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"L'interpretazione visiva della Divina Commedia di Achille Incerti"
Note di Albertina Cortese

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INFERNO

Tela n° 2 : "Ahi , quanto a dir qual’ era è cosa dura" – Inf. I°, 4 (vai all'immagine)

    La prima pagina della Commedia è, per Achille Incerti, nera (29/30 di nero – 1/30 di rosso).

"Ahi, quanto a dir qual’era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte"

    Il nero, il buio, le tenebre costituiscono lo sfondo e la condizione interiore di chi ha perduto luce, orientamento, sicurezza: la selva oscura. Il campo di colore nero/blu incombe e quasi schiaccia una piccola figurina rossa posizionata al centro del lato inferiore. Le proporzioni sempre molto piccole di Dante saranno la caratteristica costante di tutto l’intero ciclo dantesco di Incerti. La figurina sarà sempre rappresentata in rosso, colore della vita terrena, mentre Virgilio sarà sempre rappresentato in blu, il colore dello spirito. Le mani sono esageratamente grandi per rappresentare, simbolicamente, smarrimento e angoscia. La grande finestra nera, dove Dante è rappresentato di spalle, si apre su un paesaggio notturno dove fusti di alberi fitti ed altissimi danno l’impressione delle sbarre di un carcere superfortificato.
    Tutti gli altri pittori, che si sono ispirati alla Divina Commedia, hanno rappresentato Dante in primo piano, dando molto rilievo sia a lui sia ai personaggi incontrati. Nella rappresentazione di Incerti sia il divino pellegrino, sia i morti sono sempre piccoli, non per sminuire la statura morale di Dante, ma per mettere in rimo piano i suoi sentimenti : dell’orrore, della paura, dell’immensità, della bellezza, della gloria. Nel Paradiso la figura di Dante e di qualsiasi altro personaggio scompariranno del tutto.
    I tronchi sbarrano il paesaggio, intralciano il cammino dell’uomo verso la luce. E’ il quadro del nero, dell’ostilità, del male che incombe sull’uomo, per il quale non c’è quasi più speranza di salvezza.
    Nella selva l’uomo è totalmente solo, in balia delle sue paure, burattino-razionale, che ha perduto la fede in un universo e in un’ umanità creati per amore.

Tela n°3 : "Tempo era dal principio del mattino" – Inf. I°, 37 (vai all'immagine)

    Al fondo del totale avvilimento, dell’umiliazione e della paura, una luce : i tronchi neri si schiariscono, le linee armoniche di un colle vengono sottolineate da una misteriosa luce mattinale, un uomo, anzi un fantasma interiore, un’ombra, un ricordo "paterno": è il Virgilio di Dante, il nostro Virgilio, la nostra figura "paterna", che ci difende dalla bestia che è davanti a noi e dentro di noi : la sessualità sregolata (lonza), l’ambizione (leone), l’avidità di denaro (lupa).
Da solo l’uomo non si salva:

"mentre ch’i riuniva in basso loco
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco"

    Insieme a questa figura paterna Dante sta per iniziare il grande viaggio. Non si tratta di una esplorazione psico-analitica, ma di un viaggio salvifico personale e collettivo, voluto al cielo.

Tela n° 4 : "Amor mi mosse che mi fa parlare" – Inf. II°, 72 (vai all'immagine)

    Beatrice, icona di amore salvifico, Virgilio, icona paterna. Si forma, in soccorso dell’uomo, una catena di figure salvifiche : Maria, Lucia (beata della luce), Beatrice (beata dell’amore sacro), Virgilio (icona precristiana dell’attesa della salvezza.
    La rappresentazione è perfetta per simmetria e simbologia : a sinistra (la parte dei dannati) rocce impervie stilizzate in parallelepipedi di pietra, tronchi neri e fitti come sbarre di una prigione. Alberelli gonfi di vitalità sul breve tronco bianco al centro, sovrastati dal colle illuminato dal sole. I due poeti in basso; a destra la foresta dai tronchi bianchi, in alto la salvezza, il grande fiore azzurro : Beatrice, fiore della vita, che si fa carico della salvezza e della redenzione di Dante.
    Il rosso delle passioni umane è di colore della veste di Dante, l’azzurro del pensiero spirituale è la veste di Virgilio.


PURGATORIO

Tela n° 40 : " E qui Caliopè alquanto surga " (Pg., I°, 9 ) (vai all'immagine)

    Superati i tre ultimi gradini che riporteranno i due poeti dall’Inferno alla superficie terrestre, si apre agli occhi di Dante una finestra dove l’azzurro del mare non si distingue da quello del cielo. Cespugli e due alberi con fitte chiome rotonde e grasse incorniciano una visione di gaudio : il poeta allarga le braccia protendendosi a un abbraccio verso mare e cielo infiniti.

"Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno" (I°, 1 – 6 )

    La tela 40 interpreta anche l’appassionata invocazione che il poeta indirizza alle Muse e a Calliope nei versi immediatamente seguenti:

"Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Caliopè alquanto surga,
seguitando al mio canto" (I°,7 – 10)

    Scendono invocate le Muse dal Parnaso, come un fiume di chiare forme femminili, mentre Calliope sembra tuffarsi dentro la scia luminosa della "navicella" dell’ingegno dantesco. Fanno da cornice le nere, geometriche, inaccessibili pareti della montagna penitenziale del Purgatorio.

Tela n° 41 : "Li raggi de le quattro luci sante" ( Pg. I°, 37 ) (vai all'immagine)

    Una anticipazione delle scelte iconografiche del Paradiso viene presentata in questa tela nella raffigurazione delle quattro stelle della Croce del Sud. Stelle che fanno pensare a fiori dalla ricchissima composizione di petali elissoidali, tenuti legati e fermi da un punto luce centrale, bianchissimo.
    Dante e Virgilio sulla spiaggia del Purgatorio si imbattono in un

" ...veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliolo" (vv.31 – 33)

    Di nuovo l’idea del padre e del figlio. Vestito di bianco come i seniori dell’Apocalisse, Catone è rischiarato dai quattro fari celesti, simbolicamente le virtù cardinali. Ancora mare e cielo senza soluzione di continuità, ancora gli alberi dalla chioma compatta, le barriere insormontabili della piramide di pietra.

Tela n° 42 : "Io vidi una di lor trarresi avante ( Pg. II°, 7 ) (vai all'immagine)

    Lo stesso sfondo e lo stesso suolo, gli stessi colori della tela precedente, come in una sequenza di fotogrammi filmici; il primo incontro fra i due poeti e le anime dei penitenti, fra i quali Casella, amico carissimo di Dante.
    Forte la gestualità dei due amici, che si stanno protendendo verso un abbraccio, che risulterà impossibile, e la gestualità di Catone, che con indice puntato e braccio teso, sta intimando alle anime di

"Correre al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto" (vv.122 – 123)

    Mentre la gamma cromatica dell’Inferno era contrassegnata dal nero, dal rosso, dal grigio, raramente dal giallo e dall’oro puro (usato per la sua carica simbolica di immagine della ricchezza), qui in Purgatorio vengono usati soprattutto l’azzurro e il verde, colori dell’aspirazione al cielo e della speranza.
    Il nero e il grigio caratterizzano ancora la montagna e i penitenti, anche in considerazione che le pene non saranno meno severe che nell’Inferno, salvo la consapevolezza che non sono eterne.

Tela n° 43 : "Io mi volsi dallato con paura" ( Pg. III°, 19 )  (vai all'immagine)

    Colori caldi : un immenso disco solare che si sta alzando sopra il suolo marino, riflettendovi la materia giallo-aranciata, un cielo totalmente e uniformemente giallo, metafisico, la sabbia pallida, dividono geometricamente la tela in tre fasce orizzontali, incrociate verticalmente dall’ombra di Dante, dai due poeti, dal grande disco solare.

"Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m’era dinanzi a la figura,
ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.
Io mi volsi dallato con paura
d’essere abbandonato, quand’io vidi
solo dinnanzi a me la terra oscura;
e ‘l mio conforto : "Perché pur diffide?",
a dir mi cominciò tutto rivolto;
"non credi tu me teco e ch’io ti guidi?" ( Pg. III°, 16 – 24 )

    Il calore dell’affetto, la sicurezza che cancella la paura, il non essere soli : tutto questo è espresso da Virgilio, con il forte valore semantico dei pronomi e delle particelle pronominali, fitti come un cinguettio di una madre su un nido di implumi (tu/ me, teco, io/ ti ).

Tela 44 : "Noi divenimmo intanto ai piè del monte" (Purg. III, 46) (vai all'immagine)

      In una stessa rappresentazione, Incerti sintetizza due momenti del testo dantesco: quello cui fa riferimento il verso 46 ed i seguenti dove si paragona l'asperità della roccia ai dirupi liguri fra Lerici e Turbia, e quella dell'incontro con un gruppo di anime (vv. 66 e seg.) alle quali Virgilio chiede informazioni per la salita alla montagna.
      In quel groviglio di anime, che tutte insieme indicano il varco, c'è Manfredi, che Incerti non mette in evidenza, magari con un dipinto sulla sua figura. Ciò che sembra attrarre il pittore è da una parte l'amenità di quella spiaggia, le bande di colore del cielo, il mare infinito, dall'altra la rupe nera, chiusa, inaccessibile, con quel gruppo di creature spaventate, perché il corpo di Dante "non dava loco…al trapassar d'i raggi".
      La tela viene, infatti, come segata a metà dalle due realtà, in cui le figurine dei due viaggiatori vengono sovrastate e schiacciate dall'immensità di tutto.Per Incerti che Manfredi chieda di essere riconosciuto, e che non lo sia, ha un senso in questo luogo dove nessun nome può distinguersi e sovrastare gli altri. Nel Purgatorio, Incerti non permette a nessun personaggio di avere un ruolo e uno spazio fuori dal suo gruppo.

