La crescita di un movimento conservatore.

Il secondo atto fu l’organizzazione di un movimento conservatore che fosse, allo stesso tempo, un’entità indipendente ed una presenza dominante in seno al Partito Repubblicano.

Questo processo organizzativo conobbe due stadi di sviluppo. A partire dai tardi anni ’50 fino ai primi anni ’70 il movimento conservatore divenne un effettivo contendente politico ma fallì nel tentativo di apporre il proprio marchio sulla politica americana; dalla metà degli anni ’70 fino ai primi anni ’80 il movimento, incarnatosi nel progetto della Nuova Destra, raggiunse la piena maturità e divenne, per diverso tempo, una forza dominante della politica nazionale.

Nella prima fase, l’arma più potente nelle mani dei conservatori risiedeva nella possibilità di potersi scagliare contro l’establishment politico e culturale dominante pur avendo alle spalle, a loro volta, un significativo apparato di potere. Potevano coniugare, insomma, la disponibilità di ingenti risorse interne, attingibili dal mondo del business e dall’apparato del GOP, e la retorica antisistemica.

Ciò che rendeva quest’arma insufficiente era l’incapacità dei due più credibili campioni della causa conservatrice, Richard Nixon e George Wallace, di far fronte comune, unita al fatto che la crisi economica, che avrebbe definitivamente eliminato l’equivalenza tra Democratici liberal e prosperità nazionale, non si era ancora materializzata.

Le cose cambiarono dalla metà degli anni ’70 con l’emergere della Nuova Destra. Il trionfo dei conservatori non fu comunque dovuto ad un cambiamento notevole: i leader della Nuova Destra non erano dei nuovi arrivati, con programmi e strategie diversi da quelli dei “vecchi” conservatori. Quello che era cambiato era il contesto sociale.

La crescita dei conservatori negli anni ’60 fu lenta ma continua, organizzata intorno alle figure di Goldwater, Wallace e Thurmond. Questa esperienza permise lo sviluppo di una strategia articolata mirante alla costruzione di una maggioranza conservatrice, la Emerging Republican Majority auspicata da Phillips [1] , che puntasse a strappare ai Democratici il Sud e l’Ovest del paese, che si sarebbero andati ad aggiungere alle storiche roccaforti del GOP, cioè il Midwest e le Grandi Pianure. Il grimaldello di questa strategia doveva essere l’esasperazione dei colletti blu e dei piccoli agricoltori verso le politiche sociali e razziali della Great Society johnsoniana, sempre più interpretate come esclusivo appannaggio delle minoranze e responsabili dell’ondata di violenza che stava sconvolgendo il paese. L’impegno del Partito democratico nazionale, soprattutto della presidenza Johnson, in favore dei diritti civili per i neri del Sud minò in maniera definitiva il Solid South democratico. A partire dalla candidatura di Goldwater nel 1964, sostenuta da una piattaforma esplicitamente avversa al riconoscimento dei diritti civili, gli orfani della segregazione razziale iniziarono a guardare al Partito Repubblicano come nuovo referente politico nazionale in grado di interpretare la loro rabbia contro la politica razziale dei liberal, contro la crescita di una élite di beneficiari del sistema assistenziale e contro il diffondersi di droga, violenza e pornografia.

