“Un nuovo paradigma creativo: caos e libertà”

 

di Roberto Verolini

veroby@virgilio.it

 

 

Il tema

All’inizio, esisteva una sola scienza, ed era la filosofia. Oggi, certo, si sente spesso affermare - e perlopiù da parte delle scienze dello spirito - che solo in tempi recenti si sarebbe prodotta una frattura, una scissione della scienza in scienze naturali e scienze dello spirito; ma questo è un errore che poggia su un fondamentale disconoscimento dell’essenza della ricerca naturale”.

Konrad Lorenz introduce con queste parole La scienza naturale dell’uomo. Il manoscritto russo, un opera in cui sostiene, in un sapiente misto di rigore scientifico e di capacità divulgativa, le sue tesi a favore di una concezione realistica della natura contro le formulazioni idealistiche della filosofica classica. Ancor più, Lorenz tocca sul vivo il problema epistemologico fondamentale della filosofia e della scienza moderne: la possibilità di una unione inedita tra scienze naturali e scienze dello spirito. L’indagine scientifica si colloca in una metafisica realistica - critica - in cui si afferma l’esistenza reale di un universo fisico esistente a prescindere dal fatto che lo si osservi, di cui l’uomo è parte, che possiamo percepire sensorialmente e rappresentare in schemi intellettuali.

All’interno di questa metafisica, si è sinora collocata l’indagine scientifica su due polarizzazioni che incarnano i grandi temi esistenziali dell’intera storia dell’uomo: ateismo e teismo.

Sorge l’interrogativo di valutare se i loro particolari contenuti formali, alla luce delle quali sorgono le più accese dispute, rappresentino negli aspetti peculiari della cultura occidentale i contesti più consoni per una armonica collocazione delle concezioni scientifiche odierne. O se, per contro, sia possibile definire sistemi ulteriori di coordinate metafisico epistemologiche più idonei ad ospitare le risultanze dell’osservazione scientifica.

In questo modo si potranno infatti rivisitare e considerare, con ben altra pertinenza, concetti fondamentali della filosofia come necessità, contingenza, realtà, tempo, spazio, materia, essenza, epoché, spirito, soggettività, creazione, dio, etica, uomo, libertà. Dunque, una metafisica nuova: trasversale, inedita, realistica, scientifica, netta, autonoma, matura, che si definisca ab ovo da una profonda disamina dell’osservazione, del dato empirico, dell’evidenza e dalla verifica così come, dall’evidenza di una cosmologia, di un’antropologia, di una scienza umane, sempre e comunque umane, sorse la celebrata filosofia ellenica. Questo, il primo passo per muovere poi, finalmente, ad un inedito confronto tra queste metafisiche: nuovo, aperto, costruttivo, oggettivo che sicuramente ci farà ... tirar fuori cose nuove e cose vecchie.

Le teorie cardine della scienza moderna sono la meccanica quantistica, la teoria cosmologica del big bang, l’evoluzionismo e le recentissime teorie sul caos, proseguo queste ultime della rivoluzione concettuale nel campo della matematica che prese le mosse, in particolare, dai lavori di Gödel e Poincaré. Gli orizzonti euristici proposti da queste teorie hanno sollevato quesiti quali mai la filosofia occidentale sia stata chiamata ad affrontare, sin dalle sue origini. È possibile dunque proporre, nell’ambito della metafisica realistica, la collocazione delle teorie scientifiche moderne in un paradigma scientifico ed una antropologia inediti. Questa verifica è oramai improcrastinabile.

 

I quanti

 

La teoria della relatività, ed ancor più la meccanica quantistica, sono le teorie che, più di tutte, hanno sfidato la logica e l’intelletto umani. La meccanica quantistica nasce dall’esigenza di interpretare dei fenomeni del mondo sub microscopico che sfuggono esplicitamente alla logica della fisica classica.

Bohr arguiva che se non si fosse sorpresi, confusi, dalla meccanica quantistica, ciò indicava che non la si era capita. Questa teoria ha posto una sfida decisiva alla riflessione sulle accezioni di realtà, di induzione e deduzione logico filosofiche a fondamento della fisica e della filosofia dei secoli passati.

Molte polemiche originate dall’introduzione di tale teoria fisica si condensano sul suo referente epistemologico. La formulazione ortodossa della teoria quantistica, detta di Copenaghen, ricorre ad una funzione matematica, la funzione d’onda di Schrödinger, per rappresentare lo stato completo di un sistema microscopico, ad esempio un elettrone che orbiti attorno al nucleo di un atomo. Questa funzione d’onda avrebbe una caratteristica particolare.

Essa collasserebbe, nell’evenienza di un’osservazione del fenomeno da parte di un osservatore, in soluzioni singolari, mutuamente incompatibili. La palese impredicibilità dei fenomeni fisici derivante da questo collasso della pur deterministica funzione d’onda, da cui ad esempio deriva l’impossibilità di conoscere contemporaneamente determinate coppie di parametri fisici, come velocità e posizione di un elettrone, esprimerebbe la natura oggettivamente indeterministica della realtà fisica. Da questo fatto risulta infatti l’indeterminazione sancita dal principio di Heisenberg.

Questo fondamentale principio comunque non esaurisce completamente il fenomeno della complementarità dei processi quantistici. Tale fenomeno, ben più profondo ed essenziale nella teoria quantistica, si esprime in ulteriori forme e modalità, non necessariamente connesse all’eventuale misurazione da parte di un osservatore.

Questa indeterminatezza cioè non deriverebbe esclusivamente dall’impossibilità di eseguire misurazioni esatte da parte dell’osservatore ma sarebbe insita nella realtà sottesa alla stessa funzione d’onda, intesa quale descrizione completa del reale. L’interpretazione di Copenaghen afferma infatti un’indeterminabilità oggettiva degli eventi sub atomici negando, in particolare, l’esistenza di relazioni sottostanti con leggi e variabili nascoste.

La natura quantistica di questi fenomeni si estrinsecherebbe dunque in una sovrapposizione di stati quantistici alternativi, impliciti della natura fondamentale degli stessi, che vengono risolti solo a seguito di un’eventuale osservazione. A questa formulazione si oppongono altre teorie, che rifiutano l’indeterminatezza introdotta dalla meccanica quantistica, reputando equivoco lo stesso concetto di collasso della funzione d’onda.

Una di queste teorie alternative è quella proposta dal fisico David Joseph Bohm. Essa evita il ricorso al collasso della funzione d’onda, sostenendo una descrizione matematica dei sistemi sub atomici in cui ogni particella è sorretta da un’onda pilota che non assume il significato di mero oggetto descrittivo matematico, quanto di vera e propria entità fisica alla stessa stregua, ad esempio, di un campo magnetico.

Questa teoria, in ossequio al classico principio di causalità e di determinabilità che sottostà alla fisica classica, nega qualsiasi accenno d’indeterminatezza quantistica. Essa spiega bizzarrie come il dualismo onda corpuscolo che emerge, ad esempio, dagli esperimenti di diffrazione attraverso fenditure, tramite un’interazione fisica che si realizzerebbe tra la particella sub atomica e la rispettiva onda pilota.

C’è da dire che in merito a questa teoria, matematicamente valida, sono state sollevate diverse critiche epistemologiche per il fatto che la stessa presenta un contenuto, l’esistenza fisica di un’onda pilota, assolutamente impercettibile a qualsiasi osservazione, che vela decisamente quest’ipotesi di metafisica.

Sono stati concepiti paradossali esperimenti rivolti a verificare gli assunti fondamentali della meccanica quantistica. Recenti esperimenti, quali quelli condotti dall’équipe del prof. A. Aspect, a Parigi e da altri ricercatori, tra cui il prof. Leonard Mandel ed i suoi collaboratori dell’Università di Rochester, sembrerebbero confermare, almeno per ora, l’interpretazione di Copenaghen a sfavore delle altre teorie - avallando quindi gli scenari paventati anche da Einstein, irriducibile avversario dell’indeterminatezza quantistica. In alcune interessanti verifiche si è potuta addirittura osservare la reversibilità del collasso della funzione d’onda anche dopo l’osservazione di tale fenomeno.

È chiaro che la teoria quantistica interpreta questi fenomeni tramite una correlazione stretta tra risoluzione reale del fenomeno ed osservazione: sarebbe questa acquisizione di informazioni, tramite il collasso della funzione d’onda, a dare senso concreto e determinato ad uno degli stati dell’indeterministica sovrapposizione di stati inerente alla stessa. Alcuni ricercatori sono riusciti a posticipare ulteriormente la scelta del tipo di osservazione da condurre. È possibile quindi ripristinare il dualismo onda corpuscolo a prescindere dall’osservazione in sé, come se la natura recuperasse l’indeterminatezza risolta dal collasso della funzione d’onda in tempi successivi alla stessa osservazione, dunque senza introdurre alcuna azione fisica invasiva nel fenomeno.

