About Me.

Visto che sei tu ad aver cliccato su 'About me', allora adesso ti dovrai sorbire un po' della mia biografia!! :))











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Come appare chiaro anche dal titolo dell'index, mi chiamo Daniele Bailo, e ho (per ora) 21 anni.
Nella vita mi dedico a varie attività:
tra le prime vedo lo studio, che volente o nolente deve essere portato avanti; faccio ingegneria informatica alla Terza Università di Roma, ma non sono uno di quelli che passa la vita davanti al computer (bhè, ammetto però che se non saluto il mio compy prima di uscire ho paura che ci rimane male... :-))
Per il resto mi piace fare qualsiasi cosa che possa arricchirmi interiormente: dallo stare con gli amici, al suonare con gli altri o da solo, riflettere, scrivere, pregare.
Ma andiamo con ordine.
Di seguito puoi trovare piccoli paragrafetti in cui racconto di me riguado ad alcuni argomenti.


La musica e l'arte
Innanzitutto penso che la musica sia uno dei mezzi più belli per comunicare le proprie sensazioni ed i propri sentimenti. C'è qualcuno che dice addirittura che tra tutte le arti la musica è quella che più si avvicina a Dio. E secondo me non sbaglia poi di molto.

La mia carriera musicale è sorta in un giorno normalissimo, che a pesarci bene non aveva proprio nulla di speciale.
Era pomeriggio e gironzolavo in parrocchia, quando uno dei miei amici (amico che era anche un animatore di alcuni gruppi parrocchiali) mi disse: "Va bene, allora sei iscritto al corso di chitarra che tengo io, ok?".
Cosa potevo rispondere io, povero bimbo implume 14enne? Si, ovviamente.
Presi così dallo sgabuzzino una vecchia chitarra (che tra l'altro è ancora viva vegeta e suonante) appartenuta a mia madre e, corde alla mano, andai alla prima lezione del corso.
Ho seguito questo corso, e fin dall'inizio ho sempre avuto il desiderio di esprimermi musicalmente in maniera particolare.
Da sempre mi è piaciuto il blues, che non c'è niente da fare: ti entra dentro, strilla insieme alla tua anima le sofferenze annegate nell'oblio, da' espressione a quella malinconia un po' rabbiosa che ognuno di noi si porta dentro almeno in piccola parte.
Con queste idee non mi sentivo proprio a mio agio in mezzo a persone che volevano suonare Baglioni, Masini..... (che lo dico a fare?...insomma, quelli..). Ed io, che per imparare a suonare la chitarra ho cominciato con quelle cose (del resto i nostri "insegnanti" non avevano molte altre proposte) le ho anche odiate. Ora posso dire che la musica leggera italiana mi piace in parte, perchè -sinceramente- salvo poche eccezioni, l'ascoltare tale musica è come mangiare un cioccolatino.
E' arrivato poi il tempo della scuola di musica, la mitica S.P.M.T. ovvero Scuola Popolare di Musica del Testaccio (che per chi non lo sapesse è un quartiere di Roma).
Ammetto che ero partito con l'idea di andare a scuola di musica, diventare un mostro della chitarra, così da poter essere il più bravo di tutti. Insomma un inizio pessimo. Ma per fortuna mi sono trovato in uno degli ambienti in cui tale competizione è molto smorzata: l'abiente del jazz.
In 3 anni di studi non ho mai fatto esercizi super-ripetitivi, non ho mai fatto esercizi di velocità, mai studiato nulla che potesse essere qualcosa di meccanico e basta.
No. Mai. Era tutto basato sulla conoscenza della musica e dello strumento. Gli esercizi, che ovviamente dovevano essere fatti, me li hanno sempre presentati come un mero mezzo. Se volevo riuscire ad ESPRIMERMI in qulla maniera, con qulla tecnica o con quel suono particolare, allora mi dovevo esercitare a farlo. Ma non ho mai fatto esercizi fini a se stessi.
L'improvvisazione era uno dei punti fondamentali, era quella l'esercizio più richiesto: playa le basi e con lo spartito davanti suona quello che ci sta bene sopra (all'inizio) e quello che ti esce dall'anima (in stadi più avanzati).
Gli insegnamenti ricevuti in quegli anni li sto rivalutando solo ora... infatti...infatti...
Infatti gli anni della scuola di musica sono stati tra i più pieni di controversie (musicalmente parlando) della mia vita.
Andavo alla S.P.M.T. ma suonavo con un gruppo di 4 sgangherati metallaripunkettonideathmetaller e chi più ne ha più ne metta (i SENZA USCITA). Io e l'altro chitarrista volevamo suonare jazz, ma gli altri due (in particolare il bassista), non ne volevano nemmeno sentir parlare.
