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“………Alonso de Ojeda, accompagnato dall’italiano Amerigo Vespucci, navigò fino alla Penìnsula de la Guajira, all’estremità occidentale dell’odierno Venezuela. Entrando nel Lago Maracaibo, gli uomini della spedizione spagnola videro che le popolazioni indigene vivevano in rustiche case su palafitte con il tetto in paglia e decisero di chiamare la nuova terra Venezuela, letteralmente PICCOLA VENEZIA…..”
Non è facile riportare le emozioni di questo particolare viaggio in Venezuela. “Particolare” perché è stata una cosa diversa dal solito e un po’ tutto inaspettato. Cercherò comunque di trasferirle a voi, nostri ospiti, nel miglior modo possibile.
Un caffè??…
Scaricatevi tutte le pagine, prendetevi un attimo di relax e leggetele con calma.
Abbiamo prenotato e organizzato tutto con il fido notebook, internet e l’immancabile Lonely Planet.
Dopo aver spulciato centinaia di messaggi sul NG soc.culture.Venezuela e chiesto info nel NG it.hobby.viaggi, ho messo nero su bianco quello che m’interessava di più. Poi con la L.Planet e i consigli della Gabri, ho stilato il programma e l’ho proposto a 5-6 agenzie turistiche Venezuelane, con “preghiera” di modificarlo secondo specifiche esigenze logistiche.
L’Energy Tours (energytour@cantv.net) con sede a Ciudad Bolìvar, ha risposto in maniera più dettagliata, e seguendo il nostro “fiuto” (anche perché nel “virtuale” c’è sempre da tenere gli occhi ben aperti), ci siamo fidati di loro: Cosimo e Beatriz Amico.
Dopo una fitta e puntuale corrispondenza via e-mail per alcune precisazioni, ho telefonato al loro cellulare. A qualsiasi mia richiesta, la risposta era sempre pronta e esaustiva. Ok, mi decido: faccio il bonifico internazionale (US$ 250), acquisto il solo biglietto aereo e partiamo il 25/12/2000 da…… Venezia per fortuna!! Con tutto quello successo a Natale a Malpensa!!
Assieme all’ansia trasmessaci da qualche lettura di notizie poco rassicuranti sia sui NG che su riviste di settore sulla pericolosità del Venezuela (furti, scippi, violenza, droga e altre menate del genere), durante il volo pensavo anche alla precarietà delle cose prenotate: tutto poteva risolversi in un metro cubo di “aria fritta”. E invece, in barba a tutto ciò, è stato un viaggio indimenticabile. Le persone alle quali ci siamo affidati (Energy Tour) hanno organizzato tutto a dovere e per qualsiasi evenienza erano sempre pronti a risolvermi i problemi.
Spreco solo tre righe per il volo, merita di essere fatto. Si, perché con la KLM ci siamo trovati veramente bene! hostess e steward gentilissimi, cibo buono e climatizzazione perfetta.
25 Dicembre 2000
Bene, atterriamo a CARACAS.
Arrivati all’aeroporto Internazionale, troviamo ad aspettarci una persona di fiducia di un nostro concittadino, che da circa 40 anni vive a Caracas. Ora è in pensione, ha venduto le fabbriche che è riuscito a fondare negli anni fiorenti del Venezuela. Dieci gg. Prima di partire gli ho telefonato e con l’occasione ci ha invitato alla cena di Natale.
All’uscita
dall’aeroporto ci assale quella “magica” sensazione di calore su tutto il
corpo, ormai abituato al clima invernale.
Posta
a un’altitudine di circa 900 m., la città gode di un clima piacevole,
relativamente secco e soleggiato. La temperatura media si aggira intorno a 22°C
e la stagione delle piogge dura da giugno a ottobre.
L’aeroporto dista circa 30 minuti d’auto dal centro città. Lungo la strada s’incontrano auto nuove in stile americano e vecchie carrette scassate anche senza targa. La strada, quasi tutta in leggera salita, attraversa numerose colline verdissime. Man mano che ci avviciniamo al centro, s’intravede qualche baracca o piccole costruzioni in mattoni, disperse qua e la sulle pareti delle montagne (ranchitos o barrios).
Ci
avviciniamo ancora e, in periferia, si notano tutt’intorno decine, poi
centinaia…. migliaia di ranchitos una attaccata all’altra, con migliaia di
cavi elettrici e antenne TV aggrovigliati tra loro!! Il centro città invece, è
caratterizzato da una mescolanza disordinata di moderne costruzioni e
ville-bunker con guardie armate.