Ciò a riprova dell’efficacia dell’interpretazione di Copenaghen e del fatto che la funzione d’onda rappresenti solo una descrizione esaustiva dei processi. Questi risultati pongono gravi quesiti alle teorie realistiche, ed anche quella di Bohm, poiché non sembra potersi economicamente inferire su come l’onda pilota, intesa quale entità fisica, possa essere invocata per interpretare queste esperienze, in cui si attuano acquisizioni sfalsate nel tempo dei valori osservati. Comunque, tali verifiche non sono ancora giunte a conclusioni sufficientemente esaustive e ciò deve indurre attenzione e prudenza nell’esatta interpretazione di questi bizzarri fenomeni, lasciando aperta la discussione.

Resta comunque l’impressione che alcune peculiarità del mondo sub atomico, come la non località, la correlazione quantistica, la perfetta caoticità del processo di riduzione d’onda - che ulteriori teorie forse sostituiranno, come molti fisici ed epistemologi auspicano, dall’attuale significato di collasso inerente ad un’osservazione cosciente ad un eventuale processo fisico, comunque  non computabile -, rappresentino una qualità intrinseca di questa dimensione della realtà.

 

Caos, Dio e libertà

 

Specialmente nel caso dalla valutazione epistemologica del dibattito sul determinismo e sull’indeterminismo in cui sfocia l’interpretazione di questi fenomeni, sembra potersi paventare una fondamentale deformazione concettuale nelle intenzioni di alcuni studiosi. Si vuol sostenere come tale eventualità rappresenti in realtà un ostacolo decisivo verso il raggiungimento di un’accezione della realtà foriera di interessanti significati sia scientifici che filosofici.

Pur concordando in pieno sull’opportunità di sottoporre a continue verifiche sperimentali teorie discordi su questi paradossali fenomeni, si vuol far notare come l’attenzione di taluni studiosi verso certi paradigmi interpretativi possa risultare eccessiva e come questo rischi di farci perdere l’opportunità di cogliere aspetti peculiari della natura. Una qualità sicuramente evincibile tramite una visione pluridisciplinare della realtà, ma che i paradossi quantistici forse fanno intuire in modo più immediato. Possiamo trarre il senso di questa frase già dalla decisa affermazione di Einstein: “Dio non gioca a dadi!”.

Con questa battuta l’illustre fisico esprimeva il suo disagio dinanzi alle risultanze indeterministiche della meccanica quantistica che affiancò dagli inizi del secolo la sua rivoluzionaria teoria della relatività.

Pur riconoscendo la pertinenza delle critiche di Einstein, si vuol sottolineare l’inopportunità del disagio intellettuale che ad essa sottenderebbe. Questo disagio è ulteriormente ben esemplificato dal tentativo di Plank di postulare l’esistenza di uno spirito ideale che, al di sotto della soglia d’indeterminazione del mondo sub atomico, potesse operare causalmente sui fenomeni microscopici affrancato dallo sguardo dell’osservatore umano.

Perché tale indeterminatezza della natura induce disagio? Alla luce di quali principi od aspettative metafisiche? Ricordiamo ancora i continui tentativi di descrivere le dinamiche bio evolutive come strumenti in grado di giungere all’emersione di una predeterminata specie vivente - nella fattispecie l’uomo -, nel contesto di una concezione teologica. Questa ricerca di spiegazioni deterministiche è espressione di una sana curiosità intellettuale ed una consona attività scientifica o è solo un’esigenza contingente, magari imputabile ad un condizionamento paradigmatico?

È chiaro che il confine tra queste due valenze sia quanto mai indefinibile, e che l’interrogativo posto può essere polemicamente inteso non pertinente dal punto di vista epistemologico. Eppure una disamina di quest’eventualità è quanto mai opportuna. Nella fisica classica il principio deterministico è esplicito nelle leggi fisiche.

Il principio deterministico di causa ed effetto, ugualmente invocato dalle metafisiche realistiche, è di solito rappresentato ponendo una sequenza ininterrotta di eventi, tra loro connessi da delle leggi naturali, che permeano tutto l’universo fisico: E1 Þ E2 Þ E3 Þ E4 Þ...Þ Ek Þ Ek+1 Þ Ek+2 Þ... E¥. Questa sequenza è valida come generalizzazione in cui si scandisce in un accezione discreta una sincronicità universale di eventi continui.

L’indeterminazione quantistica sembra sulle prime epistemologicamente porsi quale screzio, cesura incomprensibile di tale uniformità. Eppure non esiste nulla di irrazionale, di epistemologicamente inaccettabile nell’indeterminismo, quantistico o meno che sia. In realtà l’indeterminazione quantistica, correttamente collocata, esprime la valenza inattesa di un’accezione della natura estremamente positiva a riguardo di tutta una serie di profonde riflessioni epistemologiche e filosofiche. I fautori del determinismo cercano di salvaguardare una visione della natura in cui si recuperi anche in questi fenomeni la sana capacità predittiva abbattuta dalla meccanica quantistica nell’infinitamente piccolo, unificando così tutti i livelli della realtà un unico principio esplicativo. Questa interpretazione introduce invece la possibilità di una concezione della natura foriera di grossi interrogativi.

Le attuali teorie sul caos e sulla complessità, sulle dinamiche dei sistemi complessi, aggiungono un contributo che condiziona pesantemente, nell’accettazione di queste concezioni pan-deterministiche, alcuni decisivi aspetti ontologici. Alla luce sia delle teorie quantistiche che delle teorie matematiche sul caos e sulla complessità emerge una visione degli aspetti propri del mondo fisico che solo apparentemente è violata da quell’indeterminatezza di base che tanto disagio induce in pensatori e scienziati filo deterministici.

Il senso di questa evidenza si coglie in particolare considerando il significato epistemologico delle recenti teorie sulle dinamiche dei sistemi complessi, dette sensibili alle condizioni iniziali.

L’inadeguatezza dei classici modelli matematici di rappresentare fenomeni complessi come le fluttuazioni atmosferiche, le turbolenze del moto fluido, le dinamiche bio evolutive, ha condotto all’adozione di strumenti teorico matematici intrinsecamente indeterministici quali il calcolo della probabilità e gli attrattori caotici, gli algoritmi frattali, ed ha esteso l’uso di modelli a funzioni non lineari e delle geometrie non euclidee nell’interpretazione dei fenomeni naturali.

La verifica della non computabilità e della non linearità della stragrande maggioranza delle dinamiche naturali illumina di luce nuova gli orizzonti della fisica e della matematica spingendo irrimediabilmente il sogno laplaciano della perfetta e totale determinabilità del mondo fisico in un incubo di profondità inconcepibile. Quale significato epistemologico potrebbe avere il fatto che al di sotto del mondo macroscopico, informato da questa valenza particolare di stretta e reciproca relazione fisica tra infiniti fattori, possa o meno esser presente una fonte intrinseca, oggettiva d’indeterminatezza?

Cosa potrebbe implicare, al contrario, la possibilità che sin ai più assoluti limiti inferiori del reale possa mantenersi un indefesso e rigido principio deterministico? Proviamo ad analizzare a fondo questa seconda ipotesi consci comunque che ciò potrà apparire epistemologicamente e scientificamente uno scontato anacronismo.

Ma nello scenario che si para dinanzi in questa evenienza, forte della sua elegante ed assoluta simmetria deterministica sembra risorgere lo scheletro del settecentesco spirito investigativo che condusse Laplace a scrivere nel suo “Saggio filosofico sulle probabilità”, nel 1814:

“Un’intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d’incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi”.

Se, per amor di tale simmetria paradigmatica si perora una visione deterministica che si spinga nelle profondità dell’infinitamente piccolo, del sub nucleare, tale esigenza epistemologica deve analogamente prevedere che anche i suddetti principi teorici del caos, dei sistemi complessi, siano opportunamente valutati. Ma quale quadro emerge se non quello in cui il determinismo laplaciano viene riaffermato, alla luce di tali teorie, con una violenza ed una valenza inaudite? Le influenze che intercorrono a carico dei sistemi caotici intessono relazioni finissime tra eventi infinitesimi, magari posti a distanze incommensurabili gli uni dagli altri.

Estendendo tale determinismo a tutta la realtà cosa resta se non l’immagine di un gigantesco ed immutabile meccanismo in cui, molto più profondamente di quanto si potesse concepire sino al secolo scorso, ogni oggetto e dinamica naturale risulta essere effetto ineluttabile? Poniamo ad esempio che sia valida la teoria di Bohm.

Alla stessa stregua dell’onda pilota associata ad ogni infinitesima particella si giunge a postulare l’esistenza di una funzione d’onda deterministica dell’intero universo capace di comprendere in sé ogni oggetto macroscopico o complesso che sia del reale. Riprendiamo la precedente rappresentazione della sequenza causale di eventi E1 Þ E2 Þ E3 Þ E4 Þ...Þ Ek Þ Ek+1 Þ Ek+2 Þ... E¥. Adattiamo quest’espressione al concetto di funzione d’onda dell’intero universo. Per far ciò dovremo porre alcuni vincoli formali. Si ponga dunque, seppur per assurdo, che tutte le entità fisiche elementari E siano esattamente date nei livelli k della sequenza causale. Le odierne teorie dell’informazione ci mostrano come non esista nell’universo osservabile una dimensione spazio temporale fisicamente capace di ospitare “l’intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono...”.

