San Vito Martire - sec. III-IV
Si festeggia il 15 giugno

Patronato:Danzatori, Epilettici
Etimologia: Vito = forse forte, virile,
che ha in sé vita, dal latino

San Vito, principale patrono di Mazara 
e della Diocesi.

Il festino a Mazara

Il culto a San Vito nella diocesi  

SAN VITO  patrono di Mazara e della Diocesi  
(… dai documenti dell’archivio storico diocesano)

La conquista ruggeriana della Sicilia e il riassetto politico-religioso voluto dal conte Ruggero d’Altavilla determinarono la nascita della Chiesa di Mazara, punto strategico nella lotta contro i musulmani, che già proprio nell’827 erano sbarcati a Mazara e da qui si erano spinti in tutta l’Isola determinando oltre due secoli di dominio arabo in terra di Sicilia e la conversione dell’Isola all’islamismo.

Prima dell’avvento musulmano in  Sicilia la zona occidentale dell’Isola aveva visto affermata una Chiesa cristiana assai solida se, come è vero, la città di Lilibeo era stata retta da vescovi eccellenti, come il santo Vescovo Gregorio, morto martire durante la persecuzione di Diocleziano, o san Pascasino, uno dei presuli più eminenti e dotti, che lo stesso Pontefice Leone Magno nel 451  aveva inviato a Calcedonia, come suo legato, a presiedere il concilio ecumenico contro l’eresia monofisita. Mazara, restituita alla fede cristiana, nel 1093 divenne sede vescovile di una diocesi assai vasta: i suoi confini erano delimitati dal mare ad ovest, nord e sud, mentre ad est si estendevano sino ai territori di Carini e Corleone. Il conte Ruggero nel 1097 volle dedicare la Cattedrale al SS. Salvatore e alla Sua santissima madre, anche se il popolo aveva visto sempre in San Vito il santo protettore a cui fare riferimento nei momenti più difficili o calamitosi. Con il ripristino della fede cristiana si affermò anche il culto esterno di San Vito in cui onore furono dedicati quartieri nelle varie città e borgate, edicole sacre con l’immagine del Santo e, dopo i Vespri Siciliani, si videro sorgere confraternite di disciplinati dedicate al Santo in quasi tutte le città della Diocesi.  

     San Vito, principale patrono di Mazara e della Diocesi.

“La città di Mazara, scrive lo storico Domenico Lancia di Brolo nella sua Storia della Chiesa in Sicilia, per antichissima tradizione da nessun’altra contraddetta, passa per essere stata la patria del nostro Santo, il quale nato da Hila, idolatra e di nobile stirpe, ma allevato da Crescenzia ed educato da Modesto, ambedue ferventi cristiani, ancor fanciullo si distingueva per fervore nel praticare la fede e coraggio nel professarla” (vol. I, pag. 156). Di questo giovane martire, onore della comunità cristiana di Mazara, come lo furono in Sicilia santa Lucia per la città di Siracusa e sant’Agata per la città di Catania, si fa menzione sin dai tempi di papa san Gelasio (492-496), mentre in Roma la diaconia[1]  dei ss. Vito, Modesto e Crescenzia, presso l’arco di Gallieno sull’Esquilino, è anteriore a san Leone III papa, che l’aveva arricchita di doni.  Sul valore storico delle testimonianze più antiche lascio la parola ai critici competenti e ai vari relatori di questo congresso; mio compito è soffermarmi su San Vito attraverso i documenti dell’Archivio storico Diocesano, vera miniera inesplorata, tesoro di inestimabile rilievo, dove sono custoditi documenti cartacei di prima mano riguardanti l’intera Sicilia occidentale dalla fondazione della Diocesi ad oggi. Il documento principe riguardante il ruolo di San Vito martire  nella Chiesa di Mazara rimane, senza ombra di dubbio, la petizione al vescovo del tempo, mons. Marco La Cava[2] , da parte dei giurati con la quale si chiede a nome del popolo di nominare San Vito principale patrono della città e dell’intero territorio diocesano. I giurati nel documento evidenziano che già Mazara per volontà del conte Ruggero è stata sempre sotto la protezione del santissimo Salvatore Gesù Cristo al cui nome e sotto il cui patrocinio il conte aveva fatto costruire la Cattedrale di Mazara, ex voto per essere stato personalmente protetto dal divino Redentore durante una caduta da cavallo, mentre imperversava la battaglia contro i saraceni. Ma poiché, affermano i giurati , per un buon governo e per la prosperità della nostra città importa moltissimo avere altri Patroni, che stiano accanto al Signore e intercedano per essa, noi adottiamo e nominiamo il gloriosissimo martire San Vito, nostro concittadino, per essere nato a Mazara, conforme ad una antica tradizione presso di noi e per espressa approvazione di uomini dottissimi, come Patrono della nostra città. I giurati evidenziano ancora che già questa città ha fruito nel passato della particolare protezione del beatissimo martire San Vito, il Santo che “per affetto verso la città natale fino ad oggi l’ha protetta, conservata e sostenuta e in vari modi ha beneficato i suoi concittadini scacciando i demoni dal loro corpo, guarendoli da varie malattie”. Nel documento i giurati fanno riferimento “all’antica chiesa che è stata costruita dai nostri padri non lontano da Mazara sulla spiaggia da dove San Vito, con Modesto e Crescenza, suoi educatori, sotto la guida di un angelo s’imbarcò ed approdò per volontà di Dio in Lucania”. Il documento, firmato dai giurati Nicola Antonio de Federicis, da Francesco Ferro, Muzio Bianco e Gabriele Spata, fu stipulato alla presenza del notaio Giacomo Anello e a quattro testimoni.