La Southern Strategy, campagna tesa alla conquista dell’elettorato del Sud, del Partito Repubblicano, e di Nixon in particolare, mutuò gran parte del suo arsenale retorico, con toni più moderati, proprio dai personaggi più rappresentativi di questa regione nel dopoguerra: George Wallace e Strom Thurmond. Questa strategia faceva leva su due argomentazioni che trovavano molto ascolto fra la crescente middle-class bianca del Sud e della Sunbelt, ma che ben presto fecero breccia anche nel resto del paese: il diritto delle comunità locali ad autogovernarsi e l’immagine dei liberal come un’élite antipopolare. Se, negli anni del grande consenso nazionale in favore del movimento per i diritti civili, la resistenza, spesso violenta, alla desegregazione da parte dei bianchi del Sud aveva portato al loro isolamento a livello nazionale, il white backlash seguito alle rivolte urbane dei neri rovesciò la situazione. L’esplosione del radicalismo nero causò la rapida caduta del consenso della maggioranza dell’elettorato nei confronti delle politiche sociali dell’amministrazione Johnson e dell’intero movimento per i diritti civili. A livello nazionale, inoltre, si stava sperimentando una contiguità fisica con i neri conosciuta, fino ad allora, solo al Sud. Una parte sempre più consistente dell’elettorato bianco si rivolse contro il liberalismo sostenuto dall’amministrazione, temendo che l’impegno a favore dei neri potesse costituire una minaccia al loro status. Nella svolta conservatrice degli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’60, il Sud del paese ebbe un ruolo centrale, dovuto, in gran parte, all’opera di due delle figure più rappresentative della regione nel dopoguerra, Strom Thurmond e George Wallace.

Thurmond, figura chiave della massive resistance del Sud al processo di desegregazione, fu il primo senatore democratico a passare nelle fila del Partito Repubblicano, vedendosi sempre più isolato all’interno del suo partito e individuando i suoi referenti in Barry Goldwater e nell’ala destra del GOP. Il gesto, senza precedenti nel Deep South, contribuì in modo sostanziale ad aprire al Partito repubblicano le porte della regione.

George Wallace, il governatore dell’Alabama protagonista dello stand di protesta contro l’ingresso del primo studente nero alla University of Alabama, che era e rimase un populista di destra, fu tra i primi a cogliere i segnali del crescente malessere della working e middle class bianca di fronte all’impegno dell’amministrazione Johnson nei confronti dei neri, percepito da questi elettori tradizionalmente democratici come una seria minaccia al loro status. Wallace ebbe uno straordinario riscontro negli avamposti della ethnic working class nelle metropoli industriali del Nord, riscontro che portò a risultati impensabili nelle primarie democratiche del 1964, soprattutto al di fuori del Sud. La risoluta campagna dei Democratici tesa a screditare Wallace tra i lavoratori sindacalizzati e la nomination di Goldwater per i Repubblicani fermarono l’ex governatore dell’Alabama.

Le successive elezioni del 1968 videro Thurmond e Wallace lottare da avversari contro lo stesso nemico e per un medesimo obiettivo, porre un freno alle riforme della Great Society. In questa occasione Wallace decise di prendere parte alla contesa elettorale come indipendente, raggiungendo lo storico obiettivo di registrarsi come candidato indipendente in tutti gli stati del paese. Wallace fu un candidato temibile per quasi tutta la campagna elettorale, ma soffrì, in termini elettorali, la campagna di demonizzazione condotta contro di lui dai due partiti maggiori, la disorganizzazione della sua campagna e le chiusura del sistema americano verso le candidature indipendenti.

La ripresa, in tono moderato, delle parole d’ordine di Wallace da parte di Nixon fu una delle chiavi della vittoria del candidato repubblicano, e fu emblematico del progressivo affermarsi dei conservatori in seno al GOP. Nella convention repubblicana del ’68, infatti, nonostante la posizione dei conservatori non fosse ancora del tutto consolidata, ci fu un significativo spostamento della bilancia politica: Richard Nixon, il candidato più forte, non dovette vedersela con la componente liberal del partito, ma con Ronald Reagan, candidato dei conservatori. Nixon si vide confermato nella candidatura grazie alla fedeltà agli ordini di partito di importanti senatori conservatori, come Goldwater, Thurmond e Tower, ma dovette riconoscere che “se un candidato repubblicano non poteva vincere con il solo appoggio della destra del partito, non poteva farlo neanche senza di esso”. [2]

Nel ’68, gli americani attribuirono la maggioranza assoluta dei loro consensi alle due alternative di segno conservatore ai Democratici. Per la prima volta, il conservatorismo populista divenne un’alternativa credibile al New Deal Order.

