L’«altro» Genoma
Carlo Alberto Redi, Maurizio Zuccotti e Silvia Garagna


     La pubblicazione all'inizio del 2001 della sequenza del genoma umano ha aperto una nuova era per le ricerche biologiche. 
   A una analisi dettagliata, oltre il 98 per cento delle sequenze di DNA che costituiscono il genoma umano non è codificante, ossia non specifica proteine; sono sequenze più o meno ripetute o appartenenti ad altri organismi e trasferite al nostro genoma per via orizzontale.
     È evidente che non è più possibile considerare l’"altro" genoma come un contenitore di sequenze inerti e parassite: in realtà le sequenze ripetute sono gli agenti che attivamente, anche se ancora in modo non chiaro - e su questo punto si svolgeranno le ricerche di punta dell’era postgenomica - modellano la composizione, l’organizzazione e la funzione di tutti i genomi, compreso quello umano.
Agli inizi degli anni settanta, una pionieristica serie di lavori compiuti da Maria Gabriella Manfredi Romanini, Ernesto Capanna ed Ettore Olmo analizzò la relazione tra complessità degli organismi e composizione e organizzazione dei genomi.
      Si è innanzitutto osservato che le dimensioni dei genomi di parecchie specie non sono affatto correlate con la loro complessità, mentre lo sono con le dimensioni delle
cellule. Inoltre si è constatato che gli animali dotati di un metabolismo elevato come pipistrelli e uccelli volatori hanno un genoma relativamente piccolo, mentre animali con metabolismo lento hanno un genoma più grande.
       Per quanto riguarda l’"altro" genoma, quello considerato inutile e costituito in gran parte da sequenze ripetitive, si può già affermare che deve svolgere un ruolo indispensabile sia per la corretta funzionalità del DNA codificante, sia per lo sviluppo e il differenziamento cellulare. 
      La riduzione delle dimensioni del genoma è sempre dovuta alla diminuzione del numero di copie della frazione di DNA ripetitivo. Ma questa frazione non manca mai, anche se può essere presente in quantità ridotte, come si osserva nei pipistrelli o nel pesce Fugu dove costituisce solo il 10 per cento del genoma, e ciò è un indizio molto significativo di un’ulteriore possibile funzione dell’altro genoma: è probabile che i geni responsabili delle complesse funzioni fisiologiche presenti nei vertebrati superiori richiedano un minimo di DNA ripetitivo non-codificante per essere espressi regolarmente nel corso dello sviluppo. Questi dati mettono in luce come le sequenze ripetute non possano essere più considerate DNA spazzatura, bensì una componente del genoma di estrema importanza funzionale, capace di esercitare sia degli effetti nucleo-tipici sia degli effetti regolativi, entrambi utili per l’adattamento ai vincoli eco-etologici delle specie e capaci di assicurare potenzialità evolutive. Più in generale, risulta chiaro che le sequenze di DNA ripetitivo possono influire sulle caratteristiche del fenotipo, indipendentemente dalle capacità di codificare per proteine.

Ricerca  di  Alessandro  D'Angelo

settembre 2002
 Le Scienze S.p.A.