La Chiesa di Mazara stava attraversando in quegli anni un momento di rinascita spirituale e morale, nonostante la crisi politica che imperversava nell’impero spagnolo e, di conseguenza, nell’Isola. Il Vescovo Mons. La Cava, dopo aver richiesto il parere ad una commissione, presieduta dal sacerdote teologo don Bartolomeo Ficano, vicario generale, accolse con soddisfazione il documento del magistrato e confermò con un suo decreto dell’otto settembre 1614 l’elezione di San Vito a Patrono della  città di Mazara e del territorio diocesano.  ( cfr. Arch. Stor. Dioc. 37/4/9, pag. 96).         

“In seguito alla scrupolosa proposta fatta dal sacerdote teologo e dottore in utroque iure don Bartolomeo Ficano, nostro vicario generale, e per la devozione che abbiamo verso il beato martire Vito, per cui si dovrà e si deve designarlo  e stabilirlo come Patrono, secondo l’autorità pastorale, Noi, in nome di Dio, solennemente, con questo atto lo scegliamo, designiamo e stabiliamo come singolare e particolare Patrono, Avvocato e Difensore nostro e di quest’inclita città di Mazara, confermando ed approvando l’atto redatto dai richiedenti. Diamo inoltre l’incarico a tutti e singolarmente al nostro Clero, fino a qual punto debbano venerare e celebrare solennemente la festività dello stesso, sotto il duplice rito di prima classe con l’ottava ed inoltre dagli stessi e da tutti gli altri debba essere venerato in questa nostra città e nei suoi territori, nello stesso modo come nelle altre maggiori solennità  dei santi Patroni delle altre città: perché il sopradetto San Vito martire e patrono e nostro concittadino si degni di pregare vivamente presso Dio e Gesù Cristo nostro salvatore per noi, per il nostro clero e per tutta questa nostra inclita città”.

Mazara[3]  aveva da sempre tributato un culto particolare a San Vito ritenendolo cittadino mazarese e grande intercessore in favore di questa città;  di questo culto si riscontrano ampie tracce nei documenti dell’Archivio Storico Diocesano specie nelle più antiche Sacre Visite, dove, a partire dal rollo del vescovo Lombardo (anno 1575), si parla della chiesa di San Vito extra moenia ormai erosa dal tempo, di un culto molto antico tributato al Santo nonché di una confraternita di San Vito costituita dalla nobiltà mazarese. Il cardinale Spinola nella sacra Visita del 1638 accenna a questa chiesa fuori la città, sulla riva del mare, assai vetusta, dove è necessario intervenire per rendere il luogo sicuro ed accogliente.  Due epigrafi in caratteri longobardici evidenziano quanto questa chiesa era cara ai mazaresi e con quanto zelo il popolo si rivolgesse al Santo implorando grazie e patrocinio. Il sito della chiesa corrisponde al luogo dove, secondo la tradizione, il Santo s’imbarcò per sfuggire le ire del padre. L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 1776 per opera del vescovo Ugone Papè con il contributo del popolo e della confraternita della nobiltà, ma l’antica, di cui fa menzione l’Adria nel 1515, è d’attribuirsi all’età normanna, quando, cacciati i Saraceni e ricostituita la chiesa cristiana nell’Isola, riemerse con tutta la sua forza il sentimento religioso nella città di Mazara , dove sorsero subito chiese, conventi e monasteri.

