Archivio IEAF "Aletta", già Conservatorio delle Donzelle Orfane di Lentini
Dell’antico “Conservatorio delle donzelle orfane vergini di Lentini” si ignora la precisa data di fondazione[1]. Tuttavia lo Statuto del 1868[2] (il cui incipit sarà ricopiato su tutti i successivi statuti) fa risalire la fondazione al 1275.
Questa in verità assai improbabile datazione compare per la prima volta soltanto nel 1868[3], mentre nella documentazione precedente non si rinvengono mai accenni all’origine se non per dichiarare ch’essa era andata dispersa dopo il terremoto del 1693.
Pare certo, comunque, che già nel 1656 il conservatorio fosse da tempo funzionante, essendo oggetto del legato Falcia che appunto assegnava doti di maritaggio ad orfane del Conservatorio.
Tra le carte dell’Archivio Storico Comunale, le prime incerte notizie sull’esistenza della “pia istituzione” risalgono alla fine del XVII secolo. Sono questi gli anni che seguono al distruttivo terremoto del 1693 ed il Senato della Città è impegnato a recuperare fondi per la ricostruzione. Nel 1698 sono assegnate onze 6 “Per la fabbrica del Monastero dell’orfanelli”[4] ed in una supplica[5] ai “deputati della nova redificazione di questa fecondissima Città di Lentini” (senza data, ma verosimilmente del 1699) per ottenere il permesso di riedificazione “di un tenimento di case”, si dà come riferimento topografico, tra gli altri, “la casa cosiddetta Venerabile Monastero dell’Orfanelli”.
Altre
due notizie sono del 1716 e del 1788. La prima è ancora relativa alla
costruzione del Venerabile Conservatorio dell’Orfanelli [6],
la seconda si trova in una supplica inviata al Senato di Lentini dalle “Comunità
religiose di questa Città” tra le quali figura Il Procuratore del
Conservatorio delle povere orfane[7].
La motivazione del perché non si trovi documentazione più antica propria dell’Istituto la troviamo in un inventario del 1868 redatto dai tre deputati e dal segretario contabile “formante l’amministrazione del Conservatorio delle Donzelle Orfane Vergini di Lentini”, dove all’articolo 2° si legge:
“Perciò che spetta ai beni che prima si possedevano o altro, Nulla
Non
esiste alcuna scrittura o copia di scrittura pubblica, ma queste esistono presso
i notai, e ciò perché l’anticessori amministratori, o non curarono di
provvedersi, o perché si smarrirono coll’andare del tempo, stanteché
gl’amministratori non formarono mai archivio.”[8]
All’articolo 3°, ove sono descritte le “Altre carte di corrispondenza, registri di contabilità, ed altro che riguardano l’andamento dell’amministrazione”, i documenti più antichi risalgono al 1863.
È, tuttavia, a partire dal 1800 che le notizie sull’Orfanotrofio si moltiplicano sino a rendere possibile una puntuale ricostruzione del suo andamento[9].
Del come originariamente si conducesse il Conservatorio non si sa in pratica nulla. Le notizie, come detto, iniziano ad essere significative dopo il 1820, a partire cioè dal riordino legislativo del settore delle opere pie che, tra l’altro, comporterà l’obbligo della produzione degli statuti e regolamenti interni e della loro approvazione regia.
Un regolamento del 1835[10] descrive il regime interno [appendice n.1] che con rigore monastico ripartiva la giornata delle orfane tra messe, confessioni, preghiere e lavori interni.
Nel 1845 l’Orfanotrofio ospitava nove donzelle ed oltre alla Superiora (pagata 3 onze al mese) erano compresi nel personale un servente di fuori ed una maestra. Vi erano poi un medico, il cappellano ed il sagrestano. L’amministratore vigilava sui conti e sull’andamento complessivo, dava le autorizzazioni e delegava alla Badessa alcune spese correnti[11].
La gestione ordinaria delle orfane e del Conservatorio sin dopo l’unità, per quel poco che si apprende dalle carte, era, quindi, affidata dagli amministratori a suore. Su un “Notamento di tutti i corpi Ecclesiastici, di tutte le fondazioni, …”, redatto nel 1864 in ottemperanza alla legge del 1862, è riportato il nome di Suor Carmela Sferrazzo quale Superiora del Conservatorio[12].
Lo Statuto più antico conservato nell’archivio dell’orfanotrofio è del 1868 e sebbene il taglio complessivo risenta del timido ma generale processo di laicizzazione, è ancora di tipo ecclesiastico il modello organizzativo e la formazione delle orfane.
Articolo 1: “Il Conservatorio delle Donzelle Orfane Vergini di Lentini, ha esistito da immemorabile tempo che per tradizione si sa di avere avuto origine al principio del 1275, non esistendo atto di fondazione per le rovine delle quali la Comune è stata soggetta, a causa di terremoti, tale stabilimento ha per iscopo di ricoverare e mantenere numero otto Donzelle, compresa la Superiora, la supplente o sotto Superiora, oltre una portinaia per il servizio esterno, e che le donzelle devono essere della propria Comune, orfane di padre e povere …”[13].