Ciò comunque non impedisce di postulare l’esistenza di una soluzione deterministica, alla luce della quale non “...ci sarebbe nulla d’incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente...”. Tale soluzione, che noteremo con la notazione y (k), ove k è un indice che indica la successione causale di eventi elementari E, esisterebbe a prescindere dal fatto che una qualsiasi intelligenza possa o meno afferrarla. Questa evidenza è decisiva.

Le teorie sulle dinamiche dei sistemi complessi, sensibili alle condizioni iniziali, affermano che un dato evento Ex(k) può, in linea di principio, essere condizionato da tutti gli n enti fisici elementari E del livello (k-1) della sequenza ad esso pertinenti, magari solo per gli effetti gravitazionali - comunque non ignorabili nella valutazione completa di ogni dinamica fisica. Ogni evento Ex(k) è dunque funzione della sommatoria di tutti gli n eventi En(k-1). Ciò è espresso dall’uguaglianza Ex(k)=f(åEn(k-1)). Ed a sua volta y(k) = åEx(k).

Ciò implica che la sequenza  causale  y1 Þ y2 Þ y3 Þ y4 Þ...Þ yk Þ...Þ yk+1 Þ yk+2 Þ... y¥ ,  che  descrive   le   interazioni   tra   le n componenti fisiche espresse dalla funzione d’onda y dell’universo in ciascuno dei k termini della stessa, è esattamente determinata. Ogni termine y(k) è causalmente equivalente agli altri. Ciò significa che, nell’eventualità di poter definire un termine iniziale, detto y0, tale termine comprende in sé tutti i termini successivi. Va detto, per inciso, che questa eventualità riconduce implicitamente ad una metafisica realistico teistica, anche se la riflessione può essere significativa anche in una visione atea. Ciò non aggiunge nulla all’idea laplaciana ma determina una vera trasformazione filosofica in un’ipotesi teistica. Il quadro concettuale infatti muta drasticamente considerando come le dinamiche naturali siano, contrariamente a quanto atteso da un filosofo o matematico del settecento, prevalentemente ad evoluzione non lineare, ossia estremamente sensibili alle condizioni iniziali.

La sequenza y1 Þ y2 Þ y3 Þ y4 Þ...Þ yk Þ...Þ yk+1 Þ yk+2 Þ... y¥,,  no n  può essere ricostruita  ed  intesa  prevalentemente  in    modo lineare, contando cioè in una relativa indipendenza causale di eventi sufficientemente separati tra di loro. Gli eventi naturali, a prescindere dalla loro rilevanza assoluta, sia che siano microscopici, sub atomici, che macroscopici, galattici, non possono cioè essere intesi ed analizzati come sistemi locali, chiusi. Questo sia dal punto termodinamico che dal punto di vista delle dinamiche fisiche e biologiche.

È dunque impossibile postulare tale reciproca indipendenza causale - sicuramente alle scale spazio temporali tipiche degli eventi più importanti riscontrabili nell’universo attualmente osservabile: formazione dei sistemi planetari, evoluzione organica etc. In realtà in ogni termine della stessa si ha un effetto preponderante nell’interazione reciproca di tutte le n componenti fisiche di y.

Ogni evento è infatti funzione di tutti gli eventi del livello precedente e fa parte dei termini causali che andranno ad influenzare, alla stessa stregua ed a prescindere dalla loro rilevanza, tutti gli eventi del livello successivo.

La storia di ogni evento Ex(k) è dunque data da una successione causale in cui si esprime un numero di interazioni che cresce spaventosamente lungo la sequenza in una realtà a nk fattori, o dimensioni.

Ogni evento posto nella sequenza è cioè espressione olistica di una rete di relazioni inconcepibilmente complessa. Tutte queste relazioni sono dal punto di vista causale identicamente essenziali nel determinare il divenire fisico di ogni evento. Ora, proviamo a collocare queste osservazioni nel quadro di una metafisica in cui si affermi un proposito teleologico espresso nel reale, identificabile nell’evento Ez(p), ed un evento creativo - divino - dell’ente reale: si pone dunque l’esistenza di un evento y0, espressione originaria di un disegno riconducibile all’ente assoluto: Dio.

Valutiamo cioè l’ipotesi di una metafisica teistico deterministica, quale quella perorata dalle correnti di pensiero teistico creazionistiche attuali, dalle attuali religioni occidentali, in cui si postula l’intervento mondano della divinità nella determinazione delle dinamiche naturali. Cosa pongono le nostre considerazioni precedenti all’idea che la realtà fisica possa essere espressione di una data teleonomia fondata sull’attuazione dell’evento Ez(p)?

Ebbene tutti gli n eventi E di tutti p-1 livelli precedenti sono ugualmente essenziali ed imprescindibili per la realizzazione dell’evento Ez(p) e devono essere racchiusi solo ed esclusivamente nella y0. La sequenza esprime dunque una ferrea rigidità causale. Ora, il fatto filosofico fondamentale è che questa concezione deterministica abissale, vertiginosa, dissolve irrimediabilmente, in tale metafisica, ogni ipotesi sul più blando libero arbitrio.

Si sviluppa infatti tutta una serie di problematiche insostenibili alla luce dei principi epistemologici incentrati sull’emersione delle forme coscienti e del loro libero arbitrio. Ogni ente del reale, ogni dinamica, evento od essere vivente, risultano essere esclusivamente tappe di una ferrea sequenza pan-deterministica: meri automi fisici che esprimerebbero deterministicamente lo stato reale iniziale. Ogni dinamica naturale, per quanto caotica o complessa, non può sfuggire a questo fondamentale determinismo di fondo. Ebbene, questa realtà risulterebbe sicuramente inafferrabile a qualsiasi intelligenza fisica, ma nello stesso tempo la stessa sarebbe ineluttabilmente data.

Questo poiché l’esistenza di una y0 in una sequenza pan-deterministica non può comprendere nel suo interno alcun grado di libertà. Le teorie dell’informazione, gli assunti di indeterminabilità computazionale della matematica hanno dimostrato che l’estensione degli eventi naturali e la complessità delle dinamiche fisiche sono sì tali da rendere impossibile ad ogni intelligenza finita una comprensione deterministica dell’intero universo.

Ma nello stesso tempo l’ipotesi deterministica pone ineluttabilmente l’esistenza di una y0 in cui sia racchiusa la contingente realtà dell’universo. Essa è, od è stata, posta - dal caso, dalla natura, da Dio etc. - e da queste condizione iniziali emerge la rigida catena causale di eventi che, in tale ipotesi, determinerebbero l’unicità reale del creato. L’esistenza di questa y0 preclude ogni accenno a qualsiasi novità ed apertura ontologica del mondo e mina qualsiasi ipotesi di libero arbitrio per qualsivoglia ente cosciente finito.

È  evidente che un essere reale, finito, cosciente - come ad esempio l’uomo -, viene ad essere posto in un’oggettiva necessità di porre in atto decisioni, scelte, ontologicamente vissute su una valutazione parziale ed imperfetta degli elementi causali di ogni infinitesimo evento sia nella loro determinazione esterna che interna - psichica. Non essendo nella possibilità di comprendere in sé l’infinitezza sia dei fattori fisici coinvolti, dei valori  esatti dei parametri e delle variabili in gioco in una qualsivoglia dinamica naturale, nonché la radice inconscia del suo essere cosciente, tale essere non potrebbe infatti che solo postulare l’illusione di una volontarietà o ponderatezza cosciente nelle proprie scelte. Questa volontarietà e ponderatezza risulterebbero essere soltanto una perfetta illusione di una libertà - responsabilità - ontologica in realtà pesantemente limitata, contingente e decisamente condizionata da nascosti ed impercettibili fattori esterni alla sua consapevolezza e responsabilità ontologica.

A tal pro è possibile formalizzare l’accezione di libertà ontologica di un tale soggetto cosciente al più in un suo parziale contributo intellettuale autonomo, quindi oggettivamente responsabile, nella determinazione di scelte etiche, operative o quanto altro, successivo alla percezione e valutazione finite di un ventaglio di possibili alternative indipendenti, controfattuali, nel quale si esprime una pluralità di gradi di libertà.

Ebbene in una realtà pan deterministica si avrebbe dunque solo una mera illusione di porre in atto scelte, gesti, principi, emozioni soggettivamente intese come perfettamente coscienti e libere mentre, assolutamente inconsapevoli della profonda realtà che determina ogni evento, tali esseri pongono in atto solo dinamiche profondamente originate da fattori sottostanti ad ogni possibile percezione d’individualità e libera scelta e fissate ad una distanza causale inconcepibile da un dato evento in oggetto. Ma non è tutto. Come si prospetta questo ad un livello eminentemente fisico?

La cosa più frustrante ed irrimediabile è che questo avviene ora nella consapevolezza che le cause ultime di ogni infinitesima dinamica naturale risiedono, in ultima analisi, oltre il muro costituito dal limite d’indeterminazione di Heisenberg. Ogni risposta alle nostre vertiginose domande è dunque irrimediabilmente celata oltre quel msx*sv³h/4p (dove p=3,14159..., h=costante di Plank, msx*sv il prodotto dell’indeterminazione della posizione e velocità della particella di massa m), che chiude la nostra osservazione al mondo dell’infinitamente piccolo.