La 1a epigrafe, scolpita in marmo e posta sul frontespizio della chiesa, era una supplica al Santo:

Vite  baro Christi, qui coelica regna petisti

Urbs tua Mazara, clementer sit tibi cara

Ne subita morte  pereamus cum labe

Ne canum rabie praesul adesto pie.

La prima chiesa pare sia stata costruita nel IV secolo, dopo il martirio del Santo. Erosa dalle acque e distrutta dall’ingiuria del tempo durante la dominazione araba, con l’avvento dei Normanni e la ricostruzione della Chiesa cristiana in Sicilia , venne riedificata quella chiesa di cui si fa menzione nel rollo di Mons. Lombardo, già fatiscente durante il governo del cardinale Spinola. In questa chiesa era annesso un beneficio semplice di libera collazione e costituito da rendite varie, come può evincersi dalle Sacre visite dei vescovi Lombardo e Spinola.

L'attuale chiesa, che si ammira sul litorale e dove venne accolto il Santo Padre Giovanni Paolo II nella visita apostolica dle 1993, è stata riedificata ed ingrandita nel 1776 durante il governo pastorale del vescovo Ugone Papè.

Dentro la città è sita, inoltre, la chiesa di San Vito in urbe, detta, successivamente, chiesa di Santa Teresa. Una pia tradizione ritiene la chiesa costruita dove fu l’antica abitazione di San Vito. Una lapide ne tramanda la memoria: “Hanc habui, nec linquo domum; vos plaudite cives: sum patriae, custos, gloria, vita, decus”.La chiesa fu fondata dalla confraternita di San Vito, il sodalizio che annoverava tra i soci della confratria buona parte della nobiltà mazarese. Questa confraternita, istituita il 25.03.1588 con propri capitoli, fu approvata dal vescovo Luciano de Rubeis (1589-1602) e vide riformate le sue costituzioni l’8.06.1778 dal vescovo Ugone Papé di Valdina (1772-1791). La confraternita assicurava il culto del Santo dentro la città e si faceva obbligo di incentivare sempre più nel clero e nel laicato nuove forme di culto e di religione a livello pubblico e privato.

Si deve alla solerzia dei suoi Vescovi se  Mazara  entrò in possesso nel secolo XVII di insigni reliquie del Santo concittadino. Marco La Cava, la cui memoria è in benedizione, il 16 giugno 1602 portò da Roma in un reliquiario d’argento un osso del braccio; il cardinale Spinola riuscì ad avere una reliquia della gamba del Santo, mentre il vescovo Castelli portò la reliquia più preziosa, il cuore, e si adoperò per arricchire le varie chiese e monasteri di Mazara di altre insigni reliquie del Santo, oltre al braccio di San Modesto e alla gamba di santa Crescenza. Reliquie del Santo finirono così nel sepolcretto dell’altare maggiore delle chiese di San Michele, Santa Veneranda, chiesa del Collegio e chiesa Santa Maria di Gesù, retta dai frati Minori Osservanti, mentre il cuore di San Vito fu custodito nella chiesa dei Carmelitani. Queste preziose ed autentiche reliquie, oggi custodite in parte nel Museo diocesano,  hanno permesso nei secoli alla Chiesa di Mazara di potere venerare una parte significativa di quel corpo triturato dalla sofferenza del martirio, ma di cui l’Onnipotente si è servito e si serve per glorificarne la santità.

A presidio della città il popolo volle erigere una statua del Santo proprio nelle vicinanze della foce del fiume Mazaro, zona particolarmente cara al cuore di tutti i cittadini perché questo porto è per Mazara la fonte principale delle sue risorse economiche; questo porto è lavoro, prosperità e vita. Quattro distici in lingua latina, posti nei quattro lati del piedistallo, testimoniano la fede e l’amore del popolo verso il concittadino  che dal cielo vigila, prega ed assicura protezione certa. Nella parte prospiciente la città si inneggia a San Vito come liberatore dalle tempeste del mare e dalle scosse dei terremoti:

Dive Mari, Terraeque praees, dominaris utrisque.

Sint procul hinc fluctus, fit procul inde tremor.

( Protettore del mare e custode della terra, che domini su entrambi,

 stiano da qui lontani i flutti e stia da qui lontana la paura )

Nel lato destro, in prospettiva del mare, si inneggia al santo come liberatore delle armate nemiche e delle insidie di satana:

Si fera bella premunt Patriam, Cruce perde Phalanges

Et satanae turbas tu Cruce, Dive, fuga.