La Superiora, probabilmente a seguito delle trasformazioni legislative di cui si parlerà più avanti, non è più una suora, ma un’orfana anch’ella “eletta dalle donzelle esistenti nel conservatorio, la più capace, più adatta e più anziana previo un esame che si farà dalla Commissione amministratrice”[14]
L’orfanotrofio
ospitava, inoltre, fanciulle orfane e anche non orfane di altri comuni mantenute
a pensione da parenti o da benefattori che pagavano la retta mensile di £.12,75
(equivalente di un’onza in periodo preunitario).
Per tutte valeva come condizione per essere ammesse lo stato di buona salute e la riconosciuta regolare condotta certificata dal Sindaco e dall’autorità ecclesiastica.
Le ‘donzelle’, chiamate anche recluse o ricoverate (e l’Istituto reclusorio, conservatorio o ritiro, perché doveva conservare nelle virtù e ritirare dalle molestie della strada), erano ammesse all’età di 8 anni ed erano “preferite nell’ammissione le trovatelle che sono veramente orfane, perché in questa comune non esistono altri istituti per ricoverarle”[15].
Per essere ammesse le orfane dovevano essere munite di un proprio corredo iniziale, “perché l’istituto non può apprestare per la deficienza dei mezzi, come non ha apprestato in qualunque epoca sino al presente”, composto, oltre che dalla biancheria e dai vestiti “di tessuti di cotone bleu, il cosiddetto velo bianco, mantesina bianco, calzari di pelle nera e con nastro di seta nera, …”, anche dalla mobilia indispensabile come il “letticciolo compito”, due sedie, un tavolino, una cassettina ed un capezzale con acquasantiera e crocifisso. Alle orfane a piazza franca, l’amministrazione forniva solamente “gli oggetti servibili per la scuola”.
Tutti i lavori e le incombenze per il mantenimento ordinario dell’istituto ricadevano sulle orfane stesse che, educate “a tutte le fatiche possibili della donna” e alle “cose della religione dominante” dovevano provvedere a turno alle “fatiche tutte pel mantenimento dello Istituto, sì della cucina, che della nettezza dei dormitoi ed officine dove coabitano ed altre fatiche inerenti al bene comune.”
Educate, quindi, alle “fatiche donnesche”, erano pure istruite all’arte del cucito ed al saper leggere e scrivere.
L’istruzione, che prevedeva anche materie come aritmetica, geografia e “mediocre calligrafia”, era impartita presso le scuole comunali femminili, ospitate nei locali dello stesso orfanotrofio, ove la Superiora o la Sotto superiora accompagnavano le orfane dopo “la messa e il pregare del cristiano” del mattino. La messa era celebrata nella “contigua Chiesa (di S. Antonio Abate) in comunicazione per la parte dello oratorio”. La sera del giovedì e della domenica, giorni non scolastici, le orfane dovevano recitare in comune il rosario alla Madonna ed erano “istruite nella confessione”.
Le orfane dovevano pure accudire a turno “di notte e di giorno” chi di loro si ammalava.
Compiuti i 18 anni, età massima entro la quale l’amministrazione doveva provvedere a maritarle con dote a “persone oneste e probe”, le orfane venivano dimesse.
Sino a quell’età, quindi, le orfane erano tenute obbligatoriamente in istituto nonostante i regi decreti del 1738 e 1741[16] tendenti a limitare il controllo ecclesiastico che, ad esempio, imponeva regole claustrali nei conservatori femminili.
Il Regolamento di amministrazione interna del 1869[17], un lungo articolato che nella sostanza poco si differenzia da quello del 1835 e che esplicita la condizione di recluse delle giovani orfane, prescrive:
“Art.
72. Le donzelle senza il permesso della Commissione amministratrice non possono
in nessun modo e per nessun causa allontanarsi dal Conservatorio, o recarsi dai
parenti, o benefattori, altrimenti saranno messi fuori dell’Istituto, senza
poter rientrare più.”
“Art.75.
Le donzelle orfane nel conservatorio avranno la sortita per spasseggiare e
respirare nuova aria, in ogni giovedì e domenica, accompagnate dalla Superiora,
Vice Superiora e Cappellano, e se è possibile da uno o più membri della
Commissione Amministratrice.”
“Art.77.
Le donzelle però non possono andare al Parlatorio senza compagna destinata
dalla Superiora, accompagnata dalla Vice Superiora, o Superiora, ancorché
fossero congiunti, amici, o benefattori della stessa.”
Art. 80. Le donzelle per dare incombenze alla portonaia, si muniranno di permesso della Superiora o Sottosuperiora, e non potranno parlare alla portinaia suddetta, se non alla presenza della Superiora; contravvenendo sarà punita per la prima volta con pane ed acqua, e la seconda volta con l’essere messa fuori dello Istituto.”
La Superiora era “obbligata a vigilare sulla condotta politica e morale” delle orfane e rapportava per iscritto alla Commissione su ogni orfana che “non vorrà stare sotto la disciplina, e che si mostrerà irrequieta, scandalosa, o non vorrà faticare, o non voglia portarsi alla messa, alla confessione, alla preghiera o alle scuole, o che non voglia lavorare, né vorrà studiare”[18].
Il numero delle orfane, con gli anni, aumentò e l’età massima fu portata a 21 anni. Se raggiunta quell’età non sopravveniva il matrimonio venivano comunque dimesse dall’istituto prive della concessione dotale.
