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Abbondanzio da Dervio

In questo documento del 905, giuntoci in una copia del XII secolo, viene nominato come uno dei testimoni il primo derviese citato in un documento: Abbondanzio (Abundancius de loco Dervi).


Si tratta di una relazione su un processo tenuto a Bellano il giorno 8 Luglio del 905 dall'Arcivescovo di Milano, Andrea da Canziano, in relazione alle proteste di un gruppo di servi di Limonta, sottoposta al Monastero di sant'Ambrogio di Milano.

I servi sostenevano che Gaidulfo, abate del detto monastero, imponesse loro obblighi a cui non erano tenuti: un censo maggiore di quello pattuito; il traghetto dei monaci sul lago era a loro spese; il preposto Redelperto portava via ingiustamente i loro animali, li obbligava a raccogliere e spremere le olive e li costringeva a fare la calce, li costringeva ad andare a Capiate a potare le viti. Molte volte erano costretti a battere il grano e dovevano tagliarsi i capelli, come si poteva ben vedere anche in quel momento (i capelli corti erano un segno distintivo degli schiavi di ordine infimo).

L'abate Gaindolfo replicò che gli Imperatori Lotario e Carlo avevano posto tali servi sotto gli ordini (preceptis piissimis) del Monastero di Sant'Ambrogio, confessore di Cristo. Dunque se erano stati servi di tali Imperatori ora dovevano considerarsi servi di detto monastero e dovevano eseguire tutto quello che era loro comandato e ordinato.

I servi risposero dicendo che riconoscevano di essere stati servi dei detti Imperatori e di essere passati per loro testamento al Monastero di sant'Ambrogio; però, sotto gli Imperatori, loro e i loro antenati erano abituati a pagare soltanto tre lire e dieci soldi d'argento, 12 sestaia di frumento, 30 libbre di cacio, 30 paia di polli, 300 uova e inoltre raccogliere e spremere le olive della stessa corte di Limonta. E quindi sostenevano di dover pagare ciò che avevano elencato.

Fatte le dovute indagini e sentiti i testimoni (tra i quali il nostro Abbondanzio da Dervio), si appurò che era vero ciò che i detti servi avevano detto e che quindi non si potesse imporre altri obblighi oltre quelli consuetudinari.


Fonte: ASM, Museo diplomatico, cart. 5, 6/150


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