CONCEZIONE MENTALE DEL LAVORO        

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Conosciamo tutti la concezione lombarda, o meglio, nordica del lavoro: a volte essa si spinge ad una totale dedizione alle esigenze dell'azienda oppure ad un'interiorizzazione dei problemi lavorativi in maniera talmente rilevante da eclissare le altre esperienze di vita, che formano e completano una persona. La nostra cultura locale è spesso portata ad osannare chi si dimostra "un gran lavoratore", chi declama in modo compiaciuto le innumerevoli ore lavorative cui si sottopone. Il tutto, a volte, è condito da riferimenti alle difficoltà superate e alla fatica che si sente fin nelle ossa per la dura giornata. Forse si tratta di una voglia di riconoscimento o di un'incontenibile necessità di uniformarsi ad un comportamento collettivo, ad una filosofia da tutti apprezzata. A volte, capita di assistere nei bar o nei luoghi di ritrovo del dopo-lavoro ad una vera e propria gara per incoronare il vincitore di turno, individuato dopo una lunga serie di rilanci in termini d'ore lavorative e di fatica sostenuta. Raramente il lavoro è descritto come una necessità, una via per pagarsi la vita d'ogni giorno senza preclusione a tutto quello che rende la vita più varia e ricca d'interessi. E' piuttosto difficile credere che una così vasta parte della popolazione trovi nel proprio lavoro una così forte e appagante realizzazione di se stessi, delle proprie aspirazioni da dedicarvi anima e corpo; è piuttosto vero il contrario, poiché solo pochissimi fortunati hanno la possibilità di intraprendere nel lavoro l'attività sognata da sempre. Qual è , dunque, il complesso di cause che hanno generato il fenomeno del super-lavoro e lo ha collocato nella lista delle più ambite virtù umane? Molti risponderebbero che il caro vita ormai deprime i bilanci familiari, seriamente intaccati anche da tasse per lo Stato e bollette salatissime. Senza dubbio i figli vanno mantenuti, con il loro gravoso corredo d'attività educative, ricreative o sportive. Infine anche per permettersi un riposo, una vacanza diversa dal solito occorre disporre di sufficiente denaro: insomma, tutto costa e costa caro. Nessuno di coloro che hanno un bilancio familiare da far quadrare si sentirebbe di smentire queste considerazioni e la speranza di migliorare le cose sembra lontana, estranea a questo sistema di cose. Eppure vale la pena di riflettere se questa è davvero tutta la verità. Ci si deve certamente chiedere se siamo succubi, in qualche maniera, di un sistema che crea dal nulla bisogni e mete e che convince molti della necessità, quasi viscerale, di ottenerli ad ogni costo. Siamo davvero certi di possedere una ferrea integrità di giudizio per decidere autonomamente e razionalmente quali sono i nostri veri bisogni primari. Sappiamo, invece, quali sono i bisogni indotti da qualche altro "interessato" giocatore della partita dei consumi ? E' difficile che qualcuno di noi ammetta di essere in qualche modo condizionato nelle sue scelte e nei suoi bisogni: equivarrebbe ad ammettere di essere in balia del vento e di non possedere sufficiente giudizio critico. Se, tuttavia, facessimo un piccolo censimento di quello che, a caro prezzo, acquistiamo e che consideriamo come bisogno improrogabile, forse dovremmo ammettere che, nel corso degli anni, il concetto collettivo di bisogno è stato fortemente modificato dal sistema della pubblicità e dei mezzi d'informazione. Forse, se ci pensiamo bene, troviamo una vasta parte del bilancio familiare dedicata a divertimenti, oggetti per l'intrattenimento oppure anche a qualche "status symbol", come l'automobile d'alta cilindrata, la pelliccia, la casa al mare o in montagna, il telefonino portatile, la motocicletta all'ultimo grido, i più impensabili comfort per le nostre abitazioni. Anche tra quelli che consideriamo bisogni davvero primari possiamo individuare bisogni indotti. Nell'importante categoria dell'alimentazione possiamo trovare