INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO 2003-2004 Prenotazioni e Informazioni presso la Sede del Centro (telefono e fax 045590561). Lunedì 6 ottobre 2003: Teatro Camploy, via Cantarane 32, Verona (prima rappresentazione ore 16.00; seconda rappresentazione ore 20.30)
"L'amor che move il sole e l'altre stelle" Itinerari d'amore nella poesia di Dante e Petrarca letture poetiche di Walter Maestosi e Daniela Barra (note biografiche) intertesto: Prof.a Albertina Cortese al flauto e alla gaita celtica: Mauro Salvatori la "Canzone alla Vergine" di F. Petrarca verrà letta da giovani diversamente abili dell'Istituto don Calabria | |
Programma 1 | Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io (Dante, Rime, LII) | 2 | Tanto gentile e tanto onesta pare (Dante, Vita nuova, cap. XXVI) | 3 | Chiare, fresche et dolci acque (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CXXVI) | 4 | Quando il Settentrion del primo cielo (Dante, Purgatorio, XXX, 1-54) | 5 | Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, et l'anno (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, LXI) | 6 | Erano i capei d'oro a l'aura sparsi (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, XC) | 7 | Così discesi del cerchio primaio (Dante, Inferno, V) | 8 | Era sì pien il cor di meraviglia (Petrarca, Triumphus Cupidinis, III, 1-51) | 9 | Era il giorno ch'al sol si scoloraro (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, III) | 10 | Poi che deposto il pianto e la paura (Petrarca, Triumphus Mortis, I, 157-172) | 11 | Quanta invidia io ti porto, avara terra (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCC) | 12 | Vergine bella, che di sol vestita (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCCLXVI)) | 13 | Vergine madre, figlia del tuo figlio (Dante, Paradiso, XXXIII) |
1 Guido i' vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch'ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio; sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse 'l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch'è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor esser contenta, sì come i' credo che saremmo noi. ritorna all'indice | 2 Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mòstrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi non la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: «Sospira!» ritorna all'indice | 3 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udïenza insieme a le dolenti mie parole extreme. S'egli è pur mio destino e 'l cielo in ciò s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l'alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: ché lo spirito lasso non poria mai in piú riposato porto né in piú tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l'ossa. Tempo verrà anchor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella et mansüeta, et là 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disïosa et lieta, cercandomi; et, o pietà!, già terra in fra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri sí dolcemente che mercé m'impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta già de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito et perle eran quel dí a vederle; qual si posava in terra, et qual su l'onde; qual con un vago errore girando parea dir: - Qui regna Amore. - Quante volte diss'io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosí carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e 'l dolce riso m'aveano, et sí diviso da l'imagine vera, ch'i' dicea sospirando: Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non là dov'era. Da indi in qua mi piace questa herba sí, ch'altrove non ò pace. Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. ritorna all'indice | 4 Quando il settentrïon del primo cielo, che né occaso mai seppe né orto né d'altra nebbia che di colpa velo, e che faceva lì ciascuno accorto di suo dover, come 'l più basso face qual temon gira per venire a porto, fermo s'affisse: la gente verace, venuta prima tra 'l grifone ed esso, al carro volse sé come a sua pace; e un di loro, quasi da ciel messo, 'Veni, sponsa, de Libano' cantando gridò tre volte, e tutti li altri appresso. Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando, cotali in su la divina basterna si levar cento, ad vocem tanti senis, ministri e messaggier di vita etterna. Tutti dicean: 'Benedictus qui venis!', e fior gittando e di sopra e dintorno, 'Manibus, oh, date lilïa plenis!'. Io vidi già nel cominciar del giorno la parte orïental tutta rosata, e l'altro ciel di bel sereno addorno; e la faccia del sol nascere ombrata, sì che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fïata: così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fori, sovra candido vel cinta d'uliva donna m'apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva. E lo spirito mio, che già cotanto tempo era stato ch'a la sua presenza non era di stupor, tremando, affranto, sanza de li occhi aver più conoscenza, per occulta virtù che da lei mosse, d'antico amor sentì la gran potenza. Tosto che ne la vista mi percosse l'alta virtù che già m'avea trafitto prima ch'io fuor di püerizia fosse, volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto, per dicere a Virgilio: 'Men che dramma di sangue m'è rimaso che non tremi: conosco i segni de l'antica fiamma'. Ma Virgilio n'avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die'mi; né quantunque perdeo l'antica matre, valse a le guance nette di rugiada che, lagrimando, non tornasser atre. ritorna all'indice | 5 Benedetto sia 'l giorno, et 'l mese, et l'anno, et la stagione, e 'l tempo, et l'ora, e 'l punto, e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto da'duo begli occhi che legato m'ànno; et benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto, et l'arco, et le saette ond'i' fui punto, et le