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Antonietta Dell'Arte
Lei - Diario di una notte nel cuore del sole, Marsilio, 2001

di Giacomo Guidetti

 

 

 

 

 

Ero con Antonietta in un caffè e parlavamo delle presentazioni in programma per questo libro; il marito Michele le faceva premurosamente delle raccomandazioni: "Ségnati i primi versi delle poesie, altrimenti quando dovrai leggerle ti ci vorrà una buona mezz'ora a cercarle nell'indice!". Ed aveva ragione, poche volte un indice è inutile come questo, sembra quasi che sia stato compilato con l'intento di impedirne l'uso: vi si legge solo una sfilza di "Lei" incolonnata coi numeri di pagina. Poi per la seconda parte ci viene concesso un riferimento: un sottotitolo fra parentesi a fianco del medesimo, ossessivo "Lei".

È quasi uno scherzo, viene da pensare che questa parolina serva a sostituire un asterisco o uno spazio bianco, tanto per dividere i canti d'un unico poema; però poi, cominciando la lettura, ci si accorge che non è esattamente un titolo né una semplice separazione: con la sua martellante ripetitività è parte integrante della poesia, è una nota, come il la del diapason, oppure una chiave come quella all'inizio di ogni rigo negli spartiti musicali, serve cioè a far mantenere costante un'intonazione mentale (con i sottotitoli della seconda parte che possono essere assomigliati agli accidenti in chiave).

Solo un titolo è diverso, quello della poesia in esergo, prima delle prefazioni: "Sa già", protasi del poema rivolta al lettore dedicatario del libro, che è come una ouverture in altro tempo e tonalità. Ebbene questi pochi versi cercano prudentemente di rassicurarci ("a leggerla non soffrireste"), sottintendendo quindi che non sarà possibile una lettura superficiale, ma in cambio ci promette compensi: "potreste trovarla piacevole parallela" e ci offre "anemoni". Introduce quindi con la stessa umiltà e timido rispetto per il lettore che si trova in molte composizioni antiche.


È anzi curioso che l'autrice abbia proprio voluto mettere le mani avanti, scrivendo una nota introduttiva per prevenire le eventuali domande sul senso complessivo del lavoro. Poi, procedendo nella lettura, vediamo che è effettivamente una "scrittura composita e accidentata, difficile e al tempo stesso disponibile", come dice Vincenzo Guarracino nella prefazione (ma ciò vale per l'intera produzione poetica di Dell'Arte, non soltanto per questo libro), e però io credo che arrivi anche direttamente, senza sostegni dichiarativi, suscitando emozioni e riflessioni; pure se spesso ci turba o ci sconcerta, soprattutto per quel continuo rompere ciò che melodicamente e semanticamente ha costruito, per quelle infiltrazioni di stati, di espressioni, di modi di dire, di riferimenti che sono lontani dall'ambiente precedentemente costruito (benché meno appariscenti in questa, in quanto più amalgamata e coerente, che nelle opere precedenti).

Antonietta interseca anfibologie, sinestesie, zeugmi; li tesse a formare disegni astratti che richiamano analogicamente qualcosa di reale o, viceversa, paesaggi tanto stilizzati e surreali da perdere ogni connotazione realistica. O meglio ancora entrambe le cose, secondo il modo in cui le cogliamo momento per momento, e per lo più involontariamente, come nelle ambigue configurazioni di figure e sfondi; "catene associative... slittamenti metaforici" le definisce Guarracino, oppure "dismisure d'opposizione, in rifrazioni capovolgenti che generano parole e discorsi tanto espressivi quanto insensati", secondo Gio Ferri (Testuale, n. 28-29). Le immagini ci rimbalzano come un ping-pong da un emisfero all'altro del cervello, evocandoci nessi logici e non, considerazioni semantiche e sensazioni inesprimibili, memorie e stati d'animo (secondo un modo di presentarle che è sicuramente più femminile che maschile).

Il mondo descritto è spesso quello tradizionalmente poetico, persino banalmente poetico (con la luna, il sole, il mare...), al quale pure continuiamo a restare affezionati sentendolo (e non solo poeticamente) in serio pericolo, ma continuamente, e bruscamente, contaminato da considerazioni su un quotidiano spicciolo e intrusivo. Mondo riflesso, come in uno specchio di non eccelsa qualità e del quale non si riesce a stabilire il grado di fedeltà, oggetto costantemente presente nella produzione dell'autrice, che nutre per esso una forma di amore-odio e gli ha dedicato il titolo d'un libro, che delude o illude, o più ancora che offusca le illusioni primarie e ne costruisce di nuove.