( Se le guerre crudeli opprimono la patria, tu con la Croce disperdi le falangi

e con la Croce, o Taumaturgo, metti in fuga le schiere di satana )

Nel lato sinistro si inneggia al Santo, come liberatore della fame:

Si male suada fames siculas grassatur in Urbes:

Tu Joseph Patriae, dive, alimenta dabis

( Se la fame, cattiva consigliera, avanza verso le sicule città

 Tu, come Giuseppe, o protettore, ci darai pane )

Nel dietro della statua si inneggia al Santo, come liberatore della peste:

Si pestis coelum minitatur, Dive, flagella:

Hoc procul a Patria tu quoque pelle malum

( Se il cielo ci minaccia col flagello della peste, o protettore,

 tieni lontano da qui anche questo malanno ).

La gratitudine del popolo mazarese va ai vescovi Michele Scavo[4]  (1766-1771) e Ugone Papè[5]  di Valdina (1772-1791) che nel cuore della città vollero erigere due monumenti imperituri, a testimonianza dell’amore di San Vito verso questa città, che ama e protegge, e come invito al popolo a ricorrere con fiducia e amore al Santo, esempio mirabile di santità e grazia: l’opera di Ignazio Marabitti ( anno 1771 ) posta al centro della piazza maggiore della città, insigne capolavoro d’arte settecentesca, e il monumento posto sulla foce del Mazaro, là dove il mare s’incontra con  l’acqua del fiume, opera di Filippo Pennino, discepolo del Marabitti.

Il Festino a Mazara

Il culto al santo nella città di Mazara fu ufficializzato nella sua più splendida solennità a partire dall’anno 1614, quando fu sottoscritto il decreto vescovile che costituiva San Vito patrono principale della città. Tale “festino” dalla durata di quattro giorni si concludeva con la festa liturgica del Santo (15 giugno). Si deve, successivamente, al vescovo Giuseppe Stella (1742-1758) la celebrazione di un “festino” tutto mazarese nell’ultima settimana di agosto, in coincidenza con la traslazione delle reliquie del Santo: una festa che esprime il senso di gioia profonda del popolo per la glorificazione di un suo concittadino, la cui vita si è rivelata un dono per tutti.

 Il festino storicamente aveva come momenti forti:

1) il trasporto del simulacro di San Vito dalla chiesa di san Michele alla Basilica Cattedrale.

2) Processione con fiaccolata dalla Cattedrale s Dsn Biyo s Mare: questa processione, molto attesa dal popolo ed ormai secolare, è la più mattiniera d’Italia ed è seguita da spari di giochi d’artificio, detti: “jocu di focu a diunu”.

3) La  processione storico-ideale: è costituita da un carro trionfale recante il simulacro di San Vito e da una serie di quadri viventi simboleggianti figure civili e religiose e i tratti più salienti della vita del Martire.

Attorno a questi due momenti particolari si snodano durante il festino varie manifestazioni  come i giochi dell’antenna sul fiume Mazaro  e il gioco dell’oca, la sagra del mare, e vari momenti  religiosi, sportivi e culturali, omaggio alla fede e alla pietà religiosa del popolo e all’affermazione di Mazara come città marinara ed industriale, la cui flotta peschereccia è oggi decisamente la prima d’Italia.

Dopo il vescovo Giuseppe Stella, tutti i Vescovi di Mazara hanno sempre patrocinato il festino in onore di San Vito e gli atti relativi sono conservati sia nell’Archivio Storico Diocesano che nella Biblioteca comunale. In questo anno di grazia 2002 il vescovo Mons. Emanuele Catarinicchia suggella il suo governo spirituale di questa Chiesa di Mazara con il 1° congresso internazionale di studi su San Vito e il suo culto.

 

   Il culto a San Vito nella diocesi

 

Se il culto a San Vito nella città di Mazara è radicato nella storia e nella tradizione dell’intera cittadinanza, dove da secoli centinaia di cittadini vanno orgogliosi di portare il nome del Santo, altrettanto vero e sentito è il culto a San Vito nell’esteso territorio della Diocesi, dove con Mazara ben quattro città hanno San Vito come principale patrono, mentre in tutti gli altri centri urbani la presenza del culto al Santo è testimoniato da chiese antichissime erette in suo onore, da quartieri cittadini, che ne portano il nome, da confraternite che dall’età medioevale  all’età moderna hanno avuto San Vito come titolare e dalle numerose edicole votive erette in suo onore in urbe ed extra moenia.