piaghe che 'nfin al cor mi vanno. Benedette le voci tante ch'io chiamando il nome de mia donna ò sparte, e i sospiri, et le lagrime, e 'l desio; et benedette sian tutte le carte ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio, ch'è sol di lei, sí ch'altra non v'à parte. ritorna all'indice | 6 Erano i capei d'oro a l'aura sparsi che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e l'vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch'or ne son sí scarsi; e 'l viso di pietosi color' farsi, non so se vero o falso, mi parea: i' che l'ésca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di súbito arsi? Non era l'andar suo cosa mortale, ma d'angelica forma; et le parole sonavan altro, che pur voce humana. Uno spirito celeste, un vivo sole fu quel ch'i'vidi: et se non fosse or tale, piagha per allentar d'arco non sana. ritorna all'indice | 7 Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio. Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata; giudica e manda secondo ch'avvinghia. Dico che quando l'anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata vede qual loco d'inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio, dicono e odono e poi son giù volte. «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l'atto di cotanto offizio, «guarda com' entri e di cui tu ti fide; non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!». E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch'a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. E come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid' io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga; per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l'aura nera sì gastiga?». «La prima di color di cui novelle tu vuo' saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle. A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. Ell' è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che 'l Soldan corregge. L'altra è colei che s'ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussurïosa. Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi 'l grande Achille, che con amore al fine combatteo. Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch'amor di nostra vita dipartille. Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega!». Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere, dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov' è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettüoso grido. «O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand' io intesi quell' anime offense, china' il viso, e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com' io morisse. E caddi come corpo morto cade. ritorna all'indice | 8 Era sì pieno il cor di meraviglie ch'i' stava come l'uom che non pò dire, e tace, e guarda pur ch'altri 'l consiglie, quando l'amico mio: Che fai? che mire? che pensi? disse non sai tu ben ch'io son della turba? e' mi convien seguire. Frate, risposi e tu sai l'esser mio, e l'amor del saper che m'ha sì acceso che l'opra è ritardata dal desio. Et egli: I' t'avea già tacendo inteso: tu vuoi udir chi son quest'altri ancora. I' tel dirò, se 'l dir non è conteso. Vedi quel grande il quale ogni uomo onora; egli è Pompeo, et ha Cornelia seco, che del vil Tolomeo si lagna e plora. L'altro più di lontan, quell'è 'l gran Greco; né vede Egisto e l'empia Clitemestra: or puoi veder Amor s'egli è ben cieco. Altra fede, altro amor: vedi Ipermestra, vedi Piramo e Tisbe inseme a l'ombra, Leandro in mare et Ero a la finestra. Quel sì pensoso è Ulisse, affabile ombra, che la casta mogliera aspetta e prega, ma Circe, amando, gliel ritene e 'ngombra. L'altro è 'l figliuol d'Amilcare, e nol piega in cotant'anni Italia tutta e Roma; vil feminella in Puglia il prende e lega. Quella che 'l suo signor con breve coma va seguitando, in Ponto fu reina: come in atto servil se stessa doma! L'altra è Porzia, che 'l ferro e 'l foco affina; quell'altra è Giulia, e duolsi del marito ch'a la seconda fiamma più s'inchina. Volgi in qua gli occhi al gran padre schernito, che non si muta, e d'aver non gli 'ncresce sette e sette anni per Rachel servito: vivace amor che negli affanni cresce! Vedi 'l padre di questo, e vedi l'avo come di sua magion sol con Sara esce. Poi vedi come Amor crudele e pravo vince Davit e sforzalo a far l'opra onde poi pianga in loco oscuro e cavo. Simile nebbia par ch'oscuri e copra del più saggio figliuol la chiara fama e 'l parta in tutto dal Signor di sopra. De l'altro, che 'n un punto ama e disama, vedi Tamar ch'al suo frate Absalone disdegnosa e dolente si richiama. Poco dinanzi a lei vedi Sansone, vie più forte che saggio, che per ciance in grembo a la nemica il capo pone. ritorna all'indice | 9 Era il giorno ch'al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i' fui preso, et non me ne guardai, ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d'Amor: però m'andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: però al mio parer non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l'arco. ritorna all'indice | 10 Poi che deposto il pianto e la paura pur al bel volto era ciascuna intenta, per desperazïon fatta sicura, non come fiamma che per forza è spenta, ma che per sé medesma si consume, se n'andò in pace l'anima contenta, a guisa d'un soave e chiaro lume cui nutrimento a poco a poco manca, tenendo al fine il suo caro costume. Pallida no, ma più che neve bianca che senza venti in un bel colle fiocchi, parea posar come persona stanca. Quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi, sendo lo spirto già da lei diviso, era quel che morir chiaman gli sciocchi: Morte bella parea nel suo bel viso. ritorna all'indice | 11 Quanta invidia io ti porto, avara terra, ch'abbracci quella cui veder m'è tolto, et mi contendi l'aria del bel volto, dove pace trovai d'ogni mia guerra! Quanta ne porto al