L' analisi dei resti
di un ominide trovati in una zona del sottosuolo non lontana da Sassari,
retrocede l' epoca degli insediamenti avvenuti nell' isola Sardegna, primi
uomini arrivati 250 mila anni fa Erano cacciatori paleolitici, di taglia
normale ma gracili. Il passaggio (forse) tra Toscana e Corsica I testi di
storia concordano nell' attribuire alle fasi iniziali del Neolitico, circa
7 mila anni fa, la comparsa dell' uomo in Sardegna. Una data decisamente
molto recente e al tempo stesso assai lontana dalle più antiche tracce
umane individuate nella penisola. Pur in mancanza di prove inoppugnabili,
la logica da una parte e alcuni rinvenimenti di strumenti lavorati di
pietra dall' altra facevano ipotizzare un popolamento assai più vetusto ,
in età paleolitica, anche se una simile ipotesi si scontrava con la
supposta mancanza di un collegamento terrestre tra l' isola e il
continente durante il Pleistocene. Una recente scoperta sposta ora
considerevolmente indietro nel tempo questa data , prospettando inediti
scenari e ponendo nel contempo nuovi interrogativi che potranno essere
risolti soltanto con ulteriori future acquisizioni. I resti di un ominide
di oltre 250 mila anni, per l' esattezza una falange, a cui è stato dato
il nome d i Nur in memoria del mitico primo abitante sardo, sono stati
scoperti in una grotta del Logudoro meridionale, nel nord-ovest della
Sardegna non lontano da Sassari, come comunicato da studiosi delle
università di Sassari e di Liegi durante il recente Congresso
internazionale di preistoria e protostoria tenutosi in Belgio. Il reperto,
secondo i ricercatori Jean Marie Cordy, Sergio Ginesu e Stefania Sias, si
colloca nella scala evolutiva tra l' Homo erectus, nella sua fase finale,
e l' uomo di Neanderthal. Le proporzioni dell' osso corrispondono ad una
corporatura di taglia normale, ma con un allungamento marcato da cui è
possibile intuire una certa gracilità fisica. Il reperto non proviene da
un deposito stratigrafico, ma è stato rinvenuto da speleologi di Thiesi
al termine di una serie di impegnative e pericolose esplorazioni nella
Grotta di Nurighe, un budello orizzontale lungo oltre mezzo chilometro e
largo non più di 50-60 centimetri, occupato sul pavimento da acqua e
fango. Prima della frana finale il torrente sotterraneo ha convogliato e
depositato resti ossei di animali preistorici, in ottimo stato di
conservazione e alcuni ricoperti o inglobati in concrezioni di calcite,
tra i quali era frammista la falange umana. Tra gli animali figurano cervi
di minuscola taglia, canidi, un logomorfo endemico, roditori,
uccelli, batraci e gasteropodi. Una fauna tipica della fase finale del
Pleistocene medio, convogliata sottoterra dalle acque attraverso un
paleoinghiottitoio carsico , ostruito poi 200 mila anni fa da una colata
vulcanica di basalto. La scoperta di Nur pone il problema su come abbia
fatto l' uomo ad arrivare in Sardegna, in un' epoca in cui l' isola e la
penisola erano separate dal mare. Ma lo stesso interrogativo riguarda
anche la fauna fossile trovata assieme all' uomo, nonché tutta l' altra
fauna coeva, che compare in Sardegna nella prima parte del Pleistocene
medio, sostituendo o affiancando specie precedenti. Poiché la loro
presenza risulta oggi indubit abile, occorre allora ipotizzare la
possibile esistenza, se non proprio di un collegamento fisico, di un
contatto facilitato attraverso la Corsica, l' arcipelago toscano e l'
emersione di altre isole contigue, con brevi tratti di mare ove fosse
possi bile un trasporto accidentale e una navigazione a vista di coste.
Fonte: Corriere
della sera, 27 Gennaio 2002 - Giulio Badini
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