Fino a casa lho fatta tutta di corsa.
Non si può mica andare in taxi in questa dannata città.
Il traffico a Teheran ti stronca. Che ci fanno tutte queste automobili?
Da Piazza della Rivoluzione a Pepsi unora e mezza. Un caldo
bestiale. Il sudore mappiccicava tutto il vestito addosso.
Sotto questo mantello maledetto e con il rusari in testa per ordine
governativo, una soffoca. Poi Pepsi era tutto bloccato già
allinizio del quartiere: mezzo metro ogni cinque minuti.
Non ce la facevo più. Ho tirato fuori dalla borsetta 50
tuman e porgendo la banconota al tassista gli ho detto:
"Scendo qui".
Luomo mi ha lanciato unocchiata dallo specchietto
retrovisore e ha obiettato:
"Ma lei ha detto al principio di Via Ventuno Metri... qui
siamo ancora a Pepsi".
"Sì, lo so... ma vorrei scendere."
"In mezzo alla strada... Aspetti che accosto... Mi faccia
accostare e poi scende..."
"No... qui... è troppo caldo... non respiro più...
qui... apro appena lo sportello e salto giù."
"Mah... come vuole... Stia attenta, però... Ora! Svelta!"
Appena giù, un gran respiro, uno scatto verso il marciapiedi
e via a correre. Ho avuto la sensazione che il corpo mi si allungasse.
Lasfalto era bollente, mi scottava sotto le piante dei piedi.
Una mano per evitare che il rusari scivolasse via dalla testa,
laltra per tenere stretta la borsetta. La voce di mia madre
mha investito che non avevo ancora girato del tutto la chiave
nella serratura:
"Sei tu, cocca?..."
Ho buttato su una cassapanca il rusari e mi sono precipitata nella
stanza. Elahè, palliduccia, stava seduta e giocava con
la sua bambola. Le ripeteva:
"Non essere nervosa, adesso arriva la mamma e ti porta dal
dottore. Non essere nervosa, piccolina".
"Mamma, mhai fatto prendere un colpo al telefono!...
Scotta... Brucia... Mhai fatto pensare a chissà
cosa! Sono venuta di corsa... a piedi per metà della strada...
Invece mi pare che stia bene... Continua a giocare!"
"Intanto: Buon pomeriggio... Eppoi, figlia mia,
che taspettavi? che ti chiamassi dopo che era morta?...
Sta lì da stamattina... non ha nessuna forza... Non vedi
che ha la febbre alta? Toccale la fronte, senti come brucia...
Ha anche rimesso... Dovevo far finta di niente?"
Mi ero calmata e ho risposto:
"Hai ragione... scusa... buon pomeriggio... Non so dove ho
la testa".
Intanto mi sbottonavo il mantello. Poi ho preso in braccio Elahè,
ho appoggiato la mia guancia sulla sua fronte. Era caldissima.
"Il naso non gocciola... sarà unindigestione
o qualcosa del genere."
"Come fai a sapere, figlia mia? Falla vedere dal dottore."
"Sì, ora ce la porto. Prima faccio una doccia. Sono
tutta sudata. Faccio una doccia, così mi passa anche la
stanchezza, e poi la porto dal dottore."
Ho sdraiato Elahè sul divano del soggiorno. Mi sono tolta
il mantello. Ho acceso la televisione. Mia madre viene con un
bel sorriso:
"Che Dio ti benedica... è da stamattina che non riesco
ad accendere... per cui adesso non so se hanno detto qual è
il giorno in cui distribuiscono le tessere per lolio e per
il riso... Tutta colpa di questo tiricomando..."
"Mamma", lho corretta ridendo, "Telecomando,
si dice, telecomando... quante volte te lo devo ripetere?..."
"Che ne so io di quello che dici tu... Comunque, quando esci,
lasciala accesa... Voglio vedere che cosa succede nel mondo."
"Che vuoi che succeda, mammina bella! Miseria, bisogno, siccità
e qualche altro malanno. Ci raccontano un sacco di fandonie per
saccheggiarci meglio... Ormai in televisione vedi solo barbe e
baffi... Ti viene il nervoso e basta!"
Uno squillo del telefono. Ho risposto io:
"Pronto."
"Pronto."