L’orfanotrofio si manteneva con le rendite di diversi canoni enfiteutici, gli interessi maturati sui diversi lasciti (trasformati in titoli di rendita pubblica) ed i vari contributi pubblici e privati.
Concorrevano alle rendite i proventi derivanti dal lavoro delle stesse fanciulle: lavori di cucito, ricamo e, dai primi del ‘900, partecipazione ai cortei funebri.
Sino al 1953 era infatti uso delle famiglie facoltose far precedere il carro funebre da due ali di orfanelle vestite di bianco. Per tale prestazione l’orfanotrofio riceveva una somma puntualmente annotata su appositi registri[19] e le orfanelle beneficiavano di una pasto extra che integrava quello fin troppo ‘sobrio’ che passava l’amministrazione (come risulta dagli elenchi mensili dei pasti[20]).
A tal riguardo risulta di particolare interesse il carteggio [appendice n.4] tra Sindaco Dott. Giovanni Ferrauto e Presidente del Conservatorio Avv. Alessandro Tribulato sul divieto prefettizio (dic. 1953) di partecipazione delle giovani orfane a tali cortei. Il Presidente Tribulato si opponeva, ben consapevole dell’apporto economico derivante da tale attività (ancora nel 1953 il ricavo per accompagnamenti funebri era di £. 691.220 su un totale generale delle entrate di £. 4.811.970[21]), mentre il Sindaco, seppur con molti distinguo, appoggiava le disposizioni prefettizie.
Come detto il numero delle ricoverate andò aumentando negli anni con il progressivo potenziamento dell’assistenza pubblica, il proliferare degli enti assistenziali e le capacità patrimoniali dei Comuni, che pagavano le rette delle ricoverate. Nel 1954 l’orfanotrofio disponeva di 50 posti letto ed ospitava 40 orfane interne e circa 40 a semiconvitto.
Oggi l’istituto ospita quattro orfane più quattro in semiconvitto e per ragioni d’economia è costretto a dare in affitto parte dei locali.
Nel 1820 erano state emanate le Istruzioni per l’amministrazione degli stabilimenti di Beneficenza e de’ Luoghi Pii Laicali del Regno[22], si trattava di disposizioni relative ai compiti dei Consigli degli ospizi e delle commissioni amministrative comunali o degli amministratori nominati a norma delle fondazioni, e delle prescrizioni dei testatori.
L’art.XLVI dettava le regole del “Dell’interno regime de’ Conservatori, Orfanotrofi e Ritiri”.
Le Istruzioni rappresentavano un primo organico tentativo statale, seppure con ancora molte mediazioni, di riorganizzazione della sorveglianza del settore opere pie e beneficenza, sino ad allora di fatto controllato dall’istituzione ecclesiastica.
Ai Consigli degli Ospizi, che dipendevano esclusivamente dal Ministero degli Affari Interni, era così demandata la sorveglianza, tutela e direzione degli stabilimenti di beneficenza e de’ luoghi pii laicali, mentre l’amministrazione diretta era affidata alle commissioni amministrative comunali o a quegli individui che hanno diritto per governarli.
All’art. XCV del titolo III., sez. I. si specificava che anche “tutti quei conservatori, e ritiri, che nel 1805 si governavano dalle proprie superiori, o da particolari amministratori laici, verranno sottoposti al regime di una commissione, composta da due individui laici da nominarsi in terne dal Decurionato, e da un soggetto ecclesiastico da proporsi anche in terna dall’Ordinario della diocesi.”[23].
Sotto il controllo di una commissione amministrativa speciale ricadeva, quindi, il Conservatorio la cui natura, per gli amministratori locali, per lungo tempo e probabilmente non a caso, rimaneva “incerta”. Benché, infatti, opera pia “meramente laicale”, e forse divenuta tale a seguito del concordato del 1741, ancora in un elenco del 1862 risultava censita tra le case e corporazioni religiose di Lentini[24].
D’altro canto la lotta per il controllo delle finanze e la gestione dei beni ecclesiastici era ancora in pieno svolgimento e la legge per la soppressione delle corporazioni religiose, che ne sarà l’esito, era ormai prossima all’approvazione.
Con gli stessi intenti delle Istruzioni del 1820 si muoveva la legge unitaria del 1862, che sostituiva al Consiglio degli Ospizi una Deputazione Provinciale ed alle commissioni amministrative comunali le Congregazioni di Carità e che rappresentava un ulteriore e più certo tentativo di sottrarre al controllo ecclesiastico la pubblica assistenza e beneficenza.
Il
Conservatorio passa indenne dalla legge di soppressione del 1866
riuscendo a dimostrare la laicità dell’istituzione[25],
ma per lunghi anni ancora sarà costretto a confrontarsi con la volontà della
Congregazione di Carità di porre l’istituzione sotto la propria completa e
definitiva gestione, come a più riprese è dichiarato dagli stessi componenti
della Congregazione: “… è necessità che questo Orfanotrofio conservando
tutto ciò che riguarda il suo patrimonio e la sua utilità morale fosse
sottomesso alla Congregazione di Carità pienamente ed esclusivamente senza
alcuna incidenza chiesastica e la detta Congregazione provvederà secondo la
legge alla riorganizzazione e composizione del personale subalterno alla
stessa…”[26].
