IN VIAGGIO PER RICONOSCERSI


II Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico "Mario De Mauro" di Scordia è stato inaugurato e ufficialmente aperto al pubblico il 15 febbraio 1998 nel Palazzo Vecchio Majorana (fine XVIII sec.), dove ha sede.
Al piano terra del palazzo di via Marconi (che fu sede del Comune fino alla metà degli anni settanta e che attualmente ospita, nei locali del piano superiore, anche il patrimonio della Biblioteca Comunale) hanno finalmente trovato una dignitosa, ordinata e fruibile sistemazione manufatti e strumenti di lavoro della civiltà contadina e preindustriale di Scordia reperiti durante una ventennale attività di ricerca indirizzata alla definizione certa e documentata dell'identità culturale di una collettività che sembrava avere perduto irrimediabilmente la memoria della sua origine e della sua storia.
A questo riguardo il Museo raccoglie foto, manoscritti e testi pubblicati a stampa (in originale o in fotocopia) sconosciuti o pressoché introvabili, nonché le prime ricostruzioni che a partire da essi sono state prodotte a cura del Comitato di Consulenza al quale sono state affidate la gestione del Museo stesso e la programmazione delle attività di cui esso è promotore.
Anche sull'istituzione pubblica del Museo Civico di Scordia ha pesato l'ancora, purtroppo, diffuso pregiudizio nato da una concezione "aristocratica" della cultura, secondo la quale bisognerebbe privilegiare la conservazione e la tutela dei beni culturali che rientrano nelle categorie "nobili" dell'Archeologia, dell'Arte e simili, a discapito di quelli che una giusta rivalutazione oggi fa rientrare nella nozione di "cultura materiale".
E una gestazione durata "solo" venti anni, rispetto al mezzo secolo che c:è voluto perché venissero realizzati il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma (1958) e il Museo Etnografico "Giuseppe Pitrè" di Palermo (1933), può sembrare breve solo a chi non ha preso nella giusta considerazione l'attenzione che anche la Cultura Accademica e il Parlamento stesso dedicano ai beni demologici dalla fine degli anni settanta. Quando anche nella scuola media vennero introdotti nuovi programmi che, per esempio, nell'insegnamento della Storia, riconoscono ufficialmente la incontestabile dignità alle ''cose" vicine all'esperienza del discente, alla sua cultura, alle tradizioni della sua famiglia e della collettività in cui vive, cresce e si forma.
Dalla stimolante esigenza di applicare realmente quei programmi ha origine il Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico "Mario De Mauro'', e dalla necessità di dare il giusto valore alla componente "colta" e a quella "'popolare" nella ricostruzione dell'identità culturale di Scordia.
La mancanza di un museo etno-antropologico e di un archivio storico, sicuramente utili per dare il giusto seguito agli orientamenti leggibili nei Nuovi Programmi della Scuola Media, ha quasi imposto la necessità di crearli. E nei locali di via Etna della S.M.S. "Leonardo da Vinci" di Scordia, nell'ambito delle iniziative di "Educazione alla Salute- Progetto Ragazzi 2000", in un fervore di attività meritevole di una maggiore attenzione da parte della classe dirigente del paese, il 1° giugno 1993 a cura della scuola si inaugurò per la prima volta il museo, il quale per l'insufficienza degli spazi poté esporre solo una parte del suo patrimonio (che intanto si arricchiva sempre più, grazie alle donazioni degli alunni e dei loro parenti), fino al 27 maggio 1997, quando il Comune di Scordia, nella persona del suo Sindaco Salvatore Milluzzo, accettando una donazione ripetutamente offerta negli anni passati, sancisce l'istituzione pubblica del Museo, assegnandogli una sede meglio adatta e garantendogli una indipendenza scientifica e un'autonomia economica e amministrativa che gli consentono di perseguire dignitosamente i suoi obiettivi fondamentali.
Per esigenze strutturali (la sua sede comincia a risultare angusta per l'alto numero delle donazioni che giorno dopo giorno continuano ad arricchirlo) e per scelta di metodo si può affermare che il Museo Etno-Antropologico e Archivio Storico "Mario De Mauro" esiste nella misura in cui quotidianamente si realizza, trasformandosi nelle sue parti accessorie per la sistemazione dei nuovi arrivi e accogliendo il contributo operativo che studenti, docenti, studiosi e simpatizzanti forniscono nell'attività di schedatura.
E proprio perché fondato sul metodo del dono e della gratuita collaborazione il Museo acquista sempre più le dimensioni e le forme di luogo della memoria che incentiva e documenta uno spirito nuovo, nobile, per lo meno non molto diffuso, di intendere la "cosa pubblica", la quale in questo caso si connota per la generosità del contributo spontaneo degli individui che civilmente vi si identificano. Ragion per cui al suo interno si è creata perfino una sezione di Storia Naturale e se ne può preventivare una di Archeologia, con conseguente necessità di una sede più ampia.
Nei locali del Museo è ben visibile al visitatore un percorso che (dal frenetico disordine di una società che si affaccia al terzo millennio dopo avere smarrito nei suoi individui il senso della Storia, sacrificato alla gaudente quanto superficiale fruizione di un Presente globalizzato nel quale egli non sa riconoscersi con tutta la sua anima) traccia un sentiero che, lasciata fuori la ingannevole realtà virtuale che forse non lo soddisfa, lo guida a ritroso nella ricomposizione dei frammenti della memoria collettiva del paese, ridando vita alla concreta esperienza di una società quasi altra in cui si distinguono le dimensioni del Tempo e dello Spazio e, al loro interno, le storie degli individui che le davano vita, nello stento ma anche nella consapevolezza.


