Federico
I Hohenstaufen
detto
il Barbarossa
(Waiblingen
1123 ca. - fiume Göksu-Cilicia (Siria), 1190)
"
Federico era pronto nelle decisioni, bramoso di combattere, cupido di gloria e ansioso di
cimentarsi nelle imprese più difficili, sensibilissimo alle offese, di aspetto attraente
e di ingegno acuto, parlava con eloquente avvenenza la sua lingua, mentre non altrettanto
bene padroneggiava la latina. Rosso di capelli, Federico aveva la barba dello stesso
colore e da ciò gli venne la denominazione Barbarossa. I suoi occhi furono cerulei e freddi,
altero il portamento e grande sentimento ebbe della sua autorità ".
Wibaldo,
abate di Stavelot, sec. XII
INDICE
Introduzione...............................................................
I
discesa in Italia........................................................
II Discesa in Italia (1158 - 1162).......................................
La distruzione di
Milano...................................................
Il
contrasto tra Milano e Pavia e la rivalità tra Milano e Lodi............
La nascita della Lega
Lombarda.............................................
La vacca di
Gagliaudo......................................................
Il Carroccio...............................................................
III Discesa in Italia (1163 -
1164)........................................
IV Discesa in Italia (1166 -
1167).........................................
V
Discesa in Italia .................
La
battaglia di Legnano....................................................
LINKS......................................................................
INTRODUZIONE
-top-
Nella
prima metà del 12° secolo, dopo la morte di Lotario II, in Germania, vi erano due sole
famiglie che potevano aspirare alla corona del Sacro Romano Impero: gli Hohenstaufen in
quanto eredi diretti dei Franconi e Duchi di Franconia e i Welfen Duchi di Baviera e
imparentati con Lotario. Dalla contrapposizione tra queste due fazioni nasce la
suddivisione in guelfi da Welf e ghibellini da Weibling che era il nome del castello degli
Hohenstaufen sulla Rems.
I
principi tedeschi, timorosi della potenza dei Duchi di Baviera, elessero Re di Germania
Corrado III Hohenstaufen. Alla morte di Corrado III, avvenuta il 15 Febbraio 1152, venne
eletto, a Francoforte, suo successore il nipote Federico di Hohenstaufen duca di Svezia,
detto il Barbarossa.
In
cambio del sostegno ricevuto nell'elezione assegnò la Baviera al cugino Enrico il Leone.
Tale gesto era in realtà il primo passo di una politica di pacificazione dell'area
tedesca, che portò al rafforzamento della gran nobiltà laica ed ecclesiastica.
Egli
fece ingresso trionfale, cinque giorni dopo, ad Aquisgrana cinto della corona d'argento,
come Re dei Germani e dei Romani.
Giovane
di circa trent'anni, intelligente, energico, ambizioso, di carattere deciso e fermo egli
mostrò ben presto le sue intenzioni di restaurare tanto in Germania quanto in Italia
l'autorità regia e imperiale.Figlio di padre ghibellino e di madre guelfa riconciliò in
se le due famiglie da tanto tempo avverse. Ciò spiega come uno dei suoi più eminenti
condottieri durante la prima discesa in Italia ed all'Assedio di Tortona fosse Arrigo
Estense Guelfo, Duca di Baviera
Primo
affare cui si dedicò Federico fu di consolidare la sua autorità in Germania, cosa
che ottenne ridando ai Welfen il ducato bavarese e ridistribuendo i principati a lui
contrari a figli e parenti. Con il matrimonio aggiunse ai suoi domini la
Borgogna. Valendosi delle prerogative riconosciute ai sovrani di Germania dal
concordato di Worms, singerì attivamente nella nomina dei vescovi, creando così in
Germania una chiesa più disposta a seguire le sue direttive che non quelle del papato.
Questo
spiega come al suo seguito all'assedio di Tortona, vi fossero gli Arcivescovi di Treviri,
di Colonia e di Trento ed i vescovi di Costanza, di Ramburg ed il Patriarca
dAquileia ed altri prelati che, secondo il costume dell'epoca, cingevano la spada e
combattevano agli ordini e sotto la bandiera del Barbarossa, a capo di propri eserciti.
Ottenuto il pieno consenso in patria, costrinse i
Signori di Danimarca, della Polonia e della Boemia a riconoscere la sua supremazia
ottenendone il vassallaggio. Resa stabile e forte la propria posizione iniziò a
preoccuparsi dell'altra parte del suo regno: l'Italia.
I
DISCESA IN ITALIA
-top-
Il feudalesimo era
ancora forte in Piemonte, nel Veneto, in Toscana e nel ducato di Spoleto.
Ciascun duca, conte o marchese, come l'aquila nel suo nido, abitava un castello
attorno al quale si stendevano le terre ricevute in feudo dal re o
dall'imperatore. I nobili feudatari non pagavano tributi, anzi esigevano dai
contadini le taglie: una parte del raccolto, del bestiame e di qualsiasi
ricavato dai fondi era loro riservata.
Dopo l'anno 1000 il popolo che fino a quel tempo non aveva mai potuto far
sentire la sua voce ed era sempre stato sottomesso ciecamente ai voleri del suo
Signore feudale laico od ecclesiastico, comincia ad affermarsi.
Un'ondata di benessere
si spande: i metalli preziosi diventano meno rari, rinascono i commerci e le
industrie, tutta la produzione aumenta, con la lavorazione della lana e della
seta e lo sviluppo dell'artigianato.
E tutta la gente arricchita col proprio lavoro rompe il giogo di sottomissione
agli aristocratici ed ai Vescovi - conti di nomina imperiale e vuole governarsi
da se con proprie leggi e propri magistrati, creando un nuovo organismo
politico: il Comune.
Barbarossa venne in
Italia, la prima volta, nell'autunno dell'anno 1154 per la via del Brennero, con
1500 cavalieri, egli sapeva di poter contare sugli amici della pianura padana,
come Lodivecchio, Pavia e Cremona. Queste città avevano invocato la giustizia
imperiale contro l'espansione di Milano che era presentata come la disturbatrice
della giustizia e delle leggi di pace, poste dall'imperatore a fondamento della
sua attività di governo.