In particolare la Congregazione contestava l’art.95 delle Istruzioni, qui sopra citato, che ancora prevedeva la presenza della chiesa nella nomina di uno dei tre amministratori. Ancora nel 1881 in una lunga e dura relazione [appendice n.3] al Consiglio Comunale si propone di “affidarsi alla sua [della Congregazione] amministrazione questo Conservatorio delle donzelle orfane”[27].
Tuttavia solo nel 1890, con la legge Crispi ed i successivi regolamenti del 1891, ci si avvia ad una reale presa di possesso da parte dello Stato della beneficenza ed assistenza pubblica. Non solo, quindi, un più stretto controllo, ma una vera e propria progressiva sostituzione.
La legge Crispi prevedeva, oltre ad una maggiore vigilanza e controllo sugli atti, anche la drastica riduzione delle opere pie attraverso gli istituti della concentrazione, della fusione e del consorzio.
La concentrazione comportava lo scioglimento delle vecchie amministrazioni e, appunto, il concentramento amministrativo nella Congregazione di Carità.
Il Conservatorio, come tutte le altre opere pie, è trasformato in una Istituzione Pubblica di Beneficenza[28], ma nonostante i tentativi del 1893[29] non sarà mai concentrato, mantenendo la sua relativa autonomia amministrativa.
Le istruzioni del 1820 affidavano, come detto, l’amministrazione del Conservatorio ad una commissione composta da due membri laici ed uno ecclesiastico.
A questi si affiancava un cassiere che redigeva il conto materiale con i giustificativi originali di tutte le entrate e le uscite.
Compito della commissione era “l’amministrazione diretta, ed immediata de’ beni, e delle rendite delle pie istituzioni, l’esercizio de’ loro dritti, e delle loro azioni, la cura di assicurare le loro percezioni, di regolare le spese, di adempire ai loro obblighi, e di provvedere al buon ordine dell’intera disciplina,…” (art.XCVIII).
Provvedeva, quindi, alle deliberazioni, alla stesura degli stati discussi/bilanci e dei conti morali e formava il conto consuntivo composto dal proprio conto morale e dal conto materiale redatto dal tesoriere.
La Commissione nominava un segretario[30] che aveva il compito di registrare e conservare disposizioni e regolamenti ed a cui era assegnata la “cura dell’archivio, e della buona sua classificazione, formandolo ove manchi”, inoltre redigeva le minute degli stati discussi e quant’altro riguardasse “il bene dell’amministrazione”. Il segretario interveniva, inoltre, alle riunioni dell’amministrazione e controfirmava i verbali delle deliberazioni.
Il susseguirsi delle leggi sull’amministrazione delle opere pie modifica la composizione delle commissioni oltre che degli organi di controllo e di vigilanza, ma non i compiti primari loro affidati.
Il personale, nominato dalla Commissione amministrativa, oltre al tesoriere, al segretario ed alla Superiora e sotto Superiora, era, in genere, composto da un cappellano, la cui nomina doveva essere approvata dal diocesano, da un sagrestano, un medico, un salassatore, una maestra ed un servente di fuori.
La Superiora, di cui abbiamo precedentemente trattato, aveva, quindi, il compito di accudire e vigilare le orfane ed era autorizzata dalla commissione ad alcune spese correnti.
Non sappiamo per quanto tempo sia stato uso della commissione affidare il ruolo di Superiora ad un orfana, certo è che, a parte la parentesi aperta nel 1868 e di cui non sappiamo l’effettiva durata[31], il ruolo di Superiora fu sempre affidato a suore di cui però si ignora l’ordine di appartenenza sino al 18.1.1896, quando è stipulata la convenzione con l’Istituto delle Figlie di Carità S. Vincenzo di Paoli di Napoli.
Nel 1902 è approvato il nuovo regolamento, che sostituisce quello del 1869.
La pianta organica degli impiegati comprende: direttrice, segretario, tesoriere, inserviente, e medico-chirurgo, il quale, fin quando il Conservatorio rimase aggregato materialmente all’Ospedale, provvedeva senza compenso alla cura delle orfane.
Il Segretario rimaneva custode dell’archivio e responsabile della tenuta dei registri, redigeva i bilanci e le deliberazioni che controfirmava così come tutti gli atti dell’amministrazione.
La direttrice oltre al compito “di impartire alle educande orfane quella educazione morale ed intellettuale confacente alla loro giovane età”[32] ed a provvedere al nutrimento ed all’igiene delle orfane ed alle pulizie dell’Istituto coadiuvata da un inserviente alle sue dirette dipendenze, incassava le somme pagate per gli accompagnamenti funebri[33].
Il tesoriere era il solo responsabile della gestione materiale e finanziaria dell’istituto. Provvedeva ai mandati di pagamento, a riscuotere tutte le entrate dell’Opera ed a procedere contro i debitori morosi.
Nel 1903 è approvato con decreto reale il nuovo statuto organico, che subirà modifiche negli anni ’30, con l’ingresso nel consiglio di amministrazione del rappresentante fascista del G.I.L. ed ancora nel 1954 e nel 1968 con le modifiche della denominazione.
Soltanto nel 1964 le suore vincenziniane saranno sostituite dalle carmelitane di S. Teresa del Bambino Gesù di Santa Marinella, che sino al giugno del 2002 gestivano l’istituto in numero di 8 compresa la Superiora, che aveva anche la responsabilità di economa.
