Religione o Scienza?

Un’analisi positiva del problema alla portata dell’uomo comune.

 

 

 

Introduzione

 

Quali sono i fondamenti delle nostre convinzioni più radicate e coinvolgenti? Quanto un essere umano è consapevole delle proprie scelte? E in particolare: come sappiamo rispondere a queste domande alla luce delle nostre personali convinzioni religiose? Siamo quelli che siamo, cattolici, protestanti o musulmani per scelta personale e razionale o solo per il fatto di aver «trovato nella nostra esistenza» questa o quella confessione religiosa?

Un essere umano è musulmano per il fatto che l’islam sia una religione migliore, più autentica del cattolicesimo – o viceversa – perché siamo in grado di dimostrare a noi stessi questa differenza o solo ed esclusivamente perché abbiamo assorbito questa o quella cultura crescendo in mondi diversi? Saremmo ancora divenuti convinti cattolici se fossimo nati a Baghdad, a New Delhi o in Cina?

L’uomo comune, preso da un’urgenza tale da calamitare la sua attenzione, tutte le sue energie quasi esclusivamente sulle esigenze e questioni quotidiane, il più delle volte è di fatto inconsapevole di come e quanto la sua esistenza sia condizionata da idee e valori esterni, «non suoi». Ironia della sorte, questi valori ed idee si insinuano spesso proprio nelle convinzioni più radicate, che ciascuno è portato ad intendere come evidenti, inconfutabili, ovvie; ed ancor più intese come perfettamente consapevoli e personali. E nella sentimento religioso personale, mondo interiore in cui trovano spazio le questioni, i misteri e le esigenze più profonde del nostro essere persone, tutto qqqquesto è fortemente presente.

Ciascuno di noi è sicuramente convinto in cuor suo di essersi posto il tema della religiosità in modo assolutamente consapevole e personale, senza aver subito alcuna contaminazione esterna. Ma spesso ciò non è, non accade. Ed allora? Cosa fare? Lasciare mollemente le cose come stanno?

Solitamente questo tema interiore non viene affrontato;  si preferisce o demandare a specialisti il peso di tali argomenti, o inquadrare il tema alla luce di motivazioni stereotipate del senso comune, specialmente se i problemi sono intesi eccessivamente lontani dalle tematiche quotidiane, o di eccessiva difficoltà per le proprie capacità: oppure… molto pragmaticamente, ci si disinteressa di tutto ciò. Se le cose attorno a noi sono quelle che sono, ci sarà pure un qualche più che valido motivo no?

Quest’atteggiamento, per certi versi comprensibile in pratica, ha però i suoi limiti. Il demandare ad altri aspetti così gravi, che si dovrebbe invece verificare, e vivere, in modo più personale ed autentico è un esempio emblematico dei casi in cui tali limiti siano stati ampiamente superati. E da questa inerzia, od inezia, è qualcosa che mina ogni autenticità e fondatezza delle proprie scelte, del proprio vivere.

Quel che si vuol qui presentare è una analisi di tali problemi fatta con particolare attenzione alle odierne teorie scientifiche.

Sinora tale questione è stata al centro di un confronto durissimo e difficile da comprendere appieno per chi non sia uno specialista del ramo. Eppure questo argomento è in realtà molto meno inaccessibile alla normale cultura dell’uomo della strada. Una normale cultura di scuola superiore permette di comprendere perfettamente i vari argomenti. Si cercherà dunque di presentare importanti aspetti del problema in modo chiaro e pieno, in termini il più possibile comuni ed accessibili a questi strumenti culturali, senza arrotondamenti concettuali, pressappochismi o approssimazioni divulgative. Al lettore è richiesto solo un piccolo impegno per prendere coscienza di quanto certi problemi, solitamente visti come insolubili e difficili, avvolti da un alone di mistero e complessità siano in realtà affrontati anche dagli addetti ai lavori con modalità del tutto simili a quanto si affronta nella vita di ogni giorno. Non facciamo pensare gli altri al nostro posto dunque, ma proviamo a farlo noi stessi. Con fiducia.

 

Il concetto di peccato originale: mito o… quale realtà?

 

La nostra cultura è stata da secoli intrisa dal pensiero cattolico. Molti aspetti della vita comune, delle più generali e comuni espressioni culturali, artistiche, ed ovviamente i nostri affetti, i legami famigliari e sociali sono fondati su principi etici e sociali sostenuti dalla dottrina cattolica. Le nostre convinzioni religiose, ovviamente, sono state in generale riferite a questa confessione.

La maggioranza della popolazione italiana è stata battezzata solo qualche giorno dopo esser venuta al mondo, si è poi formata tramite i consueti incontri di catechismo con i quali sono stati impartiti i precetti religiosi necessari per avvicinarsi ai vari sacramenti: comunione, cresima, matrimonio e così via. Tutto questo rappresenta una manifestazione tangibile di come la religione è una parte significativa della nostra vita quotidiana, dalla culla alla tomba. Ovviamente c’è sempre chi ha una concezione ed una vita religiosa sfumata e poco impegnata, specialmente nei tempi moderni. Ma questo non toglie il profondo significato assunto dalla dottrina cattolica nella nostra società e nella nostra esistenza comune.

Questa sfera dell’esistenza è fondata su delle grandi e complessive concezioni della realtà.

Il nostro mondo, ed in generale l’universo, le forme viventi – uomo incluso – è concepito come un’opera gigantesca originata dal nulla da un potente Dio creatore. Ciò è presente anche nelle altre forme religiose. In ogni popolo conosciuto sono presente concetti analoghi, a sostegno di un sentimento religioso universale presente nella specie umana. Eppure questa profonda similitudine, ad una osservazione più profonda, mostra profonde differenze, per anni ed anni analizzate dagli studiosi che, per sommi capi, sono giunti alla conclusione di come le nostre attuali religioni sembrano rappresentare le forme più moderne e raffinate di credenza religiosa. Generalmente questi studiosi sono portati ad intendere le nostre credenze religiose come sistemi dalla ben maggiore autenticità rispetto alle credenze delle altre culture – specialmente in confronto con culture primitive, meno evolute tecnicamente e culturalmente.

È possibile trarre da queste differenze spiegazioni di qualche interesse? La risposta è sì.
Ma ancor più interessante è il fatto che proprio da un’analisi analoga di determinati aspetti connessi con le diverse forme di fede religiosa deriva una risposta particolarmente significativa per noi uomini della cultura occidentale, capace di fornirci una positiva ed inedita comprensione delle nostre convinzioni religiose.

L’origine dell’universo e dell’uomo sono narrati nel primo libro della Bibbia: il libro della Genesi. Tutti noi abbiamo appreso sin da bambini che nei primi versi della Bibbia si narra sia dell’origine dell’uomo e del creato – nei famosi sei giorni della creazione – che di un misterioso e scellerato evento con cui Adamo ed Eva, dalla dottrina indicati come capostipiti dell’intera umanità, disobbedendo un preciso comandamento di Dio condannarono tutti noi ad essere macchiati da una grave colpa: il cosiddetto «peccato originale».

Questo evento è importantissimo nell’intero sviluppo della Bibbia perché è l’evento che spiegherà e motiverà l’incarnazione di Cristo, la sua passione e morte sulla croce e resurrezione al fine di redimere l’uomo da questa macchia spirituale e salvare il mondo dal peccato.

Anche se spesso l’uomo della strada ignora certi fatti, ai giorni nostri esiste un grave problema tra le affermazioni della dottrina cattolica relative ai primi capitolo del Genesi e le scienze moderne. La dottrina cattolica infatti fa delle affermazioni in profondo contrasto con la moderna biologia, la geologia e l’antropologia moderne.

Lo studio delle forme di vita ci ha condotto ad immaginare il fenomeno vivente come un continuo ed incessante processo in cui forme, di vita di volta in volta diverse, si succedono senza posa e senza un fine apparente. In questo continuo rimescolamento, che avviene comunque in tempi lunghissimi di centinaia di milioni di anni, specie diverse si accavallano continuamente: e tra queste specie è da collocare ovviamente l’uomo. E la biologia fa questo con molta naturalezza, viste le prove che dimostrino come l’uomo costituisce una tra le tante forme di vita che si sono succedute sulla faccia della terra.

Ma quale problema è sollevato da questa concezione e la dottrina della religione cattolica? Un primo, profondo problema consiste nel fatto che mentre la biologia non attribuisce all’uomo alcuna apparente significato di «forma finale ed inevitabile» del processo di evoluzione, ovvero della trasformazione delle forme viventi, mentre la dottrina cattolica presenta l’uomo addirittura come termine finale dell’intera creazione, «immagine e somiglianza di Dio».

Un secondo problema altrettanto grave è costituito dalle moderne concezioni della biologia, che dimostrano come l’umanità attuale non sia derivata da una singola coppia iniziale ma da popolazioni di predecessori non umani.

Come superare questi problemi? Proviamo ad illustrare la nostra proposta la quale ci permetterà di trovare una nuova chiave di interpretazione dei testi del Genesi che, al contrario di quanto accade sinora, superi perfettamente tutti questi problemi.

Quel che presenteremo al lettore è un’interpretazione solamente logico filosofica del testo del Genesi, condotta in modo fondamentalmente laico, dunque non presupponendo alcuna considerazione fideistica. Ovviamente questo è fatto a maggior garanzia del poter essere tale interpretazione il più possibile coerente con l’atteggiamento conoscitivo propriamente scientifico.

È comunque possibile intendere tutto questo come base di un’interpretazione teologica ma questo argomento non verrà minimamente affrontato, lasciando tutta questa tematica alla sensibilità, le valutazioni e le convinzioni del lettore. Non si ha in animo null’altro che presentare un mero concetto filosofico. Questo è un limite che ci si è imposti a monte di tutto il lavoro di ricerca da cui derivano le conclusioni qui presentate.

 

Bibbia e scienza: un primo confronto

 

La nostra proposta interpretativa ci condurrà dunque a superare positivamente tutti questi problemi. Quali sono i concetti più importanti su cui concentrare la nostra attenzione?

Dobbiamo innanzi tutto sottolineare come anche la dottrina cattolica ortodossa riconosce ai primi testi biblici forti contenuti mitici, fantastici, dunque esposizione licenziosa sotto il profilo letterario e stilistico di fatti reali quanto oscuri in alcuni casi, riconoscendo dunque la liceità di una interpretazione condotta in modo non letterale quanto per mezzo di categorie mitologiche.Tutti i teologi odierni si muovono in questa direzione: e anche noi adotteremo questo stile interpretativo.