Sceso in Italia giunse a Roncaglia (Piacenza) nell’ottobre 1154, chiamò a sé
i rappresentanti d’ogni città e tutti i feudatari a rendergli omaggio di
sudditanza, dove a dicembre proclamò nella prima Dieta di Roncaglia
l'obbligo dei Comuni a restituire al Re gli “iura regalia”, in
altre parole i diritti che questi avevano avocato a sé, rivendicò tutti i
diritti imperiali ed impose a tutti i feudatari e comuni il giuramento di fedeltà
all’impero e i tributi imperiali.
Le Diete
rappresentavano all'epoca il potere sovrano, essendo assemblee generali dei
regni germanici, dove i dignitari ammessivi prendevano decisioni sulle questioni
più importati; l'elezione del Re avveniva tramite una Dieta.
Subito dopo, per dare
forza al proprio editto il Re distrusse Asti e Chieti (che non avevano giurato
fedeltà); assediò per 9 settimane Tortona e la distrusse a metà dell’
aprile 1155.
Successivamente con
l’intento di occupare la Sicilia, Federico Barbarossa rassicurò i legati
genovesi Ugo Della Volta, arcidiacono di S. Lorenzo, e Caffaro chiedendo a loro
l’appoggio della flotta genovese.
Considerando la
condotta del Barbarossa nei confronti delle altre città, e nonostante le
rassicurazioni ricevute l’anno precedente, i Consoli liguri nel 1155
riscattarono tutte le rendite del Comune che erano impegnate, ricostituirono la
flotta e cintarono nel giro di 55 giorni la città da Porta Nuova di S. Fede a
Porta di S. Andrea utilizzando anche parti delle navi per rendere l’opera più
sicura.
Il 24 aprile del 1155
Federico I ottenne la corona del Sacro Romano Impero, fu incoronato Re d'Italia
a Pavia e quindi giunse a
Roma, dove soffocò la rivolta autonomista capeggiata da Arnaldo da Brescia;
restituita la città al pontefice Adriano IV, si fece da questi incoronare
imperatore del Sacro Romano Impero era il 18 giugno 1155. Il nome con il quale
gli italiani lo avevano ribattezzato era il Barbarossa
.
Presso Verona, nello
stesso anno, l'imperatore impose ai Mantovani, ai Bresciani ed ai Bergamaschi di
non accettare più nessuna moneta milanese. Con un editto il Re aveva posto i
Milanesi al bando dell'impero, dichiarando decaduto ogni loro diritto:
" Judicatum est
igitur a Principibus nostris, et tota Curia, Mediolanensis moneta, theloneo et
omni districto, at potestate seculari, et omnibus regalibus nostra autoritate
esse privandos; ita ut moneta, theloneum et omnia praedicta ad nostram
potestatem redeant, et nostro statuantur arbitrio.", che tradotto
recita: "Le Nostre Maestà con tutta la Corte hanno giudicato che venga
(Milano) privata del diritto di battere moneta, di mantenere gabelle, che venga
tolto ad ogni suo distretto ogni potere esecutivo ed ogni privilegio concessole;
si stabilisce per nostro volere che la possibilità di battere moneta, di
istituire gabelle e tutto quanto sopra esposto siano avocate a Noi e al nostro
giudizio".
Con lo stesso atto
assegnava a Cremona, in quanto la più fedele delle città italiane, i poteri
tolti a Milano.
Milano, Cremona, Bergamo e Mantova considerarono questa richiesta
inconciliabile con le libertà comunali riconosciute dai precedenti imperatori e
si opposero con fermezza: fu l'inizio di una lunga serie di battaglie, che si
protrasse fino al 1183 (anno in cui venne firmata la pace di Costanza) e che
contò ben cinque discese dell'imperatore in Italia.
Il 3 marzo 1156 a
Lodivecchio, presso la basilica di San Bassiano, Federico dovette decidere di
una grossa questione: si trattava di una contesa fra il vescovo di Cremona,
Oberto, ed alcuni chiamati signori di Melegnano, i quali non volevano rendere al
vescovo di Cremona i servizi e gli omaggi feudali per il castello di Maleo. Essi
si rifiutavano di riconoscere l'autorità del vescovo cremonese in Maleo, tenuto
dai Milanesi. Oddone di Melegnano era alla testa della controversia e del
rifiuto, spalleggiato dal padre Airaldo, da Guido ed Alberto i suoi figli e
Lanfranco suo fratello. Airaldo, il padre, aveva osato dire perfino che egli, se
fosse stato aiutato, avrebbe potuto tenere con la forza tutto il territorio da
Milano a Cremona. Alberto, invece, si era compromesso con le sue chiacchiere
fatte in privato, perché pare che avesse detto che Maleo era del vescovo di
Cremona quando castrum salvaterre murabatur, cioè quando si costruiva la
rocca di Maleo; mentre, in pubblico, rifiutava ogni forma di riconoscimento e
d’ubbidienza, ma essi avevano torto, perché Maleo era passata ai vescovi di
Cremona per concessione dei signori di Banano.
Sull’altro fronte
Genova ottenne, in questo stesso anno, dall’Imperatore d’Oriente Emanuele
Porfirogenito Comneno un approdo ed un quartiere a Costantinopoli: l’embolo
di S. Croce, un dono annuo per il Comune e l’Arcivescovo nonché la riduzione
del dazio dal 10% al 4%.
In cambio
s’impegnarono a non partecipare ad imprese ostili all’impero d’Oriente.
Nel 1156, nonostante
gli accordi che avevano con il Barbarossa, Guglielmo Vento e Ansaldo Doria
stipularono un accordo con Guglielmo I, Re di Sicilia, ottenendo l’esenzione
dai dazi e l’esclusione dei mercanti francesi e provenzali dall’isola, scalo
obbligatorio verso la Terrasanta.
Al loro ritorno a
Genova, come da accordi, l’impegno fu giurato da 300 cittadini.Nel 1157 si
proseguì la costruzione delle mura iniziate nel 1155 e lo stesso anno vennero
inviati come ambasciatori: Guido da Lodi alla Curia Romana, Gionata Crispino in
Sicilia e poi in Oriente, Amico Di Murta a Costantinopoli.