Osserviamo le alternative. Nell’eventualità di relazioni sottostanti agli eventi microscopici descritti indeterministicamente dalla meccanica quantistica, il muro di indeterminazione di Heisenberg si andrebbe a porre lungo i termini di una sequenza causale totalmente deterministica, precludendo la determinazione di tutti i livelli inferiori da parte di un qualsiasi osservatore fisico macroscopico.

                      

                         Ü Soglia d’indeter. di Heisenberg

                      

y1 Þ y2 Þ y3 Þ y4 Þ...Þ yk Þ...Þ yk+1 Þ yk+2 Þ... yp-1 Þ Ez(p)

                      

 

Questa eventualità sancirebbe in modo irreversibile sia una perfetta e totale predestinazione del reale che una altrettanto perfetta e totale impossibilità per qualsiasi essere cosciente di risolvere quest’angosciante consapevolezza.

Non è azzardato allora considerare come questa paradossale realtà sembra ingenerare un disagio ben più oggettivo ed immediato di quello paventato da Einstein e dagli altri scienziati che rifiutano i paradossi della fisica quantistica. Si può immediatamente osservare come le cambiano in modo radicale nell’eventualità alternativa che la meccanica quantistica rappresenti la corretta interpretazione del microcosmo reale.

Nella misura in cui la soglia d’indeterminazione di Heisenberg rappresenti un’oggettiva cesura causale tra il determinismo dei livelli macroscopici, classici e l’intrinseca indeterminatezza derivante dal collasso delle funzioni d’onda pertinenti ai  livelli quantistici, si ottiene una rappresentazione generalizzata della realtà in cui non si ha nessun insondabile sfondamento di tale soglia:

 

                    

                        Ü Soglia d’indeter. di Heisenberg

caos                                  

quantist.           COLLASSO Þ y1 Þ y2 Þ y3 Þ y4 Þ...Þ yk Þ...Þ yk+1 Þ yk+2 Þ... yp-1 Þ Ez(p)

                    

                    

 

Ciò implica delle considerazioni peculiarissime dal punto di vista metafisico epistemologico.

Per primo il determinismo del reale giunge sino alla soglie del mondo quantistico e ciò ci permetterebbe di osservare come la natura esprima, all’inizio stesso dei livelli accessibili all’osservazione da parte di enti coscienti fisici, un’intrinseca indeterminabilità. Una semplice considerazione: è veramente azzardato intendere questo fatto quale messaggio altamente significativo e pertinente della natura?

Questa qualità spezza ogni catena deterministica introducendo continuamente, ad ogni evento quantistico, una novità, un’indeterminabile componente di caos fisico che, specialmente nell’ottica delle dinamiche dei sistemi complessi e del caos, funge da polmone indeterministico inesauribile di tutte le dinamiche successive, sia nella dimensione spaziale che temporale. Questa valenza, introducendo sempre degli elementi perturbanti, in ogni istante e luogo, nella sequenza causale y1 Þ y2 Þ y3 Þ y4 Þ...Þ yk Þ...Þ yk+1 Þ yk+2 Þ... y¥, rende intrinsecamente imprevedibile  ogni   pur   elementare   dinamica naturale.

Ad ogni livello infiniti eventi quantistici I, causalmente disgiunti dalla sequenza in corso, ed assolutamente non imputabili ad alcuna legge deterministica sottostante, entrano inattesi nella stessa, insufflando il reale di novità, in una continua, infinita creazione ex novo di ulteriori eventi causali assolutamente imprevisti nella y0.

 

È come se fosse presente una cesura tra la determinatezza del mondo macroscopico e l’indeterminatezza del mondo quantistico. Vedi fig. 1

 

 

Tale situazione potrebbe essere così generalizzabile:

         nI1        nI2          nI3          nI4      ...     nIk        ...     nIk+1                 nIk+2            ... nI¥

         ß         ß         ß         ß             ß                 ß            ß              ß

         y1 Þ   y2 Þ   y3 Þ   y4     Þ    yk     Þ   yk+1   Þ yk+2 Þ ... y¥

 

L’inestricabile complessità della natura, come accennato, è dunque perentoriamente sancita dalla coazione tra evoluzione dinamica dei sistemi fisici e meccanica quantistica. Il divenire dell’universo, in ogni infinitesima espressione, non è dunque contenuto nel novero delle condizioni iniziali da cui ha preso origine: la conoscenza delle leggi naturali e delle condizioni iniziali non può più rappresentare completamente il dinamico evolversi dei sistemi fisici. La non linearità delle leggi fisiche, spesso definite da relazioni complesse tra le numerose variabili che descrivono tali trasformazioni, amplifica esponenzialmente l’influenza esercitata su qualsiasi evento da ogni pur infinitesima componente dell’intero universo. Ne deriva che il progredire della quasi totalità dei sistemi fisici, sin dai più semplici, è intrinsecamente imprevedibile: dunque perfettamente caotico.

La maggior parte dell’evoluzione dei sistemi fisici, dai movimenti degli strati atmosferici alle dinamiche biologiche, mostra un comportamento in cui l’elemento deterministico delle leggi fisiche s’interseca profondamente con una rilevante frazione di aleatorietà, determinando la prodigiosa complessità ed imprevedibilità della realtà.

Quali sono le questioni più significative sollevate da questa concezione della realtà?

Cosa implica questa concezione nell’idealistica esistenza di una intelligenza superiore, o, parafrasando Einstein, sulle partite a dadi di Dio? I risultati di questa analisi sono determinanti nell’eventualità di un Dio creatore. In merito a tali domande si possono fare due considerazioni di rilevanza metafisico epistemologica:

1) L’intelligenza superiore, se vuol disporre l’evolvere di una qualsiasi semplice dinamica naturale in un progetto teleologico, deve sobbarcarsi l’estenuante compito di sottoporre ad analisi continua l’enorme quantità di eventi fisici elementari in atto nella totalità dei livelli del reale, alcuno escluso.

Usando termini cari alla metafisica teologica, a cui, più o meno inconsapevolmente, sia Laplace, che Einstein che Plank, giusto per citare autori già richiamati nel corso di questo lavoro, facevano riferimento, la teleologia del creato, la provvidenza divina o l’influenza della divinità sull’universo fisico, nella sfera mondana, non può assolutamente esimersi da una continua e totale dedizione conoscitiva ed attuativa, che spoglia totalmente ogni accenno al libero arbitrio delle sue creature. In questa eventualità Dio avrebbe dovuto cimentarsi nella supervisione di ogni singolo lancio in una partita a dadi di estenuante impegno, in cui si aveva come posta in palio la specie umana, in corso da almeno quindici miliardi di anni, in ogni luogo e tempo dell’universo!

Ogni decadimento radioattivo, ogni transazione energetica in atto in un orbitale atomico, ogni urto quantistico, ogni dinamica naturale, dalle fluttuazioni di una particella invisibile alle violente maree cosmiche, ogni pur insignificante mutazione genetica, ogni battito di farfalla, ogni tempo ed evento della realtà debbono essere sottoposti all’analisi ed al controllo fine, ossessivo, di tale intelligenza.

Tutti gli eventi evolutivi, dalla sintesi prebiotica delle prime proto cellule alle mutazioni genetico metaboliche che condussero alle prime cellule eucariotiche, dall’impatto dell’asteroide che, come sembrerebbe, decretò l’estinzione dei dinosauri all’acquisizione della mano prensile da parte di ominidi protoumani, dovrebbero essere stati finemente supervisionati da ogni divinità che avesse avuto in animo di creare la specie umana sul terzo pianeta interno del sistema solare. L’unica alternativa concepibile a tale fine ed estenuante impegno divino, per inciso assai poco convincente e credibile, è quella in cui la divinità potrebbe essere postulata come origine, causa causarum, di un universo... lasciato a se stesso. Un universo in cui dunque non si cerca di attuare a priori alcuna specifica dinamica naturale. L’obiezione immediata che viene alla mente è: Sì ma che senso avrebbe allora il concetto di disegno teleologico, il concetto di creazione?. Sorprendentemente una risposta a tale domanda scaturisce inattesa proprio da una considerazione olistica delle teorie matematiche e fisiche su esposte e di altre decisive teorie scientifiche odierne. Essa risiede proprio nell’indeterminatezza indotta dalla cesura quantistica e sviluppa una metafisica pienamente coerente con le attuali teorie cosmologiche ed evoluzionistiche.

 

Big bang ed evoluzione: una scommessa di Dio?

 

La moderna cosmologia ha da parte sua rimandato molti contenuti della classica riflessione filosofica e scientifica sul concetto di universo, realtà e creazione ad orizzonti euristici inediti. Le odierne teorie cosmologiche non fanno altro che porre un contributo ulteriore, decisivo, all’accezione di una realtà intrinsecamente indeterministica.

Molti aspetti teorici dell’odierna cosmologia, dalle estrapolazioni teoriche verso gli stati fisici dello stesso attimo iniziale, il Big Bang, al problema dell’entropia dei buchi neri, dalle rotture di simmetria da cui deriva la separazione delle forze fondamentali della natura alla formazione ex novo di particelle dovute a fluttuazioni quantistiche del vuoto, alle teorie inflazionarie, fanno ricorso alla meccanica quantistica od alla CDQ (cromo dinamica quantistica) che dalla prima deriva. Oggigiorno la ricerca di frontiera sulle origini dell’universo si compie sempre più in stretto contatto con la fisica atomica sperimentale, grazie alle teorie quantistiche sull’infinitamente piccolo.