Conscio della pericolosità che caratterizza Caracas, non ho approfondito la nostra visita. Andiamo direttamente in albergo per una doccia salutare. Verso le 19-19,30 con un taxi andiamo a casa del nostro amico Luigi. Vive con la moglie Tea in un bel quartiere collinare, ma sono……. segregati. Si, il residence dove hanno l’appartamento è circondato da una recinzione alta circa tre metri, con telecamere, guardie armate tutt’intorno e in portineria principale. Ci spiega che purtroppo dopo le 17,30 è praticamente impossibile girare a Caracas senza avere dei grossi problemi. E’ già buio. Dal poggiolo dell’appartamento (bellissimo) arredato con buon gusto dalla moglie (architetto), si vedono a sud-est migliaia di lucette. Sembra la Via Lattea: sono le ranchitos.
L’espansione selvaggia di Caracas ha avuto quale
conseguenza la comparsa di una vasta distesa di baraccopoli sulle colline che
circondano i quartieri del centro, e la sua particolare posizione in una vallata
tra rilievi ondulati non fa che rendere ancora più evidente il contrasto tra
ricchezza e povertà.
Verso sud-ovest invece il contrasto: migliaia di watt illuminano le strade e i palazzi del centro.
A cena c’è ogni ben di Dio. Assaggio un po’ di tutto e mi spiegano che il piatto tipico Venezuelano del Natale è l’Ajacca. Una specie di pasta sfoglia di soia che avvolge un impasto di carne di manzo, maiale, pollo, noci ecc…. Squisito!
Dopo una bella e lunga chiacchierata, torniamo all’albergo. Il mattino dopo la sveglia è alle 4,00!!
26 Dicembre 2000
Ci alziamo, chiudiamo le valigie e con un taxi andiamo all’aeroporto alle partenze nazionali. Alle 5,55 partiamo col volo Caracas/Puerto Ordaz e poi in auto fino a Ciudad Bolìvar dove prendiamo il volo delle 08,30 per Canaima. Verso le 10,00 arriviamo all’aeroporto di Canaima.
Aeroporto???… Mah! E’ una striscia di asfalto e terra battuta, senza torre di controllo, servizi a terra, ecc… C’è un bar con qualche panchina e due “banchetti” che vendono le solite cianfrusaglie. Sicuramente però è da preferire una sistemazione così spartana. Non potendo atterrare i grossi aerei (non esistono altre strade di collegamento con il resto del paese) il flusso di turisti non è eccessivo, conseguentemente non servono grandi strutture ricettive e men che meno strade, auto, ristoranti ecc…. Si va a piedi o in barca, in mezzo alla natura.
In queste occasioni si fa presto amicizia perché gli organizzatori ti dividono in gruppetti di 10-12 persone e per due-tre giorni si vive tutti assieme.
E qui inizia la nostra VERA avventura.
Verso le 12,30 ci consegnano dei grandi sacchi neri di nylon per i bagagli. Li consegniamo a due persone che ce li faranno recapitare all’accampamento vicino al Salto Angel. Saliamo in barca, attraversiamo la Laguna di Canaima e ammiriamo le numerose cascate che la circondano.
Poi a piedi attraversiamo delle zone sabbiose che fiancheggiano il Rio Charrao. Saliamo su rocce levigate di granito, ancora qualche piccola cascata e arriviamo al “SALTO EL SAPO”: è una cascata da attraversare!! O meglio, per proseguire bisogna passare sotto un costone dove è praticamente impossibile venirne fuori asciutti.
Prima uno, poi un altro, una ragazza… e nessuno rimane con un centimetro quadrato asciutto! Ok, tocca a me: mi reggo alle corde, “raccolgo” il più possibile lo zaino tra le braccia e passo! Bagnato?? No, di più! Per fortuna il clima caldo e ventilato, permette un’asciugatura veloce ma….. ma...... nessuno mi aveva detto che bisognava attraversare, da sotto, una cascata!