La conseguenza di ciò è stata un'esperienza non proprio gradevole: era il concerto di fine anno, eravamo tra gli ultimi gruppi (figurati che gliene fregava di far suonare per primi dei bimbi 15enni...), e quando siamo saliti sul palco (in 3 perchè il quarto, molto più furbo di me, aveva mollato il gruppo pochi giorni prima) ho sentito un pensiero che mi rimbombava in testa: "Daniele ma che ci stai a fare qui: tu vuoi esprimere ciò che porti nell'anima, ti piace il jazz, e stai qui con questi metallari a fare pure pezzi death? Ma che fai?".
Il concerto poi andò pure una mezza schifezza, con chitarre che non si sentivano, il fonico preso di quarta mano non si sa dove che se ne fregava di tutto e un gruppo di metallari che avevano suonato prima che ci guardavano e sfottevano (persone di cui, fatalità della sorte, ora sono amico e sto in ottimi rapporti).
Insomma, uno di quei classici traumi "adolescenziali"....(porca miseria, dire così mi fa sentire un vecchione....:-))
Da quel giorno ho intrapreso una strada che mi avrebbe portato a capire solo adesso che quando si suona con qualcuno (non per lavoro, ovviamente) si condivide con quel qualcuno qualcosa di molto grande.
Dopo quell'episodio non volevo più suonare, ma studiando alla scuola di musica ero praticamente costretto (per fortuna!). Successivamente ho suonato con la Big Band di cui facevo parte lì alla scuola di musica, e fu per me una grade soddisfazione. Fu quello che mi incoraggiò ad andare avanti.
Per gli anni successivi suonai in pubblico esclusivamente tramite la scuola (di musica) fino al 96, anno in cui, quasi per caso, mi ritrovai in un gruppo chiamato The Edgehogs. Lì mi sono divertito proprio tanto. Da quel momento ricominciai a suonare con gli altri, e stare negli Edgehogs mi servì soprattutto per dare un nuovo slancio alla mia creatività. Nel nostro primo concerto suonammo solamente pezzi nostri, e fu una grande soddisfazione vedere la gente che alla fine veniva a farci i complimenti (e di certo non lo fecero per quell'atteggiamento a me tanto caro della pietas cristiana.. visto che eravamo in un liceo di sgangherati). E questo fu quello che sempre successe ogni volta che (anche con il gruppo successivo) decidemmo di fare pezzi nostri.
I pezzi che facevamo con gli Edgehogs erano di buona qualità: generalmente erano pezzi creati assieme, e risistemati in maniera da renderli particolari, anche quando si basavano su un giro rock-blues fritto e rifritto. Basta unire creatività e studio.
Finì tutto nel momento in cui si era presa la decisione di fare cover.
Ci sciogliemmo prima dell'estate 97, quando decisi di abbandonare gli studi musicali perchè avevo avuto il presentimento (poi rivelatosi vero) che fare scuola di musica -seriamente, dico- e ingegneria è molto difficile.
E fu proprio nel 97 che decisi di formare un uovo gruppo (che per la cronaca ha cambiato 2 nomi in 3 concerti: TASTI SUSSIGANA prima, e poi IMBOSKATA CONNECTION).
Con loro ho suonato fino all'inizio dell'estate del 98, e ho imparato molto. Abbiamo fatto pezzi molto simpatici, a cavallo un po' tra il punk e lo ska, con influenze (ovviamente :)) jazz. La musica era di qualità ed i pezzi TUTTI rigorosamente NOSTRI. Abbiamo pure fatto un paio di registrazioni. Insomma, ne sono soddisfatto.
Ma pure là c'era lo stesso problema: ero limitato nell'esprimermi.
Ora, dopo che ci siamo sciolti "ufficialmente" ho tratto le mie conclusioni:
se non si fa i musicisti di mestiere (situazione in cui a volte ci si trova a suonare anche cose che non piacciono o, comunque, non solo cose personali, pezzi propri), la musica diventa per me un canale preferenziale per esprimere tutto ciò che ci si porta dentro, quindi i compagni di "suonata" devono essere principalmente persone che sappiano accettare e rispettare.
Non penso si debba suonare solamente solamente per fare bella musica o per divertirsi. Si, sono importanti anche questi aspetti, ma non sono il nocciolo (il kernel, per dirla con linguaggio informatico...:-)).
E questo è il motivo per cui non riesco a vedermi in un genere fisso: posso forse costringere il mio cuore ad avere sempre ispirazioni dello stesso tipo?
Mi piace il jazz, il punk, il folk, la musica classica, addirittura la musica dance (quei bei suoni elettronici che sto, nel momento in cui scrivo, rivalutando): ma quando si suona può venire fuori qualsiasi cosa.

La musica ci parla senza parole, e non esprime concetti. E' una delle arti più ambigue, ma quando due cuori sentono che quella melodia che fluttua nell'aria li appassiona, gli entra dentro, nel profondo, e li pervade, allora, amici miei, essi hanno trovato un bel punto di incontro......
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