Un ulteriore, inquietante esempio di ciò potrebbe essere tratto a partire dalla questione, affascinante quanto ancora aperta, relativa all’unicità degli universi che alcune teorie cosmologiche sollevano, spinte dalle implicazioni di un approccio eminentemente quantistico. Alcune teorie cosmologiche postulano l’esistenza di universi paralleli, l’uno indipendente dall’altro, per risolvere le bizzarrie del collasso quantistico. Un riferimento d’obbligo è da farsi sull’originale teoria sull’universo inflazionistico auto riproducentesi proposta dall’astrofisico sovietico Andrei Linde. Secondo tale studioso, l’universo in cui ci troviamo non è altri che un singolo processo di evoluzione cosmologica che sarebbe posto nel quadro di un complesso albero frattale di universi che si originano gli uni dagli altri, in una sequenza perfettamente caotica, per semplice gemmazione quantistica. Ora, nell’eventualità di poter porre un inizio anche a questo immenso, caotico grappolo di universi, è chiaro come possa essere arduo porre un’eventuale opzione deterministica, una super funzione d’onda z0 comune a tutti questi eventi cosmologici.

L’azione di un’eventuale divinità creatrice sarebbe ancor più allontanata dalla realizzazione fine di una data realtà fisica e ciò non fa che amplificare ulteriormente, se ancora ce ne fosse bisogno, sia l’assurdità di una concezione pan-deterministica che l’intrinseca aleatorietà dell’alternativa impostazione indeterministico evoluzionistica.

Da parte sua, la teoria dell’evoluzione, proclamata nel 1859 da C. Darwin con la pionieristica opera “L’origine delle specie”, rappresenta oramai la fondamentale base assiomatica di tutte le odierne discipline biologiche.

La maturità raggiunta dal paradigma cosmologico evolutivo moderno sembra dunque indicare come siano oramai maturi i tempi affinché lo stesso esprima la sua influenza anche oltre i suoi più consoni campi di applicazione. Da tale paradigma, si può derivare una metafisica teistico realistica, in nuce coerente con lo stesso.

Ciò conduce ad ipotesi metafisiche inedite che possono essere comprese appieno solamente ridefinendo la stessa figura ideale di divinità creatrice. Ad esempio, nella nostra cultura siamo abituati ad attribuire in toto alla divinità le qualità di ente creatore, ente onnisciente, ente morale ed ad accettare un determinato rapporto etico tra creatura e divinità. Ebbene, si può dimostrare che questi caratteri non rappresentino un insieme elementare di qualità, quanto coacervi compositi, dovuti all’apposizione di assunti metafisici sconnessi tra di loro. Possiamo teoricamente concepire sistemi teologico cosmologici in cui  si originino enti che esprimano solo alcune di queste qualità.

Bisogna ricordare come la teologia ortodossa esprima una concezione della divinità, della creazione e di tanti altri caratteri ulteriori, fondandosi su di una visione perfettamente fissistica, antropocentrica e geocentrica. Tutta la Scolastica, tutte le riflessioni di autori quali S. Tommaso, S. Agostino, S. Bonaventura, Spinoza, Kant e via dicendo, sono essenzialmente comprensibili inscrivendo il problema dell’esistenza di Dio, il rapporto uomo Dio, l’antitesi tra bene e male e così via, in una teologia legata ad una cosmologia ed un’antropologia nettamente diverse da quelle evincibili dalle odierne teorie scientifiche.

La scienza moderna ha posto inquietanti accezioni in merito a queste concezioni metafisiche e questo non può essere assolutamente composto. Ecco la ragione del fallimento di ogni intento concordistico. Solo una inedita, radicale sintesi teologico scientifica può rendere giustizia a tali interrogativi. E questo è ciò che si sta proponendo.

Un diverso inquadramento del problema conduce infatti ad una fondamentale revisione della riflessione teologica relativa all’idea di Dio, alle accezioni di creazione, teleologia, escatologia, rivelazione, peccato, male, salvezza etc. Una divinità può, ad esempio, non essere invocata in un sistema metafisico che contempli l’esistenza d’oltretomba, od essere concepita in modo da non esprimere alcune qualità solitamente imputate alla stessa null’altro che per assuefazione culturale.

Queste ipotesi sono perfettamente coerenti e valide dal punto di vista filosofico. Non abbiamo ragione di credere che la nostra metafisica possa esprimere tutte le possibili sfaccettature del sacro, né possiamo oggettivamente sostenere che la stessa possa rappresentare la migliore, se non rifacendoci ad oscurantistiche e faziose spiegazioni etnocentriche. Solo il ricorso ad un metodo oggettivo di confronto può permetterci di risolvere tale problematica.

Ecco perché si invoca, a sostegno di una data teologia e cosmologica, il ricorso ad un giudizio di congruità da parte della scienza. Un giudizio, incentrato su una verifica del suo connettersi con la realtà naturale che, indirettamente, ci conduca poi a poter optare per l’una o l’altra metafisica. E le potenzialità di questa applicazione delle conoscenze scientifiche sono quanto mai valide ed inesplorate. La scienza odierna, ad esempio, si è spinta a porre seri veti sulla possibilità di postulare determinate finalità nello svolgersi delle naturali dinamiche evolutive.

L’impossibilità di cogliere il fenomeno dell’evoluzione, nelle sue singole forme, quale strumento di un progetto originario incentrato sull’emersione nel creato della specie umana, ha rappresentato sinora un ostacolo insormontabile per intendere le dinamiche naturali quali docili effettori di un magnifico progetto divino puntato sull’uomo. I processi evolutivi, lasciati a se stessi, non sono in grado di dirigersi autonomamente verso l’emersione di un predeterminato obiettivo, a meno di invocare un continuo intervento correttore dei complessi eventi mondani tramite una provvidenziale supervisione divina di ogni infinitesima dinamica naturale. Un’eventualità quest’ultima che, come abbiamo visto, mina irrimediabilmente il principio di libero arbitrio delle creature.

Al contrario, nel contesto di un universo indeterministico, caotico, autorganizzantesi, si deve evidenziare un fatto fondamentale in merito alla possibilità di affermare una qualsiasi valenza teleologica.

Ogni creatura che emerge nel creato tramite il processo evolutivo è assolutamente impredicibile nei suoi caratteri particolari, data l’intrinseca casualità presente nell’interminabile serie di eventi con cui essa si origina. Parimenti, assolutamente imprevedibile è il contesto spazio temporale ove ciò si andrà a verificare.

In particolare, rispetto ai canoni metafisici delle teologie dalla nostra cultura, la classica concezione di un universo in cui predeterminate creature siano alfine chiamate a realizzare, con la loro emersione, la base biologico fenomenologica su cui imporre l’attuazione di assoluti, sovrannaturali principi etici, è totalmente incompatibile con l’universo descritto dalla scienza attuale. Come attendersi che una data linea evolutiva condurrà a quella determinata specie vivente ed ancor più a quei peculiari caratteri biologici che ne determineranno, ad esempio, la sessualità?

Dal punto di vista fenomenologico e causale, come stabilire allora a priori dello stesso evento creativo, dunque a monte del livello y0, assoluti principi morali, in questo caso tabù sessuali, se le particolarità anatomico etologiche di un essere vivente - evento Es(k), ove k>>0 - sono assolutamente impredicibili nel corso di milioni e milioni di anni di evoluzione? Tali entità o qualità contingenti non possono essere assolutamente intese quali mete di un intento originario affidato alla spontanea, naturale attuazione del processo di evoluzione cosmico biologica.

Tale impossibilità è dunque perentoriamente sancita dalle modalità sull’evoluzione dinamica dei sistemi fisici, dalla meccanica quantistica e dai recentissimi studi sul caos che, nel contesto delle dinamiche bio evolutive, giungono ad avere un risalto peculiarissimo. Il divenire dell’universo, ed in particolare delle forme viventi, in ogni infinitesima espressione, non è contenuto nel novero delle condizioni iniziali da cui la realtà naturale ha preso origine: né può la conoscenza delle leggi naturali e delle condizioni iniziali rappresentare completamente il dinamico evolversi dei sistemi fisici. Ma è allora scientificamente impossibile sostenere un qualsivoglia contenuto teleonomico nelle dinamiche naturali? Non sembra.

Si può assumere una connotazione universale ai processi bio evolutivi con l’evenienza che questi fenomeni risultino statisticamente ricorrenti nell’universo, con scenari peraltro sempre unici, irripetibili ed imprevedibili nei dettagli. Il processo di selezione naturale può essere inteso come un fenomeno a cui attribuire la possibilità di dare origine, nel tempo e nello spazio, comunque in forme e contesti assolutamente imprevedibili a priori, a realtà biologiche progressivamente più complesse.

In particolare, è possibile postulare l’origine di quadri bio evolutivi caratterizzati dalla presenza di organismi dotati di strutture psichiche progressivamente più raffinate, capaci infine di supportare l’emersione dell’intelligenza, della coscienza riflessa. Quest’ultima osservazione, se opportunamente collocata, assume profondo risalto teologico.