ciel, che chiude et serra et sí cupidamente à in sé raccolto lo spirto da le belle membra sciolto, et per altrui sí rado si diserra! Quanta invidia a quell'anime che 'n sorte ànno or sua santa et dolce compagnia la qual io cercai sempre con tal brama! Quant'a la dispietata et dura Morte, ch'avendo spento in lei la vita mia, stassi né suoi begli occhi, et me non chiama! ritorna all'indice | 12 Vergin bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sí, che 'n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so 'ncominciar senza tu' aita, et di Colui ch'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede: Vergine, s'a mercede miseria extrema de l'humane cose già mai ti volse, al mio prego t'inchina, soccorri a la mia guerra, bench'i' sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima, et con piú chiara lampa; o saldo scudo de l'afflicte genti contra colpi di Morte et di Fortuna, sotto 'l qual si trïumpha, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch'avampa qui fra i mortali sciocchi: Vergine, que' belli occhi che vider tristi la spietata stampa ne' dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubbio stato, che sconsigliato a te vèn per consiglio. Vergine pura, d'ogni parte intera, del tuo parto gentil figliola et madre, ch'allumi questa vita, et l'altra adorni, per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, o fenestra del ciel lucente altera, venne a salvarne in su li extremi giorni; et fra tutt'i terreni altri soggiorni sola tu fosti electa, Vergine benedetta, che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni. Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, senza fine o beata, già coronata nel superno regno. Vergine santa d'ogni gratia piena, che per vera et altissima humiltate salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tu partoristi il fonte di pietate, et di giustitia il sol, che rasserena il secol pien d'errori oscuri et folti; tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, madre, figliuola et sposa: Vergina glorïosa, donna del Re che nostri lacci à sciolti et fatto 'l mondo libero et felice, ne le cui sante piaghe prego ch'appaghe il cor, vera beatrice. Vergine sola al mondo senza exempio, che 'l ciel di tue bellezze innamorasti, cui né prima fu simil né seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginità feconda. Per te pò la mia vita esser ioconda, s'a' tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove 'l fallo abondò, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d'ogni fedel nocchier fidata guida, pon' mente in che terribile procella i' mi ritrovo sol, senza governo, et ò già da vicin l'ultime strida. Ma pur in te l'anima mia si fida, peccatrice, i' no 'l nego, Vergine; ma ti prego che 'l tuo nemico del mio mal non rida: ricorditi che fece il peccar nostro, prender Dio per scamparne, humana carne al tuo virginal chiostro. Vergine, quante lagrime ò già sparte, quante lusinghe et quanti preghi indarno, pur per mia pena et per mio grave danno! Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno, cercando or questa et or quel'altra parte, non è stata mia vita altro ch'affanno. Mortal bellezza, atti et parole m'ànno tutta ingombrata l'alma. Vergine sacra et alma, non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno. I dí miei piú correnti che saetta fra miserie et peccati sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta. Vergine, tale è terra, et posto à in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne et de mille miei mali un non sapea: et per saperlo, pur quel che n'avenne fôra avenuto, ch'ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea. Or tu donna del ciel, tu nostra dea (se dir lice, e convensi), Vergine d'alti sensi, tu vedi il tutto; e quel che non potea far altri, è nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore; ch'a te honore, et a me fia salute. Vergine, in cui ò tutta mia speranza che possi et vogli al gran bisogno aitarme, non mi lasciare in su l'extremo passo. Non guardar me, ma Chi degnò crearme; no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza, ch'è in me, ti mova a curar d'uom sí basso. Medusa et l'error mio m'àn fatto un sasso d'umor vano stillante: Vergine, tu di sante lagrime et pïe adempi 'l meo cor lasso, ch'almen l'ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo, come fu 'l primo non d'insania vòto. Vergine humana, et nemica d'orgoglio, del comune principio amor t'induca: miserere d'un cor contrito humile. Che se poca mortal terra caduca amar con sí mirabil fede soglio, che devrò far di te, cosa gentile? Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man' resurgo, Vergine, i' sacro et purgo al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile, la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. Il dí s'appressa, et non pòte esser lunge, sí corre il tempo et vola, Vergine unica et sola, e 'l cor or coscïentia or morte punge. Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch'accolga 'l mïo spirto ultimo in pace.
ritorna all'indice | 13 «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz' ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt' i disii appropinquava, sì com' io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch' io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colüi che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visïone, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond' io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch'i' dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che 'l ben, ch'è del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch'è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal è sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom' io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle. ritorna all'indice |
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