura perché «...l'è lé che 'l bóndô 'l mistér» (...è lì che abbonda, che rende, il mestiere).

el va amò ac a finì
en pa e àivô

Andrà lo stesso a finire in pane e acqua.
Si metterà tutto a tacere. Non ci saranno effetti sostanziosi. Tanto clamore per nulla. È l'espressione tipica dei fatalisti, di coloro che credono che le cose non cambieranno nonostante tutto.

en pó ‘l cor el ca
en pó cor la légór

Un po' corre il cane, un po' corre la lepre.
La fortuna è a fasi alterne. Dello stesso tenore è...

en pó per ü
‘n bràs a la màmô

Un po' ciascuno in braccio alla mamma.
Adesso tocca a me. Anch'io ho diritto ad avere un po' di agio, di fortuna. Come dire: «encö a me, dumà a te» (Oggi a me, domani a te).

erùr
nó fa pagamènto

Errore non fa pagamento.
Tra galantuomini ogni errore sarà riparato. Qualcuno invece dice: «Fa mìô pàlô, fa aparì de niènt» (Non palesare, fai finta di nulla). Ognuno ha la propria coscienza.

Fa ‘l cóió
per nó pagà dàshe

Fare il coglione per non pagar dazio.
Fingersi scemo per interesse, per non pagare le tasse. Una sordità interessata è: «Fa urèciô de mercànt» (Fare orecchio da mercante) che molto più efficacemente i nostri vecchi chiamano «urèciô de shòi» (orecchio di mastello). Il mastello di legno e il suo orecchio (la maniglia) rappresentano efficacemente l'essere duri d'orecchio e la sordità: «Entra da una parte ed esce dall'altra». Riferito a se stessi, invece si dice...

Sho bu gnè de lèzer
gnè de scrìer

Non sono capace né di leggere né di scrivere.
Non voglio sentire le tue giustificazioni, non voglio saper niente, non mi interessa. Ma significa anche fare il finto tonto.

Gh'érô apénô du òm bu:
giü l’è mórt
e l’óter l’è ‘n prezù

C'erano appena due uomini buoni: uno è morto, l'altro è in prigione.
Non ci sono uomini buoni in circolazione. L'uomo buono è morto (Cristo) e l'altro, se c'è, è sicuramente in prigione perché è troppo buono o non si sa difendere.

Giü per ü
‘l ga fa mal a nishü

Uno ciascuno non fa male a nessuno.
Distribuire equamente.

Gnè per tort gnè per rezù
fat mìô mèter en prezù

Né per torto né per ragione, non farti mettere in prigione.
Prenditi un buon avvocato.

Gnè ‘l bé gnè ‘l mal
i dürô mìô per sèmper

Né il bene né il male durano per sempre.
Detto all'occasione per consolare o per ammonire. I nostri vecchi aggiungono: «...Giupì 'l ridìô quan' che la ga nàô mal» (...Gioppino rideva quando gli andava male) perché pensava al periodo migliore che gli sarebbe toccato di lì a poco. Giupì «de Shàngô» (di Zanica - BG) aveva tre gozzi ed era un burattino molto popolare perché le sue avventure venivano rappresentate nel teatrino che girava «...ré ai löc o per le piàshe d'i paés».
Al prezzo di qualche «palàncô» (ogni "palanca" erano 5 centesimi di lira), si poteva assistere alle avventure dei due amici «Giupì e Graèlô» o «Giupì e Canèlô». Sulle aie delle cascine o nelle piazze del paese le famiglie di burattinai, non arrivavano di domenica o in occasione della tal festa, ma capitavano improvvisamente con la nuova storia di «Giupì» e la sua «Canèlô» (bastone) con la quale sfidava ogni avversario e faceva giustizia di ogni sopruso. In Emilia Romagna storie simili sono raccontate nelle avventure di "Fagiolino e Sandrone".
«Fa mìô 'l Giupì» (non fare il Gioppino), detto a qualcuno, non è un complimento per come usa la testa, anzi... gli si vuol dire che è un incapace, un inetto, uno che non sa far da solo e che ha bisogno di qualcuno che parli e pensi per lui, uno che oggi dice una cosa e domani ne dice un'altra.

I la fa a pète

La fanno a botte.
Giustizia sommaria.

I òm
sha a mizürô mìô a spàne

Gli uomini non si misurano a spanne.
Non per l'altezza, non in modo approssimativo e neanche fermandosi alla prima impressione, ma valutando bene ogni aspetto.

I l'ha mandàt
da Erode a Pilato

Lo hanno mandato da Erode a Pilato
Così si dice di chi è costretto a lunghe e spesso inconcludenti peregrinazioni alla ricerca della soluzione al proprio problema.

La bócô sha ga la lìgô
shùlche ai sac

La bocca si lega solo ai sacchi.
Così risponde chi non accetta l'intimazione a tacere.
Libertà di parola.