Bisogna innanzi tutto mettere in chiaro quali aspetti della narrazione biblica e delle scienze moderne possiamo – e dobbiamo – prendere in considerazione come contenuti fondamentali della questione. Essi sono i seguenti: per quel che riguarda la cosiddetta parte scientifica abbiamo:

1)      L’origine scientifica dell’uomo

2)      Qualità dell’esistenza dei primi uomini.

3)      Livello intellettuale e sociale attribuibile alle prime culture umane moderne.

4)      Una possibile testimonianza di un evento importante nella storia dell’uomo che possa fare le veci del famigerato «peccato originale»

Per quanto riguarda invece la narrazione biblica abbiamo:

1)       L’interpretazione delle figure di Adamo ed Eva.

2)       Qualità dell’esistenza dei primi uomini prima del «peccato originale».

3)       Significato del «peccato originale» - il che vuol dire decifrare il significato del mitico gesto della raccolta e del mangiare il frutto dell’albero della «conoscenza del bene e del male»

4)       Qualità dell’esistenza dei primi uomini dopo dell’evento del «peccato originale». Ovvero: quali furono le conseguenze di tale gesto?

 

Possiamo partire da questi aspetti. Vedremo che i risultati della nostra proposta saranno positivi, comprensivi e niente affatto ostici da comprendere.

Iniziamo a parlare dei punti 1 riportati in entrambi gli specchietti di cui sopra.

Dunque: come calare nelle odierne nozioni scientifiche sull’origine e la natura dell’uomo le figure mitologiche di Adamo ed Eva? Questo è stato da sempre il desiderio più intimo di ogni teologo. C’è da sottolineare che seppur la dottrina sostenga secolarmente una realtà storica dei due capostipiti, tutte le odierne ipotesi interpretative dei teologi – anche cattolici – che si interessano di questo problema sono fondate su un’interpretazione delle figure di Adamo ed Eva non quale «autentica coppia umana iniziale» ma come «umanità iniziale». Il termine Ådåm infatti sembra indicare proprio l’uomo, inteso come genere umano, in senso generale.

È dunque possibile pensare ad una interpretazione pluralistica: dunque si pensa non più una coppia ma tante coppie contemporaneamente esistenti. Ciò è conosciuto come problema del passaggio dal monogenismo (una coppia) al poligenismo (più coppie). Questo cambio di interpretazione si è resa necessaria al fine di evitare un contrasto insopportabile con la scienza moderna. Questa sembra infatti sulle prime essere un’interpretazione perfettamente accettabile dalla biologia moderna. Accettiamo dunque anche noi questa concezione – comunque oramai inevitabile – e proviamo ad osservare gli sviluppi, lasciando per un momento da parte gli aspetti relativi al libro della Genesi – li riprenderemo tra breve.

Accettata questa chiave di interpretazione affrontiamo il secondo controverso aspetto: la biologia ci ha fatto capire che la specie umana deriva da forme anteriori all’uomo, dunque non ancora umane, senza includere alcun intervento particolare.

La specie Homo sapiens sapiens – ovvero noi uomini moderni – appartiene ai Primati, mammiferi superiori a cui appartengono anche gli scimpanzé, i gorilla ed altre scimmie moderne. La biologia moderna ci conduce dunque a pensare che tutti i Primati moderni a noi prossimi siano derivati da qualche primate vissuto milioni di anni or sono, da cui l’uomo ha iniziato a differenziarsi sempre più in tutta la sua avventura sulla terra.

Non possiamo dunque fare una divisione netta tra l’uomo e gli altri animali. Oggi noi esseri umani siamo appollaiati all’estremità di uno dei numerosi rami della chioma dell’albero che rappresenta tutte le forme di vita del gruppo a cui apparteniamo: i Mammiferi. Man mano però che «scendiamo verso terra» ovvero ci spostiamo indietro nel tempo, troviamo successive confluenze tra il nostro ramo e gli altri rami a cui siamo dunque legati alle nostre origini. Ma prima di trovare il punto in cui per esempio ci ritroviamo uniti con il ramo dello scimpanzé – il nostro cugino primate più prossimo, con cui condividiamo addirittura il 98,5% circa di DNA – troviamo i rami, oggi secchi e troncati – dei nostri predecessori pre-umani, come ad esempio l’Homo habilis, l’Homo erectus e così via ora estinti. Siamo rimasti solo noi, uomini moderni. Abbiamo spazzato via tutti questi nostri cugini stretti. O meglio siamo sopravvissuti alla selezione naturale che ci ha visto favoriti.

Ma da quanto tempo in qua l’uomo moderno si è affacciato sulla faccia della terra? È questo un tema importante per le nostre intenzioni interpretative del libro del Genesi. Nella misura in cui pensiamo di attribuire a questa narrazione contenuti autentici dobbiamo inevitabilmente saper collocare nella storia naturale gli eventi ivi narrati. Le indagini attuali ci dicono che l’uomo moderno è presenta da circa 150~100.000 anni. E questo è un bel lasso di tempo se pensiamo che le prime società agricole risalgono a circa 10.000 anni or sono, che le piramidi egiziane sono vecchie di circa 5.000 anni, e che l’era industriale è cominciata da solo 200 anni. Eppure, rispetto alla storia biologica dell’uomo 150.000 anni sono decisamente un nulla.

Ora, questa «giovinezza» dell’uomo moderno rappresenta un gravissimo problema per il teologo cattolico. Vediamo perché. La teologia cattolica, a corollario dei contenuti biblici sopra accennati, fa le seguenti affermazioni di fede in riferimento agli eventi narrati nella Genesi:

1)        Adamo ed Eva, erano uomini come noi, dunque dotati di anima personale – si ricordi che la dottrina cattolica sostiene che l’anima sia direttamente infusa da Dio nell’uomo sin dal suo concepimento.

2)        Adamo ed Eva peccarono disobbedendo responsabilmente e coscientemente al comandamento divino di «non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male». Il loro gesto è inteso dalla dottrina quale scelta perfettamente responsabile e personale, individuale. E questo è possibile solo nella misura in cui tali progenitori siano da un lato perfettamente uguali all’uomo moderno, e poi nella misura in cui quel gesto sia stato perfettamente consapevole e volontario, come ogni nostra scelta etica più significativa. Solo così costoro possono essere personalmente responsabili del loro gesto.

3)        In seguito a questo Adamo ed Eva persero la loro condizione originaria da cui derivava la loro immortalità e l’immunità dai dolori fisici.

4)        Questa condizione sarà trasmessa ad ogni uomo poiché tutta l’umanità discenderebbe geneticamente dai due capostipiti Adamo ed Eva.

Questi contenuti e condizioni sono teologicamente molto importanti nella dottrina cattolica: dunque, devono essere rigidamente mantenuti pena un insopportabile allentamento dai contenuti secolari della stessa. E questo rappresenta un grave handicap per tutti i teologi cattolici odierni.

Tornando agli aspetti scientifici, nel nostro tentativo di adattare la concezione pluralistica dell’origine dell’umanità a questi testi sacri dobbiamo osservare come ai tempi dell’origine dell’uomo moderno sulla faccia della terra fossero diffuse varie forme pre-umane. L’emersione dell’uomo moderno avviene in un mondo in cui queste forme umanoidi già si trovavano a fronteggiare già un mondo come quello odierno, il nostro. Se pensiamo alle nostre Alpi dobbiamo immaginare che circa 100.000.000 di anni or sono erano delle semplici colline. 350.000.000 di anni fa ad esempio la catena dell’Himalaya neanche esisteva.

Ed attenzione: la differenziazione biologica fra le specie umanoidi non fu un evento unico, istantaneo, ma il risultato di innumerevoli eventi di evoluzione distribuiti in millenni. L’emersione di una nuova specie non è «un evento singolo» ma il risultato ultimo di eventi successivi – anche imponenti se presi singolarmente – che si distribuiscono nell’arco di millenni e interessano sempre un numero molto grande di individui.

Orbene, le forme di vita da cui l’Homo sapiens sapiens deriva erano già da centinaia di migliaia di anni diffuse sulla faccia della terra e questi individui erano… come noi oggi, preda della morte, dei dolori e della corruzione della carne che, secondo l’interpretazione biblica della religione cattolica… avrebbe dovuto seguire il gesto del «peccato originale»!

Questi sono intoppi formidabili per la dottrina ortodossa. Abbiamo prove concrete che la condizione che avrebbe dovuto seguire l’evento del «peccato originale» sia di molto anteriore alla comparsa del primo uomo moderno! Una soluzione immediata provata dai teologi sarebbe allora quella di imputare tale gesto a forme anteriori. Ma non possiamo ricorrere a questo espediente, pena il ritrovarsi con un problema ancor più difficile da affrontare!

Se noi imputassimo ad esempio all’Homo erectus la colpa dell’aver commesso il «peccato originale» potremmo sulle prime pensare di sistemare la cosa… ma in realtà andremmo ad accusare di una scelta responsabile quanto scellerata un essere del tutto disumano, non-umano, che addirittura si pensa non riuscisse neanche a parlare con la stessa capacità di noi uomini moderni, tanto meno avere capacità intellettuali, ovvero una coscienza etica «personale» quanto meno analoga alla nostra! Ovvero questi individui non potevano formulare scelte sufficientemente coscienti – con quella solenne gravità richiesta dal testo biblico! No, non è teologicamente proponibile questa direzione interpretativa.

Non si ha scampo: ci si deve rivolgere all’Homo sapiens sapiens. Ma questa necessità conduce ad un altro, altrettanto grave problema! Anche se volessimo fantasiosamente attribuire la responsabilità di tale gesto a popolazioni di Homo sapiens sapiens colte ad un momento successivo all’epoca di iniziale differenziamento dalle forme precedenti, al fine di contare su qualità intellettuali sufficientemente differenti da quelle delle specie anteriori, ci troveremmo ad affrontare due questioni spinose:

1)        Questi individui derivarono naturalmente da forme pre-umane e dunque erano sin dall’inizio… assolutamente mortali come noi.