strani cibi, a volte quasi sintetici, che hanno raggiunto i nostri gusti e determinano il nostro appagamento. La ricerca di cibi esotici, particolari o industrialmente concepiti è in continua crescita : il palato ha bisogno di novità. Nella categoria del vestiario spesso ricerchiamo l'abito firmato o consono all'ultima moda, sulla quale siamo stati generosamente informati dalla televisione o da un velocissimo passa parola. Non tolleriamo che i nostri figli abbiano qualcosa in meno dei loro coetanei né in termini di mezzi di trasporto né in termini puramente economici. Il desiderio di non essere da meno provvede ad innescare una forte corsa agli acquisti, sapientemente regolati in conformità a quelli altrui. Tutto questo, come generalmente risaputo, è un gioco che costa molto e l'unico modo per continuare a giocare è quello di lavorare e guadagnare di più. Può darsi che, a questo punto, ci si ribelli a questa sconsolata rassegna sui nostri agi e si affermi, con decisione, che esistono davvero voci di bilancio cui è impossibile non far fronte: il riscaldamento domestico è necessario a non morire assiderati nei mesi invernali, l'acqua potabile è vitale per bere, lavarsi e cuocere cibi, l'elettricità è necessaria per illuminare l'interno della nostra casa ed evitare di andare a letto all'orario delle galline oppure per far funzionare il frigorifero e conservare i cibi. Ma, ahimè, anche qui non siamo esenti da ingenti sprechi. E' pratica poco diffusa accettare di riscaldare solo i locali veramente necessari, evitare di illuminarli se non strettamente necessario, non utilizzare l'acqua potabile in maniera sconsiderata. Non ci soffermiamo, qui, a citare le numerose altre situazioni di spreco quotidiano, cui generalmente non diamo troppa importanza. Ormai, pur anche convinti della ponderatezza di quest'analisi, forse non saremmo in grado di porre rimedio al problema; qualcosa i noi si ribellerebbe. Con che coraggio possiamo rinunciare alla logica imposta dagli "status symbol", dalle mode, dall'ostentazione (anche se minima e velata) ? Come si può spiegare ai nostri familiari che non possono più godere di un tenore di vita alto e che devono rinunciare al gran superfluo che li circonda ? Rischieremmo, poi, di essere derisi perché non abbiamo tutto l'armamentario di beni personali che contraddistingue l'uomo del 2000 ? Continueremo ad essere, consapevoli o no, delle macchine da lavoro per mantenere ed aumentare ciò cui non vogliamo rinunciare e chiameremo tutto questo progresso e innalzamento del tenore di vita. In qualcuno di noi vi sarà anche la convinzione che non esiste nessuna realtà degna di nota al di fuori del lavoro: nessun valore, nessun sogno, nessun impegno sociale. Per questi il tempo libero è addirittura una tortura, un lento succedersi di secondi che potrebbe ben più proficuamente essere gestito. Per altri, dopo il lavoro, occorre buttarsi nelle realtà che più stordiscono e più limitano il pensiero, che altrimenti rischierebbe di far nascere una situazione d'angoscia esistenziale o almeno di noia. Lottiamo tutti col vuoto delle nostre menti e dei nostri cuori e per immaginare cosa potremmo fare d'importante nella vita. La risposte, come comprensibile, sono varie, ma molte di esse consistono nel lavorare per guadagnare, stare bene e divertirsi il più possibile. In fondo il lavoro, oltre che necessario, è anche un importante ruolo sociale che ci dà una collocazione precisa, riconosciuta da tutti e, a volte, invidiata. Ripensare completamente questo ruolo e le sue implicazioni in un ottica di ridimensionamento per assegnargli un giusto peso è impresa titanica. Troppo gioca a sfavore di questa scelta : la logica del profitto del sistema industriale, la necessità o, più giustamente, l'incubo del conformismo sociale, il terrore di rinunciare a qualcosa che altri già hanno, la sicurezza economica per sé e per la propria famiglia. C'è, dunque, ancora speranza per una diversa concezione mentale del lavoro ?