La cézô l’è gràndô,
i sàncc g'è picinì

La chiesa è grande, i santi sono piccoli.
Si dice della presunzione di chi crede di poter fare chissà cosa, ma non ha né forze, né mezzi o capacità adatti. La differenza tra il dire ed il fare, tra i principi e la realtà.

La cusciènsô
l'è come 'l gatìgol:
gh'è chi che i la shént
e chi nó i la shént

La coscienza è come il solletico: c'è chi lo sente e chi non lo sente.
Siccome non si può pretendere che tutti la pensino allo stesso modo, bisogna darsi delle regole e farle rispettare.
Sempre a proposito di coscienza c'è chi dice che «...l'è come la pèl de le bale» (...è come la pelle delle palle), cioè si allarga o si restringe a seconda del momento.

La cùlpô
la pìcô a töte le pórté,
ma nishü i la öl tègner

La colpa picchia a tutte le porte, ma nessuno la vuol tenere.
Nessuno vuole riconoscere i propri sbagli.

La èrità
la 'é shèmper a gàlô


La verità viene sempre a galla.
Fiducia nella giustizia. Soprattutto nel gioco dei bambini, quando c'è un dubbio di interpretazione o si contesta un certo risultato, si dice: «Shan Piéro 'l dìs el so shanto éro» (San Pietro dice il suo santo vero); si dichiara perciò bugiardo l'esito e si ripete la gara chiamando S. Pietro, con la sua "santa verità", a giudicare, facendo vincere chi dei due aveva ragione. Il nuovo risultato sarà definitivo.

La farìnô del diàol
la 'à tötô ‘n cröscô

La farina del diavolo va tutta in crusca.
Ciò che hai preso disonestamente va a male. La crusca oggi si paga così cara perché "dietologica" ecc. ecc. Allora era considerata uno scarto ed era sinonimo di povertà.

La fürtünô
la 'à shèmper
de che bàndô ch'i rìt

La fortuna va sempre dalla parte dove si ride.
Sempre dove non ce n'è bisogno... come l'acqua al mare o la pioggia sul bagnato. Ma si intende dire anche che la persona allegra ed ottimista sarà certamente aiutata anche nei momenti di sfortuna.

La lége l’è come la talamórô:
le mósche le rèstô ‘n trapulô,
i taà i la sfóndô
La rezù
la sta shèmper coi sólcc

La legge è come la ragnatela: le mosche restano in trappola, i tafani la sfondano.
Nella rete della giustizia restano solo i pesci piccoli.
La ragione sta sempre coi soldi.
Chi ha i soldi riesce a pagare gli avvocati, ad affrontare tutti i gradi di giudizio o, addirittura, a corrompere, ma...

La mórt
la ga fa tort a nishü

La morte fa torto a nessuno.
È il momento nel quale tutti hanno un trattamento uguale, infatti si dice anche che «La mórt la ciàpô töcc, bei e bröcc» (la morte prende tutti, belli e brutti).

La prümô galìnô che cantô
la gh'à fat l’öf

La prima gallina che canta ha fatto l'uovo.
Si dice quando chi accusa altri di aver commesso una colpa ha un modo di fare che lascia forti dubbi sulla sua sincerità, facendo sorgere il sospetto che il vero colpevole sia lui... e nella maggior parte dei casi è proprio così. È la voce della cattiva coscienza.

La shudisfasiù piö bèlô
l’è de fàghelô a giü balòs

La soddisfazione più bella è di fargliela, di riuscire a fregare uno (che si crede) furbo.
Prenditela con chi lo merita e non con l'indifeso.

L’agnèl el gh'ìô rezù,
ma ‘l leù
‘l l'à maiàt en de ‘n bucù

L'agnello aveva ragione, ma il leone l'ha mangiato in un boccone.
Non basta aver ragione, bisogna anche sapersi imporre.

L’è mei
en surèc en bócô al gat
che ‘n cliènt
en mà a ‘n aucàt

È meglio (essere) un topo in bocca al gatto che un cliente in mano ad un avvocato.
L'agonia del topo in balia del gatto è meno lunga di quella a cui ti sottopone l'avvocato.

L’è mei
'na màgrô cumudasiù
che 'na gràshô shentènsô

È meglio una magra accomodazione che una grassa sentenza
La "grassa sentenza" comporta forti spese. È sempre preferibile trovare un accordo ed evitare avvocati e processi.

L’òm balù l’è a' làder

L'uomo bugiardo è anche ladro.
Quanto meno è... sulla "buona" strada. Certamente non è degno di affidabilità.

«...Mé sho de Traaiàt»
"Zó le mà del banc!"
«Ma mé...
sho ‘l fiöl del Sìndec!»
"Alùrô: förô de la mé butìgô!"

«...Io sono di Travagliato» - "Giù le mani dal banco!" - «Ma... io sono il figlio del Sindaco!» - "Allora: fuori dalla mia bottega!"
Da noi, un tempo, quelli di Travagliato erano considerati dei poco di buono, ladri e contrabbandieri.

ògne ‘ndrét
el gh'à ‘l sò ruèrs

Ogni dritto ha il suo rovescio.
Ogni pro ha il suo contro.