1) Meccanizzazione e Tecnologia

2) Speziale
3) Lavoro domestico
4) Idraulico
5) Calderaio
6) Maniscalco
7) Fabbro
8) Lattoniere
9) Calzolaio
10) Sarto
11) Sellaio 
12) Adornista 
13) Bottaio

14) Cestaio
15) Seggiolaio
16) Barbiere
17) Muratore
18) Spaccalegna
19) Mazzettiere
20) Picconiere
21) Falegname
22) Agrumicoltura
23) Cerealicoltura
24) Pastorizia
25) Caccia
26) Storia Naturale


Appena varcata la porta d'ingresso, il visitatore si trova di fronte ai simboli del passato più recente: un Commodore 128, che rappresenta la preistoria della multimedialità; una centrifuga a mano prototipo in plastica di un elettrodomestico che ha sancito il diritto alla emancipazione della donna, una motozappa a cinghia esterna, una Vespa degli anni cinquanta, un vecchio proiettore a 16 mm a più corpi, ancora impregnato della rassicurante atmosfera dei vecchi oratori, con il bianco e il nero della celluloide che fu veicolo di sane storie edificanti: lavoro d'intelletto, lavoro agricolo, lavoro domestico, locomozione e tempo libero coniugati in brevissima sintesi con l'ausilio di una tecnologia già molto distante dal Presente.


LAVORO FEMMINILEE il Tempo si dilata e si allontana ancora nello spazio di pochi metri, nella sezione dedicata al Lavoro femminile dove si può respirare ancora il miracolo della panificazione alla vista della màdia (maìdda) e della gramola (sbrìa), mentre un vecchio braciere incastrato in una pedana circolare di legno (conca) ci riporta all'atmosfera magica del Carnevale contadino e alla risata grassa e maliziosamente ingenua degli indovinelli (nnìminagghi):

Cincu pìnni e un cugghiuni,
tirìttùppiti ntó piciuni.

Parole che alludendo spiegano esperti movimenti delle dita che con cinque aghi e un gomitolo di cotone producevano robuste e confortevoli calze.

E, per indicare le modalità d'uso della gramola, che richiedeva una efficace collaborazione tra marito e moglie, ambiguamente:
Ma nanna ccu-mma nannu
iucàvunu sutta e ncapu.
Ma nanna cci prisintà lu sdillanatu,
ma nannu cci desa a testa dò pupu.

Indovinello che ci fa rimanere allusivamente ancora nella sfera di una oscenità eccezionale, limitata nel tempo, perché potesse avere risultati benefici, simbolicamente liberanti in epoca di feroci oppressioni, peraltro fatalisticamente accettate.
E poi c'è il torchietto per fare la pasta (cuonzu), con i relativi dischetti e nelle varie fogge che denotano diversità dì tempi e di produttività.
E tegami, e pentole, e telai, e uncinetti, e tovaglie e lenzuola ricamate e ... altro: non tutto, ma quanto basta per capire ...

SPEZIALE

Di fronte, la vetrinetta dello Speziale, con bottigliette dalle forme e dai colori rari, dagli odori e dai sapori antichi, come le bocce contenenti ancora preparati e formule che ci fanno risalire ad una professione in cui spesso si fondevano abilità e competenze diverse, scienza e magia, medicina e scongiuro. E ancora, farmacopee e manuali, etichette indirizzi...e qualche nome: don Nini Attard aveva la farmacia in via Vespri, prima di trasferirsi in via Cavour, dove sarebbe stato rimpiazzato dall'austero e affidabile dott. Domenico Aprile, che ora non c'è più. Neanche la farmacia c'è più.