Tornando a Federico con
la seconda Dieta di Roncaglia, novembre 1158, egli emise un ultimatum ai Comuni
che non avevano ancora ottemperato a quanto richiesto nella prima Dieta,
imponendo loro di restituire i diritti regi di cui si erano appropriati
indebitamente e di accettare podestà imperiali scelti da lui.
Mentre si preparava ad
invadere il Regno Normanno scoppiò la peste a Roma e tra il suo esercito,
quindi dovette rientrare in Germania; Papa Adriano IV reagì stringendo con i Comuni un'alleanza
in funzione antimperiale, aderirono il Regno di Sicilia e Venezia,
e divenne, essendo la casa imperiale Ghibellina, capo simbolico del partito
Guelfo in Italia.
Contemporaneamente in
Germania ci fu la morte di Enrico V (1125) i feudatari tedeschi si erano divisi
in Ghibellini che sostenevano la candidatura di Corrado II, Duca di
Svevia, e Guelfi che sostenevano Lotario Suplimburgo, Duca di Sassonia.
L'eccessiva ingerenza
del Barbarossa nelle questioni pontificie portò a una grave spaccatura fra la
Chiesa e l'impero, che sfociò in aperta ostilità alla morte di Adriano IV
(1159).
II
Discesa in Italia (1158 - 1162)
-top-
Alla vigilia del
secondo viaggio in Italia l'imperatore Federico, alla dieta di Ulma del febbraio
1158, reinvestiva del Contado il Comune di Chiavenna perché ne difendesse la
libertà dagli attacchi dei milanesi.
E dalla Valchiavenna
passò poco dopo, al comando delle truppe dei riparioli e degli svevi, diretto a
Milano che, nel giugno 1158, l’espugnò appoggiato da Como, Cremona, Lodi e
Pavia.
In ottobre a Roncaglia
(II dieta) rivendicò a se, con la "Constitutio de Regalibus", i
diritti imperiali secondo lo ius romanorum: amministrare giustizia,
coniare monete, riscuotere tasse, investire gli amministratori politici.Solo
alcune città, se avevano ricevuto in passato dall’Impero l’apposita immunità,
potevano riservare a se tali diritti.
Genova, ad esempio, li
rivendicò legalmente ma al contempo, pronta a difenderli militarmente, terminò
in 8 giorni le sue mura, proseguì nel fortificare le cittadine
dell’entroterra e costruì in 3 giorni le torri sulle mura rafforzandoli con
gli alberi delle navi.
Federico Barbarossa
sciolse le leghe comunali e inviò podestà imperiali nelle città. I Genovesi
chiamarono alle armi la popolazione ed allertarono i castelli sugli Appennini
tanto che solo per le vettovaglie spesero 100 marchi d’argento al giorno.
L’Imperatore preso
atto delle richieste di Genova rinviò la decisione a quando si sarebbe trovato
al castello di Bosco (presso Tortona).
Il
Barbarossa, che era
giunto al castello di Bosco con tutto il suo esercito, incontrò il Console Ido
Gontardo. Accordò la protezione imperiale fino al 24 giugno. Tornato a Genova
accompagnato dal Cancelliere imperiale Rainaldo, Conte di Biandrate, 40
cittadini fecero giuramento di fedeltà, pur senza l’obbligo dei tributi, e
consegnarono un dono di 1.200 marchi d’argento e la promessa di impegnare la
flotta nella futura conquista del regno di Sicilia.
Nel
1159 in 53 giorni Genova terminò le mura cittadine e lo stesso anno, il 7
febbraio, Crema fu distrutta.
Morto
Adriano IV, il Barbarossa non riconobbe il nuovo pontefice Papa Alessandro III,
appoggiando quindi l’antipapa Vittore IV.
Genova,
come altre città, non riconobbe l’antipapa e, nel 1161, ospitò Alessandro
III, che aveva scomunicato l’Imperatore. Nel marzo 1162 lo scortò in Francia,
con 25 galee, al fianco delle navi normanne.Nel 1160 i Consoli saldarono le 900
lire di debiti del precedente anno, crearono torri sulle mura, disimpegnarono il
castello di Voltaggio e cinsero di mura Portovenere.
Inviarono
legati a Costantinopoli (il Console Enrico Guercio) e presso il Re spagnolo Abu
Abd Allah Mohammed ibn Said Mardanisch (Oberto Spinola).
Tra
il 1160 ed il 1161 si tentò di eliminare le tensioni civili e si fece giurare
la pace tra le fazioni cittadine rivali e, a chi non la rispettava, furono
distrutte le abitazioni e confiscato il denaro. Nel 1161 vennero restaurati i
castelli di Voltaggio, Flacone, Parodi, Rivarolo e Portovenere.
A
marzo del 1162 Papa Alessandro III lasciò Genova; lo stesso anno Milano, dopo
un assedio durato tre anni, cadde.
Il
6 aprile Federico Barbarossa accordò a Pisa enormi compensi futuri: completa
esenzione dalle imposte nel regno, la città di Trapani, di Mazzara, metà delle
città di Napoli, Salerno, Palermo e Messina nonché l’aiuto ad espugnare
Portovenere in cambio della promessa di aiuto contro il regno Normanno di
Sicilia.
I
Consoli genovesi Guglielmo Boirone e Grimaldo e sette cittadini illustri per
evitare che possibili benefici finissero solo in mano pisana giunsero a Pavia,
per confermare fedeltà all’impero e la disponibilità alla prossima impresa
di Sicilia.
Barbarossa
chiese entro 8 giorni una nuova missione diplomatica per trattare i particolari
della missione e del suo compenso.
I
Consoli Ingo della Volta e Nuvolone, accompagnati da 5 illustri cittadini
trattarono per più giorni con Rainaldo, Arcivescovo di Colonia e
Arcicancelliere del regno d’Italia, ed il 9 giugno venne firmato a Pavia
l’accordo che concesse benefici in Sicilia e confermò in perpetuo, in cambio
dell’aiuto nell’impresa siciliana, tutte le regalie rivendicate dal Comune.