2)        È ancor meno possibile in quest’eventualità di pensare ad un gesto «individuale» poiché non sarebbe possibile garantire che ad un livello di differenziazione sufficientemente postumo dall’originale differenziamento dalle forme precedenti, possa derivare da quell’individuo l’intera umanità successiva. Ad esempio: cosa dovremmo attenderci in caso di incrocio sessuale tra discendenti della frazione «peccatrice» e quella ancora non macchiata da quest’obbrobrio? Il fatto che la discendenza possa ereditare frazioni di peccaminosità, così come accade per l’ereditarietà genetica? Come si vede la questione diventa veramente tragicomica.

3)        Potremmo immaginarci allora una disobbedienza collettiva, dell’intera umanità originaria. Ma come è possibile in questo caso intendere il gesto compiuto da un’intera specie da un lato come individuale e personale e dall’altro immaginarlo essere immune dalla sfera inconscia che ancor oggi governa così ampia parte del nostro comportamento etico? Se un’intera umanità avesse peccato con tale totalità, senza alcuna eccezione, come possiamo non imputare tale evento – che sembra assumere più che altro il significato di un rifiuto di una realtà «umanamente inaccettabile» più che un contingente quanto cosciente gesto individuale – alla sola frazione cosciente, intellettuale, fredda e razionale? Questa eventualità dunque  conduce ad imputare una parte significativa di tale eventuale rifiuto collettivo… alla frazione più inconscia ed animale dell’uomo, più che alla sua evanescente e tremolante consapevolezza – specialmente in quelle ere – ovvero alla sfera naturale profonda dell’uomo… «voluta e creata» da Dio! Ovvero si rimanda la maggior parte della responsabilità di tale rifiuto allo stesso creatore. Una contraddizione palese!

Ecco dunque i problemi che si pongono davanti al teologo, che investono la dottrina cattolica in ambiti sicuramente lontani dalle questioni ed esigenze quotidiane del credente. Problemi devastanti, che hanno segnato uno scontro, e frizioni oramai secolari e irreversibili tra scienza e fede ortodossa. Ma noi siamo qui per risolvere, non per desistere o limitarci a commentare e criticare. Ebbene: cosa possiamo proporre?

 

La nuova proposta: antropologia del sacro

 

Torniamo al nostro Ådåm ed alla sua valutazione pluralistica. Cosa possiamo proporre di inedito a partire da questo primo punto fermo – ora che abbiamo visto essere così problematico? Passiamo a discutere del secondo punto, ovvero della: qualità dell’esistenza dei primi uomini prima del «peccato originale».

Abbiamo detto dei problemi sorti alla luce dell’interpretazione cattolica classica – per intenderci monogenistica. Se si analizza bene tale interpretazione e la si mette a confronto con la scienza moderna si vede subito quali sono i problemi che generano le maggiori controversie.

Essi sono:

1)      L’idea di immortalità dell’umanità originaria.

2)      Il dedurre che la morte fisica derivi dal peccato originale

3)      L’affermare che tale condizione sia tramandata per generazione naturale.

Ora deve essere chiaro che questi sono solo contenuti interpretativi cattolici e non carenze proprie delle narrazioni bibliche, che abbiamo visto risultano essere stilisticamente delle mitologie!

Il problema dunque può molto realisticamente derivare da interpretazioni inadeguate. I punti di cui sopra sembrano essere i contenuti che generano tutti i nostri problemi. Ebbene: questa interpretazione è corretta? Questi contenuti sono necessari per interpretare positivamente i testi della Genesi?

La risposta è no. È infatti possibile giungere ad una nuova interpretazione, al contrario della tradizione cattolica perfettamente in linea con le evidenze scientifiche e storiche di cui disponiamo, che dia significato concreto, verificabile, al mito del «peccato originale».

Per far questo bisogna ricorrere ad una evidenza scientifica molto chiara e decisiva, sinora ignorata. Torniamo un attimo ad accantonare le tematiche bibliche – ritorneremo tra un attimo – e rivolgiamoci alle scienze che studiano le diverse forme assunte dalle società umane conosciute e la loro evoluzione: l’etnologia, che si interessa del comportamento umano e l’antropologia culturale, che studia le caratteristiche delle culture umane.

Uno degli aspetti culturali più importanti in una società è costituito dalle idee religiose professate nella stessa: queste idee sono alla base sia del comportamento individuale e collettivo dell’individuo e hanno profondi legami con i vari aspetti della struttura sociale, politica ed economica.

Ora, lo studio delle culture primitive ci ha permesso di stabilire alcune costanti di fondo nelle varie società. Si è visto in particolare come, nel panorama mondiale delle culture umane conosciute, sia possibile stabilire l’esistenza di due differenti forme standard di espressione religiosa.

Una è costituita da concezioni religiose in cui, oltre alla funzione creativa della divinità si afferma una sua supremazia etica sull’individuo, un suo attivo interessamento per le scelte fatte dall’uomo nella sua esistenza terrena, in funzione delle quali ogni uomo, alla fine della sua vita mondana dovrà subire un giudizio con cui potrà essere destinato o ad un’esistenza felice nei vari Paradisi, oppure ai tormenti ed alle pene eterne di inferni – o quant’altro. Questo tipo di religioni, che costituisce una vera e propria classe, raggruppando molte religioni attuali, comprende confessioni come l’islamismo, il cattolicesimo, il protestantesimo etc. etc. È una classe (che indicheremo con la lettera (A) ) molto diffusa su tutta la terra e costituisce ai nostri giorni il grosso del mondo religioso, annoverando miliardi di fedeli al loro seguito.

La seconda classe di religioni è costituita da forme di credenze religiose oggigiorno sempre meno diffuse sulla faccia della terra, oramai relegate nelle culture umane attuali più marginali e meno progredite. Il motivo di questo loro declino è dato dal fatto che questa seconda forma di sistemi religiosi, di cui ora tratteremo, sembra essere tipica di società poco evolute tecnicamente, giuridicamente ed economicamente: le società primitive.

Eppure, ad onta di questa loro esiguità, questa seconda classe (B) rappresenta per lo studioso un’evidenza molto importante, innanzitutto perché questo tipo di religioni sembra rappresentare la forma religiosa più primitiva e fondamentale, da cui – tramite però dei drastici cambiamenti, che potremo intendere come vere e proprie mutazioni – è sorta poi la precedente classe di cui sopra, a noi così usuale e nota.

Questa classe delle religioni più antiche accoglie al suo interno religioni in cui la divinità non esercita alcuna ingerenza e funzione etica nei confronti dell’uomo. In altre parole in queste religioni l’uomo non è minimamente tenuto all’osservanza di norme divine in funzione della quale, nella sua esistenza d’oltretomba, sarà sottoposto ad un giudizio analogo a quello che abbiamo visto precedentemente. In queste religioni dunque l’individuo, pur seguitando ad immaginare l’esistenza di una vita d’oltretomba, non è coinvolto in quel meccanismo di subordinazione etica che poi deciderà il suo destino futuro nell’oltretomba. In esse l’individuo è in grado di godere di un rapporto spirituale con Dio in cui mantiene intatta la sua libertà, la sua indipendenza etica. Anzi la divinità è positivamente disposta a riconoscere all’uomo, ad ogni uomo, questo sacro diritto.

Ora, per fissare le idee si propone di indicare la prima classe, (A), con il termine di Teoetotomie – dalle radici Theo=Dio, ethos=etica, tomia=divisione – al fine di distinguerle dall’altra classe (B) che indicheremo d’ora in avanti con il termine religioni – scritto in corsivo.

Di conseguenza andremo a distinguere le due forme: teoetotomie da un lato e religioni dall’altro. Qual è l’importanza di questa distinzione? E cosa significa tutto questo nel nostro intento di risolvere il mito del «peccato originale»?

Per capire la questione occorre innanzi tutto mettere in evidenza alcuni aspetti e determinate conseguenze di questa divisione tra teoetotomie e religioni.

Per esempio: le religioni sembrano essere la forma di religiosità più antica mai professata dall’uomo. Ora, le prime tracce di religiosità sembrano risalire a tempi assai lontani. Una delle manifestazioni che più di ogni altra sembra collegata con una qualche forma di religiosità sembrano essere le cerimonie funebri. Ebbene si hanno testimonianze di queste cerimonie risalenti a decine di migliaia di anni or sono. Clamorose sono le testimonianze funebri addirittura di un nostro cugino, ora estinto: l’uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis). A Shanidar, in Iraq, negli anni ’50 è stato ritrovato uno scheletro disteso su di un letto di fiori  risalente a circa 60.000 anni or sono.

Ora un aspetto importante delle religioni è che queste forme di religiosità risultano tipicamente diffuse in società poco evolute, quali ad esempio quelle delle culture dei «cacciatori raccoglitori di cibo» che costituiscono la forma di struttura sociale in cui l’uomo ha vissuto la maggior parte della sua esistenza. Questa è la forma con cui l’uomo vive ancora oggi, ed ovviamente è la forma con cui è vissuta tutta l’umanità presente sulla terra nelle ere anteriori alle origini delle culture storiche, di cui abbiamo testimonianze scritte. Infatti, mentre le religioni sono diffuse tra queste forme semplici e poco strutturate di società, le teoetotomie sono tipicamente collegate con le forme moderne, urbane, di società a potere centralizzato che si sono iniziate a diffondere sulla faccia della terra solo da qualche migliaio di anni a questa parte. Ecco perché nella nostra cultura ritroviamo così costantemente i modelli teoetotomistici. Questo collegamento tra tipo di religione e modello sociale è molto forte ed importante per comprendere gli aspetti particolari e profondi una data cultura e risulta molto ben verificato sia dall’antropologia culturale che dall’etnologia.

La divisione tra teoetotomie e religioni ci permette anzi di osservare nell’ambito delle credenze religiose un forte parallelo con quella divisione che solitamente viene proposta tra le società dette pre statuali, tipiche di livelli semplici di organizzazione sociale, dove si assiste ad una esigua stratificazione sociale ed una limitata frammentazione sociale e le forme statuali successive, tipiche degli culture e nazioni moderne, in cui si osserva l’esistenza di considerevoli gerarchie sociali, forte divisione in classi ed una spiccata divisione del lavoro. È come se a livello di concezioni religiose si rifletta l’ordine sociale. Pensando poi a come nel passato le società che oggi costituiscono la forma democratica moderna siano tutte passate attraverso forme di governo gerarchiche, monarchiche ma principalmente e comunque teocratiche, si rileva il rilievo di questo parallelismo e le sue ragioni profonde.

Questo è immediatamente evidente nel prospetto successivo, dove vengono raggruppate le varie forme di società – con e senza classi sociali – e le concezioni religiose e teoetotomistiche tipicamente diffuse nelle varie culture.