Attualmente l’Istituto si mantiene con le sole rette pagate dai Comuni, essendo ininfluenti le poche somme derivanti da antichi canoni.
Il Consiglio direttivo, nominato dal Sindaco, è retto da un Presidente e quattro consiglieri. Un segretario amministrativo cura l’adempimento di tutti gli atti d’amministrazione, mentre è in fase di definizione l’affidamento della gestione dell’Istituto e delle orfane, temporaneamente data ad una cooperativa.
Sedi e modifiche della denominazione
Non è certo dove fosse originariamente ubicato il Conservatorio, dalle poche ed incerte notizie rimaste possiamo soltanto ipotizzare che dopo il 1716 la sua sede fosse stabilita presso l’ex Chiesa di S. Antonio Abate nell’attuale Piazza Raffaello e che qui certamente vi rimase sino al 1876.
Nel 1877, probabilmente per lo stato in cui versavano i locali, nonostante i diversi acconci[34], l’orfanotrofio si trasferisce nelle stanze di proprietà della Congregazione di Carità attigue alla Chiesa di S. Francesco, ove dal 1870 era sito l’Ospizio/Ospedale (ex Convento di S. Francesco d’Assisi).
I locali dell’ex Orfanotrofio vengono affittati al Comune, che si impossessa anche dell’ex Chiesa di S. Antonio Abate dando così luogo ad una lunga vertenza legale.
L’angustia e lo stato di vetustà dei nuovi locali, nonostante gli ampliamenti e i diversi restauri, che comporteranno temporanei spostamenti delle orfane[35], e poi ancora le sollecitazioni della Congregazione di Carità per rientrare in possesso dei locali prestati, costringono alla ricerca di un altro sito ove costruire il nuovo orfanotrofio. Nel 1928 sembrava ormai certo il trasferimento dell’istituto nel costruendo edificio attaccato alla Selva dell’Immacolata. Ciò non accadrà e il Presidente Alfio Magnano S. Lio, “per la mancata promessa” del Comune, rimette il suo mandato al Prefetto.
Nel 1933 il Comune concede l’area del Mercato Grande, attigua alla Chiesa Madonna della Catena, per la costruzione del nuovo Orfanotrofio. I lavori inizieranno nel 1937 e nel 1944 saranno completate le strutture. Il costruendo nuovo Orfanotrofio, tuttavia resterà per molto tempo ancora incompleto ed a seguito degli eventi bellici sarà occupato da senza tetto.[36]
Nel 1954, con il lascito di 12 milioni del Prof. Vincenzo Aletta (1950) e il contributo regionale del 65%[37], riprendono i lavori nel nuovo Istituto.
Solo nel 1964, tuttavia, l’edificio sarà completato ed entrerà in funzione.
Di tutto ciò esiste una corposa documentazione fatta di lettere, relazioni, copie di atti notarili, progetti e disegni, deliberazioni dell’Amministrazione del Conservatorio e del Consiglio Comunale.
La denominazione dell’istituto passa col tempo da Conservatorio delle Donzelle Orfane (com’era ancora chiamato nello statuto del 1868 e del 1891 rispettivamente approvati da Vittorio Emanuele II e III nel 1869 e nel 1903) a Conservatorio delle Donzelle Orfane ‘Aletta’ nel 1953 (con l’aggiunta del cognome del benefattore Vincenzo Aletta) e ancora nel 1968 a Istituto Educativo Assistenziale Femminile ‘Aletta’, poiché la vecchia denominazione si riteneva esprimesse una “concezione superata dell’assistenza”.
L’articolo n.1 e n. 6 dello statuto organico del 1871 danno notizie della fondazione e degli scopi:
“L'Opera di
S. Antonio Abate di Lentini trae origine dal 30 di Novembre 1656, per Fondazione
fatta dalli Furono Filadelfo , ed Anna Falcia di Lentini, agl'atti di Notar
Francesco Latina”[38]
“L'Opera suddetta ha per iscopo, darsi un legato per due
anni consecutivi alle Donzelle Orfane Vergini Povere che sortono dal Conservatorio di Lentini, essendo preferite
sempre quelle che sono state mantenute a piazza franca in detto Istituto, cioè
un anno ad una, un anno ad un'altra, dopo che avranno solennizzato i legittimi
sponsali, d'innanzi al Parroco e D'innanzi all'Uffizziale
dello Stato Civile, ed il terzo anno darsi alla amministrazione del
suddetto Conservatorio, per supplire al mantenimento delle altre recluse che
commorano nello stesso, sempre per quelle che si mantengono a piazza Franca,
giusta la sopra Citata disposizione testamentaria citata all'articolo
1° di questo Statuto Organico”[39]
L’opera era retta da un fidecommissario eletto dal Vescovo di Siracusa e si avvaleva di un segretario e di un tesoriere.
I carteggi rinvenuti nell’archivio dell’orfanotrofio sono relativi alla produzione, richiesta dal Consiglio degli Ospizi, dell’atto di fondazione, dei conti morali e del bilancio. È di particolare interesse la relazione sulla gestione dell’opera pia corredata da inventario dei beni mobili ed immobili e delle carte d’archivio.
Non sappiamo quando e come quest’opera sia cessata, se cioè fu soggetta ad inversione o fu concentrata come la maggior parte delle altre opere pie di Lentini.