Vennero
riconosciute a Genova:
1.
La
facoltà eleggere i Consoli e di amministrare la giustizia senza la riserva
della conferma imperiale.
2.
La
sovranità da Portovenere a Monaco.
3.
I
diritti sui territori d’oltremare.
4.
Il
diritto d’usare propri pesi e misure.
Il
feudo di Siracusa, 250 giornate arative in Val di Noto, una colonia (chiesa,
bagno e fondaco) in ogni città del regno di Sicilia nonché l’esenzione
fiscale ed il monopolio commerciale.
In pratica l’impero riconobbe alla Repubblica piena autonomia politica ed
economica ed il tutto solamente per via diplomatica.
La distruzione di Milano
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Nell'agosto del 1161
l'esercito imperiale era nella Bassa Milanese, tra Cerro e Melegnano.
I consoli milanesi,
presi da grave preoccupazione ed oscuri presentimenti, decisero di abboccarsi
con Barbarossa, per sondare fino a che punto si poteva evitare uno scontro
diretto e certamente sanguinoso e distruttivo per Milano. Partirono da Milano e
giunsero alla Rampina, essi furono intercettati da una pattuglia d’imperiali.
Quindi fuggirono, ritornando verso Milano, dopo essere stati malmenati e
liberati dalle truppe milanesi uscite incontro nella previsione di una loro
possibile cattura.
Intanto Federico
stimolato da un regalo di 11.000 marchi d'argento, fattogli dai Cremonesi, perché
li aiutasse ad impadronirsi di Crema, assediò la città per sette mesi, durante
i quali i Cremonesi decapitarono i prigionieri e buttavano le teste di là dalle
mura, mentre i Cremaschi facevano a pezzi, sulle stesse mura gli imperiali
caduti nelle loro mani.
Arresasi Crema, 20.000
cittadini furono costretti a lasciare la città che fu abbandonata al
saccheggio, le mura e le torri furono abbattute, i Cremonesi appiccarono alle
case e distrussero quel poco che era rimasto.
Per le sue atrocità,
Federico, che era considerato anche in Germania un eretico, fu scomunicato da
papa Alessandro III che, benedicendo la Lega Lombarda che si era formata e che
poi sarà solennemente giurata nel 1167 a Pontida, sciolse tutti i sudditi dal
vincolo di fedeltà all'imperatore.
Nell'assedio il Re
aveva dovuto consumare tutto il periodo di ferma delle milizie feudali, che
erano così ritornate in Germania, gli erano rimaste le truppe dei vassalli, dei
Conti Palatini Corrado e Ottone e di tutte le città italiane che si erano
schierate con lui.
Federico
Barbarossa in un bassorilievodel
XII sec. .
Si diresse su Milano e
già le genti di Porta Romana e di Porta Orientale avevano ceduto all'urto della
cavalleria imperiale e il Barbarossa, rovesciato il Carroccio ammazzandone i
buoi, si era impadronito dello stendardo del Comune, quando le milizie delle
altre porte, dopo aver sconfitto Comaschi, Novaresi e Vercellesi si lanciarono
con tale impeto contro le forze imperiali da costringerle alla ritirata su Como.
Il Re si rinchiuse nel
castello di Baradello, lasciando ai Milanesi i prigionieri, gli ostaggi e un
grande bottino. Federico si trasferì poi nella fedelissima Pavia e vi
attese la primavera, quando le truppe tedesche sarebbero tornate per un nuovo
periodo di ferma. Con la primavera si riformò un esercito formidabile,
il Re mosse contro Milano e la strinse d'assedio.
Ormai l'assedio intorno
a Milano, già piagata da un gravissimo incendio che ne aveva distrutto quasi un
terzo, era diventato stretto e feroce: durante l'assedio Federico scelse sei
prigionieri milanesi e ordinò che cinque venissero accecati, mentre al sesto
fece troncare il naso e togliere un occhio, perché facesse da guida, verso
Milano, agli altri disgraziati.
La resistenza milanese
si protrasse fino alla fine del febbraio del 1162; ma, di fronte alla fame ed
all’impossibilità di ricevere soccorsi dall'esterno, tra gli assediati
milanesi si formò un partito favorevole alla resa.
Le proposte di
Barbarossa erano quelle di arrendersi in massa, di abbattere le mura e di
rendere piena soddisfazione con una solenne scenografia feudale del rito
dell'umiliazione. E Milano si arrese.
Il 1° marzo 1162, i
consoli milanesi, passando da Melegnano, arrivarono a Lodi per giurare la resa.
Poi, dopo tre giorni,
passarono ancora da Melegnano trecento cavalieri per consegnare le chiavi della
città e per deporre ai piedi dell'imperatore le 36 bandiere dei rioni milanesi.
Il 7 marzo passarono da Melegnano per Lodi i consoli milanesi degli ultimi tre
anni in carica, con mille fanti, per consegnare le bandiere e il Carroccio che
era il simbolo della libertà, della fierezza e dell'autonomia cittadina.
Al cospetto
dell’Imperatore, in proposito abbiamo questa testimonianza:
" Allora i militi e
il popolo si prostrarono davanti a lui implorando a voce misericordia. Tutti i
circostanti erano commossi; ma l'imperatore, lui solo, rimaneva impassibile. Poi
il Conte di Biandrate si mise a perorare per quei miseri, che un tempo erano
stati suoi amici, e disse cose da strappare le lacrime a tutti [...]. Ma
l'imperatore non si commoveva: il suo viso pareva impietrato [...]. Finalmente
l'imperatore si degnò di rispondere: quando gli
sarebbe parso opportuno,
egli avrebbe usato con loro clemenza; ritornassero il giorno dopo. E quelli,
allontanandosi, vista da lontano l'imperatrice, non potendo entrare,
protendevano passando le croci verso di lei e imploravano pietà e misericordia
".
Burcardo, sec. XII
Il Barbarossa tenne
presso di sé 4000 persone come ostaggio; accolse il giuramento di fedeltà dei
Milanesi; comandò di smantellare le mura e di riempire i fossati di difesa.