 

 

Società

 Divinità attive sul piano della moralità

Con Classi Sociali

Senza Classi Sociali

Presenti (Teoetotomie)

25

2

Assenti (religioni)

8

12

 

Adattato da Marvin Harris “Antropologia Culturale” Zanichelli edit. Bologna, 1990 - pag. 269

 

Ora una prima osservazione è che… se facciamo una considerazione puramente logico filosofica l’una delle due classi è del tutto infondata. Queste classi infatti affermano concezioni teologiche l’una assolutamente contraria all’altra. Semmai un Dio esiste… o è l’uno o l’altro. Questo è inequivocabile.  Ed è questa una considerazione che ora metteremo da parte – come al solito non per tanto – ma che ci ritornerà molto utile tra non molto.

Un commento su quanto detto sopra. Se vogliamo giungere ad una ricostruzione storico evolutiva sia del nostro passato biologico che del nostro sentimento religioso che sia sufficientemente comprovata a livello scientifico dobbiamo tracciare grosso modo questo quadro. Durante la sua evoluzione biologica e psichica l’uomo giunge a concepire concetti come quello di Dio e di sopravvivenza nell’oltretomba: questi sono i concetti cardine su cui si baserà tutta la sua religiosità. All’inizio questi concetti erano intesi – senza alcun problema – in credenze di tipo religioso. Possiamo affermare questo perché per millenni, e sicuramente per la maggior parte della sua esistenza l’uomo è vissuto organizzato in tribù, società poco gerarchizzate, molto comunitarie, quali quelle dei cacciatori raccoglitori di cibo le quali per l’appunto – come dimostrano le attuali ricerche etnologiche – risultano strettamente associate a sistemi di credenze religiose, dunque non teoetotomistiche.

Valutando che questo tipo di organizzazione sociale è stato mantenuto sino ad oggi – seppur in lande sempre più recondite – e che le forme stratificate di società (A) cominciano ad essere presenti sulla faccia della terra al più a partire dai 10/12.000 anni or sono, la forma di religiosità (B) risulta essere quella che ha quasi totalmente accompagnato l’uomo nel suo viaggio ideale nel mondo del sovrannaturale, al cospetto del concetto di Dio! Un evidenza importante.

È chiaro che a partire dall’epoca in cui iniziarono ad affermarsi le prime società stato –quasi senza eccezione rappresentate da teocrazie – si è assistita ad una sorta di sostituzione tra le due modalità, così come può essere osservato nella figura 1.

Fig. 1

Un ultima considerazione ci permette di cogliere l’importanza di questa trasformazione sotto vari punti di vista. Un’inquietante conferma di quanto tale evento sia da intendere come una profonda rivoluzione è data dalle opinioni di tutti i maggiori studiosi che si sono interessati dell’origine della nuova società statuale, dell’avvento dei prototipi delle società moderne, i quali hanno addirittura coniato un termine – Neolitico – per indicare quell’importante momento dell’evoluzione culturale umana in cui si osservò un vero e proprio passaggio di uno spartiacque culturale, al di là del quale l’uomo trovò le società moderne. Vedi fig. 2.

 

Fig. 2

Una volta realizzata tale trasformazione l’uomo non potrà più tornare indietro… Si creano infatti viscosità ed impedimenti sociali tali da impedire qualsiasi inversione di rotta. Ed il risultato fu che l’uomo smarrirà per sempre questo originario – e gratificante – concetto del sacro.

Il passare dalle società senza classi alle società con classi cosa comportò all’uomo in ambito religioso? È chiaro che a questo passaggio corrisponde, sotto il profilo religioso, un passaggio da forme di credo religioso a forme teoetotomistiche.

Ovvero, alla trasformazione culturale fa eco quella delle concezioni cosmologico religiose. E questo è estesamente comprovato dall’odierna antropologia comparata e dall’odierna antropologia religiosa, che si intende per l’appunto delle forme di religiosità in relazione alle forme delle società umane. Abbiamo dunque un parallelo tra il passaggio da forme religiose – associate a culture preclassiste – a forme teoetotomistiche – associate a culture classistiche – che verifichiamo nel cambiamento dell’ordinamento sociale.

E di questo aspetto abbiamo una gran mole di elementi storico scientifici.

Ma a noi interessa ora tornare alle questioni inerenti l’interpretazione del libro della Genesi, ed in particolare del cosiddetto evento del  «peccato originale».

Cosa possiamo trarre di valido da questa nostra indagine in tal senso? Ebbene, la trasformazione di cui abbiamo parlato sinora, che sembra a prima vista solo un aspetto formale, di contorno, di poco risalto per l’individuo, per le nostre questioni, risulta in realtà nodale, decisiva.

Infatti, se ci accingiamo ad analizzare gli aspetti più significativi a livello personale, individuale, possiamo fare una importante considerazione. Potremmo infatti esprimere un contenuto molto forte e significativo legato alla distinzione tra teoetotomie e religioni: possiamo infatti affermare che le teoetotomie sono religioni in cui sia contemplato il concetto di peccato. Mentre le religioni sono sistemi religiosi in cui non esiste alcun concetto di peccato.

Possiamo altrimenti dire che le teoetotomie sono religioni in cui i credenti si colgono come peccatori davanti a Dio e dunque nutrono sentimenti di sudditanza, di obbedienza etica, ed eventualmente di sensi di colpa, al fine di potersi salvare dalle conseguenze del peccato, della loro natura intrinsecamente peccatrice, mentre nelle religioni i credenti, pur credendo in Dio e sentendosi in grado di superare la morte tramite un’ipotesi spiritualistica e non si considerano minimamente peccatori. Per loro l’accesso alle dimensioni d’oltretomba è del tutto gratuito, indifferente dalla loro condotta etica nella vita terrena!

È chiaro che tale considerazione spiazzi profondamente le nostre convinzioni: siamo così abituati ad associare al concetto di Dio certi contenuti che ci sembra quasi blasfemo affermazioni così drasticamente differenti. Assolutamente inconcepibili.

Eppure è proprio in questo modo che l’uomo ha vissuto il suo rapporto con il sacro, con Dio, per la quasi totalità della sua esistenza terrena. Questo è quanto hanno sperimento in migliaia di anni milioni e milioni di uomini. Solo nell’ultimo, brevissimo spezzone dell’esistenza delle società moderne il concetto del sacro ha visto l’attuarsi della trasformazione da modelli religiosi a teoetotomistici.

Superato lo smarrimento e l’incredulità, possiamo – per chi voglia – analizzare ancora un attimo la questione  - siamo oramai all’epilogo, che riuscirà a chiarire l’intero modello interpretativo proposto. Si provi infatti ad immaginare come potevano sentirsi i credenti delle religioni.

Quali esperienze e quali contenuti del sacro si possono esprimere in una religione rispetto ad una teoetotomia? Cosa si prova a sentirsi assolutamente non peccatori, in altre parole, sentendosi intrinsecamente liberi eticamente anche davanti a Dio?

Non penso sia necessario indicare più di tanto la gratificazione e la soavità che emerge da questa concezione. Una concezione in cui si è irrimediabilmente puri, in cui non ci sono più paradisi da guadagnare, niente più palestre di salvezze, in cui rincorrere disumani sogni di santità, o se vogliamo, la necessità di sfuggire da orrende condanne.

Immaginare di disporre, volenti o nolenti di un’esistenza sovrannaturale, di essere un’espressione pura del progetto divino, di sentirsi espressione di una essenza sovrannaturale che non verrà minimamente condizionata dalle scelte terrene può suonare sulle prime a scandalo – specialmente per i credenti comuni della nostra società. Già si possono immaginare le reazioni scandalistiche, gli anatemi e le fosche tinte che si possono evocare in certi ambienti. Si possono già intravedere le turpi e blasfeme visioni di uomini che iniziano a concedersi senza alcun freno i più sfrenati e disinibititi piaceri, di uomini e donne che, sollevati da qualsiasi coercizione e norma morale, inizierebbero a degenerare in comportamenti tra i più violenti, efferati, edonistici, egocentrici, a non frapporre più alcuna barriera a comportamenti licenziosi e immorali. Un crollo definitivo della virtù e della civiltà, un decadimento verso la barbarie, la sopraffazione intesa come piacere, l’abbrutimento animale e l’esercizio della violenza, la prevaricazione sociale allo stato puro portata addirittura all’ennesima potenza dal fatto di potersi sentire addirittura soggetti divini, sovrannaturali.

Sono sotto gli occhi di tutti le nefandezze e gli orrori indicibili legati ad ogni attimo della storia in cui l’uomo si è convinto di essere investito di poteri e prerogative superiori, divine. La morte della società, dell’esistenza del consorzio sociale, della democrazia e del rispetto della dignità umana: ecco la sintesi di tali visioni.

Eppure, se restiamo ai soli fatti e non ci facciamo suggestionare dalle immagini evocate da rancorose, vuote quanto ipocrite cassandre, possiamo serenamente osservare che questi timori, questi quadri a fosche tinte… non hanno alcun fondamento, alcuna base concreta. Sono solo stereotipati ed infondati timori, solo vuoti luoghi comuni… esternazioni che trasudano livore e rancore fondamentalisti, tese solo a mascherare ignoranza, ipocrisia, addirittura incapacità di aver fiducia in quel che si vuol intendere come creato. Queste sono solo le vere manifestazioni dovute  all’essere schiavi del concetto di peccato diffuso dalle concezioni teoetotomie di cui… certe persone sono figlie! E questo apparirà in tutta la sua rilevanza nella misura in cui si comprenderà la portata della nostra analisi di questi argomenti.

La ricerca etnografica ci testimonia innanzi tutto, e con dovizia di particolari, che niente di tutto questo è presente nelle culture in cui siano affermate credenze religiose. Le culture religiose anzi ci testimoniano l’esistenza di norme di vita improntate molto più di quel che osserviamo nelle nostre società su collaborazione, empatia e rispetto e dignità umana.