A pochi passi, i settori riservati all'Idraulico, al Calderaio, al Maniscalco, al Fabbro e al Lattoniere, mestieri che avevano inIDRAULICO comune molti attrezzi e molte competenze, non raramente esercitati dai membri della stessa famiglia, in spazi comuni, dove si fondevano esperienze e competenze apportatrici di credibilità e successo economico: carrucole, filiere, incudini, martelli, compassi. "cagni" per apporre il cerchione alle ruote dei carretti, la forgia, il mantice, forbici, tenaglie, lime.. e poi manufatti dal design e dalla funzionalità vari e affascinanti nei lucchetti, nelle toppe e nei catenacci (uno di questi ultimi, antifurto speciale, funzionava da fucile automatico, in certi casi). 
MANISCALCO Bella, la serie di martelli da calderaio. Impressionante la collezione di chiodi, lunghissimi,lunghi, medi, corti. Sì, perché il fabbro e il maniscalco erano anche mastri di li chiova.

Come non ricordare, qui, la struggente lamentazione del Venerdì Santo, dove Cristo, rivolgendosi alla madre, dice:



Va iti na lu mastu di li chiova,
facitimmìnni fari um-pàru a-mmìa.
No-ttàntu luonghi e-nno-ttàntu puncenti,
c 'hanu a-ppizzàri na sti carni santi... ?

L’angolo del Calzolaio ospita un centinaio di attrezzi, quelli più minuti disposti sul classico banchetto (a vacchitta). Accanto alle furmi in legno e in ferro, ugghioli e liesini, tinagghi e pirciaturi, trinciettu efusu... Ci sono perfino i nziti i puorco, le setole di maiale che rendevano più resistenti le cuciture, accanto a legni e legnetti divenuti lucidi e ben sagomati per il lungo uso....
SARTOSubito dopo c'è lo spazio riservato al Sarto, dove, accanto a squadre e a righe di legno, fanno bella mostra di sé alcune preziose macchine per cucire a manovella (una Singer e una Helvetia). Qui è possibile entrare nella logica interna al lavoro di un artigiano che nei periodi festivi con molta difficoltà poteva soddisfare la numerosa clientela con puntualità di consegna e inappuntabilità di confezione: modelli dalla funzione plurima e frazionari empirici abbreviavano i tempi e favorivano sicurezza d'esecuzione.

Di fronte, i settori del Sellaio e dell'Adornista.SELLAIO
Del primo, più che la ben affilata àscia, il pialletto, le morse di legno, le lesine, le forbici e i punteruoli, colpiscono il visitatore i rettangoli e i cerchi di latta ritagliati dalle scatole che contenevano pomodori pelati, giardiniere e caponate (bbuatti) e tesaurizzati perché questa "materia seconda" venisse riciclata nella realizzazione dei finimenti. Nello stupefacente nitore dei colori ottimamente conservati, ci è dato di leggere l'esistenza di accreditate industrie conserviere a Palermo, a Riposto e a Grammichele, nel profondo Sud, presumibilmente negli anni cinquanta; se non già prima, come si potrebbe ricavare dalle date dei relativi decreti ministeriali ADORNISTA accuratamente riportati. Del secondo, particolarmente interessanti sono i sprùuli, matrici di carta raffiguranti disegni dai contorni forati pazientemente con gli spilli; riproducibili negli affreschi con la tecnica dello spolvero, appunto.
Proseguendo oltre l'uscita di sicurezza, un esiguo numero di attrezzi ordinatamente allineati alle pareti ci introduce ai mestieri del Bottaio, del Cestaio, del Barbiere e del Seggiolaio. Si tratta di una attrezzatura ridotta all'essenziale per quanto riguarda il Cestaio: un roncoletto (rruncìgghiu), un paio di forbici da potare (fuòrfici) e una piccola mazza di legno. Del resto cuffuni, coffi e panari richiedevano soprattutto una sicura regolarità dei movimenti delle dita e delle mani, ben coordinati da un occhio fattosi ''professionalmente" esperto dopo anni di assiduo apprendistato. 
Anche quello del Seggiolaio era un mestiere che si fondava soprattutto su una sapiente ed empirica manualità, ma disponeva anche di una piccola serie dì strumenti che favorivano perfezione di esecuzione e solidità di prodotto: un'ascia, una tinàgghia, un martìeddu. un trapanu a-mmànu, delle lime. L’ascia usata dal Bottaio era più grande (asciuno). Oltre ad essa sono visibili un maglio (màgghiu). necessario per bloccare le doghe nei cerchi di lamiera, un pialletto (chianuozzu), utilizzato per rifinire il lavoro di sagomatura delle doghe avviato con l'ascia, e uno scarpieddu i mpurtiddari.