L’innegabile indeterminazione di un dato itinerario bio evolutivo sfuma nella valenza universale del fenomeno evolutivo. I contenuti finalistici ad esso associabili emergono chiaramente qualora si comprenda tale processo al di là della contingenza degli eventi che hanno contraddistinto, ad esempio, l’affermazione della vita sulla terra o i caratteri dei singoli esseri viventi.

Gli studi sulla genesi dei sistemi planetari, sull’origine abiogena e sulle capacità di autorganizzazione selettiva di composti biochimici complessi, inducono a prospettare con una certa attendibilità tali scenari nel cosmo. Tali risultanze, nel tentativo di sostenere una valenza finalistica nei processi evolutivi, possono far deporre a favore di un quadro che postuli nell’universo una emersione ripetuta, dunque statisticamente attendibile, di forme viventi autocoscienti. Si può inoltre ricordare la questione delle cosiddette costanti fisiche fondamentali della natura. Tali grandezze, precisamente determinate dalla ricerca scientifica, assumono un concerto di valori estremamente critico ed interdipendente, che non sembra procedere da alcuna legge o relazione naturale sottostante. Perché questo concerto di valori, decisivo nel rendere possibile l’emersione della vita?

Perché questo universo? Per alcuni autori questi fatti rappresenterebbero un indizio a favore di una finalità teleologica che in parte si condivide, a patto di non invocare l’attuazione di alcuna predestinazione etica o genetica.

Come si vede, omettendo contenuti teologici irrazionalmente ancorati ad un’improponibile visione antropocentrica a favore di un finalismo assolutamente non focalizzato sull’uomo, è possibile disporre di un modello scientificamente coerente quanto teologicamente valido. In esso l’uomo, pur scalzato dal ruolo, infondato, di apice dell’evoluzione, può sostenere una relazione con il sacro non meno soddisfacente di quanto avvenuto sinora.

È chiaro che in tutto ciò anche la divinità subisce una riformulazione formale: questo compone diversamente il rapporto ontologico tra uomo e Dio, evidenziandone nuovi contenuti.

In un contesto evoluzionistico indeterministico, la teleologia della creazione non è incentrata in una determinata specie vivente ed in ambiti esistenziali su cui porre valori etici superiori, intervenire, vigilare e sui quali attuare veti e sanzioni. Il gesto creativo costituirebbe un progetto in cui non si predefinisce l’emersione di alcuna realtà etica o genetica da sottoporre all’osservazione di vincoli di origine sovrannaturale: un fatto, questo, a cui una divinità non è necessariamente né avvezza, né bramosa. In tale progetto il creato sarebbe lasciato evolvere, essere, in piena libertà, quale intrinseca, spontanea manifestazione delle leggi naturali.

In modo analogo, l’uomo risulterebbe totalmente libero di essere e divenire, sia nelle sue prerogative che nei suoi limiti naturali; ne deriva la condizione ontologica di un essere eticamente indipendente dalla divinità. Questi esseri sono cioè, finalmente, ontologicamente liberi. Liberi di essere, responsabilmente ed autonomamente liberi anche dinnanzi al loro stesso creatore. Questo è il solo possibile risultato teleologico di un processo di evoluzione biologica pertinente nell’ontopoiesi della coscienza riflessa, nell’emersione del pensiero nel creato.

Questo rappresenterebbe il fine teleologico della creazione da parte di una divinità: naturale e totale libertà alle creature.

 

Genesi: una nuova metafisica, una nuova teologia dalla scienza.

 

È intuibile come le potenzialità esplicative e filosofiche di questo modello definiscano principi inediti, da cui deriva una decisa rottura filosofica con i canoni attuali, non detrattiva rispetto all’opzione teistica.

Nessuna teologia aveva mai potuto coerentemente originarsi da un simile connubio tra indeterminismo, caos, libertà, nessuna teologia ha mai potuto comporre in un quadro simile il rapporto ontologico tra Dio e uomo, tra creatore e creatura: ciò rappresenta una meta inedita del pensiero umano, mai immaginata in tutto il nostro passato. Un risultato filosofico d’importanza incommensurabile.

Tale modello si oppone, infatti, a tutte quelle ideologie che hanno costituito i più subdoli strumenti di oppressione ideologica e politica, di condizionamento e controllo coatto delle coscienze, delle masse, mai attuati in tutta la storia dell’uomo. Ideologie che costituiscono una cristallizzazione e sublimazione dei principi autoritaristico sessuo-repressivi fondamentali, come evidenziò la critica di autori del calibro di Freud, Nietzsche, Fromm, Marx e tanti altri, della struttura socio-economica e culturale di tutte le società storiche note.

Ebbene, si dispone finalmente, per la prima volta nella storia del pensiero scientifico moderno, di una inedita metafisica in grado di porsi come alternativa a tutte queste inconsistenti, deleterie dottrine. Ma questo nuovo orizzonte dell’uomo si compie con un ulteriore, decisivo risultato filosofico scientifico.

L’attuale ricerca, sfociata dapprima in una pubblicazione dell’ateneo di Camerino del 1994 “Metamorfosi della ragione. Esegesi evoluzionistico psicosociologica di Gn 1,3 ed implicazioni bioetiche”, e successivamente in “Il Dio laico: caos e libertà” edito da Armando Armando editore, nel 1999, oltre ad altri articolo e pubblicazioni accademiche, ha dimostrato come questa inedita concezione metafisica, dalle interessanti implicazioni teologiche, possa essere desunta addirittura da un’esegesi scientificamente valida, pesantemente corroborata da una mole impressionante di dati sperimentali, del libro del Genesi.

Nella teologia del Genesi è possibile infatti rintracciare, si noti bene in modo filosoficamente economico, un deciso riscontro di queste nostre riflessioni: il Dio del Genesi, al contrario da quanto sostenuto dall’ortodossa, millenaristica esegesi, sembra condividere questa metafisica. Un risultato ermeneutico dunque clamoroso.

L’affermazione pressoché implacabile dell’attuale concezione scientifica della natura, evoluzionistico indeterministica, ha stimolato un’imponente ricerca teologica. L’impegno profuso da autori notevoli quali Maritain, Guitton, Balthasar, Rahner, Alszeghy, l’attenzione, e l’ostracismo, rivolti dalla Chiesa a questi problemi danno la misura dell’importanza di questo intento e di queste tematiche.

Tra i tanti, T. de Chardin è lo studioso che più di ogni altro evoca lo sforzo compiuto dai teologi odierni di mediare una sintesi tra evoluzionismo e teologia tradizionale. Rispetto a queste interpretazioni però si dissente profondamente, pur rispettando lo sforzo intellettuale da cui sono scaturite.

Tali tentativi costituiscono infatti solo delle congetture concordistiche, il più delle volte sganciate da una sufficiente verificabilità scientifica, mediante le quali si tenta di forzare le ortodosse interpretazioni dei primi tre capitoli del libro del Genesi nella visione evoluzionistica della natura. Questo deriva dall’indole classica di affrontare tali tematiche in modo eminentemente filosofico, senza avvertire la necessità di qualsivoglia verifica sperimentale, empirica degli assunti e postulati. Questa prassi va a scapito della possibilità di addivenire ad ipotesi scientificamente verificabili, in ossequio al principio della confutabilità delle teorie sollevato ed auspicato da Popper, oltreché teologicamente valide. Nella fattispecie, il problema si concretizza nella necessità di rappresentare esaurientemente i temi dalla creazione divina dell’universo, delle forme viventi ed in particolare dell’uomo e, principalmente, dall’evento della caduta, o peccato originale. Questo fantomatico evento innesca tutta la dinamica salvifica che giunge a compimento nella figura e missione redentiva di Cristo narrata dai Vangeli.

A tutt’oggi, alcuna interpretazione sembra possedere l’energia a la fondatezza necessarie per risolvere le contraddizioni che una valutazione approfondita del modello evolutivo fa emergere in merito a questi aspetti di fede.

Le posizioni ufficiali del Magistero Cattolico inoltre vertono ancora su una interpretazione letterale, storica dei fatti narrati nel Genesi, assolutamente incompatibile con il moderno paradigma scientifico.

Sembra che, persa la possibilità di una lettura diretta di tali brani, i teologi moderni non siano in grado di proporre una traduzione scientificamente intelligibile delle allegoriche narrazioni di questi testi. Le ipotesi formulate sinora sono molteplici, alcune anche pregevoli ed interessanti. Ma tutte, indistintamente, conducono ad interpretazioni scientificamente inconsistenti, seppur lecite, che invocano assunti e principi esplicativi solitamente inaccessibili a qualsiasi concreta verifica scientifica. Pertanto è quanto mai auspicabile una rivoluzione in questo campo d’indagine, facendo sì che la scienza moderna ponga le sue risultanze anche in questo ambito.

Qualcuno potrebbe infatti obiettare come sia una palese contraddizione tentare un’interpretazione di un testo che dovrebbe veicolare una verità assoluta, sovrannaturale, ricorrendo ad un metodo, quello scientifico, basato sulla categoria della contingenza, sull’intrinseca limitatezza del dato empirico, dell’esperienza mai compiuta e sulla conoscenza sempre in divenire.