Tela 45: "Montasi su in Bismantova in Cacume" (IV°, 26)  (vai all'immagine)

      Il canto IV° per due terzi è concentrato sul tema delle fatiche del viaggio, per un terzo presenta la figura di un pigro, una persona qualunque, un fiorentino che Dante ha conosciuto in vita.
      Incerti dedica una tela a ciascuno dei due temi del Canto IV°. Deboli paragoni, secondo Dante, sono le asprezze delle salite sulla rupe di San Leo di Noli, di Bismantova, di Cacume rispetto alle fatiche della montagna del Purgatorio: a Incerti non par vero di poter rappresentare la reggiana, familiarissima Pietra di Bismantova. Non ne rappresenta, come termine di paragone, un sentiero stretto e irto, ma tutta la stranissima massa della roccia, immagine per il pittore dell'intero monte del Purgatorio. Sui dolci colli del preappennino emiliano, punteggiati di alberelli, la Pietra si alza improvvisa e inaccessibile, dalla base coronata di fitti alberelli fino alla cima azzurra che fa pensare al Paradiso Terrestre con cui si conclude la cantica. A Incerti piace immaginare Dante davanti alla Pietra.

 


PARADISO

   Con finissima penetrazione del testo dantesco, Achille Incerti fa iniziare il Paradiso con due tele scurissime raffiguranti il cielo notturno stellato. E’ proprio il cielo stellato l’ultima frontiera dei sensi umani, l’estremo limite oltre il quale la vista non può andare: al di là delle stelle, cioè della materia creata, Dante colloca l’Empireo, il Paradiso celeste.

Tela n° 76 - Paradiso (vai all'immagine)

    Un bel blu-notte punteggiato da stelle, è squarciato da una luce bianchissima che proviene dall’ultra-mondo e investe l’angolo superiore destro del quadro. Con questa tela Incerti inizia la descrizione figurale dell’ultima cantica, dove né il pellegrino Dante, né la sua mistica guida, verranno mai rappresentati.
    La rappresentazione umana, la figura di Dante uomo, in Inferno e Purgatorio era quasi sempre presente, anche se relegata a margine e in dimensioni ridotte. Ciò che interessava a Incerti era rappresentare la visione con tutta la sua carica emozionale. Dante e Virgilio erano ivi ridotti ad appendici didattiche del quadro, sovrastati dai propri sentimenti di orrore, di pietà, di speranza. Il Paradiso, invece, è visione pura, dove non l’uomo ma la natura con i suoi fiori, i suoi frutti e colori, rende leggibile il divino mondo.
    Il cosmo, del quale la tela rappresenta un tassello, una piccola tessera musiva, viene rappresentato nella moltitudine dei corpi celesti, sui quali irraggia Dio, luce pura.

Tela n°77 - Paradiso (vai all'immagine)

    La tela rappresenta il cosmo così come appare a chi non vi sa vedere la proiezione della luce divina. E’ il mondo cosmico della scienza, dei cannocchiali, della razionalità avulsa da qualsiasi ipotesi di azione divina. Curatissima la resa della galassia e delle miriadi di corpi, così come possono essere visti dall’occhio umano, la kantiana meraviglia del "cielo stellato sopra di me". Il luogo di Dio, per i credenti e per Dante, è il cielo (Padre Nostro che sei nei cieli), ma non fra le stelle, bensì oltre di esse.
    Achille Incerti aveva una formazione culturale laica, sul piano religioso era ateo : è ancora più straordinario che da tale angolo visuale l’artista abbia voluto capire e interpretare anche la terza cantica di Dante. Nella tela 77 Incerti sembra dire : "Io mi fermo qui. Da qui in poi io cercherò di rappresentare il divino dantesco."

Tela 78 - Paradiso (vai all'immagine)

    Ed ecco che con la tela 78, al di là del nero abissale del tempo e dello spazio punteggiato di corpi luminosi ma infinitamente piccoli per la lontanissima terra dell’uomo, appare il miracolo : dentro una cornice di corpi celesti appena nati che formano quasi una siepe intorno a un oblò azzurro, i frutti dolci, leggeri, delicati, colorati della creazione divina.
    Non dissimili dai frutti che la natura ci offre e che possiamo raccogliere sopra le nostre tavole. Le opere di Dio sono frutti dolcissimi imbanditi sulla tavola del cielo.

   


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