Nell’Archivio Storico del Comune esiste, comunque, una corposa documentazione che permetterebbe la puntuale ricostruzione della sua storia.
Per quanto, invece, riguarda il legato Callari la documentazione è composta da 29 registri dei conti materiali (1822-1857).
Non sappiamo, come detto, il perché della presenza nell’archivio dell’orfanotrofio di questa documentazione, tanto più che il resto dei conti, altri conti materiali e conti morali, è conservato nella serie delle Opere Pie dell’Archivio Storico del Comune, ove è anche conservata copia dell’atto testamentario.
Il testamento, rogato dal Notaio Giovanni Ferraro il 16 maggio 1601[40], istituiva una rendita per la Chiesa di S. Maria degli Ammalati fuori dell’abitato di Lentini, forse il primo vero ospedale del paese.
Al capitolo 6° destinava“…onze 15 franchi in perpetum et infinitum ad honori di lu onnipotenti iddiu et di ipsa Santa Maria Virgini, et per remissioni et venia di li sui peccati una orfina povira virtuosa, la quale eligirà lo detto Antonino Callari donatori presente, duranti la sua vita et poi di la sua morte ditta elezione di orfana si haggia di fari Margaritella di Callari sua figlia ligittima, et naturali et similiter, secrita la morte di ditta Margaritella sua figlia tali preditta elezione possa farla Alvira di Callari sua matri ...”.
L’orfana
scelta doveva essere “virtuosa et figlia di personi virtuosi et di legitimo
matrimonio procreati di li più poveri et virtuosi che si ritroveranno in detto
anno…”.
La
scelta della beneficiata avveniva tramite sorteggio da farsi con bussolo il
giorno otto di settembre, festività della Beata Maria Vergine, in cui venivano
sorteggiate “Tri poviri orfani
virtuosi nati di legittimo matrimonio un anno di la parrocchia di S. Nicola e lo
altro anno sequenti di la parrocchia di S. Georgio ita chi non siano servitrici
et zitelli di gentiluomini, figli di meritrici, ne manco di condizioni et linea
servili, et non di altra parrocchia.”.
L’ammessa al legato, doveva poi versare una somma per la festività di S.
Maria SS.ma degli ammalati che si solennizzava il 15 agosto nella stessa chiesa.
Nel
1831 si ha una singolare disputa tra Sindaco e rettori del Legato intorno alla
mancata rimessa dei conti consuntivi. I rettori, eletti dal Vescovo di Siracusa,
rifiutavano in pratica il controllo della commissione amministrativa e
dichiaravano estinto il legato per mancanza delle condizioni poste dal testatore[41].
Anche
di questo legato non sappiamo la data certa di cessazione. Certo è che ancora
nel 1863 la Congregazione di Carità denunciava la mancanza del regolamento e
chiedeva l’inversione del legato.
Tutta la documentazione era custodita in armadi metallici e lignei e conservata in cartelle a tre legacci con cartellinatura sul dorso. Composta da registri, fascicoli ed una cospicua quantità di carte sciolte non presentava alcuna classificazione.
Le uniche tracce d’un ordine passato sono costituite da segnature numeriche originali, corrette più volte nel tempo. La numerazione sulle coperte di molti fascicoli e, su di uno, l’indicazione di una “casella” anch’essa numerata, fanno pensare ad un originario ordinamento della documentazione per armadio e scansie con presumibile corredo di rubrica dei fascicoli. A conforto di ciò si è ritrovata una rubrica senza data, ma presumibilmente del 1956, in cui sono riportati i titoli dei fascicoli con i rispettivi numeri.
La cartellinatura sulle buste, opera del defunto segretario dell’orfanotrofio Signor Aricò[42], forniva, come detto, indicazioni sommarie degli affari trattati e, talvolta, indicava le carte ed i fascicoli ritenuti più importanti o di più frequente uso. Numerose, tuttavia, erano le buste con l’indicazione “Affari diversi”.
Su molti documenti sciolti, inoltre, si sono trovate le stesse segnature rinvenute sulle scritture conservate nell’Archivio Storico Comunale[43]. È probabile, quindi, che parte della documentazione costituente l’archivio dell’orfanotrofio provenga dalle serie documentarie conservate nell’Archivio Storico del Comune[44].
In mancanza quindi di dati certi sulla ripartizione originaria della documentazione si è proceduto alla creazione del titolario per serie, categorie, classi e fascicoli, tenendo anche conto dei consigli e delle esigenze espresse dall’attuale Segretario amministrativo incaricato della tenuta dell’archivio.
Tutta la documentazione è stata, quindi, divisa in tre serie, nella prima sono ordinate le carte dell’Opera Pia S. Antonio Abate e del Legato Callari, nella seconda e nella terza le carte dell’Orfanotrofio: serie della documentazione per categorie e serie dei registri.
Tutte le categorie di affari sono contrassegnate da lettere alfabetiche, le classi ed i fascicoli da numeri.
L’archivio si compone di 419 unità con estremi cronologici che vanno dal 1822 (conti materiali del Legato Callari) ai nostri giorni.
Il titolo originale è sempre posto tra virgolette e laddove si è ritenuto opportuno esplicitarne meglio il contenuto si è andati a capo usando un corpo di scrittura più piccolo. Le annotazioni sono in corsivo e riportano la tipologia, gli eventuali allegati e le eventuali altre notizie che servono a descrivere meglio l’unità.