Tali culture brillano davanti ai nostri occhi per contenuti ben diversi da quanto espresso da tali timori: sono infatti culture in cui l’aggressività interpersonale è molto minore di quella a malapena ottenuta presso le società moderne spesso grazie alla dissuasione costituita da norme penali molto rigide e da efficaci sistemi di polizia e di controllo sociale assolutamente  sconosciuti da tali comunità. L’individuo medio di tali culture che, con sufficienza, indichiamo come primitive, risulta invece dotato di altruismo, abile nelle mansioni tecniche, dotato di un’ingente cultura tecnico naturalistica e culturale, scrupoloso osservante delle leggi sociali. Nel prototipo del componente medio delle culture religiose si osserva una spiccata affermazione degli aspetti socio comunitari, del rispetto dell’altro, un esteso livellamento di ogni eccessiva differenza sociale. Queste società aborriscono ogni comportamento smaccatamente individualistico ed asociale, ogni forma di sfruttamento, violenza e prevaricazione, ogni eccessivo accumulo di potere sociale anche tramite forme di ostracismo comunitario molto efficaci.

Non possiamo più immaginare i nostri avi in quel cliché di orde sudice e lerce, costituite da soggetti dediti ad ogni violenza, turpitudine e prevaricazione che la nostra cultura ha tratteggiato per secoli senza alcun elemento di riscontro. Questo è solo uno stereotipo ideologico oramai consunto, sbiadito e sconfessato dall’odierna indagine etnografica: un residuo xenofobo e razzista di una presunzione di superiorità etnocentrica del mondo occidentale sulle altre culture. Qualcosa di assolutamente infondato alla luce delle attuali ricerche e risultanze scientifiche.

Dunque… possiamo iniziare a togliere fiato a tali foschi timori. E possiamo far questo anche grazie ad un’ulteriore serie di evidenze provenienti dalla scienza che studia gli effetti dei fattori culturali sul comportamento e la personalità dell’uomo: l’etnologia comparata.

Da questa disciplina, e parallelamente dalla psicoanalisi, giungono infatti i due ultimi e decisivi contributi, che ci permetteranno infine di disporre di tutti i pezzi in un mosaico il quale , una volta definito, ci condurrà ad una soluzione positiva ed inedita dei nostri interrogativi.

Dall’etnologia comparata e dalla psicoanalisi infatti possiamo prendere in prestito importanti considerazioni in relazione di due aspetti di rilievo:

1) L’influsso della specifica forma di società nell’indirizzare mediamente il comportamento dei suoi componenti verso mete sociali e schemi comportamentali graditi al sistema socio economico.

2) L’influsso delle norme di una società – e parallelamente dei contenuti formali e ideali delle concezioni religiose – sullo sviluppo della personalità individuale.

In merito al primo punto possiamo osservare come lo sviluppo dell’individuo sia fortemente condizionato dalle particolari convinzioni e dalle mete sociali definite dal sistema socio economico. Ogni cultura afferma i suoi stereotipi, impone i suoi standard ideologici, culturali e socio-economici. Ovvero definisce e sostiene tutta una serie di aspettative e di comportamenti privilegiati da ciascun sistema sociale, che segnano in modo profondo lo sviluppo dell’individuo, condizionando la definizione delle sue mete sociali e addirittura dei suoi gusti. Si pensi, solo per fare un esempio comune, quanta parte degli investimenti delle industrie sia mirata a conquistare consensi dei consumatori – anche con forme raffinate quanto subdole di marketing e pubblicità. Si pensi altresì all’altrettanto subdola e continua propaganda messa in atto da regimi come quello della Germania nazista del Terzo Reich, od al culto della personalità che è stato edificato nella Russia bolscevica di Lenin e Stalin, nella Cina di Mao, ed i risultati addirittura mostruosi conseguiti tramite un indottrinamento politico culturale fondato sulla xenofobia, sul razzismo, su ogni nazionalismo, ogni opposizione etnica, religiosa e culturale. E non dobbiamo dimenticare la propaganda ideologica che anche ai giorni nostri, nelle nostre democrazie, solitamente segue non solo la presentazione di eventi politici di risalto internazionale, fatti culturale di particolare interesse, manifestazioni elettorali etc., ma che permea anche la vita normale di ogni giorno mediante mass media che propinano ripetutamente, vuoi tramite soap opera, cinema, letture, talk-show e via dicendo, stereotipi sociali, norme e gusti individuali condivisi o confacenti col sistema socio economico dominante.

Ora, in merito a tutte queste influenze dobbiamo mettere in particolare evidenza come l’accrescimento psichico dell’individuo sia condizionato dal confronto ideale che ciascuno deve necessariamente attuare – in particolare a cominciare dall’infanzia – nei confronti dei genitori ed educatori prima, nei confronti delle norme della società nel suo complesso poi.

Cosa possiamo osservare in tal senso? Un contributo procede dalla psicoanalisi – ed in generale la psicologia moderna.

 

Il contributo della psicoanalisi

 

Ora, in merito ai problemi derivanti dalla distinte influenze mediate dall’ambiente parentale e sociale in cui l’individuo si forma, è importante ricordare, ai fini della nostra discussione, il concetto di Super-Io. Questo importante concetto, formulato da Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, rappresenta in sostanza la modalità con cui i precetti, le regole etiche di una società vengono progressivamente interiorizzate nel tempo da ciascuno di noi. L’individuo è in grado di far proprie tali norme di comportamento e continuamente si trova a tener conto di queste regole etiche interiorizzate a partire dall’infanzia per tutta la sua vita.

Ma nello stesso tempo si trova a fronteggiare le spinte, o pulsioni, provenienti dalla sua essenza naturare, biologica profonda che fanno giungere alla sua coscienza, come se provenissero da un profondo ed oscuro ripostiglio psichico – il cosiddetto Es – esigenze, desideri, spinte emotive sovente inaccettabili al Super-Io. Tra queste componenti, da un lato la fonte di inesauribile spinta interiore, l’Es, e dall’altro le inflessibili esigenze normative del Super-Io, si troverebbe ad agire il nostro Io, il nostro essere «Io cosciente», il nostro Sé, la «prima persona» del nostro agire, sentire, valutare memorie, aspettative e composizioni delle esperienze passate.

Il nostro Io deve dunque continuamente mediare tra le spinte dell’Es e la vigile supervisione del Super-Io, cercando di imbrigliare e comporre le esigenze spesso contrastanti di queste due antitetiche istanze incessantemente coesistenti con ogni nostro attimo e sospiro di vita.

Freud rappresenta dunque la psiche umana come una sorta di goffa entità composta da tre istanze. Vedi fig. 3. E questa, secondo la psicoanalisi, sarebbe la struttura dell’adulto della nostra cultura occidentale.

La psicoanalisi è nata da correnti di pensiero e osservazioni fatte proprie da studiosi di cultura occidentale, dunque abituati, o se vogliamo assuefatti  – sotto il profilo religioso – a forme di fede esplicitamente teoetotomistiche, in cui l’individuo si poneva indifferentemente davanti ad un Dio che assumeva in sé esplicite caratteristiche di autorità morale, di censore etico. Un Dio davanti al quale l’individuo può, e deve, porsi solo ed esclusivamente nelle vesti di creatura inferiore, fallace, peccatrice, intrinsecamente corrotta, anelante di ricevere sì amore da tale divinità – sempre e comunque in funzione della sua obbedienza ai precetti divini e della sua capacità di superare le spinte peccaminose che lastricavano la sua esistenza.

L’individuo di una cultura teoetotomistica come la nostra si colloca rispetto a Dio su di una condizione di netta inferiorità, condizionato com’è dalla stessa convinzione religiosa di essere intrinsecamente creatura imperfetta, peccatrice, la quale spesso può aspirare al massimo di poter essere oggetto della grazia dell’amore divino. Un amore che esige – o se vogliamo dovrebbe stimolare – l’individuo ad esprimere altrettanto.

Al di là di questo dobbiamo osservare un fatto, inerente alla classificazione tra teoetotomie e religioni. La suddivisione della psiche su esposta attribuisce al Super-Io un ruolo decisamente importante in molti dei casi patologici che lo stesso Freud analizzò.

Anzi, in tale istanza egli osservò perfettamente impersonato lo stesso concetto del Dio morale che, comunque sia, caratterizza ogni teoetotomia. Addirittura Freud ipotizzò che il Super-Io fosse l’espressione, la traduzione psico anatomica del concetto di autorità esterna che, vuoi nelle vesti del padre patriarcale o ancor più della divinità, l’individuo interiorizza profondamente in sé nel corso della sua esistenza. In più Freud interpretò tutto ciò come espressione connaturata nella psiche umana, di dinamiche altrettanto universali e concluse che la formazione del Super-Io ed i suoi collegamenti genetici con la figura di Dio possano collegarsi alle dinamiche psicologiche che avrebbero dovuto condurre l’uomo all’origine della concezione di un Dio morale. È superfluo ricordare che questa analisi contribuì a definire l’atteggiamento esplicitamente ateo di Freud ed a far sì che per il padre della psicoanalisi – e poi per tutta la corrente di pensiero psicoanalitico – il concetto di Dio debba essere inteso quale conseguenza di fissazioni psicologiche, addirittura espressione di dinamiche psicopatologiche. Una serie di conclusioni che posero la psicoanalisi tra gli esponenti più acerrimi ed insidiosi di quell’ateismo che, specialmente a partire dagli inizi del ’900, si oppose in ogni modo e ambito ai credenti, ad ogni affermazione dell’esistenza di Dio.

In conclusione Freud estese la valutazione del Super-Io, del suo ruolo psichico, nell’interpretazione di molte forme psicopatologiche e, di conseguenza, lo incluse nel novero dei più importanti fattori a cui imputare l’origine e l’espressione di molte delle nevrosi e psicosi di cui l’essere umano è vittima. Si tenga in evidenza questo aspetto: si cominciano ad intravedere profonde implicazioni tra concetto di Dio e sofferenza umana! Ma andiamo avanti.

Ora, quel che Freud scoprì e sostenne sulle connessioni tra Super-Io e credenza di Dio risulta essere effettivamente vero ed è stato confermato ed ampliato in tutte le ricerche psicoanalitiche successive. Il problema che noi dobbiamo affrontare è: come possiamo comporre le sue osservazioni in base alla nostra suddivisione del sacro in teoetotomie e religioni? Alla luce di questa classificazione possiamo osservare che le conclusioni di Freud – ed in generale della psicoanalisi – sono sostanzialmente valide, ma lo sono solo ed esclusivamente per qualche riguarda le società teoetotomistiche. Infatti nelle società religiose tutte le connessioni tra Dio morale e Super-Io e, di conseguenza, tutte le nevrosi derivate da istanze ipertrofiche, ovvero sviluppate in modo abnorme, eccessive, del Super-Io, in grado di esprimere una censura penosa e violenta, capace di far sorgere nel soggetto devastanti ed umilianti sensi di colpa, di inadeguatezza e quant’altro… sono serenamente, del tutto assenti. Ovvero nelle forme religiose la connessione tra Dio morale e Super-Io evidenziata da Freud è totalmente inesistente. Infatti nelle forme religiose l’individuo adulto può addirittura giungere ad un riassorbimento del Super-Io – o quanto meno di ogni sua ipertrofia – nella misura in cui riesce a prendere coscienza della sua autonomia etica. Riportiamo la differenza tra i due profili della psiche nella fig. 4.

