INDICE EDIZIONI Mercoledì 27 Marzo 2002

L’INTERVENTO
Rivoluzione funzionale
ma non estetica

Benedetto Gravagnuolo
L'inaugurazione della tratta Museo-Dante, della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, apre il sipario su una mutata scena urbana. Il dato più significativo sta proprio nella messa in rete della piazza con il sistema dei trasporti sotterranei su ferro. La distanza tra centro e periferie si è fortemente ridotta, non solo in senso metaforico. Quando la linea andrà a regime, con poche fermate del metrò sarà, ad esempio, possibile da Scampia raggiungere in tempi brevi il centro antico (e viceversa). L'altro miglioramento, a mio parere evidente, sta nella logica della viabilità, limitata alla sola direttrice che conduce al Museo Nazionale, lasciando finalmente libero dal traffico e dai parcheggi l'emiciclo costellato di ristoranti e di tante attività commerciali.
Resta tuttavia tutt'altro che marginale la valutazione estetica sul ridisegno urbano, non foss'altro perché Piazza Dante è un luogo per eccellenza denso di memorie storiche, che reca ancora ben leggibile l'impronta settecentesca dell'impianto vanvitelliano. Da una lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Urbano del 1759, possiamo desumere che questi concepì l'idea della grande esedra quasi di getto, anche se poi continuò a rielaborare e riplasmare i dettagli del progetto fino all'avvio dei lavori esecutivi duranti all'incirca cinque anni, a partire dal 1760. La Piazza "adornata a guisa di un antico Foro" fu concepita dal grande architetto ispirandosi alle coeve places royales . In tale ottica la "Statua Equestre di Carlo il Cattolico Borbone ", prevista su un alto piedistallo gradonato in asse con il nicchione, non era un ornamento scultoreo, bensì un elemento strettamente complementare al disegno architettonico vanvitelliano. La mancata realizzazione di tale scultura (eseguita in gesso nel 1765, distrutta dai moti giacobini nel 1799 e mai più fusa in bronzo) rappresentò una menomazione dell'opera, ben colta da Milizia. Tant'è che persino il Maresca, quando il 6 settembre del 1808 allestì un apparato effimero per festeggiare l'assunzione al trono di Gioacchino Murat, volle sostituire l'irrealizzato monumento a Carlo III con una colossale statua equestre di Napoleone Bonaparte.
Solo nel 1872, lo scultore Tito Angelini plasmò la statua del sommo poeta Dante eretta lì al centro, su un altissimo (e sproporzionato) podio, come simbolo dell'unità d'Italia. Così stando le cose, di fronte al mutamento radicale scaturito dalla nuova stazione della metropolitana era lecito attendersi un ripensamento culturale in senso complessivo della piazza, a partire dalla stessa collocazione degli elementi ereditati da un passato plurisecolare. Nel caso specifico, la statua di Dante collocata coerentemente al centro di un sistema ottocentesco di aiuole e di verde, assume oggi una connotazione involontariamente metafisica, sospesa con la sua colossale mole bianca nel vuoto di una piazza lastricata di pietra lavica. Forse sarebbe stato più logico collocarla in una posizione decentrata ed affidare all'Arte la rievocazione dell'idealtipo settecentesco.
Altri aspetti che potrebbero essere ripensati sono gli elementi funzionali di arredo urbano che appaiono oggettivamente carenti. L'assenza di panchine e di luoghi di socializzazione, lamentata da alcuni cittadini nelle prime interviste a caldo, è un dato su cui riflettere perché potrebbero effettivamente essere integrati. Senza contare che un'idea, davvero suggestiva, che è stata proposta in questa occasione è il restauro botanico del giardino interno al "Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II" , restauro finalizzato a trasformare questo polmone di verde (oggi chiuso al pubblico) in un percorso di collegamento dell'ex-Foro Carolino con Piazza del Gesù. In questo modo verrebbe a suo modo recuperato anche il "verde" perduto nel corso dell'innovazione urbana.