INDICE EDIZIONI Martedì 19 Febbraio 2002

INTERVISTA
A GAE AULENTI

Francesco Galdieri
A circa un mese dall'inaugurazione della stazione della metropolitana di piazza Dante, Gae Aulenti è tornata in gran segreto a Napoli. Ad attenderla nel cantiere, domenica mattina, c'era solo una ristretta rappresentanza dello staff dirigenziale e tecnico della Metropolitana di Napoli. Accompagnata dal presidente, l'ingegnere Giannegidio Silva, a mezzogiorno l'architetto milanese ha effettuato un sopralluogo nella seconda stazione da lei progettata per quello che è stato già ribattezzato come il «Metrò della cultura»: il primo in Italia ad essere stato pensato anche come contenitore per l'arte contemporanea.
L'abbiamo incontrata nella zona della piazza che presto sarà pedonalizzata e che, nonostante le impalcature e le lamiere, mostra già i segni di un rigoroso restyling, a cominciare dalla pavimentazione in pietra vesuviana.
Ci riassume i punti salienti sui quali ha lavorato per la riqualificazione di piazza Dante?
È stato un progetto molto delicato da realizzare, perché con la presenza di Vanvitelli non è che si passi impunemente in questo spazio. Ho cercato di lasciare la piazza così com'era, rivedendola in funzione della geometria dello spazio ed anche dei servizi che ci sono attorno, e soprattutto relazionandola al carattere forte di Port'Alba; dunque ho lasciato il più possibile le strutture com'erano, riordinandole perché la vita continui come prima. Per la pavimentazione ho optato per un disegno secondo la tradizione napoletana; i due elementi che fuoriescono sono stati disegnati apposta in vetro, con strutture molto sottili, nella speranza che possano costituire due componenti che si relazioneranno bene nel contesto.
Quali sono i punti di contatto e le differenze rispetto alla stazione del Museo Nazionale?
A piazza Cavour l'insieme era più complesso: l'area verde, la connessione con il museo, il dover costruire qualche cosa per supportare le differenze dei livelli. In quel caso il contesto era più difficile dal punto di vista della geometria ma anche più libero, mentre qui il luogo era, come dire, già fatto, bisognava rimetterlo a posto.
Nel sottosuolo architettura ed arte s'integrano nel rispetto delle diversità dei linguaggi di Alfano, De Maria, Kosuth, Kounellis e Pistoletto...
La tradizione già aperta a Napoli degli artisti che lavorano negli spazi pubblici ha reso possibile operare delle scelte in base alla sensibilità degli artisti ed in funzione ai luoghi nei quali devono andare ad operare. La mia non è una scelta che tende ad avere una visione critica, ma piuttosto una corrispondenza tra pittura, scultura, interventi artistici e gli spazi della stazione.
In questa esperienza napoletana come giudica i rapporti instaurati con gli artisti e con gli enti locali?
Molto buoni fin dall'inizio: rapporti non solo burocratici, ma anche di discussione e confronto, e questo è un gran merito di questa città.
Luoghi della mobilità e dell'arte: le stazioni di un metrò possono supplire all'assenza di una galleria o di un museo per l’arte contemporanea?
Assolutamente no, ma possono dare il loro contributo perché la gente in modo graduale comprenda e si abitui anche al contemporaneo. Un contributo insomma molto positivo.