Mandò i suoi ambasciatori a Milano per ricevere il giuramento di tutti i
cittadini.
Il 19 marzo venne l'ordine più severo e più drammatico. Il Barbarossa, da
Pavia dove si trovava, ordinò alla popolazione di Milano di lasciare le
abitazioni entro otto giorni.
Le città italiane
nemiche di Milano avevano comprato con ingenti somme la decisione imperiale di
distruggere l'odiata Milano. Ed il 26 marzo fu emanato l'editto definitivo di
una completa distruzione. L'esecuzione della distruzione fu affidata ai nemici
tradizionali di Milano: Pavia, Lodi, Como, Cremona.
Queste città
assalirono Milano, quasi casa per casa, trasformando un atto di cosiddetta
giustizia imperiale in un'aberrante vendetta tra stessi Italiani, solo un
cinquantesimo della città rimase in piedi.
La leggenda popolare
tramandò ai posteri che il Barbarossa, distrutta Milano, sulle terre che erano
state città, facesse correre l'aratro, spargendo sale per rendere persino la
terra sterile.
E l'imperatore Federico
Barbarossa incominciò a datare i suoi documenti, non dall'anno dell'era
cristiana, come aveva sempre fatto, ma “ dalla distruzione di Milano “, cioè
il l° marzo 1162.
Tutti capirono che ciò
era stata una follia. Frattanto la ribellione contro Barbarossa aumentava.
Un
cronista dell'epoca così scrisse:"Sicque factum est quod Lombardi, qui
inter alias nationes libertatis singularitate gaudebant, pro Mediolani invidia
cum Mediolano pariter corruerunt, et se Theutonicorum servitute misere
subdiderunt", cioè :"E' un fatto che i Lombardi, che godevano tra
le altre nazioni di un singolare grado di libertà, per invidia nei confronti di
Milano, rovinarono se stessi come avevano contribuito a rovinare Milano e
si assoggettarono miseramente alla servitù nei confronti dei Tedeschi.".
Il contrasto tra Milano
e Pavia e la rivalità
tra Milano e Lodi -top-
Sedi di tradizioni
politiche non solo diverse, ma addirittura contrastanti, Milano centro della
potenza vescovile e Pavia del potere Reale e della feudalità rappresentano
l'eterna contrapposizione fra il gau e la civitas, che possono
intendersi come lo straniero contro l'italico, il barbaro contro il romano, chi
detiene il potere contro chi lo subisce.
Già dall'epoca di
Arduino, quando questi aveva cercato di sottrarre il regno dei Longobardi alla
sudditanza alla corona germanica. Quando Corrado II volle sottomettere Pavia,
trovò come naturale alleato l'arcivescovo di Milano Ariberto, che gli mise a
disposizione le proprie milizie.
Quando a Milano ferveva
la lotta per ripulire la chiesa dai preti simoniaci e concubinarii, Pavia ne
approfittò per entrare in guerra contro Milano, guerra che si concluse nel 1061
con la sanguinosissima battaglia di "Campo morto", dove i milanesi
debellarono i pavesi, ma l'odio tra le due città rimase tanto che nei
successivi cinquant'anni sfociò in altre tre guerre.
Non bastando i motivi
di contrapposizione tra le due ci si misero anche piccoli comuni che, sfruttando
la rivalità tra Pavia e Milano, diedero loro altri motivi o pretesti per
scaramucce e guerre.
Nel 1107, ad esempio,
Tortona, assalita dai Pavesi, si rivolge a Milano chiedendone la protezione,
mentre Pavia si allea con Lodi e Cremona, Lodi viene messa a ferro e fuoco nel
1111, tanto da far dire ai superstiti, discendenti dei legionari di Pompeo, che
i Milanesi si erano comportati con loro come gli Unni di Attila.
Nel 1110 Brescia, in
lotta contro Cremona che si era alleata ai Pavesi, chiede e ottiene l'intervento
di Milano.
Nel 1129 Crema, per
sfuggire al controllo di Cremona, cui era stata ceduta dalla contessa Matilde,
si dichiarò vassalla di Milano, con la conseguente entrata in campo di Pavia e
Novara a fianco dei Cremonesi.
Nel 1130 con la
battaglia di Macognago i Pavesi ed i loro alleati vengono sconfitti e tutto ciò
che restava del loro esercito venne condotto prigioniero a Milano.
La città ambrosiana
poteva disporre di una posizione geografica unica, di una popolazione attiva e
determinata in battaglia come nel lavoro. Milano era già ricca allora di
floride industrie e, sede dell'arcivescovado più importante dell'Italia
settentrionale, coagulava attorno a sé una rete di comuni minori e di vassalli
che ne aumentavano la capacità sia offensiva che difensiva. La contrapposizione
tra Pavia e Milano portò quest'ultima ad una posizione di netto predominio in
Lombardia, mentre Pavia rimase sempre ostile.
Sul fronte lodigiano la
rivalità era alquanto complessa; facendo un balzo indietro nel tempo sono due i
motivi che sembrano emergere.
Il primo motivo era la
pretesa dell'arcivescovo di Milano di controllare il vescovato di Lodi, con
l'imposizione dell'investitura milanese su quella lodigiana anche per i beni
temporali, specialmente ai tempi di Ariberto d'Intimiano, arcivescovo milanese
dal 1018 al 1045.
Il rifiuto di Lodi di
accettare il vescovo impostole da Milano sembra una motivazione più cercata che
reale, appare molto più probabile che Ariberto volesse punire i Lodigiani per
la loro alleanza con Pavia in occasione della guerra del 1107 contro Tortona,
alleata dei milanesi. Dicono i cronisti dell'epoca che questi,
insuperbitosi, incominciasse a tiranneggiare i suoi vassalli, a vantaggio del
popolo, schierandosi così per la civitas contro il gau.
