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CRITICA |
Dario e’ un uomo e un fotografo profondo e gentile. Non
sono qualità da poco, in un mondo che viaggia superficiale e sgomitante. Dario
ha lo scatto jazz. Tocca il particolare, estrae dal nero, sala ciò che gli
interessa per riempire un angolo, dilatare un centro, violentare una base dei
suoi fotogrammi. Non
lo so, ma immagino si faccia prendere dalle atmosfere senza cedere ad esse. Un’altra
bella qualità del Davalli fotografo è che se ne frega del divo, dei cult. Non
è un collezionista di volti insigni, ma un cacciatore di sensazioni armoniche. Percorrerete
tragitti con scatti di Pearcy Heath,
Paolo Fresu, Odeon Pope, Cecil
Bridgewater,
e via di questo passo senza la minima sensazione del dèja vu. Trattandosi del
massimo in giro per palcoscenici non è un cattivo risultato. Percorrerete
sensazioni in diretta. Scatti in progressione, gomiti sudati alla svolta di una
improvvisazione, ma anche la violenza dei tamburi percossi alla Bronx, la
cosmica creatività Zik. Importanti
lavori teatrali, ai quali lo spettatore Dario Davalli partecipa come fotografo
che clicca come un bassista pigia su quel fottuto manico freeless. Responsabile dell'Ufficio stampa de I Teatri di Reggio Emilia |