In essa possiamo osservare come in un quadro religioso si possa giungere ad una fase «adulta» in cui l’individuo, giungendo alla presa di coscienza del proprio diritto all’autocoscienza, anche e soprattutto davanti a Dio, il che implica, a livello psicologico, un esito importante: il riassorbimento del Super-Io. O quanto meno il riassorbimento dei livelli ipertrofici del Super-Io, in particolare di quelli che esprimono contenuti censori e repressivi più direttamente riconducibili all’esperienza del sacro. In altri termini, quella componente del Super-Io che solitamente l’analisi classica della psicoanalisi riconduceva all’influenza etica del sacro – e che considerava tra i fattori da cui potevano originarsi pesanti psicopatologie – viene a dissolversi perfettamente nelle religioni.

Di conseguenza l’individuo non subisce più senza scampo gli imperativi di un Super-Io che esprime in forma interiorizzata le norme – ed il ruolo censorio, la figura morale ed intransigente, al cui «sguardo» nulla sfugge – emanate dalla divinità. Questo equivale a dire che nel Super-Io dell’individuo religioso non riecheggiano affatto i caratteri censori solitamente attribuiti alla divinità nelle teoetotomie – e di conseguenza l’individuo religioso non subisce più l’azione del suo Super-Io nelle modalità in cui solitamente quest’istanza risulta veicolare – nelle teoetotomie – la condizione di subordinazione etica del soggetto davanti a Dio.

 

 

Fig. 4

 

Cosa comporta questo sorprendente fatto? Né più né meno permette una prassi esistenziale totalmente diversa, contraddistinta sia da un’espressione serena e razionale dell’indipendenza etica del soggetto e di concerto una responsabilizzazione dell’individuo impreziosita dalla consapevolezza e percezione della propria, positiva valenza soprannaturale e dal gratificante, netto e puro esercizio della propria autonomia etica. L’individuo poi non deve più ricorrere ad una concezione puramente immanente della propria essenza ed esistenza – spesso inadeguata alle sue aspirazione. Ogni sua scelta è allora intrisa dalla consapevolezza sia della possibilità del soggetto di esprimere scelte personali e responsabili che dalla necessità di riconoscere praticamente in ogni scelta un rispetto molto equilibrato sia delle proprie esigenze – non più esclusivamente mondane – che dell’attribuire all’altro la stessa «sacralità» che si riconosce in se stessi.

Tutto questa costellazione di valori e di concezioni del proprio sé, dell’altro e della realtà in cui si è posti, viene dunque inevitabilmente smarrito non appena, come avvenne con la diffusione di modelli teoetotomistici, la divinità iniziò ad arrogarsi il diritto di definire i canoni di comportamento della creatura umana, non appena iniziò ad esprimere un ruolo etico – magari in collegamento all’idea che la vita d’oltretomba possa essere condizionata all’obbedienza dell’individuo nella vita terrena: un deterrente psicologico ed una costrizione morale orrendi e potentissimi, uno strumento di condizionamento e controllo delle coscienze d’ineguagliata potenza ed efficacia, da cui è pressoché impossibile sfuggire o liberarsi con le proprie forze.

Ebbene: possiamo immaginare cosa possa implicare per un individuo questa orrenda trasformazione teologica. Un ineluttabile smarrimento, se non una perdita mortale di quel profilo sublime che, al contrario, le religioni avevano proposto all’uomo: dunque una vera e propria «morte» di quell’essere «immagine e somiglianza di Dio» in forza della presunta natura sovrannaturale condivisa e confortata dalle originarie teologie religiose. Quel profilo fu smarrito, irrimediabilmente perso per l’uomo: e così l’uomo fu pronto ad essere privato della propria libertà, fu pronto ad essere sfruttato socialmente ed infine sacrificato nelle fornaci dei Marduk, dei Baal e degli Jahweh, delle orrende divinità teoetotomistiche che gremiranno drammaticamente tutta la storia umana successiva.

L’uomo è dunque spogliato della sua libertà etica, del suo diritto e responsabilità di essere totalmente espressione della sua libera e ponderata autocoscienza, alienato dalla gratificazione di esercitare liberamente quanto responsabilimente delle proprie scelte etiche.

L’uomo libero, adulto, responsabile, «l’immagine e somiglianza di Dio» creata da Dio si volatizzò parallelamente alla scomparsa degli ideali religiosi e fu lentamente ma ineluttabilmente sostituito dal pauroso e tremante suddito, dall’indegno peccatore delle teoetotomie, nelle quali l’individuo vende la sua anima, il suo orgoglio e la sua dignità al suo Dio teoetotomistico in cambio della propria salvezza.

Questa alienazione è fondamentale. Ed è un’alienazione che fa smarrire il profilo di creatura responsabile e libera che, ogni riflessione teologica che si rispetti, giunge ad immaginare come espressione suprema di ogni intento creativo ipotizzabile. Ed è un’alienazione che suona ancor più macabra, ancor più devastante qualora si provi ad immaginare come tale transazione teologica possa aprire all’uomo le macabre porte dapprima di uno sfruttamento sempre più forte e pervasivo dell’uomo sull’uomo, e poi – come la stessa psicoanalisi ci ha diffusamente dimostrato – come ciò possa condurre – tramite l’innesco di meccanismi psicologici spesso assolutamente non coscienti – ad una sempre più penosa espressione delle profonde patologie psichiche di un essere niente affatto adattato a subordinare la sua più eccelsa prerogativa di esprimere la propria libertà etica per divenire schiavo indegno del peccato, ente corrotto per eccellenza della creazione. Un’alienazione resa ancora più macabra dal fatto che tali degenerazioni sono poi fatte riemergere, di generazione in generazioni sia a causa della degenere dottrina teoetotomistica sia dall’assurgere a norma culturale delle stesse degenerazioni psicopatologiche. Un meccanismo dunque perverso, autoreplicantesi, che trova proprio nella sua radice culturale il fattore che scatena e perpetua tale dinamica come un vero e proprio morbo pestifero.

Ebbene: possiamo ulteriormente esprimere in modo sintetico ed efficace questa orrenda degenerazione? È strano, ma possiamo mettere in risalto gli aspetti nodali di queste nostre considerazioni in relazione al passaggio dalle forme religiose a quelle teoetotomistiche ricorrendo a termini molto «indicativi» e nello stesso tempo capaci di folgorarci con la loro immediata chiarezza.

Possiamo infatti intendere le religioni e le teoetotomie anche alla luce di un’altra loro sfaccettatura, ricorrendo ad un’altra espressione. Possiamo infatti intendere le religioni come dei modelli in cui sia sconosciuta la differenza tra Bene e Male. Mentre possiamo perfettamente definire le teoetotomie come modelli in cui sia conosciuta la differenza tra Bene e Male. Infatti nelle teoetotomie devono essere conosciute – tramite la necessaria affermazione dei contenuti delle norme etiche impartite dalla divinità – le modalità di comportamento morale «gradite» alla divinità del Bene rispetto al comportamento, ai valori etici da questa aborrita - al contrario «graditi» alla divinità del Male. Per inciso, vogliamo solo far notare, pur non approfondendo questo aspetto per motivi di sinteticità, come nelle teoetotomie, rispetto alle religioni, si debba necessariamente contemplare la presenza di un’entità opposta al Dio creatore – come è facile intuire. Ma questo fatto, non adeguatamente valutato dalla teologia ortodossa, non può che implicare lo smarrimento del concetto monoteistico – con tutte le gravi complicazioni teologiche conseguenti.

Ma andiamo avanti. Eccoci giunti al momento di raccogliere tutti gli aspetti accennati per definire la risposta alle originarie questioni.

Proviamo ad immaginare, alla luce di quest’ultima definizione di «conoscenza o meno del Bene e del Male», cosa possa consistere il passaggio da forme religiose a forme teoetotomistiche. Possiamo letteralmente indicare questa transizione come il passaggio da una dimensione in cui l’uomo «non conosce la differenza tra Bene e Male» ad una dimensione in cui l’uomo giunge a «conoscere la differenza tra Bene e Male».

Ricorrendo ad un'altra precisazione possiamo altresì affermare che passare da sistemi religiosi a sistemi teoetotomistici significa iniziare a «conoscere la differenza tra Bene e Male».

Come si vede si riesce così a cogliere un’ulteriore, significativa sfaccettatura della questione. Possiamo allora accingerci ad un’interpretazione diretta molto esplicativa – pur ricordando come ci si trovi davanti ad una formulazione mitologica che dunque può essere intesa quale poetica ma efficace espressione di un diverso quanto reale evento?

Non abbiamo dunque che trasferire gli ultimi concetti alla narrazione biblica. È immediato allora vedere come si possa clamorosamente risolvere il mistero dell’albero della «conoscenza del Bene e del Male» alla luce di quanto sopra.

Adamo ed Eva, narra la Genesi, cibandosi «del frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male» giunsero ad avere «conoscenza del Bene e del Male». I loro occhi si aprirono, narra il redattore, e divennero capaci di discernere il Bene dal Male, ed alla vista di Jahweh che passeggiava nel giardino ebbero paura poiché erano nudi e si nascosero.

Si noti come tutti questi aspetti siano ora evidentemente chiari e comprensibili in nuova luce – ed anche il particolare della nudità verrà chiarito tra breve.

Il «cibarsi del frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male» dunque può realisticamente significare proprio questo fatto: l’infausta transizione socio culturale dalle religioni a teoetotomie. Un evento storicamente e scientificamente comprovato di cui possiamo cogliere (in stupefacente sintonia con la ricerca biblica che riconduce proprio a quei tempi e luoghi certi eventi!) sia la collocazione temporale – orientativamente all’intorno del 10.000 a. C. – che il luogo – il bacino medio orientale – e finalmente apprezzare anche e soprattutto in modo teologico tutta la portata e la devastante gravità per quel che riguarda ogni uomo.