Ne nacquero malcontenti
che nel 1035 sfociarono in una vera e propria rivolta durante la quale,
inizialmente, i valvassori milanesi subiscono una sconfitta nell'area cittadina,
poi uscitine si uniscono ai cavalieri della Martesana, del Seprio ed ai
Lodigiani e a molti militi di altre terre, formano una Lega o Motta, accozzaglia
contro la quale l'arcivescovo, ricorrendo alla coscrizione obbligatoria
undecumque potuit, muove con un poderoso esercito carico di entusiasmo, ma
povero di esperienza.
Una sconfitta per
entrambe le parti fu la battaglia di Campomalo, dove rimase ucciso il vescovo di
Asti Olderico, alleato di Ariberto.
Venuto a conoscenza di
questa contesa, discende in Italia l'imperatore Corrado II, che a Pavia,
raccogliendo le istanze di valvassori e vassalli sostenendo per sua natura il
gau, arresta Ariberto e con lui i vescovi di Vercelli, Cremona e Piacenza.
Tradotto a Piacenza
Ariberto riesce a fuggire e a tornare a Milano dove resterà, protetto dal
popolo, fino al 1041, quando, insorto nuovamente il popolo contro la prepotenza
dei nobili, si arrivò a combattere nelle vie, nei tuguri e nei palazzi, mentre
l'arcivescovo restava indifferente a guardare.
Il popolo stava per
essere sopraffatto dalla vendetta patrizia, in quacumque urbis regione,
capitanei et valvassores populum superabant, inhumaniter ipsum trucidabant,
quando Lanzone, capitano di antica nobiltà si schiera con la plebe con quasi
tutti i suoi valvassori e porta la rivolta alla vittoria i valvassori sconfitti
e scacciati dalla città, seguiti di lì a poco da Ariberto che sconta così la
sua indifferenza alle sofferenze della plebe.
Nasce così la prima
organizzazione popolare che definisce una costituzione municipale, consistente
in un'assemblea popolare, in un consiglio minore e in un'autorità esecutiva
rappresentata all'inizio da un dictator lo stesso Lanzone e poi dai
consoli, quindi dal podestà (dal latino potestas = potere, perché
rappresentava il potere dell'imperatore) e infine dal capitano del popolo.
Altro motivo della
rivalità tra Milano e Lodi era costituito dalla lotta per il possesso
delle vie d'acqua, per la necessità di usarle come vie di comunicazione, perché
i corsi navigabili erano essenziali alla vita economica comunale, e la via
d'acqua naturale che collegava Milano con paesi lontani era il fiume Lambro che,
per lungo tratto, prima del Po, era controllato dai Lodigiani.
Inoltre fin dal secolo
X i vescovi di Lodi avevano diritti di pesca nelle acque del Lambro, ed il
Comune di Lodi vi esercitava il diritto di pedaggio per le barche che ne
risalivano la corrente.
Le terre conquistate
dall'arcivescovo Ariberto sui Lodigiani furono date in feudo ai valvassori
milanesi, i quali da quel tempo incominciarono a dominare nel Basso Lodigiano,
sulle sponde del Lambro, del Po e dell'Adda, in modo che i Milanesi, dai colli
di San Colombano e dalle torri dei castelli di Valera, Cogozzo, San Colombano,
Miradolo, Graffignana, Possadolto, Panizzago, Montemalo, Monte Ilderado, Maleo,
Cavacurta, Vittadone e Bertonico dominavano le vicine città ed i loro
territori, controllando ed osservando non solo Lodi, Pavia e Piacenza, ma anche
la non lontana Cremona con le loro flottiglie commerciali; le flottiglie
rimontavano il Po ed assicuravano un vasto scambio ed un vivace commercio.
In questo contesto
storico si inserisce la lotta tra l'imperatore ed i Comuni, ormai diventata
inevitabile
La nascita della Lega Lombarda
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A Sale (AL), nel 1165
nella Chiesa di Santa Maria e San Siro si stipulò la pace tra Tortonesi e
Pavesi. Nel 1165, dopo le ripetute aggressioni a Tortona da parte del
Barbarossa, a conclusione di un periodo di forte rivalità fra la città e
Pavia, appoggiata dall'imperatore, i Tortonesi riconoscono la supremazia dei
Pavesi, siglando un accordo che ha per teatro appunto la chiesa di Sale.
Nel frattempo, con il giuramento di Pontida, si era costituita la Lega
lombarda, 7 aprile 1167, formata dalle città di Milano,
Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, cui si aggiunse anche Lodi, e più tardi
anche Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Ferrara, e da ultimo anche
Pavia; l’anno seguente la lega chiese l’adesione di Genova, che non poté
essere accordata per le difficoltà in cui la città versava. Ma su richiesta
dei Consoli di Alessandria, per contribuire all’edificazione di tale nuova
piazzaforte, Genova versò 1.000 soldi subito ed altrettanti l’anno seguente.
Nel corso dei
successivi sette anni la Lega si rafforzò militarmente, ricostruì Milano, fondò
nel 1168, per volontà di papa Alessandro III (da cui il nome) la roccaforte
Alessandria, unendo i borghi di Marengo, Rovereto, Bergoglio, Gamondio, per
creare un baluardo contro le mire espansionistiche del marchese del Monferrato,
e per creare una difesa degli interessi commerciali verso la Liguria, e organizzò
un sistema d’amministrazione su base federale.
Alessandria
viene duramente assediata da Federico Barbarossa; durante questo periodo nacque
la leggenda di Gagliaudo che, con la sua astuzia, riuscì a salvare la città
dall’assedio.
Più
tardi, tuttavia, il Barbarossa riuscì nel suo intento.
La vacca di Gagliaudo
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1175:
Federico Barbarossa conquista Asti, prosegue verso Alessandria (che si
ostina a chiamare Rovereto per non pronunciare il nome del suo peggior nemico,
Papa Alessandro III la circonda e la pone sotto assedio. La città resiste
caparbiamente, ma la popolazione è ridotta alla fame. In questo scenario di
disperazione dal popolo giunge una geniale iniziativa in grado di disorientare
il nemico...
Era in
Alessandria un uomo venerando per anni, a nome Gagliaudo Aulari, che tutta la
vita aveva speso nel custodire greggi e fabbricare cacio. Volse egli
nell'animo come deludere il nemico e liberare la patria. Una giovenca
gli rimaneva, ultima della mandria. Essa prese a pascere con quanto
restava di frumento nei pubblici e privati granai e quando la vide ben satolla e
nitida, la spinse fuori di quella porta che da Genova prendeva il nome......