I più antichi documenti dell’Archivio storico diocesano purtroppo sono andati distrutti da un incendio e parte dall’ingiuria del tempo: quanto ci rimane dei secoli XI – XV sono i transunti notarili e i documenti raccolti nei rolli del vescovo Mons. Lombardo ( 1575); questi documenti tuttavia, assieme alle Sacre Visite (dal concilio di Trento ad oggi) costituiscono una miniera di notizie storiche che, da sole, bastano a riscrivere l’intera storia della Sicilia occidentale.

Le città che vantano San Vito come principale patrono sono, oltre la citta di Mazara, Partanna, Campobello di Mazara e Vita; inoltre, nella provincia di Trapani la città di San Vito lo Capo.

La città feudale di Partanna[6]  primeggia su tutti gli altri centri, essendo stato scelto San Vito a Patrono del paese prima ancora di Mazara, città natale del Santo. Quanto assai diffuso fosse stato nel passato il culto a San Vito si può desumere dai seguenti fatti:

1 ) il più antico quartiere del paese porta ancora oggi il nome San Vito;

2 ) la prima chiesa campestre fu intitolata al nostro Santo: qui si recava il popolo in pellegrinaggio per impetrare da San Vito di essere protetti dalla peste. In questa chiesa era conservata una statua lignea raffigurante il Santo, scolpita nel 1585 da Marco lo Cascio da Chiusa Sclafani. Sul podio dove si ergeva la statua erano scolpite quattro storie a rilievo sulla vita di San Vito. Successivamente, divenuta chiesa conventuale per la presenza dei frati agostiniani, questa chiesa prese il nome di santa Lucia. In questa chiesa, agli inizi del secolo XV si era consolidata l’antica confraternita di San Vito, sodalizio molto florido nel passato, ma privo di bolla e di capitoli propri, tanto che i confrati furono costretti successivamente ad aggregarsi alla regola di Sant’Agostino. I confrati, vestiti con sacchi bianchi, durante le processioni precedevano i confrati delle altre congregazioni. Scopo della confraternita, di cui si fa esplicita menzione nel rollo di Mons. Lombardo, era duplice: animare i solenni festeggiamenti in onore del santo e zelare il culto divino nella città dove il confratre era tenuto ad essere esempio di religiosità e pietà cristiana. Confraternita assai ricca è stata, certamente, questa di San Vito, se in occasione della “chiamata”[7]  versava al Vescovo il canone di once due annue.

3) La prima Chiesa Madre di Partanna fu dedicata a San Vito, e già da tutto il popolo era invocato Santo Patrono; ricostruita la nuova madrice nel 1625, la statua del Santo fu collocata nell’abside laterale, detta cappella di San Vito, arricchita di pregevoli stucchi attribuiti a Giacomo Serpotta.

 4) A San Vito, inoltre, fu dedicato il Monte dei Pegni, l’istituto che esercitò un ruolo importante contro l’usura, mentre nello stesso palazzo municipale fu eretta a San Vito una cappella votiva.

La processione di San Vito si svolge ogni anno con particolare afflusso di popolo e i festeggiamenti si chiudono con l’annuale “fiera di San Vito”.

Il poeta locale , Benedetto Molinari La Grutta, ricorda che in tempi lontani la festa di San Vito era intensamente vissuta dalla popolazione:

Ddu jornu anchi li morti su’ vistuti

Ccu li robbi di ziti cchiù sciuriati.

Campobello di Mazara, come la città di Partanna, vanta San Vito come Santo Patrono: a Lui, ufficialmente riconosciuto come uno dei quattordici santi ausiliatori, il popolo di Campobello  ha fatto sempre ricorso per essere protetto dai morsi dei cani, dalla peste e da varie malattie. In suo onore, a settentrione del centro abitato, sulla via per Castelvetrano, era stata elevata una cappella votiva a ricordo per grazie ricevute, come anche a meridione, sulla via per Tre fontane, una edicoletta sacra invitava il popolo a sostare per una prece al Santo che prega ed intercede per il popolo. Spinto da un culto locale atavico , il clero e i giurati il 2 giugno 1784 inoltravano formale richiesta al Vescovo della diocesi perché il giovane Santo mazarese fosse proclamato ufficialmente principale patrono del territorio di Campobello. Era vescovo del tempo Mons. Ugone Papé dei principi di Valdina, il presule che aveva fatto ricostruire a Mazara il tempio a San Vito extra moenia. L’istanza fu, allora, accolta benevolmente dal Vescovo e il popolo indisse subito solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono, che eguagliarono la festa del SS. Crocifisso. Una statua in onore del Santo fu accuratamente modellata e, collocata nella locale Chiesa Madre, è ancora oggi oggetto di grande venerazione. Il 15 giugno, festa liturgica di San Vito, a Campobello si aprono i festeggiamenti con la consegna delle chiavi d’argento della città al Santo da parte del Sindaco alla presenza di tutte le autorità religiose, civili e militari.

