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«Sono dei batteri e li abbiamo trovati in alcune meteoriti piovute dallo spazio oltre che in numerose rocce terrestri dove credevamo non potessero esistere». La scoperta che confermerebbe l'idea della vita arrivata sul nostro pianeta dal buio cosmico della galassia è il frutto di due ricercatori dell'università «Federico II» di Napoli, Bruno D'Argegno, docente di geologia e Giuseppe Ceraci, docente di biologia molecolare. «Le meteoriti - racconta D'Argegno - provengono dal Museo mineralogico della città, dove erano conservate da anni. Analizzandole abbiamo posto il materiale a contatto con una soluzione fisiologica. E' allora ci siamo resi conto che i microrganismi diventano visibili e cominciano a muoversi».

Si tratta di sette-otto diversi tipi di batteri che gli scienziati hanno battezzato Crim, da cristallo-microbi, molto simili a quelli esistenti oggi. Le meteoriti in cui sono stati trovati hanno invece un'età intorno ai 4,5 miliardi di anni. Per le loro caratteristiche sembrano appartenere alla famiglia degli archeobatteri, vale a dire quegli organismi più vecchi rivenuti sulla Terra risalenti a circa 3,5 miliardi di anni fa. Essi dispongono del loro Dna e sono primitivi tanto da non avere le difese, cioè quegli anticorpi di cui dispongono i batteri attuali. Ma per conoscere meglio il loro identikit sono necessarie altre analisi più approfondite. La storia delle ricerche di D'Argegno e Geraci inizia studiando alcuni campioni geologici del golfo di Napoli vecchi di alcuni milioni di anni, proseguendo poi su altri provenienti dagli Appennini e dall'Europa centrale. E' stato in queste indagini che D'Argegno e Geraci si sono imbattuti in pietre provenienti da condizioni estreme dove regnavano pressioni e temperature elevatissime sino a mille gradi centigradi. Con queste premesse secondo gli studiosi — al loro interno non potevano nascondere nulla se non la traccia minerale dell'infernale origine. «Invece — precisano — abbiamo messo a punto un metodo di indagine, molto semplice e facilmente riproducibile, che ci ha portato a trovare annidati i nuovi batteri in una cinquantina di campioni provenienti da diverse regioni del pianeta, dall'Italia al Canada, con età variabili da pochi milioni a 2,8 miliardi di anni».

A questo punto i ricercatori hanno voluto esaminare anche diverse meteoriti appartenenti al Museo mineralogico rivenendo con grande sorpresa gli stessi tipi di batteri scoperti nelle pietre terrestri dove appunto credevano non potessero esistere. Gli scienziati dell'università di Napoli presenteranno le  loro conclusioni oggi all'Agenzia spaziale italiana e dopodomani all'Accademia nazionale dei Lincei di cui il professor   D'Argegno è socio.

«Siamo orgogliosi che l'Asi accolga questi importanti risultati commenta Giovanni F. Bignami, astrofisico e direttore scientifico dell'Agenzia.

Essi vanno ad avvalorare le vecchie teorie di Arrhenius e del celebre astronomo britannico Fred Hoyle da sempre   sostenitore dell'origine extraterrestre della vita sulla Terra.  Ma negli ultimi anni questa idea ha conquistato un sempre maggior numero di studiosi nei diversi continenti tanto da non essere più giudicata un'eresia». La scoperta, secondo Giovanni F. Bignami, «diventa una fortissima base per rafforzare con maggior interesse i programmi di esplorazione dedicati alla ricerca della vita su altri pianeti del sistema solare. L'agenzia aiuterà ora lo sviluppo di queste indagini per precisare caratteristiche e identità dei microrganismi».

Finora il campione di vita extraterrestre più celebre e discusso è stato quello rivenuto all'interno del meteorite di origine marziana trovato tra i ghiacci dell’Antartide. La sua scoperta venne annunciata dalla Nasa nel 1996. In quel caso si tratta però di microrganismi fossilizzati vissuti su Marte miliardi di anni fa. Qualche altro indizio del genere però non verificato sembra essere stato raccolto anche da alcuni scienziati russi. Ma se il risultato italiano verrà confermato questa sarebbe la prima volta che si identificano prove di vita extraterrestre provenienti dallo spazio.