La vista di un animale così ben pasciuto contribuisce a
trarre in inganno gli assedianti circa le reali condizioni degli Alessandrini,
tanto che, dopo aver tentato un infruttuoso ultimo assalto, il Barbarossa leva
le tende e ripiega su Pavia. Poco importa che la vicenda dei nostro eroico
concittadino sia da ascrivere alla leggenda piuttosto che alla storia.
Il Carroccio
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Il Carroccio, dal
latino quadri-roteus = quattro ruote, era un carro, con ruote cerchiate in
ferro, trainato da tre coppie di buoi bianchi, che aveva nel mezzo un'antenna ai
piedi della quale vi era la croce lobata che il vescovo Ariberto da
Intimiano aveva donato ai Milanesi simbolo della fede e dell'unità del popolo.
Il
Carroccio era tutto contornato da stoffa purpurea, issava il vessillo del
comune, recava inoltre una campana detta la Martinella, così chiamata in onore di S. Martino
protettore, usata per incitare all'eroismo e al rispetto del
giuramento fatto i combattenti.
Al termine della battaglia, quando il Carroccio
ritornava in città il suono della Martinella annunciava la vittoria, che vi
erano stati dei morti in battaglia e che molti figli avevano perso il padre.
Da
allora a Milano chi è rimasto senza padre viene chiamato
"martinit".Il carroccio rappresentava il sacro simbolo del Comune,
visto come civitas e, in tempo di pace, era custodito nella chiesa maggiore.
In
tempo di guerra, prima della battaglia vi veniva detta una messa per benedire
quanti si sarebbero battuti per difenderlo e attraverso questo difendere il
Comune.
Il Carroccio non era
solo simbolo della libertà comunale, ma anche della religiosità e del rispetto
e obbedienza alla chiesa, era come sempre la contrapposizione fra Guelfi e
Ghibellini fra gau e civitas.
Durante lo scontro vi
si trovavano i comandanti per osservare dall'alto lo sviluppo della
battaglia e i trombettieri che scandivano con il loro suono le azioni da
compiere e vi si raccoglievano i feriti, rappresentava il centro dello
schieramento delle forze cittadine.
Attorno al Carroccio si
raccoglievano le forze migliori, truppe scelte, votate all'estremo sacrificio,
piuttosto che perdere il sacro Carroccio che avrebbe rappresentato per loro un'onta si doveva
preferire la morte che rappresentava la gloria invece dell'infamia; era la
Compagnia della Morte, composta da 900 armati pronti a morire combattendo.
III Discesa in Italia (1163 - 1164)
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Rientrò
subito in Germania a causa dell’ostilità da parte della Lega Veneta (
Treviso, Venezia, Verona, Vicenza,Padova).
IV Discesa in Italia (1166 - 1167)
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Sostenne
il nuovo antipapa, Pasquale III, succeduto a Vittore IV. Alessandro III fuggì
nuovamente ma nel 1167, per un’epidemia di peste, il Barbarossa dovette
rientrare in Germania senza portare a termine la conquista del regno Normanno.
V
Discesa in Italia
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<<La
disfatta di Federico Barbarossa>> (1174
- 1177)
Preceduta dalla Dieta
di Ratisbona, la quinta calata del Barbarossa avvenne nell'autunno 1174, lo
seguivano le truppe del fratello Corrado, di Ladislao di Boemia, di Ottone di
Wittelsbach, degli arcivescovi di Colonia e di Treviri nonché le milizie di
molti principi e vescovi, inoltre c'erano bande mercenarie di Babansoni (del
Brabante).
Attraversò la Savoia
ed entrò in Italia per il Moncenisio.
Genova era impegnata
con Pisa e rimase neutrale.
L’anno seguente gli
eserciti delle città Lombarde e della Marca, (tra cui anche il Marchese
Malaspina per anni ribelle al Comune), si raccolsero a Montebello.
Nel 1175 Federico
assediò Alessandria; ma inutilmente. Ed anche cercava nuovi alleati in Italia:
alcune città della Lega passarono dalla sua parte, mentre riceveva forti
soccorsi dalla Germania, che giunsero, infatti, nella primavera del 1176.
Genova
era impegnata con Pisa e rimase neutrale.
Il 16 aprile fecero una
tregua con l’impero. Fu allora che i Milanesi, anche se non potevano contare su
tutte le forze della Lega, deliberarono di giocare la carta decisiva.
Così si giunse alla
battaglia di Legnano il 29 maggio, tra il Ticino e l'Olona, a trenta chilometri
da Milano. Al grido “ sant'Ambrogio! “, attorno al Carroccio, mentre la
Compagnia della Morte urlava e si lanciava sulle truppe tedesche, gli alleati
vinsero clamorosamente e batterono Federico con una grave sconfitta. Egli cadde
da cavallo che gli fu ucciso, scomparve nella mischia, si salvò errando,
sconosciuto sul campo di battaglia.
La vittoria di Legnano
assicurò l'indipendenza alle città lombarde e costrinse l'imperatore a
riconciliarsi con il papa, Alessandro III, a cui l'anno dopo si umiliò in
Venezia all'ingresso della basilica di San Marco.
A gennaio dell’anno
seguente passò per Genova con la moglie Beatrice ed il figlio Enrico
trattenendosi soltanto pochi giorni.
Il 23 giugno 1183 venne
la Pace di Costanza a rinsaldare gli effetti conquistati sul campo di battaglia,
riconobbe i privilegi tradizionali dei Comuni, pur mantenendo il diritto di
confermare ed investire i magistrati eletti dai Comuni.
Il 27 febbraio 1187 il
figlio, Enrico VI di Svevia, fu incoronato Re d’Italia e, al fine di
realizzare l’unificazione dell’Impero, sposò Costanza, unica erede del
regno Normanno di Sicilia.
Federico scomparve nel
1190 mentre partecipava alla Terza Crociata, annegando nel fiume Salef, sul
confine della Siria.
