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Alcune considerazioni sul festival "Voix de la Méditerranée"

Giacomo Guidetti

 

Interamente dedicata alla poesia, questa manifestazione di Lodève (nella Languedoc, al sud della Francia - (v. scheda 1), che nella terza edizione si è svolta dal 22 al 30 luglio del 2000, presenta, soprattutto per il suo esistere, alcune particolarità che mi è sembrato interessante far notare affinché su di esse possa essere operata qualche stimolante riflessione.

La prima è di natura economica: la storia recente di Lodève è segnata da una grave crisi, scaturita dalla chiusura della maggiore industria presente nel territorio, caratterizzata da un livello di disoccupazione, fra licenziati e colpiti nell'indotto, superiore al 25% della popolazione, e da un reddito medio di quasi il 30% inferiore a quello delle analoghe cittadine della regione. Benché in epoca postindustriale non sia una situazione rara, le misure che si stanno adottando per superarla sono invece tutt'altro che nella consuetudine: per far quadrare i bilanci la cittadina si promuove come meta di turismo culturale, investendo in una serie di iniziative una grossa mole di energie e di danaro, ottenuto (evidentemente sulla base di programmi che, almeno per la Francia, non sono sembrati troppo velleitari) dallo Stato, dalla Regione e da sponsor privati. Si è cominciato con la riorganizzazione del museo Fleury, destinando alcuni spazi a esposizioni temporanee d'arte (per il primo esperimento, una mostra su Utrillo nel 97, ci fu un afflusso di 40.000 visitatori); l'apertura (sempre nel 97) d'un centro d'arte contemporanea, la Halle Dardé; la realizzazione di attrattive di vario genere, ad esempio concerti nella cattedrale (sono stati anche, da poco, stanziati ulteriori fondi per il restauro dell'organo); la rivalutazione e promozione dell'artigianato di qualità. I risultati, in quattro anni, sono notevoli: il flusso turistico è in forte crescita, le attività commerciali stanno riprendendo e il reddito risale con un incremento che è superiore a quello medio della regione. Il festival rientra quindi in questa politica di iniziative, ma di tutte è sicuramente la più azzardata: dalla poesia, notoriamente, non ci si aspetta chissà quale ritorno economico, per cui la sola idea di un incontro con questo carattere, e soprattutto di queste dimensioni, non può non far pensare ad un progetto temerario. E' chiaro quindi che ciò può essere valutato solo in un'ottica di lungo termine, strategica, altrimenti sarebbe molto più semplice organizzare un festival di qualcos'altro.

E veniamo alla seconda particolarità, che è appunto quella dei rapporti numerici: Lodève ha poco più di 7.000 abitanti, così, per la quantità degli operatori, dei luoghi utilizzati e delle manifestazioni (v. scheda 2) che nel corso di nove intere giornate vi si svolgevano, appariva come un grosso centro d'azione culturale nel quale, volente o nolente, era difficile non imbattersi in qualche spettacolo, performance o lettura, che (anche questo va sottolineato) iniziavano e finivano con una rigidissima puntualità negli orari, per non togliere al pubblico la possibilità di programmare con precisione più ascolti. Per i partecipanti erano oltretutto previsti numerosi interventi: a ciascun poeta, ad esempio, toccava più volte esibirsi da solo, in collettivo o in associazione con qualche musicista; così ognuno provava la sensazione di essere spremuto come un limone, associata però, anche per l'ottimo supporto tecnico-organizzativo che sorreggeva le iniziative, a quella di avere un esauriente spazio per esprimersi (cosa non da poco per chi, come un artista, è sempre convinto di avere molto da dire).