Ogni unità, infine, riporta sulla destra gli estremi cronologici. La data di nostra attribuzione è posta tra parentesi quadre.
Si è scelto di ordinare le copie ed estratti delle deliberazioni nella III serie, subito dopo i registri delle deliberazioni, poiché originariamente disposti come serie a parte dal Segretario Aricò, che li aveva fascicolati per anno ed in alcuni casi legati.
Salvatore
Stefano Bombaci
Concetta
Maria Raudino
Maria
Adagio
Hanno inoltre lavorato alla schedatura ed al
riordino:
Lucia Giannì, Ersilia Inserra, Gabriella Sferrazzo,
Mirella Vinci
Trascrizione dei documenti in appendice:
Gabriella Sferrazzo, Fabio Pulvirenti
[1]
Nel 1865 il Rettore dell’Opera pia di S.Antonio Abate sollecitato dalla
Sotto Prefettura di Siracusa a fornire le date di fondazione di quella Opera
e del Conservatorio scrive: “...In
riguardo alla fondazione del Conservatorio non se ne ha conoscenza ne
puntamento alcuno ne gl’amministratori particulari di esso istituto sanno
dare delucidazioni sulla esistenza o non della ricercata fondazione perché
in segreteria nulla esiste. E’ a conoscenza dello scrivente, per razioni
certi, che esiste un volume di fondazione di diversi opere amministrate, nel
quale pure infallibilmente deve esistere e l’una e l’altra fondazione di
S. Antonio Abate e del Conservatorio, il quale volume restava presso il fu
Reverendo Preposto Don Filadelfo Aletta, il quale da molto tempo fu
amministratore ed interessato tanto per l’una che per l’altra opera e
che oggi il di Lui erede, falso nei principi civili e religiosi, conserva
come cosa propria, e non vuole ne far leggere in casa propria, ne consegnare
ai rispettivi amministratori ciò che alli stessi si appartiene per lo bene
dell’Opere tutte, quale erede Signor Aletta Don Michelangelo qualunque
pregato si fosse, dice non voler dare scritture di sorta che rimase nella
libreria, segretaria del di lui zio a chiunque richiedesse. ... Solo il
Signor Prefetto può ordinare un mezzo qualunque, onde potere avere tali
volumi, e farsi depositare nell’archivio Capitolare come ne sono state
conservate e depositate altre scritture di diverse opere per ordini emanati
dal disciolto Consiglio Generale degli ospizi della .....Provincia.”.
Il voume di fondazione cui si fa cenno è forse quello del notaio Armenio
del 1565. Tuttavia sia dai conti materiali dei primi dell’1800 che dallo
statuto del 1871, risulta che l’opera pia di S. Antonio Abate fu fondata
nel 1656 e che tra gli scopi vi era quello di fornire di doti le donzelle
del Conservatorio. (Archivio IEAF “Aletta”, A.,n°.1)
[2]
Il più antico rinvenuto nell’archivio dell’Orfanotrofio.
[3]
È anche probabile che tale datazione sia il risultato di un equivoco nato
dalla fretta e dalla confusione degli amministratori che, pressati dalla
prefettura, ricercarono tra le carte gli atti di fondazione scambiando il
valore di un’onza (£.12,75), che era in epoca preunitaria il
corrispettivo della retta mensile delle orfane, con la data di fondazione
dell’istituto.
[4]
ASCL, A, n.254, Tavola dell’esigenza, notamenti et ordinationi
di questa Città di Lentini, 1662-1700
[5]
ASCL, A, n.402, c.636
[6]
ASCL, A, n.3, Libro Rosso,“Petizioni seu capitoli fatti
dall’Illustrissimo senato di questa fecondissima Città di Lentini
all’Illustrissimo e Reverendissimo Don Asdrubale Termini Vescovo di
Siracusa su l’impiego ed assignatione da farsi delle rendite del demolito
Monastero di S. Chiara di detta città .… 22. Si domanda che si avesse da aggregare la Chiesa di Santo
Antonio Abate con i suoi effetti annuali al Venerabile Conservatorio
dell’Orfanelli da fabbricarsi nel luogo di detta Chiesa di
Sant’Antonio e case del fu Don Francesco Latina con assegnarsi qualche
cosa de’ frutti per sussidio di fabbrica…”, 1716 gen.31.
[7]
ASCL, A, n.403. Si tratta di una supplica inviata al Senato di
Lentini dalle “Comunità religiose di questa Città” per
ottenere dal nuovo appaltatore del Lago, “l’antichissima
solita limosina del pescado diario del vivajo”.
[8]Archivio
IEAF “Aletta”, serie IIª, H. 1°, n.1. Il rinvio a ‘scritture
pubbliche’ esistenti presso i notai si riferisce ai rogiti delle diverse
assegnazioni, ai censi annuali o perpetui a favore dell’Istituto o da esso
dovuti.
[9]
E questo anche grazie ai fondi conservati presso l’Archivio Storico
Comunale tra i quali è di particolare interesse quello della
famiglia Bugliarello, tra le cui carte si trovano quelle del Sig.
Cicirata che fu cassiere dell’Orfanotrofio nella prima metà dell’800.