Si è convinti però che le attuali concezioni scientifiche costituiscano uno strumento d’indagine insostituibile per una valutazione nuova, oggettiva e non ideologica, di tali argomenti. Dunque “... vino nuovo in otri nuovi”.

Il lavoro sviluppa un modello teologico cosmologico perfettamente compatibile con l’odierna visione evoluzionistico-indeterministica della natura. Nei suoi assunti, esso risulta fondamentalmente antitetico alle ortodosse dottrine conosciute. Ciò permette, per la prima volta nella storia del pensiero moderno, di sottoporre interpretazioni metafisiche in competizione per una interpretazione del Genesi, ad una oggettiva verifica, nel pieno rispetto e tradizione del metodo scientifico, senza dover forzatamente alienare l’ipotesi teistica.

La teoria è caratterizzata da una concezione filosofico teologica in cui la divinità assume esclusivamente una funzione creatrice della realtà. In essa si concede l’esistenza di un ente increato distinto da un mondo inteso come sua opera, emanazione diretta, ma non si attribuisce alla divinità alcuna ulteriore prerogativa etica nei confronti delle creature. Tale modello può far evocare l’illuministico ideale del deismo, ma si differenzia da questo per la particolare interpretazione della Genesi, per il suo inquadramento evoluzionistico e nel sostenere un peculiare rapporto uomo Dio.

Si dimostra come tale modello sia intrinsecamente compatibile con una ampia base di evidenze antropologiche, sociologiche e psicanalitiche.

Una massiccia letteratura etnologica conferma come simili concezioni teologico cosmologiche siano tipiche di società ad ordinamento socio economico pre statuale e delle più arcaiche società conosciute. Questo permette anzi di candidare lo stesso a pieno titolo quale più primitiva credenza religiosa sviluppatasi nell’ecumene umano.

Questa interpretazione si colloca nell’alveo di una visione storico evolutiva della religiosità condivisa in varie discipline, dall’antropologia culturale alla storia delle religioni, ma pone un netto distinguo con le consuete concezioni dell’evoluzione religiosa.

Da questo paradigma deriva una teologia ove la divinità esprime qualità inedite rispetto ai modelli in cui la stessa esprime caratteri ulteriori, incentrati sull’onniveggenza etica, e ciò assume un significato decisivo.

Questo fatto, giust’appunto, conduce a postulare, al contrario di come fatto sinora, l’impossibilità di un continuum evolutivo tra questi diversi paradigmi religiosi. Su questa distinzione è incentrata una classificazione dicotomica dell’universo del teismo, delle credenze religiose, in due classi fondamentali: quella delle ‘religioni’ vere e proprie (sistemi che non prevedono divinità morali) e quella delle ‘teo-eto-tomie’ (neologismo che indicherà i modelli dove la divinità assume qualità onniveggenti e morali, conducendo ad una divisione - tomia - della sfera etica).

Tale divisione è determinata dall’osservazione di come questi modelli, radicalmente differenti nei loro assunti metafisici, procedono da esigenze esistenziali del tutto distinte e si collegano a realtà socio culturali antitetiche per la loro alterna ragione di essere, la differente collocazione formale, storica, etnologica e sociologica. Quest’aspetto, sinora sottovalutato nel suo autentico rilievo, induce una valutazione nuova delle correlazioni tra modello teologico cosmologico, sistema culturale e realtà socio economica. Si può dimostrare l’intrinseca qualità dei modelli religiosi di coesistere perfettamente con la concezione evoluzionistico-indeterministica propria della fisica e della cosmologia, in particolare con le teorie evoluzionistiche sull’origine dell’uomo. Innanzitutto una divinità eminentemente creatrice, quale quella contemplata nei modelli religiosi, ovvierebbe tranquillamente all’estromissione da qualsivoglia ruolo attivo nelle dinamiche naturali, ponendosi semplicemente a monte del creato quale causa causarum.

Questa divinità, senza alcuno scadimento teologico, è perfettamente in grado di prescindere dall’eventuale modalità con cui il creato sarebbe andato ad emergere. Tale valenza teleologica fa dunque perno su una connotazione universale dei processi bio evolutivi di modo che questi fenomeni risultino statisticamente ricorrenti nell’universo, con scenari peraltro sempre unici, irripetibili ed imprevedibili nei dettagli; un’evenienza questa che, come si è visto, non risulta in contrasto con le attuali tendenze scientifiche. Una divinità religiosa, non morale, coesiste dunque senza affanno e scadimento con i vincoli imposti dall’attuale visione della natura, non essendo nella necessità d’irrompere nella determinazione delle realtà ontologiche del creato, specialmente per quanto sarebbe finalizzato all’esercizio della sua onniveggenza morale.

È intuibile come le potenzialità esplicative e filosofiche di questo modello definiscano principi inediti, da cui deriva una rottura filosofica non detrattiva rispetto all’opzione teistica. Tale modello si oppone, finalmente, a tutte quelle ideologie che hanno costituito i più subdoli strumenti di oppressione ideologica e politica, di condizionamento e controllo coatto delle coscienze, delle masse, mai attuati in tutta la storia dell’uomo.

Ma il nocciolo di Metamorfosi della Ragione consiste nell’identificare la caduta narrata dalla Genesi con la transizione dovuta al passaggio da modelli socio culturali di tipo religioso a quelli teoetotomistici.

La teoria dimostra clamorosamente come i brani biblici, al contrario di quanto inteso sinora, sostengano la superiorità del modello religioso su quello teoetotomistico. Essa attribuisce alle culture teoetotomistiche una vera e propria degenerazione filosofico ontologica a carico dell’individuo e della comunità. Ciò permette di disporre di una interpretazione esauriente dei fatti metaforicamente evocati in Gn 2,3 e relativi ad una misteriosa degenerazione del genere umano - il cosiddetto peccato originale, o caduta -, inquadrando in modo nuovo il contrasto tra evoluzionismo e fede. Sino ad oggi questa controversia è derivata dalla manifesta impossibilità dei teologi di far coesistere in modo economico e scientificamente intelligibile l’ortodossa lettura di Genesi 1,3 con la teoria evoluzionistica. Quest’ultima nega un’origine particolare dell’uomo, dimostrando la discendenza dell’uomo da specie pre umane di primati nel corso di milioni di anni di naturale evoluzione filetica. Ciò contraddice inappellabilmente l’assunto di un monogenismo genetico originario della specie umana.

Tutto ciò inoltre confuta l’eventualità di contemplare nella forma canonica il verificarsi del cosiddetto peccato originale, evento con il quale si sarebbe determinato in tutta l’umanità successiva uno stato di corruttibilità ontologica per generazione diretta dai protoparenti Adamo ed Eva. Di questo evento, decisivo per il canone teologico dei testi biblici, sinora non si è proposta in contenuti verosimili alcuna ipotesi scientificamente accettabile.

Dove collocare tale evento nell’evoluzione umana? Chi ne fu l’artefice? L’H. sapiens sapiens, l’H. erectus od addirittura l’H. habilis? Tale evento fu individuale, o no? Come poté essere immune dall’influenza della frazione istintuale, genetica, imputabile dunque alla natura umana e quindi direttamente generata dal creatore, della determinazione del comportamento umano? Dove avvenne tale cataclisma ontologico?

Perché ci fu un tragico coinvolgimento della sfera sessuale in tutto ciò? Nell’impossibilità di sostenere una diretta discendenza genetica di tutti gli uomini da una coppia capostipite, come è possibile concepire un’estensione assoluta, perfetta di tale stato di corruzione nell’umanità? Tale evento rappresenterebbe un accidente locale che interessò il pianeta Terra o si estese all’universo tutto?

Tali quesiti non hanno avuto sinora alcuna risposta plausibile diversa da un assunto fideistico sordo a tutte le sollecitazioni della scienza moderna. Ora, se si dimostra come nell’universo del teismo la divinità non assuma necessariamente connotati etici autoritaristici le cose cambiano drasticamente.

Nell’universo metafisico del teismo l’individuo non è forzatamente coinvolto in un rapporto con la divinità basato sulla sudditanza etica, sull’obbedienza morale, sull’essere oggetto di un condizionamento esterno, divino, nella determinazione delle sue scelte. Simile paradigma, pur collocandosi in un ideale teistico, si caratterizza come segue:

1) Riesce a superare il problema del monogenismo genetico - sia di coppia che di gruppo - invocato dalla esegesi ortodossa e confutato senza equivoci dalla biologia malgrado una lettura teologicamente positiva di Genesi 2,3.

2) Identifica, senza invocare sedicenti cause sovrannaturali, l’evento storico a cui associare la leggendaria caduta originale con un fatto socio culturale: l’origine delle società teocratiche statuali, classiste, teoetotomistiche.

3) Pone una precisa corrispondenza tra documentazioni storico geografiche ed i testi.

Ciò si ottiene collocando nell’evoluzione socio culturale umana il verificarsi di un processo di diffusione culturale del modello teoetotomistico associato alle società statuali. Tale modello si estese in tutta la terra grazie alla maggiore efficienza politica, militare ed economica di tali società, che presero il sopravvento sulle culture di tipo religioso. Questa transizione, secondo documentazioni storiche, avrebbe interessato proprio i popoli neolitici della mezzaluna fertile medio orientale.