L'inserimento del rubinetto (cannedda), nella botte già piena di vino, veniva così descritto, nel linguaggio ambiguo degli indovinelli:

Cummari ca l'aviti vàsciu vàsciu,
ruossu, mudducunutu e-llìsciu lìsciu,
datimi'tiempu quantu vi la ncàscìu,
ca vi fazzu fari tri uri di pisciu

Nella parete successiva sono rappresentati i mestieri del Muratore, del Picconiere, dello MURATORE
Spaccalegna e del Mazzettiere. accostati non tanto secondo il criterio dell'affinità e/o della dipendenza dell'uno dall'altro, quanto per la necessità di dare una disposizione ordinata e leggibile degli attrezzi e dei manufatti, facendone risaltare le linee e le forme, in ogni caso sempre in spazi interni adeguatamente definiti o intuibili, cercando di favorire nel visitatore un accostamento di tipo estetico e romantico, suggerendogli relazioni analogiche, senza fargli dispiacere riflessioni e interpretazioni che possono variare da persona a persona, sempre cercando di mettere in moto procedimenti interiori che permettano di riconoscersi con tutto il proprio bagaglio di esperienze individuali, in una storia che ci accomuna, nel Tempo e/o nello Spazio. 
Criterio, questo, seguito nell'organizzazione di ogni parete del Museo, in ragione del rapporto tra gli spazi disponibili e gli attrezzi da sistemare.
Qui carrucole (cùrruli), argani (manganieddi), seghe (serri), martelli (martieddi), piccozze (martiddini), cazzuole (maniculi), accette (a ccetta; u ccittuni a-ddu mami), mazze (mazzi), carriole (carrìolì) ed altro, tanto altro, ci permettono di scandire il tempo e cogliere innovazioni e cambiamenti. Particolarmente interessanti sono gli attrezzi del picconiere: mannaie (mannari), picconi (pica, sing. picu; e sciamarri), cunei (cugna), pali (pali; sing. palu) e chianteddi, hanno lasciato tracce ancora ben leggibili nella nostra Cava, una zona che meriterebbe una giusta rivalutazione.
FALEGNAME L’ultimo settore dedicato all'artigianato di Scordia è quello che ospita i numerosissimi attrezzi del Falegname, tutti belli e sapientemente funzionali, in certi casi vere e proprie opere d'arte, e d'ingegno; come un antico fierru i ngastu ( pialletto per incassi), una pialla per battenti (chiana ppe bbattentì), diverse morse di legno, e poi sponderuole, saracchi, bbuzzieddi e pialletti per cornici, e tanti, tantissimi altri oggetti che sarebbe troppo lungo enumerare.
Nella parete successiva comincia lo spazio riservatoAGRUMICOLTURA all’Agrumicoltura, croce e delizia dell'economia di Scordia, da quando si sostituì alla cerealicoltura quale settore trainante. In una nicchia centrale, in maniera immediata, si può cogliere questo passaggio, attraverso la visione di alcuni attrezzi in parte riconfermati nella lavorazione della terra destinata alla nuova coltura, in parte riadattati e reinterpretati secondo la praticità di una logica tipicamente contadina, votata ad un risparmio e ad un riciclaggio sanamente intelligenti, oltre che di necessità: un basto in legno (sidduni) e un aratro in ferro con il versoio molto pronunciato (spaccasài; aratu ccu-ll'ali), ottenuto attraverso la saldatura di apposite lamiere, e pertanto in grado di tracciare un solco notevolmente largo e profondo (sàia) necessario per l'irrigazione degli agrumeti secondo l'antico metodo a zzappieddu, rappresentano simbolicamente, in chiara sintesi, questo decisivo passaggio.