Continuiamo la nostra camminata. Mezz’ora. Un’ora. Si attraversano torrenti, si passa in mezzo alla foresta, ancora qualche salita sulle rocce, ancora torrenti, sabbia, rocce, ancora scorciatoie tra la foresta……. Altro che trekking!! Sono un po’ stanco e… inizia a piovere. E’ un acquazzone. Ancora più forte. Passano 15 minuti e c@zz… non smette! Si continua a camminare. Il nostro “capo cordata” è una ragazza Venezuelana, Aña, che sa un po’ d’inglese. A chiudere c’è sempre un ragazzo venezuelano (con caratteri somatici indio), con un coltello e un macete. Dopo 20 minuti circa smette di piovere e in 4-5 minuti siamo già asciutti. E si continua. Tutt’intorno… che dire… c’è una natura florida e rigogliosa: curioso è l’effetto delle immense distese di sabbia rosa e prati verdi, ai piedi degli imponenti Tepuy (formazioni montane con le cime piatte). Si sente solo il rumore del Rio Charrao che ci accompagna col suo colore rosa. Anche l’acqua delle cascate è colorata con sfumature che vanno dal giallastro al marrone, un po’ come la birra o il brandy. Il loro colore, come quello di altri fiumi e cascate della regione, è dovuto al Tamino, un composto solido che si trova in alcune specie di alberi e di piante locali. In particolare negli alberi di Bonnetia.
Continuiamo a camminare. Aña dice che non possiamo fermarci. Il tramonto arriverà presto. Prima si rideva e si scherzava, ora solo qualche piccola frase. Nulla più. Forse non sono l’unico ad essere stanco….
Ci fermiamo in una spiaggetta dove ci aspettano due giovani ragazzi venezuelani con una barchetta scoperta (curiara) e con tutti i nostri bagagli. Il nostro gruppo è formato da 12 persone: una famiglia di 4 francesi, un ragazzo coreano, due americani, due tedeschi, un messicano e due venezuelani. Il più “anziano” è il tipo messicano, avrà circa 45 anni.
Partiamo tutti contenti per esserci finalmente seduti (abbiamo fatto circa tre ore e mezza di marcia), ma…… Inizia a piovere!! Subito il coreano (o giapponese, non so… non parlava mai), ultra organizzato, sfodera dallo zaino un mega mantello impermeabile e noi….. restiamo in t-shirts!! Vabbè, penso, quando smette ci asciugheremo. Passa un quarto d’ora, mezz’ora, un’ora e… non smette! Per fortuna non è freddo, riusciamo a resistere. Ad un certo punto, sfiga delle sfighe, il motore fa le bizze, borbotta un po’ e quindi? Si spegne!! I due ragazzi armati di un semplice cacciavite cercano di sistemarlo. Nel frattempo piove sempre più forte, le gocce diventano sempre più grosse, ormai siamo tutti inzuppati e rassegnati. Inizia a tramontare il sole e piove, piove…. Piove ancora! Porc…. Putt…, non ho mai preso così tanta acqua in vita mia! Si riparte, ma siamo ancora troppo lenti. Aña non nasconde un po’ di preoccupazione. Le chiediamo quanto manca, ma è circa un’ora che ci risponde :«…. Fra 10 minuti arriviamo….».
In qualche tratto il Rio Charrao si restringe e davanti a noi non si vede che qualche metro d’acqua. I rami degli alberi, poco sopra di noi, invadono il letto del fiume, a destra e a sinistra…. In qualche punto s’incontrano, quasi a formare il soffitto di una grotta. Ogni tanto la barca è costretta a manovre d’emergenza, perché la pioggia ingrossa il fiume e anche….. le rapide!!! Non nego che in qualche momento mi aspettavo un bagno non previsto. Qualcuno, forse intimorito dalla situazione, ha rimproverato Aña. Doppia fatica, ho pensato.
E continua a piovere. Avete presente quegli acquazzoni estivi che da noi durano solo pochi minuti, ma riescono ad allagare strade e piazze? Ecco, solo che questo durava da circa due ore!
Ho freddo. Il sole ormai sta tramontando. Guardo gli altri…. Nessuno più parla. La ragazza di fronte a me sta tremando. Non è l’unica. Non so se per il freddo o per la tensione. Uno dei due ragazzi dell’equipaggio (!!) ogni tanto tira fuori un barattolo e inizia ad espellere l’acqua dalla barca. Ho la maglietta e i pantaloni ormai inzuppati, le scarpe inzuppate, lo zaino inzuppato. Quasi non riesco a tenere gli occhi aperti per la violenza delle gocce sul viso.