Il quarto paese della Diocesi, che vanta San Vito come santo Patrono, è la città di Vita. La storia di questo comune è piuttosto recente. L’origine risale ai primi del secolo XVII, in un periodo nel quale vennero favorite le fondazioni di nuovi comuni, soprattutto, per ripristinare la cultura di vasti territori dell’Isola e per contribuire a riassettare la voragine deficitaria dell’impero spagnolo. Fondatore della nuova città fu il barone Vito Sicomo da Calatafimi, che ottenne dal re Filippo lo “ius populandi”, concessione registrata in Palermo in data 17 aprile 1606. La città sembra abbia preso il nome Vita dallo stesso Vito Sicomo e San Vito ne divenne subito, “vox populi”, il Patrono principale. In tutte le sacre visite dei vescovi di Mazara  San Vito è detto Patrono della città, mentre una omonima confraternita, costituita dai "borgesi" del luogo, sin dai primi anni dalla fondazione, si occupava del culto e dei solenni festeggiamenti in onore del santo Patrono.

Per rimanere nell’ambito della provincia di Trapani, non si può non accennare alla città di San Vito Lo Capo[8] , oggi appartenente alla circoscrizione diocesana di Trapani, ma sino al 1844 territorio di questa diocesi di Mazara. Di essa si parla ripetutamente nei documenti d’Archivio.

Nel rollo di Mons. Lombardo si accenna ad una chiesa dedicata a San Vito, sita fuori le mura della città del Monte, sulla quale esercitava il diritto di patronato la città di San Giuliano. Era stato il vescovo di Mazara a concedere il diritto di patronato al comune di Erice, allora Monte san Giuliano, con bolla vescovile del 18.03.1548, confermato da papa Paolo III con bolla pontificia del 28 giugno 1549. Prima d’allora la chiesa era stata un semplice beneficio “de mensa” e, come tale, veniva conferito dal Vescovo di Mazara. Il nuovo vescovo don Luciano Rossi si adoperò perché ritornasse beneficio “de mensa”, ma inutilmente perché gli Ericini seppero far valere i loro diritti acquisiti. Dalla sacra visita di Mons. Papé si evince che la detta chiesa era dotata di tre altari, tra i quali occupava un posto rilevante quello di San Vito, dove era conservata anche la reliquia di un osso piccolo della gamba del nostro Santo. L’odierno santuario sorge dove era situata un’antichissima chiesa già in auge nel XIII secolo. Qui si recavano anche dalla lontana città di Alcamo i pellegrini per implorare la guarigione dal morso di cani idrofobi.

Questo excursus, quantunque breve, non può esimermi dall’evidenziare quanto esteso e profondo è stato ed è il culto a San Vito in tutte le città del territorio diocesano, come, ad esempio, Castelvetrano, Alcamo, Salemi, Gibellina, Marsala, Trapani.

Per iniziativa del domenicano padre Antonio M. Cigales, che aveva ricevuto dalla Santa Sede una insigne reliquia di san Modesto, con atto notarile del 27.10.1695 presso il notaio Antonio Fratello, i santi Vito, Modesto e Crescenza furono proclamati santi Patroni della città di Castelvetrano. Tale iniziativa voleva sancire con un documento pubblico una fede saldamente diffusa nei vari ceti della città. Nel corpo del documento tuttavia San Vito appariva come uno dei 400 martiri selinuntini dei quali si fa cenno nella tradizione locale. L’atto notarile non sortì gli effetti sperati, soprattutto, per la mancata approvazione della Santa Sede e la città dovette desistere dall’idea di averlo come santo Patrono. D’altronde è solo una ipotesi l’esistenza dei 400 martiri non suffragata da documenti storici. Unica fonte a cui tutti attingono è uno scritto del gesuita Padre Ottavio Gaetani, a cui si rifanno gli storici locali, ma contraddetta dal Di Giovanni nella sua Storia ecclesiastica, ed ignorata dai grandi storici della Chiesa.