Come si vede possiamo assolutamente abbandonare tutte quelle interpretazioni che così tanti problemi hanno creato con la scienza. Non è necessario pensare al peccato originale come a qualcosa che abbia corrotto la natura più profonda dell’uomo, alla stregua di un magico ed oscuro evento sovrannaturale, che abbia introdotto la morte fisica nel mondo. Non è affatto necessario pensare a modalità di trasmissione genetiche di questo evento; né è più necessario immaginare una derivazione dell’intera umanità dalla coppia capostipite costituita da Adamo ed Eva, né a prove e/o sedicenti tentazioni. Questi sono solo banali e asfittici residui di antiche concezioni magicistico oracolari, visioni di popoli lontani nel tempo oramai rese vane dalle moderne concezioni scientifiche e da 2.000 anni di progresso filosofico.

Basta impostare l’interpretazione di questi testi mitologici alla luce di una sana e concreta oggettività scientifica per ottenere riscontri chiari, concreti e perfettamente verificabili laddove l’interpretazione classica si contraddistingue per la sua incapacità esplicativa contorcendosi in improbabili quanto sterili virtuosismi dogmatico teologici.

E seppur ciò possa anche sembrare stupefacente per il lettore la prova più sconcertante quanto chiarificatrice di quanto detto è il fatto che lo stesso magistero cattolico non si fa problemi ad ammettere la sua più completa ignoranza sul significato dell’evento del peccato originale.

E basta consultare qualsiasi documento ufficiale per trovare conferma di questa affermazione.

 

Il ruolo della sessualità distorta

 

Comunque sia cerchiamo di chiudere il cerchio. Abbiamo visto come sia possibile proporre un’interpretazione suffragata da notevoli evidenze storiche e scientifiche. Vediamo di commentare ulteriormente questa nuova chiave di lettura. Rivolgendoci più direttamente alla narrazione biblica osserviamo un aspetto notevole: in essa si afferma che il più immediato effetto dell’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male sia dato dal fatto che Adamo ed Eva si rendano d’un tratto conto della loro nudità. Ciò ha nel passato condotto molti teologi a sostenere che il peccato originale abbia potuto esprimere connotati sessuali. Addirittura c’è chi ha pensato che possa essere consistito nel primo amplesso sessuale tra i due, sulla falsariga di un’identificazione forte e netta tra peccato e sesso.

In realtà, alla luce dell’ipotesi presentata, possiamo intendere anche questo aspetto in una modalità molto realistica – sempre in sintonia con correnti di pensiero proprie di importanti discipline scientifiche. Per andare al sodo possiamo immediatamente ricordare come nella psicoanalisi, ed in generale nella psicologia moderna, la sessualità umana – e principalmente ciò che deriva da atteggiamenti repressivi della stessa – assume un risalto decisivo nella definizione e comprensione di moltissime psicopatologie.

Le espressioni della sessualità – espressioni che in psicoanalisi assumono un significato assai più ampio di quello con cui si usa comunemente riferire la sessualità nel senso comune, ovvero di una spinta, una pulsione verso auto realizzazione e piacere, quest’ultimo inteso in forma ampia e differenziata – assumono nell’uomo un risalto fondamentale, specialmente in relazione allo sviluppo dell’individuo dalle fasi infantili, e costituiscono una base importante per determinare i tratti fondamentali della personalità.

Ora, uno dei risultati più innovativi dell’opera di Freud è rappresentato dall’aver fondato sulla gestione della sessualità, o meglio sullo sviamento delle pulsioni sessuali, uno dei principali fattori dell’emersione delle culture moderne. Freud infatti attribuì ad una sorta di ri-direzione dell’energia sviata dalle più dirette mete sessuali la spinta con cui l’uomo poté dare origine alle moderne società.

Questo moto positivo dell’uomo verso livelli culturale elevati ha comunque, secondo Freud, la sua contropartita: una necessaria repressione e/o sviamento del raggiungimento di determinate mete di natura sessuale – sempre in un’accezione del termine sessuale non limitata alla sfera sessuo-genitale. Secondo Freud infatti lo sviluppo della civiltà moderna, delle complesse strutture socio economiche che si osservano nelle odierne culture evolute è stato possibile solo a costo di uno sviamento, di un utilizzo in ambiti diversi da quelli originari della libido sessuale dell’uomo.

Parallelamente a Freud possiamo osservare come in tutti gli studiosi che si interessino dei temi connessi con l’antropologia culturale, l’etnologia e la psicologia sociale, si osservi un sostanziale consenso su questo aspetto. Lo sviluppo socio culturale sembra essere irrimediabilmente connesso con uno sviamento dell’energia lipidica dell’individuo – il che spesso e volentieri corrisponde proprio in una repressione delle spinte sessuali, frutto il più delle volte di una sorta di svalutazione culturale della sessualità in senso lato.

La fondatezza di queste dinamiche è facilmente apprezzabile ad un’indagine sia storica che psico-sociologica. Basta osservare ad esempio come molti tra gli atteggiamenti più stereotipati della nostra cultura occidentale pongano in risalto – in un’ottica di evidente apprezzamento – comportamenti e modi di fare in cui è evidente una sorta di occultamento, più o meno esplicito, della sessualità – magari a fianco di espressioni e comportamenti sessuali ipertrofici e spesso evidentemente psicopatologici, esplicitamente a-sociali, degeneri, violenti, disumani, ed estremi.

La questione è comunque complessa, essendo presenti forti ambivalenze, e si poi dovrebbe tener conto di come tutto questo venga anche differenziato con varie modalità anche a livello di differenze di sesso. Ma sostanzialmente possiamo sostenere come nelle culture moderne, spesso esplicitamente maschiliste e/o patriarcali, la sessualità sia espressa in base ad un’etica che come intenti espliciti conduce ad una sottrazione, occultamento e svilimento della stessa. È comunque importante notare come proprio da questo svilimento, quest’occultamento derivi – quasi come reazione organica – un atteggiamento di interesse spasmodico. Tutto questo sembra  indicare come si sia di fronte ad una dinamica di per sé complessa, in cui si possono concatenare  atteggiamenti  reciprocamente in antitesi, a suggello comunque sia della  centralità di quest’istanza nella strutturazione della personalità che della reattività spesso violenta, spasmodica della psiche umana di fronte a diverse condizioni esistenziali in gradi di intaccare le nostre esperienze sessuali – sempre nell’accezione estesa di cui sopra.

La sessualità è infatti intesa – specialmente in ambito teoetotomistico – principalmente come attività rivolta alla procreazione, e al di là di altri aspetti di rilievo della stessa, legati all’affettività coniugale, ed in generale si esprime una correlazione inversa tra virtù, e perfezione social religiosa, senza parlare poi di santità da un lato e attività sessuale dall’altro – tutti contenuti comunque assolutamente incapaci di evitare una sorta di eterna pruriginosità sociale per tale questione.

Basta osservare i cliché di moda nella nostra cultura. Ad esempio, l’ideale occidentale di regalità, potere, saggezza, sobrietà, serietà ed autorità sociale si esprime solitamente in canoni stereotipati incentrati su un’occultazione forte della sessualità, ovvero dei tratti genitali e/o di ogni espressione a riferimento sessuale più o meno esplicita, sublimando magari – in una sorprendente, parallela inversione – i tratti che, pur non manifestando esplicitamente alcun valore sessuale, costituiscono comunicatori sessuali fortemente sublimati: si pensi come nell’abbigliamento occidentale classico maschile, o di rappresentanza diplomatica, si abbia un occultamento totale le parti del corpo ad eccezione del viso e delle mani, unito magari ad un’ipertrofia del profilo delle spalle (carattere sessuale maschile occulto) ottenuta con vistose borchie e decori, od agli atteggiamenti pubblici dei politici più tradizionalisti e reazionari ed alle pose militaresche, da un lato aliene ad esprimere qualsiasi concessione alla dolcezza espressiva, dall’altro eventualmente ben disposte seppur in ambiti riservati ad un evidente tolleranza – se non ad un culto – degli stereotipi di mascolinità e misoginia, di durezza, di occultamento e svilimento delle emozioni più empatiche (è comunque da notare che questi caratteri sono propri della mentalità militare, ovvero dell’educazione alla durezza del  combattimento).

Rivelatrici sono ancora le evidenze che possiamo trarre dal galateo, dall’etichetta mondana: la cura maniacale della barba maschile – esplicita manifestazione sessuale da eliminare quotidianamente o comunque da comporre in modo netto e/o – il minimizzare il contatto fisico e la rotondità dei movimenti che osserviamo – spesso forzati od enfatizzati ad arte – in politici o nelle figure che vogliono esprimere potenza o sacralità. Al contrario possiamo tastare l’ambivalenza dell’argomento osservando come star del cinema, della moda e in generale dei mass media, sottratti dal dover veicolare certi messaggi, anzi rivolti a comunicazione di ben diverso contenuto, esprimano con atteggiamenti di vario tipo una apertura, disposizione spesso ipertrofica alla sessualità.

Tutto questo poi potrebbe essere valutato – con le conseguenti considerazioni – nelle differenze che si colgono nel momento in cui si vanno ad analizzare stereotipi e ruoli sociali di uomini e donne. A tal pro c’è da considerare un altro aspetto rivelatore della considerazione della sessualità nelle teoetotomie. Basta valutare l’atteggiamento verso l’espressione più ampia, totale e coinvolgente della sessualità, ed in stretta connessione della genialità: il ruolo e la considerazione sociale della donna. La donna, in cui sessualità e genitalità giungono ai massimi livelli di espressione esplicita risulta ridotta in tutte le teoetotomie conosciute – si noti sostanzialmente portatrici di una cultura maschilistico patriarcale – in ruoli sociali anche validi, ma comunque subalterni. Si pensi alle norme sull’adulterio ed alle consuetudini inerenti la verginità femminile, od a come la maternità, uno dei momenti più alti e sublimi della sessualità, ed in generale perno della stessa esistenza, sia stata pressoché rimossa dalla quotidianità nella nostra cultura, ridotta a momento tecnico, problematico, comunque collocato in un alone di incomprensibile pudore – al di là delle pur consone e naturali necessità – nel suo momento cruciale e topico.

E ben più significativo è osservare come la femminilità, espressione più eccelsa ed evidente della sessualità, venga da un lato sempre e comunque collocata in un ruolo subalterno di fronte ad uno stereotipo di mascolinità in cui vengono evidenziati, come dicevamo prima, non tanto empatia, dolcezza, passione, quanto una sessualità disaffettiva intesa come consumo, subordinazione, in cui prevalgono potere, freddezza emotiva, durezza espressiva, supremazia sessuale maschile.