Era la voce della signora Raissi.
"E la signora Raissi?"
"Sì, sono io. Ascolta: alle 18,30 in Via Giordan angolo
Via Golfam. Ti aspetta una bmw 518 verde. Pòrtati dietro
la bambina, così non dài nellocchio e la polizia
non si insospettisce."
"Ma... è che sono appena arrivata a casa... sono stata
allaltro appuntamento... Elahè ha la febbre, non
sta bene, devo portarla dal medico."
"Portala con te. Quando hai finito, poi, vai direttamente
dal medico."
"Ma...", niente, aveva riattaccato.
"Che cosa voleva la signora Raissi?" Mia madre era scontenta.
"Devi uscire di nuovo?"
"Sì", le ho risposto tristemente. "Porto
con me Elahè e, di là, andiamo dal dottore."
"Cosa cè di tanto urgente da portarsi appresso
la bambina con la febbre? Sei appena tornata... Potevi dire di
no."
"Ancora? Lo sai, non posso non andare, è il lavoro,
se non vado non mi chiamano più... Poi come facciamo a
pagare laffitto e a mangiare? E la bambina? Bisogna mantenerla...
da suo padre... non viene nemmeno a trovarla, figurarsi mandare
denaro! Tu poi, con la tua pressione bassa e il mal di schiena
che ti ritrovi... Niente... Non posso restare a casa. Mica viviamo
daria... devo per forza correre come un cane."
Ho visto la sua mano scivolare verso il collo, afferrare un lembo
del rusari, asciugarsi gli occhi:
"Hai ragione piccola mia... Quanto mi pesa! Vederti allinizio
della tua gioventù con due persone sulle spalle! Spero
proprio che a quel delinquente gli vada male... come si fa a lasciare
una donna sola con una figlia!... E anche Khomeini dovrebbe rivoltarsi
nella tomba a vedere quello che ha fatto ai giovani: o stanno
al cimitero o sono drogati..."
"Mamma, non farti venire il nervoso... ad arrabbiarsi non
si risolvono i problemi... Faccio una doccia, mi porto dietro
Elahè, finito il lavoro vado dal dottore... Di che ti preoccupi?"
Sono andata in bagno. Ho aperto lacqua fredda mentre mi
spogliavo, poi da sotto lo scroscio, a voce alta, per farmi sentire,
ho chiesto:
"Mamma, perché non cambi Elahè e la prepari?".
Per la fretta non sono stata lì a controllare di aver tolto
via tutta la schiuma. Ho tirato fuori dallarmadio il vestito
senza maniche, lho indossato, ho asciugato approssimativamente
i capelli, un filo di trucco...
"Figlia mia, non vai mica a una festa! Perché questo
vestito?", mia madre aveva preparato Elahè e mi stava
guardando.
"Mhai davvero scocciato! Devo portare la bambina dal
dottore, sì o no?! Allora devo essere in ordine... non
posso mica andare sempre in giro come una donna di servizio...".
Ho messo su il mantello, ho annodato il rusari, ho preso la mano
di Elahè e ho detto: "Ciao".
"Figlia mia", ha sospirato mia madre mentre stavo già
per chiudere la porta, "almeno prendila in braccio... ha
gli occhi tutti rossi, con quella febbre non ce la fa a camminare..."
Chiusa la porta, presa in braccio Elahè, siamo scese. Una
volta fuori, il pensiero è stato di scegliere la via meno
trafficata, per arrivare prima. A quellora la tangenziale
doveva essere intasata. Ho voltato langolo e, allo sbocco
del viale, ho visto che procedeva un taxi completamente libero.
Lho chiamato con un gesto della mano. Quando è arrivato
da me, è cominciata la trattativa, perché per far
presto intendevo pagare tutte sei i posti disponibili. Ho
offerto:
"Via Giordan. 250 tuman."
"Sorella, sogni doro", ha reagito il tassista
con aria di sufficienza. "Svégliati: Mossadegh non
cè più. Abbiamo un altro primo ministro. Non
sprecare i soldi. Meglio se ti metti daccordo e dividi con
altri clienti, altrimenti viene 400 tuman."
"Ohé", gli ho fatto io, alzando le sopracciglia.
"Non crederai mica di aver trovato chi ti sistema i conti
della giornata! Lasciamo perdere!"