Òt èti a töcc,
nöf èti a ergü,
en chìlo a nishü

Otto etti a tutti, nove etti a qualcuno, un chilo a nessuno.
Si dice che la bilancia del negoziante sia tarata così.

Per vènser 'na càuzô
ga öl trè ròbe:
ìgô rezù,
shaìlô dì
e ‘n aucàt
che ‘l la fàghes valì

Per vincere una causa servono tre cose: aver ragione, saperla dire ed un avvocato che la faccia valere.

Pète e prezù
i fa mìô l’òm bu

Botte e prigione non fanno l'uomo buono.
Con la ragione si ottiene di più. «Val meglio la carota della frusta» ovviamente quando l'uomo si comporta da asino!

Prümô de fa la lége
i gh'à zabèle e fat l’ingàn

Prima di fare la legge hanno già bell'e fatto l'inganno.
Le leggi sono incomprensibili. L'ingegno dei politici e l'abilità degli avvocati ci sono a bella posta. Sfiducia nella giustizia.

Prümô de taià
mizürô shènto ólte

Prima di tagliare misura cento volte.
Vale per chi ha un lavoro come sarti e falegnami ecc., ma è un invito alla prudenza: prima di agire cerca di capire. A maggior ragione vale per i rapporti umani. «...Mearès dìghel al Guèrno del dé de 'ncö e mìô apénô ai sertùr» (Bisognerebbe dirlo ai governanti del giorno d'oggi... e non solo ai sarti).

Sho 'n de le pètule(*)

Sono nelle (*pètule = caccole, sudiciume, batacchi di peli e fango).
Essere imbrogliato, imbarazzato oppure nei guai.

Shügàlô shô con negótô(*)

Asciugarla con (*«negótô» o «nigótô» = niente, dal latino "nec gutta" che significa neanche una goccia).
Assorbire, risolvere bene, o uscire con facilità da una situazione preoccupante. Subire una lieve pena.

Ta pàrlet
perchè ta gh'ét la bócô

Parli perché hai la bocca.
Non sai quel che dici. Parli a vanvera, senza riflettere. Il concetto è più netto in...

Derf bócô,
fò órô

Apre (la) bocca, esce aria.
È un ciarlatano. Quel che dice non ha consistenza, come l'aria. Per definire le persone inaffidabili c'è una grande quantità di termini. Ne cito solo alcuni per esempio: «l'è 'n barlafüs» («barlafüs» sono i testicoli); «l'è 'n buradòs» o «gròs come le bóre» («bórô» è il tronco di una grossa pianta); «l'è 'n zaài» (cosa da poco); «l'è 'n buzù» (grosso, in senso offensivo, esagerato); «l'è 'n silóc» (stupido, testa di legno); «ustremènt» e «strabàngol» (indicano il pazzoide) «l'è 'n balèngo» (instabile, che dondola); «l'è 'n òpol» (ingenuo, ignorante); «l'è 'n balùrt» (balordo); «l'è 'n mal-mustùs» (il contrario di «mustùs» che significa saporito, succoso come il mosto); «l'è 'n pishacì» (bambino che se la fa ancora addosso); «l'è 'n mushignù» (ha la "candela", il muco al naso); «l'è 'n có de raarì» (testa di cardellino, poco cervello); «l'è 'n paciügòt» (da «paciüc», fanghiglia, pasticcione); «l'è 'n farlòc» (un chiacchierone, che fa tanto chiasso ...come «l'óc»), ecc.
A Timoline, «el cantù d'i Farlòc» era detto l'angolo all'incrocio dell'attuale Via C. Battisti con Via Roma vicino all'edificio dove, in tempi diversi ebbero sede la scuola elementare del paese, la "Casa del Fascio", le "ACLI" e l'ambulatorio medico. Questo luogo era diventato il ritrovo dei chiacchieroni anche perché per tantissimo tempo è stato uno dei pochi punti illuminati del paese.

Tègner pa e fam

Tenere pane e fame.
Si dice dell'eterno indeciso. Come «tenere i piedi in due scarpe». Spesso indica anche la saggezza di chi sa conciliare due situazioni decisamente contrapposte come, ad esempio, una madre che sa gestire i contrasti tra due figli dal temperamento opposto o i conflitti generazionali tra padre e figlio.

Töcc i gróp
i sha rüdés al pèten

Tutti i nodi si riducono (vengono) al pettine.
Tutte le cose sbagliate vengono a galla nel momento del rendiconto. Il pettine rappresenta la giustizia.

Töcc i macc en piàshô
e nishü i shò

Tutti i matti in piazza e nessuno i suoi.
Si dice di chi critica o giudica pubblicamente gli altri nascondendo le proprie magagne familiari e si sa che tutti ne hanno. «I panni sporchi si lavano in famiglia».

el töl de mès el bu
per el catìf

Ci va di mezzo il buono per il cattivo.
Spesso succede che il più debole paghi per colpe non sue. Palese ingiustizia.

 

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