martedì, 04 aprile 2006
Nel suo ultimo saggio Marco Hamam aiuta a capire
l'Egitto di oggi. Un paese in bilico tra modernizzazione, autoritarismo e una disuguaglianza
sociale che premia poche migliaia di persone legate al ceto politico
dominante.
Il faraone
Mubarak e il regime poliziesco amato dagli Usa
di Wasim Dahmash
Come funziona una delle autocrazie del mondo
islamico nel XXI secolo? Quali sono le forze
economiche, sociali, politiche, che sorreggono il sistema autocratico e a
loro volta ne sono espressione? Quali sono le dinamiche
che azionano i meccanismi del potere? Di quali componenti
sono formate le pillole ideologiche che per mantenersi il sistema somministra
alla popolazione? E l’islam in tutto questo, che
ruolo ha? È il combustibile ideologico che alimenta le dinamiche
sociali? A queste domande e a molte altre ancora risponde il libro di Marco
Hamam Egitto, la svolta attesa. Mubarak l’ultimo faraone (Edizioni Memori, 2005, pp. 249, euro 16,00).
Un saggio che aiuta a capire l’Egitto di oggi
fornendo dati e analizzando i fenomeni politici del grande paese arabo.
Quella descritta da Hamam è una società complessa alle prese con i problemi
della modernizzazione in tutti i settori, dalle strutture produttive
alle istituzioni. Una società che peraltro deve fare i conti con una crescita
demografica tra le più alte del mondo, un’urbanizzazione selvaggia che
determina il sovraffollamento dei centri urbani, fino all’effetto di
soffocamento in cui versa la megalopoli del Cairo che, con la sua cintura di
bidonville, probabilmente ha superato i 25 milioni di abitanti.
Marco Hamam descrive, cifre alla mano, la questione della povertà in un paese
dove il reddito pro capite è di 1.290 dollari l’anno, dove il regime riesce a
trarre utilità politica da una distribuzione del reddito per
cui il 86j della popolazione vive con 335 dollari
per tutto l’anno, mentre in 74000 posseggono un patrimonio superiore a
650 miliardi di dollari, dei quali i nove decimi sono frutto di corruzione e
di mezzi illeciti, tra cui l’uso personale del potere politico.
In questo quadro, i partiti e le organizzazioni politiche, legali e illegali,
cercano di definire le loro strategie muovendosi in un clima di repressione
poliziesca. Nel fare una rassegna dei programmi e degli uomini che guidano i
partiti, l’autore spiega come abbiano affrontato la
questione della manipolazione delle leggi e della costituzione. Il lettore
può capire le tecniche con cui si fanno passare per processo democratico
delle elezioni basate su un sistema elettorale studiato per dare al regime
una facciata rinnovata e presentabile. A questo proposito non è estranea
l’azione dell’amministrazione statunitense, programmata dal potente gruppo di
pressione PNAC (Project for the New American Century). Sono molteplici gli
strumenti di cui si avvalgono gli USA per interferire negli affari
dell’Egitto. Tra questi l’autore sottolinea quello
del denaro: “Gli USA stanno sostenendo governo e opposizioni. Il filo più
importante che lega, con il danaro, gli USA e il
governo è rappresentato dagli aiuti economici promessi all’indomani degli
accordi di pace di Camp David del 1979 come strumento di pressione
sull’Egitto a favore degli interessi israelo-americani in Medio Oriente”.
A proposito dei fenomeni terroristici l’analisi non cede a tentazioni
ideologiche: oltre ai fatti, ricostruisce le condizioni interne, regionali e
internazionali in cui si sono verificati gli attentati degli ultimi decenni,
e riporta dati e conclusioni di centri di ricerca e
degli organi di polizia. Un esempio eloquente è rappresentato dalle varie
ipotesi relative ai mandanti degli attentati. Pur
non escludendo la responsabilità di al-Kayeda
osserva: “al-Qa’ida ha un suo senso se si considera questa sigla come una
vera e propria setta segreta che dirige le fila degli attentati su tutto il
pianeta. [...] ‘Non si è
mai saputo se al-Qa’ida sia mai realmente esistita come la intendono gli
statunitensi oggi. Fonti vicine ai servizi segreti hanno sempre affermato che
questo fosse il nome di un fascicolo del Pentagono riguardante i combattenti
afgani durante la guerra contro l’URSS. [...] Oggi è molto verosimile che
al-Qa’ida non sia altro che un marchio di fabbrica, una ideologia
della lotta armata che molti sono disposti ad abbracciare su spinte personali
o su suggestioni di gruppo’[...]”
Nel leggere il libro di Marco Hamam si è indotti a pensare quanto siano
necessari lavori come questo per sfatare cliché consolidati, in un momento in
cui sono innumerevoli e di mera propaganda le pubblicazioni sul mondo arabo e
islamico.
Dati i contenuti del volume, ci poniamo un
interrogativo a proposito del titolo. “Egitto. La svolta attesa” pare
suggerire che in Egitto già sia stata attuata la “svolta attesa”. Importanti
processi di trasformazione sociale ed economica sono
invece in atto ma ancora devono trovare una loro sintesi sul piano politico e
istituzionale. Non sarebbe stato più pertinente parlare di un paese “in attesa della svolta”?
tratto da: Liberazione, mercoledì
29 marzo 2006, pag.3
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