4) Afferma una trasmissione di tale stato non su base genetica, ma per naturale trasmissione o diffusione culturale.

5) Ha influenze decisive nelle speculazioni filosofico teologiche relative alla teodicea, rifiutando l’accezione personale del principio sovrannaturale del male, senza limitare la valenza teologica ed escatologica di Gn 2,3.

Queste osservazioni sarebbero tali da imputare a meccanismi sociologici e psicologici dettagliatamente evidenziati nella teoria, la metamorfosi socio economica, ed ancor più psico sociale, che diversi autori sinora hanno invano invocato per comprendere correttamente questa trasformazione. La teoria si distingue da quei tentativi di spiegare l’origine delle società classiste, teocratiche, autoritaristico repressive della storia a partire da antecedenti culture egalitarie, invocando esclusivamente l’influsso di contingenti aspetti economici, ecologici, tecnologici, demografici etc.

Nel panorama etnologico delle religioni si ha infatti conferma dell’esistenza di due antitetiche polarità del sacro, al contrario delle precedenti ipotesi che immaginavano un’unica forma di evoluzione religiosa.

 

Nella prima la divinità assume principalmente un ruolo «creativo», non mostrando alcun carattere di onniscienza morale rivolto al condizionamento etico dell’uomo. In queste culture l’accesso alla vita d’oltretomba non è influenzata dal comportamento dell’individuo. La sfera etica è dissociata dal sacro in relazione al destino futuro dell’individuo e questo rende decisamente gratificante il rapporto uomo-Dio. Questi modelli «senza peccato» sono tipici di culture, solitamente intese come «primitive», ad organizzazione sociale pre-statuale.

Nelle culture «moderne» la divinità assume invece una preponderante funzione morale e censoria, esprimendo una capillare onniveggenza delle azioni umane. In questo secondo polo del sacro, ove le scelte etiche dell’individuo condizionano la qualità della sua futura vita d’oltretomba, si sviluppano aspetti ulteriori: l’esistenza di una elite sacerdotale, l’affermazione di assolute norme etiche e del concetto di peccato, di oblazione e di colpa.

In esso il rapporto uomo-Dio risulta profondamente alterato e l’uomo è scaraventato in una condizione di corruzione e sudditanza etica nei confronti della divinità psicologicamente molto problematica. Questo polo e' strettamente correlato a strutture sociali classiste, autoritaristico-statuali e sessuo-repressive.

Numerose evidenze filosofiche, sociologiche e psicanalitiche ci conducono ad intendere questi secondi modelli come autentiche «degenerazioni» del sacro. Questo fatto ci autorizza a distinguere i due sistemi con i termini «religioni» e «teoetotomie» rispettivamente in funzione dell’assenza o presenza della funzione morale, essendo ogni sistema dotato di caratteri formali, origine ed evoluzione a sé. Le «religioni», per la loro maggiore semplicità e per il fatto di essere tipiche di sistemi pre-statuali, furono certamente antecedenti alle «teoetotomie». È impossibile poi proporre un’«evoluzione» delle credenze religiose in cui si attui un’«inevitabile transizione» dal modello «religioso» a quello «teoetotomistico». Si deve dunque optare per una ricostruzione dicotomica, in cui due diverse direzioni evolutive sono contemplate, l’una propria delle «religioni», l’altra, postuma, delle «teoetotomie» che si sviluppano in concomitanza all’attuazione di strutture socio economiche diverse, non classiste le prime, classiste le seconde.

 

Meccanismi socio-psicologici evidenziati da analisi etnologiche, psicanalitiche e sociologiche indicano come una «evoluzione morbida» sia assolutamente improponibile, anche per la potente avversione di qualsiasi cultura alla trasformazione di un importante aspetto culturale quale un modello socio religioso. Come poté dunque avvenire questa trasformazione quando ancora non si era affermata una qualsivoglia concezione «teoetotomistica»? È necessario il verificarsi di un evento culturale dirompente, sicuramente mediato da fatti contingenti, affinché si realizzi lo «sblocco», la «mutazione» che si esprimerà poi in una nuova caratterizzazione psicologica e sociologica della personalità dell’individuo «medio» di tali culture. Tale trasformazione rappresenta comunque una «involuzione» filosofica del concetto di divinità creatrice in divinità eminentemente morale, da cui segue una degenerazione del rapporto ontologico uomo-Dio.

Sintesi. Evidenze storiche ed etnologiche mostrano che la trasformazione da società pre-statuali a società statuali, classiste, avvenne nel bacino Medio-orientale all’inizio del Neolitico. Si propone di collegare l’avvento delle «teoetotomie» a tale evento storico. Questa grande mutazione delle concezioni teologiche e cosmologiche originò profonde trasformazioni sociali affermando la superiorità morale del Dio sull’uomo, e conducendo all’affermazione di un’analoga autorità etica da parte di una elite - il clero - che imponeva severe norme etiche della società mediando la funzione divina. Questo potente mezzo psico-culturale e politico permise l’affermazione delle società teocratiche, classiste, «statuali» che soppiantarono le culture religiose.  

I contenuti del paradigma religioso, ed in generale di questa ricostruzione del sacro, risultano forse paradossali viste le concezioni teologiche a noi più consuete, ma permettono di riformulare il concetto di Dio, di creazione, la nostra stessa «intuizione» filosofica dell’essere uomo, i nostri interrogativi di fondo. Questa concezione, oltre alla rilettura dell’evoluzione religiosa tramite una nuova concezione del sacro, propone la transizione tra Religioni e Teoetotomie quale interpretazione psico-sociologica della «caduta originale» narrata nella Genesi, superando così tutti i problemi che le teorie scientifiche moderne - evoluzionismo in testa - hanno sinora sollevato e proponendo un nuovo paradigma esegetico. Una ricostruzione, è qui il caso di ripeterlo, che si presenta assolutamente coerente, al contrario delle interpretazioni classiche, con la concezione evoluzionistica ed indeterministica sostenuta dalle teorie scientifiche moderne - evoluzionismo, fisica quantistica, teoria della relatività etc. -, lo stesso si colloca nel dibattito «fede scienza», «ateismo teismo» come «terzo» polo interpretativo.

Concludendo, il modello religioso si qualifica per un rapporto uomo divinità da cui derivano:

1) Alterazione radicale delle accezioni di teologia, teleologia della creazione ed escatologia.

2) Mancanza della concezione di corruzione ontologica del creato collegabile esclusivamente ad una definizione teologico-cosmologica non monistica.

3) Completo affrancamento dalla visione fissista, implicita nel paradigma teoetotomistico, e dal conseguente ruolo onniveggente ed attivo che la divinità ivi assume.

4) Alternativa composizione della critica laica al teismo accusato di esser causa di degenerazioni ed alienazioni a carico dell’uomo e della società.

5) Riduzione della valenza della critica marxista: si dimostra come non si debbano rivolgere tali accuse al teismo tout court, quanto indirizzarle esclusivamente in direzione delle teoetotomie.

6) Si dissocia la figura della divinità da quei caratteri patriarcali, autoritaristico sessuo repressivi, di cui la stessa è stata indifferentemente investita, stante la canonica identificazione di divinità nell’accezione, contingente, dell’ideale teoetotomistico.

È interessante a questo punto notare un altro significativo collegamento: tali caratteri, qualificando il profilo teologico delle stesse, hanno indirizzato negativamente la critica freudiana al teismo. Si può dimostrare l’esistenza di una correlazione positiva tra la formazione più o meno ipertrofica e duratura del Super-Io, l’insorgere delle regressioni pregenitali connesse con le dinamiche edipiche e l’affermazione dell’ideale teoetotomistico. Un’analogo riferimento è sostenuto tra l’attuazione di atteggiamenti etici repressivi riguardo la sessualità e l’espressione delle degeneri personalità di base (aspetti della personalità individuale modali di un dato contesto sociale) riscontrate nell’indagine psicologico-etnologica delle culture classiste statuali. Ciò fornisce un inedito contributo per inquadrare anche psicanaliticamente lo scatto caratteriale dovuto all’affermazione di un ideale teoetotomistico sull’individuo, ribaltando molte posizioni freudiane. Concludendo, questa ricerca propone una concezione del sacro, di Dio e dell’essere umano capace di evincere, con contenuti nuovi ed il più possibile oggettivi ed intelligibili, una teologia, un’antropologia ed una cosmologia finalmente sgombre dai pesanti contenuti ideologici che hanno costituito il riferimento scontato del sacro, dell’idea di Dio.

Questo spunto ha inoltre l’energia necessaria a sostenere positivi spunti interpretativi del Nuovo Testamento, in particolare dei Vangeli, in cui si rivaluta, anche dinnanzi alla teologia ortodossa, la figura e missione redentiva di Cristo, identificando contenuti altrettanto pertinenti quanto assolutamente antitetici e dirompenti rispetto al canone tradizionale. Si può intuire come questa diversa condizione ontologica informi la prassi quotidiana e l’autoconsapevolezza dell’individuo di ben altri contenuti, che vanno ad intaccare profondamente il dibattito epistemologico relativo alle tematiche ultime dell’esperienza umana: la fede ed il rapporto con Dio.

 

 

 

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