LATTONIERE Sono numerosissimi gli attrezzi usati fino a poche decine di anni fa per la produzione e la commercializzazione degli agrumi: tutti documentano essenziali funzioni e notevoli cambiamenti nell'organizzazione di un lavoro che ha impegnato per molti anni la maggior parte, quasi la totalità, del bracciantato locale, fatto spesso oggetto di un impietoso sfruttamento: panari, coffi, cuffuni, venivano utilizzati per la raccolta; cufina, cannisci e cannisceddi per la concimazione (a-carriàri fumierì ; le zappe (ve n'è una serie molto significativa per diversità di forme, di funzioni, di efficacia... e di fatica, sempre tanta) per il dissodamento; i mastelli per la fumigazione; i zzappeddi di fierru (le chiusure/aperture dei canali scavati nel tufo, sai a-ccuottu) e i catusi (tubi di terracotta) per l'irrigazione. Gli stantuffi di una vecchia ggèbhia regolavano il flusso e la portata dell'acqua che si immetteva nelle saì a-ccuotu.CESTE
Poi ci sono gli attrezzi usati nelle segherie e nei magazzini, quindi le forbici, le accette e le seghe utilizzate per la potatura. Lo spazio a nostra disposizione ci impedisce di enumerarli tutti, ma non possiamo passare sotto silenzio un monumentale aratro in legno, uno spaccasai originale anticamente trainato da due buoi appaiati con il giogo (iuvu).
Intanto, seguendo la linea delle pareti, il visitatore ha cominciato a tornare indietro, ma è chiamato a immettersi in un ampio e profondo locale, decentrato, quasi staccato dal corpo principale del salone, uno spazio chiuso, cronologicamente e culturalmente il più remoto, lo spazio occupato dagli attrezzi dell'agricoltura estensiva; strumenti che, pur se realizzati e usati fino a poche decine di anni fa, testimoniano tecniche, usi e costumi tramandati, immutati o con insignificanti adattamenti, dalla civiltà del Neolitico.
CEREALICOLTURA Lo spazio della Viticoltura e delle Cerealicoltura con la naturale appendice della Caccia e della Pastorizia.
Alcuni attrezzi si segnalano per la loro elaborata monumentale consistenza, frutto di una tecnologia più avanzata (del Nord) messa al servizio delle arretrate aree del Sud, più che per alleviare fatiche e sofferenze, per sancire e accentuare sperequazioni sociali e sfruttamento feroce aggravato dallo spettro dei licenziamenti: al centro campeggia la geometrica struttura di uno svecciatoio (a pulitrici} a manovella, velocissimo nel separare il grano dalla veccia (vizza) e dalle altre impurità prima della semina e/o della molitura: poco distante, una imballatrice per comprimere il fieno e la paglia. A ridosso della parete principale, un maestoso aratro in legno (aratu a-dddùi; aratu a spadda,. e lì vicino diversi tipi di giogo, quelli per equini e quelli per bovini, animali gli uni e gli altri necessari a coppia per il traino dello strumento. Tutto intorno, aratri in ferro di varia forma e di diverse caratteristiche in rapporto alla natura del terreno da arare e alla tipologia della coltura: tutti richiedenti un solo animale (na viestia), quindi tali da far risparmiare spese di mantenimento o forzali accordi con il vicino, al quale chiedere di lavurari a-ddùi, a turno, le rispettive terre, nel caso si disponesse di un solo animale e di un aratro in legno, che ne richiedeva due. Accordi difficili da stabilire, mantenere e vedere rispettati, in un ambiente contadino caratterizzato da permalosità, da litigiosità e da sospettosa diffidenza. E poi ci sono gli spazi occupati dalle zappatrici (zzappatrici), anch'esseZAPPE E MASTELLI numerose e diverse, nella grandezza delle zappette, nelle potenzialità dei regolatori di larghezza e di profondità, nella forma e nella materia (legno e ferro). E ci sono gli essenziali attrezzi della mietitura (a messa), che era un vero e proprio calvario per i mietitori (mititurì ) e per i raccoglitori (cugghìturi) disposti ad antu, spesso in crudele gara tra loro: falci (fàuci),ganci (crocea ; sing. cruoccu ) e forcine (ancini). Poi quelli della trebbiatura: sacelli (sacca ), tende (tenni}, vagli dalla trama della rete di varia larghezza (crìvedda, sing. crivieddu; e criva, sing. crivu). pale (pali, sing. pala), tridenti (trarenti, sing. trarenta) e le misure per aridi: tumulo (tùmminu), due mondelli (du munni). mondello (munnì) e garozzo ('uaruozzu). Abbiamo limitato l'indicazione dei vari strumenti a pochi esemplari per brevità di esposizione; ma non possiamo non menzionare la grande conchiglia (bbrogna ) che il mugnaio suonava quando non c'era più folla al mulino, per richiamare nuova clientela.
CANNIZZO Il visitatore intanto è ritornato vicino all'ingresso principale; a destra e a sinistra del gigantesco cilindro del canniccio (cannizzu), in cui si ammassava il grano per l'annata, si aprono due piccoli corridoi che immettono nella prima sezione del Museo. Riemergendo da un passato che ha il fascino dell'antichità millenaria, ci si può preparare al ritorno nel Presente riaccostandoci al nostro tempo attraverso la visione di oggetti non del tutto estranei alla nostra quotidiana esperienza individuale.

 

Nuccio Gambera