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Al centro di quel che è rimasto del lago Aral, c’è l’isola di Vozrozdenie, un’isola ormai dimenticata, sulla quale per decenni, fino al 1992, è stata attiva una base segreta russa, più volte oggetto dei rapporti dei servizi segreti americani negli anni ’70 e ’80. In questa base, infatti, secondo quanto si evince dai rapporti della CIA, oltre trecento scienziati sovietici, hanno studiato e sperimentato per decenni armi batteriologiche, in grado di produrre peste, vaiolo siberiano, tularemia, brucellosi, morva, febbre del Queensland e potenziato alcuni dei batteri che provocano queste malattie, rendendoli resistenti agli antibiotici disponibili.

Gli esperimenti furono condotti su conigli, cavie, topi bianchi, criceti, cavalli, pecore, asini, scimmie e babbuini, come testimoniano le numerose gabbie abbandonate ritrovate sull’isola. Il pericolo più grave però dal punto di vista sanitario e ambientale è rappresentato dalle tonnellate di bacillus anthracis, che sono state sepolte nei bunker della base segreta, prima del suo abbandono nel 1992. Il bacillus anthracis provoca l’antrace, una malattia infettiva dei ruminanti che può essere trasmessa all’uomo per inoculazione diretta, attraverso ferite superficiali o abrasioni della pelle, per ingestioni di carne cruda, o per inalazione di spore presenti su materiali contaminati. L’infezione produce gruppi di foruncoli che si ingrandiscono, si ulcerano e provocano un dolore continuo e lancinante. Dopo un periodo di tempo variabile da cinque a venti giorni, durante il quale le pustole possono raggiungere le dimensioni di un uovo di gallina, la pelle si lacera in più punti, lasciando uscire una materia densa e grigiastra e pus sanguinolento.

L’aggressione dei linfonodi da parte dei bacilli dell’antrace, può condurre alla malattia sistemica, con edema generalizzato ed emorragie in tutto il corpo. L’antrace deve essere curato tempestivamente con gli antibiotici per non risultare letale. I bacilli di antrace non sono stati fabbricati a Vozrozdenie ma vi furono portati nel 1988 dai laboratori di Sverdlovsk, una località degli Urali ad oltre 1.300 km da Mosca, a seguito di una fuga di notizie che ne rivelò l’esistenza al mondo occidentale. Gli scienziati di Sverdlovsk sigillarono i "fanghi rossi" contaminati in contenitori d’acciaio, li sterilizzarono e li spedirono su convogli speciali nella base segreta di Vozrozdenie, dove vennero sepolti.

La questione però è tutt’altro che risolta, perché, come hanno rilevato gli esperti internazionali che hanno potuto ispezionare l’isola, una significativa percentuale delle spore è ancora attiva e potenzialmente mortale. Il problema, col passar del tempo, tende ad aggravarsi; se infatti il livello del Mare di Aral continuerà ad abbassarsi, l’isola di Vozrozdenie si congiungerà presto alla costa dell’Aral, creando un facile passaggio per insetti, roditori e rettili, peraltro già presenti sull’isola, che potrebbero trasportare le spore dell’antrace sulla terraferma. A quel punto sarebbe estremamente difficile impedire la propagazione del terribile bacillo.

Inoltre l’isola, una volta congiunta alla terra ferma, potrebbe essere oggetto di attacchi di qualche organizzazione terroristica, che, impadronitasi delle spore, potrebbe minacciare e ricattare una buona parte della popolazione mondiale. Le informazioni dettagliate ottenute dagli Americani sui segreti dell’isola, si devono in gran parte allo scienziato uzbeko Alibekov, ora Ken Alibex, rifugiatosi negli Stati Uniti, che negli anni ’70 e ’80 diresse un impianto per la produzione del bacillus anthracis. Dunque mentre da quarant’anni si sta consumando uno dei maggiori disastri ecologici del pianeta, la progressiva scomparsa del lago d’Aral, una minaccia peggiore emerge da quello stesso luogo, un’isola col ventre gonfio di mortali bacilli, che le autorità competenti fingono di ignorare, col rischio causare morte e distruzione in intere popolazioni del Pianeta.