Con gli anni ’70, il destino dei conservatori si lega ad un più ampio spettro di mutamenti politici. Il risorgere del radicalismo aveva scosso profondamente il consenso che aveva dominato il panorama politico americano dalla metà degli anni ’50. Le critiche al processo di accumulazione di ricchezza ed alle conseguenti disuguaglianze ed ingiustizie unite alla condanna senza appello alla guerra del Vietnam, vista come l’emblema di una politica estera barbara ed imperialista, scossero il clima di consenso e, ironia della Storia, pur partendo dalla sinistra, crearono un’apertura insperata per la destra e presero la forma del voto di protesta contro i Democratici.

Improvvisamente, o quasi, si presentava una potenziale maggioranza conservatrice e la strategia politica del movimento conservatore sembrava poter incarnare questo potenziale ancora non compiutamente espresso e mobilitarlo contro i liberal ed il Partito Democratico in generale.

Questo mutamento fu analizzato dal già citato Kevin Phillips, giovane collaboratore di Nixon, che nel suo The Emerging Republican Majority individuò una ridistribuzione del voto, su linee etniche e geografiche, simile, per importanza, a quelle storicamente rilevanti del 1828,1860,1896 e 1932 [3] . Le regioni tradizionalmente democratiche, come il Sud e l’Ovest, stavano passando ai Repubblicani, così come accadeva per i Cattolici urbani e per i gruppi etnici nel Nordest. Il fenomeno fu dovuto, in parte, alla “rivoluzione socio-economica dei neri” [4] , in parte, alla crescita della cosiddetta Sunbelt e della sua middle class “senza radici e socialmente mobile” [5] ed, in parte, all’ostilità per l’apparato liberal di quei gruppi contrari ad ogni tipo élite politica.

Qualsiasi fossero le cause, i Repubblicani, ed i conservatori in particolare, ebbero un’enorme opportunità, potendo far appello ai sentimenti anti-elitari della “maggioranza silenziosa”, turbata altresì da questioni sociali sempre più sentite, quali la criminalità, il permissivismo, il radicalismo e tutti i cambiamenti sociali “distruttivi” [6] .

Nonostante questa forza crescente, l’impatto dei conservatori fu ancora limitato. Nelle elezioni per il Congresso del 1970 mantennero una forte maggioranza; nel 1972, Nixon fu rieletto alla Casa Bianca conquistando al GOP, per la prima volta, gli stati del Sud ma perdendo la maggioranza al Congresso. Il resto lo fece lo scandalo Watergate: le elezioni di medio termine del 1974 consegnarono ai Democratici la più ampia maggioranza al Congresso dai tempi della débacle repubblicana di Goldwater.

La situazione politica era, sostanzialmente, ancora favorevole ai liberal. Questo perché la ridistribuzione, geografica e di classe, del voto non era ancora del tutto compiuta, perché i conservatori non compirono una scelta netta tra Nixon e Wallace e, soprattutto, perché lo stato dell’economia non aveva ancora raggiunto il livello critico. Prodotto Interno Lordo, produttività e salari reali stavano ancora crescendo; disoccupazione ed inflazione, relativamente basse, si mantenevano sotto la soglia di preoccupazione.

Nonostante tutti i loro sforzi, i conservatori dovevano ancora smentire l’equivalenza tra democratici e prosperità nazionale, strappare il monopolio delle politiche del benessere, sostituendo, a quelle dei liberal, le proprie strategie. Quello che avrebbe dovuto verificarsi, e che stava effettivamente per verificarsi, era una condizione di economia in crisi con un Democratico alla Casa Bianca.



[1] Kevin P. Phillips, The Emerging Republican Majority (New Rochelle, N.Y.: Arlington House, 1969).

[2] William F. Buckley, jr., Inveighing We Will Go (New York: Berkley Publishing, 1973). p.63.

[3] Kevin P. Phillips, The Emerging Republican Majority, cit.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Richard M. Scammon e Ben J. Wattemberg, The Real Majority (New York: Coward, Mc Cann, and Geoghegam, 1970).