"Qui il prezzo della benzina raddoppia dal giorno alla notte",
ho sentito che protestava mentre affondava il piede sullacceleratore
e scompariva.
Il taxi successivo aveva a bordo già un cliente. Ho detto:
"Via Giordan, angolo Via Golfam. 250 tuman".
"300", ha risposto con un sorriso il tassista. "Tanto
qualcun altro lo carico."
Ho riflettuto un po se per 50 tuman di differenza valeva
la pena di aspettare, poi sono salita e ho messo Elahè
sulle mie ginocchia. La bambina non stava per niente bene. Ha
appoggiato la testa sul mio petto. Le lancette dellorologio
sembrava che si rincorressero, che fossero in gara di velocità.
Il tempo passava veloce. Temevo di arrivare e che la macchina
non ci fosse più.
Sono arrivata con un quarto dora di ritardo. Mentre pagavo,
giravo intorno lo sguardo per individuare la macchina. Cera.
Sono scesa dal taxi. Ho messo giù la bambina, che ha barcollato
e quasi cadeva a terra. Lho addossata alle mie gambe, davanti,
e mi sono messa ad aspettare.
Elahè faceva la noiosa. Chiedeva che la prendessi in braccio.
Minnervosiva. Poi non ho visto più lautomobile.
"Non è che non mi ha visto e se nè andato?",
mi chiedevo tra me e me, mentre nel traffico che scorreva cercavo
la fatidica bmw verde. Elahè si faceva insistente. Con
rabbia ho colpito la sua manina protesa in alto per domandare
di essere presa in braccio:
"Basta. Sono Stanca. Stai un po in piedi. Ormai sei
cresciuta. Pesi. Mi fa male la schiena. Non posso tenerti sempre
in braccio", lho rimproverata. Lei non se laspettava,
è scoppiata in lacrime. Mi si è stretto il cuore
e subito mi sono pentita. Mi sentivo un verme. Ho cominciato ad
asciugarle le lacrime con un fazzolettino, a coccolarla, a baciarla.
In quel momento ho visto una macchina che si fermava poco più
avanti. Ha suonato il clacson. Era la bmw verde. Luomo alla
guida faceva cenni. Ho preso in braccio Elahè e mi sono
avvicinata. Ho aperto lo sportello davanti, "buon pomeriggio",
mi sono seduta con la bambina sulle gambe.
E partito. Era sui cinquanta e, con quella barba e con quei
baffi, sembrava un hezbollah. Aveva la chierica, che cercava di
coprire con un riporto. Ventre tondo e prominente. Mi è
venuta in mente una frase di mia madre: "E per la paura
del Signore che a questi buoni a nulla cresce la pancia".
Aveva labbra spesse e carnose che, con il loro colore, raccontavano
di una lunga amicizia con loppio.
Dimprovviso si è voltato verso di me. Con un sorriso
ha messo in mostra due file di denti gialli. Mè venuto
il voltastomaco. Negli occhi ho visto un che di perverso. Ho girato
la testa dallaltra parte per rompere il nodo degli sguardi
tra noi.
Lui ha detto:
"Metta la bambina sul sedile di dietro. Starà più
comoda".
"No, è malata..."
"Tanto più... la faccia dormire sdraiata, di dietro."
"No. Ho paura che cada."
E rimasto qualche momento in silenzio, poi ha chiesto:
"Come si chiama?".
"Cosa cambia?... Diciamo Nahid."
La sua voce e il suo aspetto mi facevano ribrezzo. Una gran risata:
"Diciamo Nahid... è carino come nome", e mentre
maneggiava il cambio mi ha toccato la gamba. Continuava a salire
scendere con le marce. Piuttosto che guardare la strada davanti,
si concentrava su di me.
Quando ho voltato la testa verso di lui, mi ha fissato e fatto
locchiolino. Io ho finto un sorriso. Ha continuato a toccarmi
la gamba e ha detto:
"Hai marito?"
"No. Ci siamo separati un anno fa."
"Perché?"
"Si drogava."
"Eroina?"
"Sì."
"Perché lo fai?"
"Devo pagare laffitto." Ho pensato di fare conversazione:
"Ho con me anche mia madre, malata, oltre questa bambina.