Dall’altro si rifletta su come la stessa femminilità femminile venga orrendamente svilita e mortificata sia nella pornografia e nella prostituzione, come sia spesso ridotta in falsi stereotipi di donna sempre fortemente sublimati e maschilistici ancorché più innocui e miti. Si rifletta poi sul fatto che le teoetotomie affermino sovente norme sessuali clamorosamente difformi per uomini e donne. In molte culture chiaramente teoetotomistiche – e in tempi recenti questo avveniva esplicitamente anche nella nostra cultura –  le donne vengono ad esempio sottoposte a forti discriminazioni ed ostracismi sociali mentre nulla di questo avviene per l’uomo, specialmente in caso di comportamenti sessuali illeciti. È forse inutile ricordare come nel fondamentalismo islamico le donne possono essere condannate alla lapidazione per adulterio, mentre l’uomo riesce sempre a evitare tali condanne.

In generale dunque vediamo come nelle culture teoetotomistiche si abbia, sia in ambito teologico che sociale, una considerazione della sfera sessuale quanto meno molto più problematica di quanto possiamo invece trovare nelle religioni, e come questi tipici atteggiamenti di ostracismo e/o svilimento culturale della sessualità possano essere messi in relazione all’emersione di forme di comportamento patologico ed all’affermazione socio culturale di valori repressivi ed autoritaristici.

Orbene, nell’ambito del nostro discorso questa evidenza è quanto mai significativa. La divisione tra teoetotomie e religioni ha infatti la possibilità di farci identificare un ulteriore, importante aspetto. Nelle teoetotomie la maggior parte delle espressioni della sessualità sono costantemente viste in un profilo molto prossimo – se non esplicitamente coincidente – al concetto di peccato; in tutte le teoetotomie conosciute la sessualità è uno degli ambiti in cui la divinità esprime una cospicua frazione della sua azione morale. I costumi sessuali sono infatti fortemente soggetti a norme anche molto rigide di origine divina. E questo è comprensibile vista la centralità ed il rilievo di questa sfera del comportamento umano.

Al contrario nelle religioni non è possibile riscontrare nulla di questo, visto che in esse la sfera etica non è compresa. Ma si faccia attenzione: questo non implica che in questi ultimi modelli la sessualità non sia socialmente sottoposta ad alcuna normativa etica. Non dobbiamo minimamente cadere nella banalità di considerare queste culture come regni della dissoluzione e della promiscuità. Le indagini etnologiche sconfessano questo vuoto luogo comune, al più comprensibile nelle concezioni di scarso rilievo di secoli oramai passati da un pezzo.

Il fatto è che la sessualità, al pari delle altre norme sociali, viene regolata da regole laiche, originata dall’interno della società, dagli stessi componenti della società e non provenivano minimamente dalla sfera religiosa. E questo è un aspetto molto importante.

Quel che infatti possiamo capire dei modelli religiosi è innanzi tutto che questi, non contemplando nelle loro concezioni cosmologiche e cosmogenetiche alcun elemento di corruzione, alcun evento dal quale poter derivare un’idea di realtà, e di se stessi, decaduta o corrotta, non è possibile affermare teologicamente alcuna degenerazione, alcuno svilimento od impurità di questa o quella sfera dell’esistenza, di questo o quel carattere naturale. In questi modelli allora la sessualità, a partire dalle sue forme più pure e innocenti non risulta minimamente pervasa da quel misterioso e greve alone di proibito, di sporco, di degradante, d’impudico ed impuro, non subisce la continua, incessante ambivalenza tra la licenziosa attrazione emotiva o la violenta, pruriginosa reazione di pudico e castrante rigetto e rimozione.

Così come nelle religioni nulla della realtà è intendibile in tali contenuti degeneri, la sessualità, restando nel suo naturale e puro ambito originario, perde radicalmente ogni eccesso emotivo, ogni tensione continuamente oscillante tra pudore ed eccesso licenzioso, ovvero risulta aliena da quell’angoscia nevrotica che nelle teoetotomie, proprio a causa di una considerazione impropria della sessualità, va prima a sovraccaricare in particolare le fasi tra le più delicate e problematiche dello sviluppo adolescenziale, e poi permea in modalità spesso estreme, ipertrofiche e psicopatologiche il mondo degli adulti. E spesso proprio questo sovraccarico emotivo, questa tensione innaturale vanno a costituire per il soggetto quella continua ed irrequieta fonte di allontanamento da concetti di purezza e santità tipici della sfera teoetotomistica che tanto disagio e preoccupazioni pone a tutti coloro che, imponendo e perorando principi e visioni fortemente sessuo repressivi sono convinti di esprimere, al contrario di quel che realmente si ha, rigore e virtù morale.

Ebbene, qual è la conseguenza di queste particolari dinamiche? Da un lato la cultura religiosa esprime contenuti naturali della sessualità nettamente diversi da quanto osserviamo nelle teoetotomie; contenuti che evitano l’insorgenza di tutti quei fenomeni di rimozione, sublimazione e quant’altro da cui sappiamo derivare molte gravi psicopatologie. A ciò si aggiunge il fatto che in un ambito religioso l’individuo, con il raggiungimento della fase adulta, dunque giunto al livello di «tutti gli altri soggetti delle norme sociali», vede come per incanto svanire tutta l’incastellatura normativa che aveva necessariamente sorretto ed incanalato il suo sviluppo adolescenziale, accedendo in pieno alla fase adulta per eccellenza della sua esistenza, dove esprimere in totale, consapevole serenità e liceità religiosa la sua indipendenza etica – e di conseguenza una responsabilità finalmente personale.

 

Conclusioni

 

Quel che dobbiamo trarre da questa nuova concezione del sacro è dunque il fatto che nelle religioni non esiste alcuna possibilità di realizzazione di quelle degenerazioni che, al contrario, vediamo drammaticamente e violentemente comporsi nelle teoetotomie. Il passaggio dalle religioni alle teoetotomie rappresenta dunque per l’uomo il passaggio da una realtà ed un senso del sacro in cui brilla l’affermazione dell’indipendenza etica dell’individuo – indipendenza etica impreziosita addirittura da  una visione sovrannaturale della natura umana – ad una condizione in cui, come conseguenza del giungere a «conoscenza del bene e del male» l’uomo subisce una profonda involuzione della sua esperienza del sacro. Un’involuzione con cui si vanno ad affermare contenuti inadeguati dello spirito umano, pervasi da sudditanza etica e dall’innesco, dovuto da un atteggiamento repressivo e da una considerazione svilente della sessualità, di tutta una serie di penose degenerazioni e psicopatologie.

Potremmo dunque intendere il mitologico evento del «cibarsi del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male» come un evento culturale – dunque non biologico – che condusse a smarrire la figura sovrannaturale, positiva e pura, non repressa sessualmente, della creatura umana «immagine e somiglianza di Dio» affermata dalle religioni, al corrotto peccatore, vittima delle peggiori psicopatologie indotte dai principi religiosi e dall’atteggiamento autoritaristico sessuo-repressivo delle teoetotomie.

Con questo evento l’uomo fu scaraventato in una concezione teologica penosa, indegna ed infondata che tarpò le ali che aveva portato lo spirito umano davanti a Dio, a guardare negli occhi il suo creatore senza chinarli, orgoglioso della propria dignità di creatura umana.

Esso costituisce la morte dell’Homo religiosus e l’avvento dell’Homo teoetotomisticus. Una perentoria mutazione culturale che si realizzò parallelamente al diffondersi delle culture teoetotomistiche sulla faccia della terra.

Dunque possiamo immaginare gli effetti dell’evento del peccato originale come una perdita di libertà etica ed una indegna trasformazione del senso del sacro che condannò l’uomo ad essere mercé di divinità orrende, sanguinarie e prevaricatrici in delle culture in cui ogni atteggiamento democratico, ogni valore cooperativo fu sostituito dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dalla violenza etica. Vedi fig. 5.

Tenendo conto di quale sarà successivamente,  in un contesto storico sociale generale l’esito del passaggio dalle religioni alle teoetotomie è immediatamente comprensibile il grave significato, per quel che concerne l’uomo, ogni singolo individuo, di questa transizione. L’uomo perde una concezione di Dio e di se stesso che rischia di non recuperare mai più.

Le teoetotomie, collegate a società in cui non tanto la divisione del lavoro o la stratificazione sociale, ma ancor più l’affermazione addirittura sacrale, teologica, del diritto di una entità di decidere delle scelte etiche di un’altra entità, di possedere il destino altrui e disporre della libertà di agire dell’altro, nonché la possibilità delle classi superiori di disporre, proprio tramite le concezioni teoetotomistiche, del più efficace e pervasivo sistema di polizia, del più efferato strumento di coercizione delle coscienze mai immaginabile sulla faccia della terra, capace di seguire l’individuo sin nel più recondito ed intimo istante e pensiero, aprirono la strada, anche e soprattutto grazie all’attivazione di dinamiche psicologiche assolutamente degeneri come conseguenza di sistemi di repressione della stessa sessualità, all’avvento delle società centralizzate, autoritaristico repressive che si affermeranno sulla faccia della terra, spazzando via tutte le culture avverse, ed ovviamente le concezione religiose a queste ultime connesse.

Fig. 5

 

Abbiamo dunque esposto una nuova interpretazione della Genesi. È ovvio che in uno spazio limitato non si è in grado di definire molti altri importanti aspetti della questione. Questo documento è rivolto ad una divulgazione sintetica di una questione comunque assai complessa, e dunque non è possibile trattare tutte le sfaccettature inerenti la questione. È da sottolineare il fatto che questa nuova, inedita concezione, sembra in grado di risolvere molti altri importantissimi aspetti connessi con il problema del contrasto tra fede e scienze e che può giungere ad estendere la sua influenza sino al Nuovo Testamento senza smarrire la sua positiva chiave di interpretazione. Ma, come si diceva, la trattazione di queste altre implicazioni non è possibile in questa sede. Possiamo solo presentare – e si è convinti che è già abbastanza complicato fare questo in modo chiaro – alcuni dei momenti e degli aspetti più significativi della nostra proposta.

 

 

 

P.S. Ulteriori notizie ed approfondimenti sull’argomento sono disponibili nel sito www.diolaico.it