La pace di Costanza
aveva introdotto la nuova figura del Podestà, che avrebbe poi soppiantato
quella dei Consoli della città.
Primo
Podestà di Milano fu Uberto Visconti da Piacenza.
La parte di Melegnano
che era sulla sinistra del fiume Lambro (ora occupata dalle Vie Dezza, San
Martino, Sangregorio, Lodi, Piave, Volturno, Gramsci, ed altre più recenti) e
le terre di Vizzolo e di Calvenzano erano da secoli nei confini naturali del
territorio laudense, e quindi anche nella diocesi di Lodi, a cui pagavano i
tributi.
Ma nel Trattato di Pace
tra Milano e Lodi, stipulato il 28 dicembre 1199, i Lodigiani cedettero ai
Milanesi tutta la zona di Melegnano che stava sulla sinistra del Lambro, con
Calvenzano e Vizzolo, che dovevano per sempre rimanere nel dominio milanese.
E così Melegnano si
trovò unificata, come comunità stretta attorno alle rive del suo Lambro. Fu
una pace di buon compromesso, perché i Milanesi ricevevano la parte melegnanese
che stava a sinistra del Lambro e mantenevano alcuni diritti che già avevano
sulla navigazione del Lambro.
Ma anche i Lodigiani
poterono mettere per scritto che “ a riguardo del fiume Lambro da sotto
Melegnano fino al Po, dall'una e dall'altra sponda, nessun ponte, ne porto deve
essere costruito se non con il permesso e la volontà del Comune di Lodi”.
La vittoria di Legnano,
che ebbe una vasta risonanza in tutta Italia ed Europa, e la relativa Pace di
Costanza del 1183 determinarono diverse prese di posizione e di revisione di
vecchi contratti e di ingiustizie sofferte o presunte tali.
Un caso di questi
avvenne il 13 luglio 1185, quando Giordano di Melegnano, e gli eredi di Guido ed
Alberto che già abbiamo trovato a Maleo, essi pure melegnanesi, pretesero la
restituzione di parte della sostanza immobiliare che a loro era stata tolta,
presentando la causa legale contro il vescovo di Cremona, Offredo, un amico
dell'ex Barbarossa.
Difatti il 13 luglio
1185 Ydo di Tortona, giudice del tribunale imperiale, con il vescovo di Novara,
Bonifacio, e con il vicario imperiale del tribunale, Metello, emise la sentenza
che Offredo, vescovo di Cremona, dovesse restituire il possesso di metà delle
terre di Maleo a Giordano di Melegnano, ed il possesso della quarta parte agli
eredi di Guido e di Alberto che la domandavano.
LA
BATTAGLIA DI LEGNANO
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Un capitolo a sé merita la famosa
battaglia di Legnano con uno dei più famosi guerrieri del tempo Alberto da
Giussano.
Proseguendo con l'esercito straniero, l'imperatore si era
fermato a Nord del contado del Seprio. I contadini del borgo
delle cascine di Legnano, quindi, decisero di armarsi per poter affrontare al
meglio l'esercito di Barbarossa.
Federico
I era molto più vicino di quanto si pensasse, e dopo aver passato la notte
accampato a Cairate si rimise in marcia per raggiungere Pavia e attraversare il
Ticino.
Quest'ultimo esercito è assai vario: ci
sono nobili, militari e molti volontari che escono assieme dalle porte di
Milano. In mezzo a loro i cavalieri più minacciosi, quelli della Compagnia
della Morte, che hanno giurato al loro capitano eterna fedeltà,
combatteranno fino alla morte. Al loro seguito, il Carroccio.
E' l'alba del 29 maggio 1176
il
primo contatto avvenne sul territorio di Borsano: secondo i documenti dell'epoca
l'avanguardia tedesca era in grave inferiorità numerica, ma
ecco che all'orizzonte appaiono Federico Barbarossa e i suoi cavalieri,
purtroppo i legnanesi non sono più in superiorità numerica, quindi decidono di
ritornare vicino al Carroccio; nonostante gli fosse stato consigliato di
ordinare la ritirata il Barbarossa attaccò con vigore i cavalieri lombardi costringendoli
a fuggire a Milano.
I cavalieri rimasti attorno al Carroccio, intanto, pensano a
come difenderlo da un'orda di barbari inferociti, ma non ne hanno il tempo.
A quel punto le linee dei fanti si strinsero seguendo istintivamente il modello
della falange latina, ma le cariche della cavalleria tedesca si fecero via via
più devastanti. Le prime file vengono
decimate ma poi i Lombardi reagiscono e i due eserciti combattono con uguale
ferocia. I Lombardi vedono ormai vicina la loro fine ma ad un certo punto…
I
migliori cavalieri di Milano
e Brescia che secondo
una fonte attendibile si erano fermati a meno di
un
chilometro oltre il Carroccio, si ricongiunsero con le truppe fresche che nel
frattempo erano arrivate da Milano.
E' il primo pomeriggio quando irrompono sul campo di
battaglia dinanzi al Carroccio, difeso dalla falange dei fanti, i cavalieri
della Lega, che attaccano al fianco l'esercito imperiale, secondo
gli storici tedeschi l'agguato decisivo fu teso dai cavalieri bresciani, che in
un'unica azione uccisero il portatore delle insegne imperiali e costrinsero il
Barbarossa a fuggire abbandonando il proprio cavallo.
La
scomparsa dell'imperatore e delle insegne gettò nel panico il resto
dell'esercito, che si lanciò in una disordinata fuga in direzione del Ticino.
L'imperatore stesso
scompare.
Sul
campo restarono i comaschi, che vennero fatti prigionieri dai vincitori.
Il sole ormai stava per calare, ma l'esercito imperiale aveva subito una delle
sue disfatte più rovinose.
Il popolo lombardo ha finalmente trovato la libertà grazie
alla sua forte determinazione e ai suoi valorosi fanti.
Eroi che non hanno temuto un avversario più forte e più
numeroso, uomini, armati solo del loro coraggio, che per la prima volta nella
storia del Medioevo hanno affrontato con grande successo dei soldati a cavallo.
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