Finalmente arriviamo. Ci fermiamo in una spiaggetta (e continua a piovere) con grossi massi di granito e sabbia rosa. Sono tra gli ultimi a scendere e che vedo? Il tipo messicano giace a terra con una profonda abrasione in testa. Si vede un pezzo di cuoio capelluto completamente spellato e un profondo taglio sopra il ciglio sinistro. Il sangue esce copioso. Scendendo dalla barca è scivolato sui massi resi viscidi dalla pioggia. E’ cosciente, chiede se il taglio è profondo, si preoccupa per l’occhio. Qualcuno cerca di riparargli il viso dalla pioggia con un cappello di paglia. Esce ancora sangue. Ca##o, non so che fare, vorrei rendermi utile, dargli una mano… Pensi subito al telefono, ma in questi casi la tecnologia va a farsi fottere. Ci si rende conto della lontananza da qualsiasi pronto soccorso o ospedale. Sam, il ragazzo americano, chiede se qualcuno ha ago e filo, ma poi chi può effettivamente cucire la ferita? Lo aiutiamo ad alzarsi, tutti gli offrono dei fazzoletti di carta per tamponare la ferita, ma prima di arrivare all’occhio, sono già inzuppati d’acqua!
Si riprende un po’, non si sente male. Ci vede bene e si rende conto che la ferita non è profonda, ma c’è bisogno di qualche punto. Aña confabula un po’ con i ragazzi della curiara che lo riportano indietro. L’ho visto andar via un po’ più tranquillo.
Ognuno prende il proprio sacchettone con i bagagli e ci incamminiamo. La pioggia finalmente smette e termina il lungo tormento. Dopo un quarto d’ora, 20 minuti circa, arriviamo all’accampamento “Aonda”. Sono ormai le 18,30 ed è buio pesto. Ci appare davanti una tettoia costruita con pali in legno e qualche mattone, senza pareti e senza letti. Si, perché qui si dorme in amaca! Tutti assieme. Solo i bagni sono divisi per uomini e donne. Le docce? 4-5 tubi di plastica con acqua piovana (quella no non manca!!). Nulla più.
Subito ci cambiamo e mettiamo a stendere i vestiti umidi. Vi dirò: ci siamo asciugati in fretta e il corpo non si è raffreddato perché la temperatura è sempre abbastanza alta.
Verso le 19,00 chiamano per la cena. Ci sediamo tutti assieme in un’unica tavola e si torna a parlare e scambiarsi impressioni. Il cibo è buono (o è la fame che è tanta?). E’ cotto in una piccola cucina adiacente, sempre sotto la stessa tettoia. In un’altra tavola stanno cenando altre 5-6 persone. Il tutto è illuminato da qualche lampadina alimentata da un generatore che borbotta e smette di funzionare poco dopo. Mano alle torce elettriche. Ci serviranno per cambiarci, per andare al bagno, per prendere le cose dallo zaino, insomma per tutto, perché se le spegni, qui è buio pesto!
Sono quasi le 21,00 e chi si vede?? Il messicano “ricucito” alla meno peggio. Dice che sta bene e non vuol perdersi nemmeno per sogno l’escursione di domattina al Salto Angel. Lo guardo e mi rendo conto che, nonostante tutto, la situazione è migliorata. E sono contento. Contento della fatica che abbiamo fatto per arrivare fin qui e del tragitto sotto la pioggia. Contento di questa grande capanna, contento che tutto è spartano e nel rispetto della natura. Non desidero e non sento il bisogno della classica doccia calda, del buffet e di tante altre cose, forse… anzi qui sicuramente inutili.
Guardo la Gabri un po’ preoccupato senza farlo trasparire. Sai, le donne hanno bisogno del loro “spazio”, e invece anche lei, come le altre, si trova a proprio agio.
E’ ora di coricarsi, siamo stanchi morti. E’ da stamattina alle 4 che siamo in piedi. Prima però diamo un occhio ad un venezuelano che dorme in amaca per vedere come si è sistemato. Cerchiamo di fare lo stesso per non svegliarci il giorno dopo con le ossa anchilosate. In una certa maniera si riesce a stare quasi orizzontali. Si ride un po’ per come ci si sistema e penso che stanotte la farò in bianco, nessuno di noi è abituato a dormire in un’amacaaaaaaa……..Zzzzzzzzzzz
Ogni tanto il rumore della pioggia che picchietta sulla tettoia mi sveglia, ma solo per pochi minuti. Durante la notte piove quasi sempre.