Lei, come dice la Dell'Arte, vuole appunto "significare il distacco dell'io narrante da sé stesso", un Io onnipresente, come nella norma della poesia lirica, ma indiretto, "fuori scena". Un espediente? Forse anche, però più nelle intenzioni a posteriori; di fatto è un modo in cui l'autrice si presenta molte volte nelle sue opere, un modo che le permette di oggettivare le esperienze rendendole più accessibili. "Una esigenza nata spontaneamente", che le consente di superare "una certa timidezza del dolore, dei sentimenti a manifestarsi".

È come se il mondo reale, con le sue contraddizioni, i suoi lati spigolosi e le sue strettoie, impedisse l'accesso ad un mondo poetico sognato, visitato a tratti ma mai completamente conquistato. Con il rifiuto della limitazione fisica, temporale soprattutto, che impedisce il godimento completo dell'immaginario, del desiderio (che è un punto d'arrivo, non di partenza).

Diario, lo dice il sottotitolo, sicuramente: a conferma l'ordine cronologico delle poesie (dal 90 al 98) con l'indicazione della data e del luogo; e del diario si ritrova proprio il modo di annotare pensieri, sensazioni vissute giorno per giorno, con lo stile dell'appunto veloce che in breve deve richiamare qualcosa di complesso; o semplici postille, inserite in ampi contesti, di cose spicciole, casalinghe, apparentemente inappropriate ("la gonna non vuole asciugare alla corda senza sole"). Diario ermetico, quindi, e tuttavia assolutamente "disponibile" (riprendendo la definizione di Guarracino), anche per la totale mancanza di punteggiatura che, pur ponendoci in difficoltà persino nel farci mettere insieme i sintagmi, ci lascia campo libero per le associazioni, che possiamo scegliere fuori dei costrutti sintattici, trasformando il tutto in un possibile nostro block-notes, non certo di avvenimenti ma di parametri da utilizzare in situazioni analoghe e non, sistemazioni, come le definisce splendidamente Antonietta stessa nell'apertura.

Lo svolgimento è quello della commedia (in due tempi, che l'autrice tiene a tenere ben separati): inizia con uno spiritoso scherzo sulla nascita e procede con alti e bassi di umore, spesso ironici, tra entusiasmi ("apre crepacci fioriti: fiorisce") e scoramenti ("lei è solo un incidente"), tra l'autocondanna ("è veramente spregevole mettersi a scrivere sui propri viadotti oscuri") e l'esaltazione ("nel cuore del sole danzava e cantava"). Tocca generi diversi: dalla favola ("le briciole di pane le mangia l'uragano") al suspense ("l'infinito le correva alle spalle... dietro l'angolo raggiunse la sua ombra bastarda"), e c'è la Natura, costantemente, imprescindibilmente, in tutte le sue manifestazioni: in forme meteorologiche (anche metaforiche: "lei piove", "lei sta nevicando") o di animali, piante, minerali; che è allegra e benigna ("la cascata che canta") oppure ostile ("violava l'erba la formica"), infida ("non può fidarsi del muso dolce del gatto gli occhi attendono la preda").

L'andamento è comunque drammatico, la gioia è solo passeggera ("per il tempo di una virgola Ofelia è felice") e non a caso i poeti direttamente citati (Leopardi e Sylvia Plath) sono emblematicamente esponenti d'un vissuto fortemente doloroso; però il finale è positivo, aperto alla speranza: "ora lei è un lunedì felice", dopo essere appena stata "la stazione all'apparire del viso... cucina allegra... ramo argento sul fiume...".

Così, chiuso il libro, valutato in qual misura ci sono stati elargiti i doni promessi, non posso che augurarmi molti altri di questi lunedì, e però senza alcuna meraviglia: dovremmo essere abituati con la Dell'Arte a questo livello di composizione poetica, è solo che è piacevole ribadirlo ad ogni uscita d'un nuovo volume.

 

 

 

 

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