Ad Alcamo[9],  la città di cui si parla profusamente nei documenti d’Archivio, un antico quartiere era intestato a San Vito. Qui nel 1400 furono eretti in onore del Santo una chiesa e l’ospedale, mentre una omonima confraternita sorse nel 1567 nella “cappella seu ecclesia sancti viti”, attigua all’omonimo ospedale. La confraternita ebbe concessi benefici dal vescovo Lomellino con bolla del 1° luglio 1568 ed essa si sosteneva con elemosine provenienti  dalla “cascia”, ossia dalla cassetta per la questua. Ad Alcamo, scrive Carlo Cataldo, il Santo è raffigurato con un cane ai piedi sia nella sacrestia della Madonna del Rosario, che nella parrocchia di San Francesco di Paola. Un antico scongiuro ad Alcamo, come nei paesi del trapanese, diceva:

 “santu Vitu, Santu Vitu, iu tri voti vi lu dicu: va chiamativi sti cani, chi mi vonnu muzzicari…”

 e per scongiurare l’idrofobia si portavano i cani nel corridoio dell’ospedale alcamese per essere benedetti d’innanzi alla statua del Santo.

Salemi[10] , città antica ed assai florida nel medioevo,vanta un culto antichissimo verso il santo mazarese se già nel rollo antico di Mons. Lombardo si evince l’esistenza di un’antica chiesa dedicata a San Vito, detta oggi chiesa dei Riformati, dove c’è un altare, il 1° a destra entrando, con una sua antica statua. Una formella del 1400, esistente un tempo nella chiesa di santo Stefano, che riproduceva San Vito, si trova invece nella seconda sala del Museo d’arte sacra della città. A San Vito la civica Amministrazione ha dedicato una strada cittadina che va da via san Leonardo a via san Modesto.

Del culto a San Vito a Pantelleria[11]  si fa menzione nella regia visita di Giacomo Arredo nel 1552 e nel rollo di Mons. Lombardo. Nella contrada, che, ancora oggi, è detta San Vito, in età assai remota era stata dedicata al Santo una cappella votiva; divenuta fatiscente  “poiché,  si legge nel documento,il popolo tiene speciale devozione e per non potersi erigere una nuova per scarsezza dei tempi…” nel 1689 fu fatto costruire un altare dedicato a San Vito nel santuario della Margana. Nella sopradetta contrada finalmente nel 1796 fu riedificata la chiesa di San Vito, conforme alle attese e alla devozione del popolo.

Una chiesa a San Vito esistette a Gibellina, a 3 km dal centro abitato, oggi distrutta dal sisma del 1968. Fu fabbricata nel 1756 a spese di Nicola Candela, che si riservò il diritto di patronato.In questa chiesa si venerava un quadro di San Vito, mentre l’antico e primitivo quadro su pietra era stato murato nella parte esterna del cappellone.

Per non tediare l’uditorio accenno solo ad altre due chiese extra moenia a Marsala e a Trapani[12] , di cui si fa larga menzione nel rollo di Mons. Lombardo. L’una e l’altra erano mete di pellegrinaggi da parte dei fedeli che imploravano dal Santo protezione e grazie; l’una e l’altra furono sedi di confraternite omonime, che nel quattro- cinquecento zelarono il decoro della chiesa e tennero viva la fiaccola del culto religioso verso il Santo giovinetto che, come vuole la tradizione, ha onorato la nostra terra con i suoi natali e la Chiesa con la sua invitta fede. A Lui onore e gloria da questa Chiesa santa, che è in Mazara, e la nostra gratitudine , sicuri che dal cielo Egli continua ad essere per la città di Mazara ed il territorio diocesano patrono, amico ed intercessore.

                                                                                          Don Pietro Pisciotta

 

 

 



NOTE

[1]  La diaconia dei santi Vito, Modesto e Crescenzia, sita sulla via Merulana, è oggi la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore. Sorge all’angolo della via san Vito, è attigua all’arco di Gallieno, o antica porta Esquilina, ed è una delle più antiche diaconie: la zona destinata ad accogliere e provvedere ai poveri in tutte le loro necessità. La diaconia di San Vito sorse nel IV secolo e, secondo il Moroni, fu probabilmente una chiesa donata da Costantino ai cristiani. Nello spazio antistante l’attuale chiesa di san Vito si estendeva il “macellum Livide” o grande mercato. Cfr. Paolo Mancini – La diaconia dei santi Vito Modesto e Crescenzia -  Roma anno 1978.