27 Dicembre 2000
Canta il gallo!!! Ca##… sono solo le 05,30 e non la smette più! Gli avrei tirato il collo ben volentieri!
Il Salto Angel, l’Auyantepui e la zona circostante sono posti entro i confini del Parque Nacional Canaima, il secondo parco nazionale più grande del Venezuela. Quest’area protetta occupa una superficie di 30.000 chilometri quadrati e si estende verso est e verso sud fino quasi al confine con il Brasile, abbracciando gran parte della Gran Sabana.
Facciamo colazione, andiamo verso la spiaggia sul Rio Charrao, saliamo sulla curiara e risaliamo il Rio Churun, fino all’isola Ratoncito. Qui scendiamo e inizia la camminata in mezzo alla foresta. Non è una semplice frase fatta: all’inizio il percorso è semplice, poi s’inerpica sempre più. E’ mezz’ora che si cammina e si fa sempre più difficile. In qualche tratto bisogna arrampicarsi tra le rocce e le enormi radici degli alberi. Il cielo quasi non si vedeva quanto è fitta la vegetazione. Non ci sono sentieri “battuti”, stradine, indicazioni… niente. Aña prosegue con passo svelto, qualcuno rallenta per la stanchezza. Proseguendo gli alberi e le piante ci “opprimono”: cespugli con foglie grandi come una ruota di un autocarro, radici che creano trabocchetti, foglie taglienti come lamette e formiche grosse come un….. pollice! Sono le famose “formiche 24 ore”. Chiamate così perché se ti beccano, provocano un febbrone alto per circa 24 ore continuate.
Proseguiamo ancora e dopo circa 2 ore di cammino arriviamo verso le 11,15 al “Mirador Laime”, un affioramento posto proprio davanti al SALTO ANGEL. Alzo gli occhi ed eccola: la cascata più alta del mondo, 979 metri. E il salto ininterrotto più alto del mondo: 807 metri, ovvero 16 volte quello delle cascate del Niagara!
SALTO ANGEL
Il nome della cascata non ha nulla a che vedere con gli angeli. Deriva invece da quello di Jimmie Angel, un pilota americano che nel 1937 atterrò con il suo aereo a quattro posti sulla cima dell’Auyantepui in cerca d’oro. L’aereo però rimase bloccato nel terreno paludoso, impedendo a Angel di ripartire: insieme alla moglie e a due compagni attraversò a piedi una zona vergine e accidentata arrivando sino al margine dell’altopiano, poi scese per un chilometro lungo un dirupo quasi verticale e dopo un’odissea durata 11 giorni fece infine ritorno alla civiltà. |
Qualcuno si lascia “massaggiare” dall’acqua che cade sul laghetto, seduto sulla roccia. Dove finisce il Cañoñ del Diablo, (con le spalle al Salto Angel) la visuale si apre su un’altro rilievo di fronte a noi completamente coperto di verde, da dove sbucano altre due piccole cascate. Tutt’intorno qualche aquila che volteggia con impercettibile movimento d’ali.
E il contorno? C’è anche quello: Patate al forno…. Ehm…. Patate messe vicino al fuoco e cotte sulla brace! Che dire: tutto era squisito. (Non mi dilungo ulteriormente nelle cibarie xchè già sono stato bacchettato ;-)). Altro che mucca pazza, pollo d’allevamento o altre menate del genere.
Ok, adesso si può ripartire. Saliamo in canoa e torniamo all’accampamento. Prima però faccio ancora qualche foto al Salto Angel. Da qui s’intravede senza nuvole.
Sono le 16,30 circa e abbiamo il tempo di sistemare un po’ le nostre cose. Tutto quello che abbiamo messo a stendere il giorno prima è già asciutto.
Ci sdraiamo un po’ anche noi al sole. E’ la prima ora di relax che ci dedichiamo da quando siamo partiti!! Si chiacchiera con tutti gli altri del più e del meno. Scopriamo che Dirk, uno dei ragazzi tedeschi, vive a Londra e lavora per un’importante società d’informatica, la coppia di americani insegnano in una scuola e stanno seguendo un corso per diventare missionari in qualche località del Sud America. Nel frattempo arriva un gruppo di gente che si fermerà qui una o due notti. E tra loro nemmeno un italiano. Forse i nostri T.Operator non offrono questo tipo di sistemazione.
La sera, a cena, è un po’ più animata: ci si conosce meglio, si ride e si scherza con più serenità.