[10]
ASCL, Fondo ‘Bugliarello’, Opere Pie, n.14bis
[11]
idem, n.20, “Memorie per l’amministrazione dell’orfanotrofio”
[12]
ASCL, D, n.116
[13]
Archivio IEAF “Aletta”, B., n.1
[14] idem, B., n.2
[15] idem
[16]
Ai Vescovi si ordinava di non “avere ingerenza nei Conservatori di
donne non ridotti a clausura. E quindi che le donne oblate o educande che in
quelli dimorano, possono uscire a di loro arbitrio, senza veruna licenza o
intelligenza dei Vescovi, i quali non ànno diritto di scomunicarle nel caso
uscissero.”
[17]
Archivio IEAF “Aletta”, B., n.2
[18]
idem, art.47 del Regolamento interno.
[19]
Archivio IEAF “Aletta”, I. 2°, n.1 e 3
[20]
Gli elenchi si possono trovare in Archivio IEAF “Aletta”, L. 2°,
n.1 e Serie III, 4°, regg. dei conti materiali 1824-1864
[21]
Archivio IEAF “Aletta”, Serie III, 5°,n.28, reg. dei
conti consuntivi
[22]Istruzioni
per l’amministrazione degli stabilimenti di Beneficenza e de’ Luoghi Pii
Laicali del Regno, emanate dal Segretario di Stato Ministro degli Affari
Interni, il 20 maggio 1820
in Repertorio sull’amministrazione civile del Regno delle due Sicilie,
volume I., 1841
[23]
ibidem
[24]
Archivio IEAF “Aletta”, B.,n.1
[25]
Il 3 giugno 1868 il Prefetto scrive al Sindaco: “Dai titoli che
corredarono la denuncia prodottasi da codesta Commissione dei Reclusori e
Ritiri del Conservatorio delle Donzelle vergini, orfane e povere,
l’Amministrazione Centrale del Fondo pel Culto ha rilevato, che quantunque
non si conoscono quelli della fondazione, pure da una lunga serie di altri
atti si è desunto che non si è mai accennato ad Ente ecclesiastico
riconosciuto, né a spese di culto, ma sempre ad istituzione meramente
laicale. Deliberò quindi nell’adunanza del 19 dicembre ultimo, che allo
stato degli atti, il Conservatorio suddetto debba considerarsi come esente
dall’art.1 della legge 7 luglio 1866.”. Archivio IEAF “Aletta”, C.,8°,n.1
[26]
ASCL, D, n.113
[27]
ASCL, D, n.156. Si veda anche la Relazione dello Stato
dell’Orfanotrofio fatto al consiglio Comunale, 15 marzo 1881, ASCL, D,
n. 129, c.5
[28]
Dal 1923 la denominazione sarà Istituzione Pubblica Assistenziale di
Beneficenza (IPAB)
[29]
Nel 1895 la Giunta Amministrativa Provinciale presieduta dal Prefetto Bisio,
in base all’art.59 della legge del 1890, rigetta la deliberazione del 1893
che stabiliva la concentrazione del Conservatorio nella Congregazione di
Carità.
[30]
La funzione di segretario era spesso assegnata a uno dei componenti della
stessa commissione.
[31]
Ancora nel 1881 il ruolo di Superiora era coperto da personale non
ecclesiastico. Non si trattava, tuttavia, di un orfana, ma di un’anziana
definita “vecchia bizzoca”dal Presidente del Conservatorio. Vedi
ASCL, D, n. 129, c.5
[32]
Archivio IEAF “Aletta”, B.,n.4
[33]
“… lire dieci se le orfane indosseranno l’uniforme ordinario, lire
venticinque se si voglia che essi siano vestite con la divisa in bianco”,
art.24 del Regolamento 1902. Archivio IEAF “Aletta”, B.,n.4
[34]
Tra il 1828 ed il 1833 vengono costruiti i nuovi dormitori. ASCL, Fondo
‘Bugliarello’, Opere Pie, nn.13 e 14
[35]
Nel 1887 presso i fabbricati dell’ex Monastero. Nel 1958 le orfane sono
trasferite in padiglioni del Villaggio Biviere di proprietà del Consorzio
di Bonifica del Lago di Lentini.
[36]
Tra il 1954 ed il 1956 l’orfanotrofio pagherà un’indennità di sfratto
agli occupanti. Archivio IEAF “Aletta”, F.1°,n.12
[37] Previsto dalla sopraggiunta legge regionale del 26 gennaio 1953 n.2 per la costruzione, completamento e restauro di orfanotrofi
[38]
ASCL, B, n.410, c.58, art.1 dello Statuto Organico
[39]
idem, art.6
[40]
ASCL, D, n.116, cc.77-84
[41]
ASCL, B, n.408, c.76
[42]
Con la morte del Segretario Signor Aricò si è anche persa la possibilità
di ricostruire con maggior attendibilità la storia dell’Orfanotrofio e
del suo archivio (così come dell’ex E.C.A. di cui il medesimo fu, dai
primi anni della sua costituzione, il segretario).
[43]
Le segnature sono quelle dell’archivista Scivittaro chiamato a riordinare
l’archivio comunale nel periodo 1939-1943.
[44]
A tal proposito si è anche trovato un fascicolo (modello D. circolare
ministeriale 1° marzo 1897) della categoria V, Economia Comunale.