 

[2]  Il vescovo Marco La Cava resse la diocesi di Mazara dal 1605 al 1626. Celebrò due sinodi diocesani negli anni 1609 e 1623 ed ebbe a cuore la riforma dei costumi e la disciplina del clero e dei monasteri femminili. Fece costruire il nuovo coro della Cattedrale per dare solennità ai sacri riti ed assicurare la recita delle ore canoniche. L’8 settembre 1614 proclamò san Vito Patrono principale della  Chiesa di Mazara. Erogò tutto il suo patrimonio ai poveri e morì in fama di santità il 5 agosto 1626.

 

[3]  Sul culto di san Vito a Mazara cfr. 1) Lancia Di Brolo – Storia della Chiesa in Sicilia – ristampa – Editrice Elefante Catania – anno 1979; 2) Gaspare Morello – San Vito nella poesia, nel culto e nelle tradizioni popolari – Mazara 1938; 3)Rocco Pirri – Sicilia Sacra – con le aggiunte di Mongitore e Amico – Notizia VI , pag. 867 ristampa –  Palermo 1733 ; 4) Pietro Safina – Mazara sacra  ( vedi: chiese e confraternite): 5) Cristoforo Milone – Gli atti e il culto di san Vito Martire – Napoli 1870  ( capp:II e III ). Inoltre: Archivio Storico Diocesano 36/2/5 pag. 182; 33/2/1/ pag. 28; 33/2/1 pag. 36.

 

[4]  Il vescovo Michele Scavo ( 1766-1771)  resse la Diocesi per un quinquennio. Uomo di grande cultura, fondò con il fratello e  un gruppo di dotti siciliani la Biblioteca Comunale di Palermo. Il  governo della diocesi di Mazara si rivelò  per lui assai travagliato a causa dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie. Donò alla chiesa di sant’Agnese un simulacro di Cristo deriso e alla città di Mazara la statua di San Vito, entrambe opere di Ignazio Marabitti. Morì santamente e fu tumulato a Palermo nella chiesa di San Domenico, cappella di san Pietro.

 

[5]  Il vescovo Ugone Papé dei principi di Valdina ( 1772- 1791 ) resse la Diocesi con saggezza evidenziando ottime capacità governative. Il suo nome rimane legato al riordino dell’Archivio Storico Diocesano e al decollo del Seminario Vescovile, che raggiunse il suo massimo splendore. Restaurò l’acquedotto cittadino e, tra le varie opere che portano il suo nome, fece costruire sulla foce del Mazaro la statua di san Vito, opera scultorea di Filippo Pennino, discepolo del Marabitti. Contribuì in modo assai valido al riscatto degli schiavi cristiani in Berberia.

 

[6]  Il culto a Partanna: cfr.: 1) Rollo di Mons. Lombardo. Chiesa di San Vito 36/2/3  pag. 220; 2) Sacra Visita del card. Spinola: cfr. 33/2/1 , pag. 47 ; 3) Sacra visita di Mons. Audino: anno 1906 (vedi chiesa del Purgatorio).

 

[7]  “La chiamata” era un rito che si ripeteva ogni anno il 6 agosto, festa del SS. Salvatore, a norma del sinodo di Mons. Lombardo (anno 1575). Durante il rito si faceva obbligo a quanti detenevano benefici ecclesiastici di comparire davanti al Vescovo per prestare “Ossequium” al Prelato ed offrire il proprio tributo. Il chiamato si presentava al Vescovo dicendo: “Ecce, adsum”. L’ultima chiamata si tenne il 6 agosto 1928.( cfr. Arch. Stor. Dioc.: - Libro dei Privilegi vol. I – 36-2-9, pag. 33)

 

[8] Il culto a San Vito Lo Capo: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2; pag. 231; Sacra visita di Mons. Papé  34/4/11, pag. 128.

[9] Il culto ad Alcamo: cfr. 1) Rollo di Mons. Lombardo 36/2/3, pag. 81; 2)Sacra Visita del Card. Spinola 33/2/1, pag. 69; 3) Carlo Cataldo – La casa del sole : pagg. 79-80, 86-87; Il giardino di Adone: pagg. 61 e 201-202; La conchiglia di san Giacomo: pag. 86.

 

[10] Il culto a Salemi: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/3, pag. 319.

[11] Il culto a Pantelleria: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2, pag. 73-75.

[12] Il culto a Trapani: cfr. Rollo di Mons. Lombardo 36/2/2, pag. 83; Sacra Visita del card. Spinola 32/2/1 , pag. 37.