Laffitto, le bollette, mangiare, vestirsi... con linflazione
che cresce... ormai un chilo di carne costa 1800 tuman e una visita
dal medico 2000... pregando Dio di non aver bisogno dellospedale:
se paghi, ti ricoverano, se no, muori...".
"Beh... insomma... non è poi tutto così nero...",
ma è stato interrotto da Elahè che lamentosamente
chiedeva di bere.
"Adesso arriviamo e la mamma ti dà un bicchiere dacqua",
le ho detto con un bacio e una carezza sui capelli. Aveva la faccia
stravolta dalla febbre, le palpebre stanche.
"Perché si è portata dietro la bambina?"
"Per non destare sospetti. Così non ci fermano."
"Con me non si permettono di fermarti", ha detto con
aria da gradasso. E mostrando la pistola: "Vedi che ho il
visto?... Non mi fissare così... è vero,
ho la licenza di uccidere, che credi!... Se qualcuno
non va oppure se qualcuno mi attacca, io... bum, finito, e non
devo spiegazioni a nessuno... Non sottovalutare il sottoscritto!".
Gli è venuta la bava alla bocca. Se lè pulita
con una mano e ha aggiunto, come per giustificare quel discorso:
"Non hai detto che vai sempre in giro con la bambina?...".
"Sì, perché mica tutti sono fedeli del regime
con licenza di uccidere...". Lho pronunciato
con furore, tanto che anche lui ha capito. Allora si è
abbandonato a ridere e velenoso ha commentato:
"Bene, bene! Se incomincia da bambina a imparare il mestiere,
da grande sarà una maestra e potrà darti una mano
per le spese". Altra risata.
A me è venuto un nodo alla gola e non ho risposto. Allora
lui:
"Esci solo su appuntamento? Oppure come capita?".
"Che è un terzo grado?"
"Beh, è che costi parecchio... ma è compreso
anche il culo? No?". Si è di nuovo pulito la bava.
"Però, secondo me li vali i soldi che costi... Dovresti
avere anche un bel telaio sotto questo mantello che nasconde tutto...
e non è male nemmeno il viso... Ma ancora non hai risposto:
il culo sì o no?"
Io ho toccato la fronte di Elahè. Scottava.
"Amore, adesso arriviamo e mamma ti dà da bere...
un po dacqua... Poi dopo andiamo dal dottore".
Lho abbracciata stretta.
"Ti dico solo questo: ho pagato tanto perché voglio
un servizio completo, fatto a regola darte... bocca, culo
e fica... chiaro?"
La bambina si lamentava. Perché non arrivavamo mai? Anchio
avevo un senso di nausea. Lui passava la mano sulle mie gambe
e poi si accarezzava, lo sguardo fisso. Pensavo: "Sarà
proprio un perverso, che Dio maiuti!".
Siamo arrivati nei pressi di via Hekmat. Che casa! La mia, al
confronto, è una stalla. Allinterno abbiamo percorso
con lautomobile una specie di sentiero di piastrelle e alla
fine ci siamo fermati. Lui ha aperto la porta, è entrato
e anchio, con la bambina che faticava a reggersi dritta,
sono entrata. Appena dentro lui mi si è buttatto addosso
con violenza. Mi ha subito infilato una mano dentro il vestito,
ha preso un seno e, strofinandosi, ha cominciato a emettere versi.
"Un momento", mi sono ribellata, "non toccarmi
davanti a lei... controllati... Non vedi che sta male?!"
Era paonazzo e le mani gli tremavano. Ha balbettato a fatica:
"Lasciala qui nel salone... tu vieni in camera da letto...".
Prima ho coricato Elahè sul tappeto, le ho messo sotto
la testa un cuscino del divano per farla stare comoda, poi ho
seguito lui.
Mentre camminavo nel corridoio ho cominciato a togliermi il rusari,
anche se con la mente rimanevo da mia figlia. Ero molto preoccupata.
