L’INTERVENTO
Rivoluzione funzionale
ma non estetica
Benedetto Gravagnuolo
L'inaugurazione della tratta
Museo-Dante, della Linea 1 della Metropolitana di Napoli,
apre il sipario su una mutata scena urbana. Il dato più
significativo sta proprio nella messa in rete della piazza
con il sistema dei trasporti sotterranei su ferro. La
distanza tra centro e periferie si è fortemente ridotta,
non solo in senso metaforico. Quando la linea andrà a
regime, con poche fermate del metrò sarà, ad esempio,
possibile da Scampia raggiungere in tempi brevi il centro
antico (e viceversa). L'altro miglioramento, a mio parere
evidente, sta nella logica della viabilità, limitata alla
sola direttrice che conduce al Museo Nazionale, lasciando
finalmente libero dal traffico e dai parcheggi l'emiciclo
costellato di ristoranti e di tante attività commerciali.
Resta tuttavia tutt'altro che marginale la valutazione
estetica sul ridisegno urbano, non foss'altro perché Piazza
Dante è un luogo per eccellenza denso di memorie storiche,
che reca ancora ben leggibile l'impronta settecentesca
dell'impianto vanvitelliano. Da una lettera di Luigi
Vanvitelli al fratello Urbano del 1759, possiamo desumere
che questi concepì l'idea della grande esedra quasi di
getto, anche se poi continuò a rielaborare e riplasmare i
dettagli del progetto fino all'avvio dei lavori esecutivi
duranti all'incirca cinque anni, a partire dal 1760. La
Piazza "adornata a guisa di un antico Foro" fu concepita
dal grande architetto ispirandosi alle coeve places royales
. In tale ottica la "Statua Equestre di Carlo il Cattolico
Borbone ", prevista su un alto piedistallo gradonato in
asse con il nicchione, non era un ornamento scultoreo,
bensì un elemento strettamente complementare al disegno
architettonico vanvitelliano. La mancata realizzazione di
tale scultura (eseguita in gesso nel 1765, distrutta dai
moti giacobini nel 1799 e mai più fusa in bronzo)
rappresentò una menomazione dell'opera, ben colta da
Milizia. Tant'è che persino il Maresca, quando il 6
settembre del 1808 allestì un apparato effimero per
festeggiare l'assunzione al trono di Gioacchino Murat,
volle sostituire l'irrealizzato monumento a Carlo III con
una colossale statua equestre di Napoleone Bonaparte.
Solo nel 1872, lo scultore Tito Angelini plasmò la
statua del sommo poeta Dante eretta lì al centro, su un
altissimo (e sproporzionato) podio, come simbolo dell'unità
d'Italia. Così stando le cose, di fronte al mutamento
radicale scaturito dalla nuova stazione della metropolitana
era lecito attendersi un ripensamento culturale in senso
complessivo della piazza, a partire dalla stessa
collocazione degli elementi ereditati da un passato
plurisecolare. Nel caso specifico, la statua di Dante
collocata coerentemente al centro di un sistema
ottocentesco di aiuole e di verde, assume oggi una
connotazione involontariamente metafisica, sospesa con la
sua colossale mole bianca nel vuoto di una piazza
lastricata di pietra lavica. Forse sarebbe stato più logico
collocarla in una posizione decentrata ed affidare all'Arte
la rievocazione dell'idealtipo settecentesco.
Altri
aspetti che potrebbero essere ripensati sono gli elementi
funzionali di arredo urbano che appaiono oggettivamente
carenti. L'assenza di panchine e di luoghi di
socializzazione, lamentata da alcuni cittadini nelle prime
interviste a caldo, è un dato su cui riflettere perché
potrebbero effettivamente essere integrati. Senza contare
che un'idea, davvero suggestiva, che è stata proposta in
questa occasione è il restauro botanico del giardino
interno al "Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II" ,
restauro finalizzato a trasformare questo polmone di verde
(oggi chiuso al pubblico) in un percorso di collegamento
dell'ex-Foro Carolino con Piazza del Gesù. In questo modo
verrebbe a suo modo recuperato anche il "verde" perduto nel
corso dell'innovazione urbana.