La terza particolarità la si ritrova nel nome stesso della manifestazione: non un generico incontro internazionale di poeti, ma un confronto di voci provenienti da una precisa area geografica, alla quale orgogliosamente Lodève ribadisce di appartenere (per la sua posizione di ingresso per chi dalla Francia centrale scende verso il mare, la cittadina si è autodefinita "Porte de la Méditerranée"). Va detto che la Languedoc (alla quale, è bene ricordarlo, tutta la cultura occidentale del II millennio deve qualcosa), in quanto terra di sbarco e di passaggio (i Romani vi costruirono alcune delle principali strade dell'impero), ha sempre sentito un forte legame con il Mare Nostrum, per ragioni geografiche, storiche ed etniche: abitata da occitani, catalani e anche da una significativa presenza di spagnoli e italiani, è stata negli ultimi decenni ulteriormente contaminata da un considerevole flusso migratorio proveniente dal Nord-Africa. Gli organizzatori ci tengono a precisare che si tratta dell'unico festival di poesia mediterranea in tutta la Francia (mentre non sono rari, nella regione e in generale nel sud, analoghi festival di musica, cinema o altro). In esso si è voluta sottolineare la caratteristica di incontro di diversità: e in quale altra parte del mondo si possono trovare, a così breve distanza, tante differenze di lingue, scritture, religioni, culture? Le quali (e questo ben lo sanno coloro che, per fini economici, militari o politici, vogliono sempre e a tutti costi rimarcarle) possono essere così conflittuali da sfociare in guerre, ma che pure, da sempre, si integrano e si influenzano reciprocamente. Trattandosi di poesia c'è chiaramente pure un voler rivalutare le specificità linguistiche locali, anche le più ridotte (il corso, il maltese, il cipriota...), e questa volontà può essere vista come un tentativo di opposizione all'appiattimento provocato dalla globalizzazione sulla comunicazione verbale. In Francia, d'altronde, è un problema molto sentito, come dimostrano anche certi recenti provvedimenti politici a protezione della lingua; in Languedoc (l'occitano è tuttora comunemente usato) forse lo è ancora di più. Ciò però non va inteso come rilancio di autonomismi, al contrario: è piuttosto la riproposizione del vecchio slogan "unità nella diversità". Il festival vuol fare incontrare e confrontare culture, oltre che persone, ma senza alcun altro indirizzo prestabilito. In questa scelta si può comunque ravvisare, volendo, un che di polemico: riproporre il Mediterraneo come riferimento culturale è, quanto meno, fuori moda e non in linea col processo in atto di unificazione europea (nel quale, ricordiamolo, la Francia ha una posizione egemone). Il fatto è che un incontro di poesia non spaventa nessuno, ad altri livelli e in altri settori la cosa sarebbe stata vista con un po' di sospetto: anche da noi, in certi periodi, chi ha tentato di allacciare o consolidare certi rapporti coi paesi d'oltremare ha incontrato non poche difficoltà. Io credo che nel Mediterraneo si vogliano pure cercare le basi di sostegno per possibili proposte rispetto ad un futuro plurietnico, non poi così lontano, anzi già in atto, qualcosa di analogo, benché allo stato presente abbia caratteristiche ben più variegate, a quanto già avvenuto in altri periodi storici.

Trattandosi, quindi, di una manifestazione ad argomento libero, eventuali tendenze tematiche potevano ovviamente essere colte deducendole dalle ricorrenze, e perciò con migliore approssimazione nelle due componenti linguistiche maggioritarie, quella francese e quella araba. In generale si può affermare che dominava un certo pessimismo esistenziale (ma questo credo rientri nella norma della poesia contemporanea), manifestato attraverso alcuni riferimenti: la nostalgia, il paesaggio, intesi come spunto o metafora per considerazioni filosofiche e morali nella poesia araba (in ciò in perfetta continuazione d'una linea tradizionale); la natura, il tempo, la parola (con qualche interessante tentativo di ricerca verbale-musicale) e spesso riferimenti esotici, al mondo arabo o estremo-orientale, in quella francese; la quale mostrava talvolta, e più frequentemente che altre, un substrato culturale di stampo razionalistico e materialistico (in un certo senso si nota ancora la discendenza dall'illuminismo). In realtà, però, al di là della lingua non si può dire che ci fosse una grande diversità formale o tematica rispetto a quella che siamo abituati a ritrovare da noi, tutto sommato c'è omogeneità nel modo di fare poesia, e in questo si avverte che un'influenza reciproca esiste; è più facile rilevare le differenze dividendo, con l'ovvia schematizzazione, i poeti in fasce d'età: i più anziani tendono ad oggettivizzare l'esperienza, quelli della fascia intermedia puntano di più sulla ricerca verbale o formale, i più giovani parlano prevalentemente di sé, utilizzando, ma solo talvolta, modi d'espressione che derivano dai nuovi media. Nel complesso si può dire che ciò che usciva dell'attuale poesia mediterranea è di essere sostanzialmente ponderata, spesso intimistica, che vuole indurre alla riflessione attraverso un pacato e meditato uso dell'impatto emotivo, piuttosto che sconvolgere o destabilizzare attraverso forme di rottura violente, richiedendo perciò al pubblico un certo grado di attenzione attiva che, naturalmente, bisogna sapersi conquistare. Vorrei infine spendere due parole sul livello delle prestazioni: i francesi erano buoni (talvolta eccellenti) declamatori; gli arabi se la cavavano discretamente (le poesie venivano recitate in lingua originale, poi alcuni attori, o spesso gli stessi poeti, leggevano le traduzioni in francese); gli italiani, benché come lettori non fossero certo fra i peggiori rispetto al nostro non elevato livello medio, sentendosi forse inadeguati ricorrevano frequentemente alla performance, anche quando i testi non si prestavano, suggerendo quindi una ideainconsueta del nostro modo di presentare la poesia.

 


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