Lo scempio del lago Aral
Il lago Aral rappresenta uno dei peggiori disastri ambientali che si ricordi. Il sistema di canali, costruito nel 1960 per irrigare i campi di cotone voluti da Mosca, ha deviato almeno tre quarti dell’acqua destinata al lago Aral. Circa 35.000 chilometri quadrati che una volta erano lago, sono ora un’area ricoperta di polvere salata e contaminata che minaccia la salute di circa cinque milioni di persone in Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan. I problemi della regione del lago Aral hanno aspetti ambientali, economici e sanitari. A causa del prosciugamento di oltre il 50% del lago, il clima ne è stato negativamente influenzato, e tempeste di sale inquinato sconvolgono periodicamente i villaggi circostanti.
Il già fragile sistema economico ne è risultato devastato e le tradizionali attività di pesca sono oramai quasi del tutto scomparse. Quello che è rimasto oggi del lago Aral è dunque il risultato di decenni d’interventi umani che hanno stravolto un prezioso ambiente naturale, annullando secoli di storia e di tradizioni. I due grandi fiumi, Amu e Syr Darya, che alimentavano il lago, sono stati violati, incanalati, drenati, prosciugati. Uno scempio calcolato, per trasformare un’antica terra di pascoli in una devastante monocoltura di cotone, che fosse in grado di competere con gli odiati Stati Uniti e producesse per l’impero sovietico. Il gran delta comune dei due fiumi sfociava nel lago Aral, il quarto mare interno al mondo.

I pianificatori sovietici avevano previsto tutto, anche la morte del lago. I villaggi di pescatori si trovano ormai a 50 e più km dalle rive, il livello dell’acqua è sceso talmente che il lago si è diviso in due e la situazione si aggrava sempre di più. Non si può tornare indietro, poiché sono sorti diversi insediamenti umani lungo i canali, nelle terre dove il clima arido e impietoso rende difficile e poco redditizia l’agricoltura. Diserbanti e pesticidi evaporano insieme al sale che rende sterile e malata la terra. Dagli anni Settanta la produzione di grano, verdura e cotone è scesa del 50% e più di un quinto delle coltivazioni sono state abbandonate, divorate dal sale e dai concimi chimici. Il delta era un tempo un ecosistema unico, ricco di vita, ora non esiste più. Foreste e acquitrini, dove un tempo abbondava la cacciagione sono completamente scomparsi. Barche arrugginite sono in secca, dove un tempo c’erano le rive del lago, abbandonate da chi è stato costretto a lasciare i villaggi. Urgench, la città voluta dai poteri centrali sovietici, dove un tempo c’erano pascoli rigogliosi è il centro dell’orrore. Le case popolari in cemento dell’ex-Unione Sovietica sono grigie e decadenti, con affitti bassi e manutenzione inesistente. I viali squallidi, senza uno straccio di vegetazione, sono percorsi da rari e vecchi mezzi pubblici degli anni Cinquanta, ma la gente preferisce spostarsi a piedi, portando le poche merci su carretti che spinge faticosamente a mano.

Quasi tutta l’acqua utilizzata dalla popolazione di queste zone, passa dapprima attraverso infiniti campi di cotone dove sono drenate enormi quantità di sale e concimi chimici. Così ogni goccia d’acqua che raggiunge altre coltivazioni o viene assunta dagli animali domestici e bevuta dalle persone risulta fortemente salinizzata e inquinata. Il risultato è che il 97% delle 700 mila donne che vivono nella regione è affetto da anemia e che la mortalità infantile è di circa l’80 per mille, contro una media italiana dell’8 per mille, e una percentuale sempre più elevata di neonati nasce con malformazioni più o meno gravi. Fino ad oggi sono stati spesi milioni di dollari da parte della Comunità Internazionale, per visite tecniche e progetti in questa zona devastata dalla stoltezza umana, ma assai pochi risultati si sono avuti in termini di benefici per le popolazioni locali.

L’unica organizzazione medica internazionale presente nella regione è Medici Senza Frontiere, che è arrivata nel luglio del 1997.Il programma medico portato avanti da MSF si concentra sul controllo e il trattamento della tubercolosi, delle infezioni respiratorie e delle malattie diarroiche. Oltre all’assistenza medica MSF ha lanciato, nel 1999, un programma di ricerca che mira ad approfondire la relazione tra degradazione ambientale e salute pubblica nella zona del lago d’Aral. Nel giugno 2000 è stato avviato uno studio sui rapporti tra il deposito e la composizione della polvere e le malattie respiratorie dei bambini. Altri studi, attualmente in corso, si occupano dei legami tra la salinità dell’acqua, l’ipertensione, le malattie renali e la presenza dei pesticidi nella catena alimentare. L’obiettivo dei diversi programmi di ricerca è di acquisire dati affidabili sullo stato dell’ambiente e contribuire a migliorare il precario stato di salute della popolazione.

di Fabrizio Manzione