Poi, in camera, il mantello... ma non ho fatto in tempo a sbottonarlo
del tutto che lui mi ha preso con forza, mha sbattutto sul
letto e mi è montato addosso. Dopodiché sè
messo ad ansimare e a strusciarsi, senza però arrivare
a nessuna di quelle cose che aveva detto... Altro che pompino
eccetera... è sbottato in un lampo, imbrattando tutti i
pantaloni. Imbarazzato, sè chiuso nel bagno. Io allora
sono corsa da Elahè. Aveva di nuovo rimesso e faticava
a respirare. Le palpebre erano socchiuse, gli occhi voltati in
su, il corpicino bolliva. Mi sono messa a gridare dalla paura.
Lho chiamato.
"Che cè? Che ti prende? Perché tutto
questo casino?", era avvolto in un accappatoio.
"La mia bambina... è svenuta... che si può
fare?..."
Ha allungato il collo per guardare meglio, ma senza avvicinarsi,
e ha detto:
"Ma che vuoi che sia, sarà un raffreddore, non è
niente... Dài, àlzati di lì e vieni in camera...
Vieni a farmi divertire."
"Ti scongiuro... aiutami a portarla da un dottore... non
vedi che sta male?"
"Non fare storie... Che centro io se sta male... Mica
te lho detto io di portarla con te... Io so solo che ho
pagato per farmi una scopata, non sono mica lautista di
unambulanza!"
"Hai pagato?!... Ma lo vuoi capire che mia figlia sta morendo,
brutto pezzo di merda?!"
"Ma va allinferno, te con tutta tua figlia!"
Io a quel punto non ci ho visto più. Gli ho urlato: "
Ma va allinferno te, brutto degenerato schifoso e pure stronzo",
e con un balzo sono tornata nella camera, ho recuperato il rusari
e la borsa, ma lui mi sbarrava il passo. Ho tentato si sfuggirgli,
lui però mi ha afferrato un braccio, mha strappato
la borsa e lha buttata in terra.
"Puttana da quattro soldi. Io ho pagato, perciò prima
fai il tuo lavoro e poi puoi pure andare dove cazzo ti pare."
Non so come ho fatto: gli ho dato una spinta tale da farlo cadere
seduto per terra. Raccolta la borsa, mi sono precipitata nel salone
a prendere in braccio Elahè, poi via di corsa attraverso
il giardino. Ho sentito, sempre più lontana, la sua voce:
"Vedrai che vi sistemo io, te e quella gran mignotta della
tua padrona."
"Ma fa quello che ti pare, stronzo pappone... assassino!...",
e intanto correvo.
La strada era in salita e con Elahè in braccio mi mancava
il fiato. Maledicevo Shemiran, quel quartiere con le ville e le
strade larghe che si somigliano tutte. Mi sono persa. A un incrocio
non sapevo più da che parte andare. Non passava una macchina.
Come non ci vivesse nessuno in quelle case. Non si vedeva anima
viva. Solo i cani abbaiavano quando passavi davanti a un giardino.
Elahè respirava a fatica e sembrava avere le convulsioni.
Ogni tanto rantolava. Io piangevo e correvo. Finalmente unautomobile!
Esausta, non ho avuto nemmeno la forza di alzare un braccio. Il
guidatore però ha capito da sé. Ha frenato e io
singhiozzando lho supplicato:
"La mia bambina sta morendo... mi porti in unospedale...".
"Salga... Cosa è successo?"
"Ha la febbre alta... e anche le convulsioni... veloce...
per favore... veloce!..."
Il vento intenso e tiepido dal finestrino mi colpiva il viso e
mi entrava negli occhi. Ho abbassato il vetro del tutto perché
l'aria rinfrescasse il viso di Elahé. Mi sono domandata
che cosa potevo raccontare a mia madre, in che consisteva lurgenza
di quel lavoro che maveva fatto rimandare la visita medica
per Elahè... Sono scoppiata a piangere. Quelluomo
era tutto teso, cercava di andare al massimo della velocità
possibile e nel frattempo cercava di calmarmi. Io non toglievo
gli occhi da Elahè, che adesso rantolava con più
rumore e respirava a un ritmo più lento. Disperata ho detto:
"La prego, signore, più veloce... sto perdendo mia
figlia...".
Lui a clacson spiegato ha tentato disperatamente di farsi strada
in mezzo al traffico. Ma, allingresso dellospedale,
ho visto che Elahè, a bocca aperta, mi fissava con quei
suoi occhi grandi e neri, aperti.
Roma, giugno 2000.