A Elizabeth
È una filastrocca che dà titolo al libro (*),
e allude all'età dell'uomo: poco più di 80 anni. Storia di un
essere senza nome. Eppure l'opera è racchiusa fra leggere e libro.
Leggo solo libri usati (p.11), Metto
il libro nella tasca... (p.109). Un libro che parla della
lettura, perciò, ma anche di vicende rocambolesche, di lotte,
di amori, di dolore e di morte, di storia e di desideri, di sport
e di prodezze, di piante e di animali, di poeti e scrittori, di
emigranti e di lavoratori, di uomini e donne che vivono e riflettono
sulla vita.
Scritto quasi esclusivamente in prima persona,
si può dire il resoconto di una vicenda personale, ma la caratteristica
più singolare è rappresentata dall'uso preponderante del presente
indicativo, memorie o anche avvenimenti trascorsi da tanto tempo,
tutto è detto al presente.(1)
Con questo procedimento vengono posti sullo stesso piano presente
e passato, a costituire un insieme inseparabile. Siamo costituiti
di passato e il presente non può che essere un risultato del passato.
L'autore, allo stesso modo di un contastorie orale, fa scorrere
gli eventi coinvolgendo il lettore-uditore in una complicità sia
per l'uso della prima persona che del presente, che servono a
manifestare una confessione. Ma c'è anche una motivazione filosofica.
La nostra realtà è l'insieme duplice di quello che abbiamo fatto,
ormai immutabile, e di quello che siamo, qualcosa di dinamico.
Tutto ciò può essere narrato solo con una forma imperfettiva come
il presente.
Fissarsi solo nel passato comporterebbe una scissione.
Infatti sarebbe una anomalia il voler rivitalizzare qualcosa di
irrigidito: non sono io (p.30), non
sono più io quello (p.87). Del passato ha senso l'esperienza,
il metabolismo di ciò che si è operato. Quindi non si tratta tanto
del recupero della memoria, fantasma fonico-visivo, in fondo un
esercizio letterario estetizzante, ma della realtà esistenziale:
siamo costituiti di due complesse dimensioni parallele, su un binario
fatto di ora e allora scorre la nostra vita.
Lungo tutto il testo sarà insistita simile manifestazione
della binarietà. Il protagonista pianta solo due alberi (p.18 e
p.25); Davide è attivo nei due sensi della lotta al gradasso e della
creazione poetica (p.49); tutti i personaggi del presente hanno
una controfigura simmetrica nel passato. Ma il risultato più significativo
è che il meccanismo dell'uso della prima persona e la stesura al
tempo presente trasformano il libro, di per sé qualcosa che è sempre
"passato", nella voce del narratore e il lettore-uditore, di per
sé solo "presente", è distolto dal suo tempo per entrare nella dimensione
temporale del racconto. Ciò dà ancora l'idea della unità dei due
costituenti. Ma se riceviamo una confessione siamo implicati nelle
decisioni. Questo libro allora diventa uno spazio in cui anche noi
siamo convocati per una riflessione in vista di un comportamento:
è un libro etico. Anche perché trattano di questioni e fatti che
riguardano gli "accidenti" (p.9) di questo racconto.
Fatti e personaggi
"Accidenti" dunque, qualcosa di drammatico, che si
svolge in un arco di tempo che ha i suoi estremi nella prima guerra
mondiale e in quella di Serbia-Croazia, la prima rievocata attraverso
manufatti, residui, immagini, l'altra narrata da chi ha visitato
i luoghi ancora tragici. Ma gran parte della vicenda riguarda il
periodo 1976-82 della dittatura militare argentina, la più immonda
e sadica erede del nazifascismo, quando il protagonista, per il
sequestro e l'uccisione della moglie, diventa guerrigliero, combatte,
uccide, rischia, fugge, viene catturato e liberato. Rientra quindi
in Italia e si mette a lavorare in un giardino, incontra un altro
amore, che lo porta a brigare con un assassinio, anche se viene
sostituito nell'azione da un amico. Diventa un altro.
Tutto ciò si sviluppa in uno scenario geografico
che va dall'Italia all'Argentina, all'Inghilterra, per concludersi
in Italia; è quindi un processo "circolare". Ma vi sono richiami
alle aree dei Curdi, la Palestina, la Russia, la Serbia, l'Africa,
le Americhe in un crescendo esponenziale. È quindi tutto l'occidente,
in senso sia culturale che fisico, con il vicino oriente a entrare
in gioco, ma il riferimento va proprio alle aree più problematiche
e disastrate della storia contemporanea. Le vicende private sono
innestate nella storia e la politica degli stati, nulla di personale
è esente dagli eventi epocali. Fanno da sfondo, perciò, alla storia
personale le storie di migranti, sradicati, apolidi, costretti a
spostarsi per lavoro o per fuggire a una persecuzione: i nodi del
tempo presente. De Luca sceglie di fare protagonisti del suo racconto
i braccianti del mondo (p.96). Esseri
privati della luce solare, si alzano prima
di luce, tornano dopo luce (p.96), anche con quell'ellissi
dell'articolo, spia della privazione, a delineare la condizione
di alienazione cui sono soggetti. Mondo della quota maggioritaria
dell'umanità che ha nelle proprie braccia e nella propria mente
le uniche proprietà. Questo spiega pure come le uniche idee politiche
menzionate siano il Comunismo (pp.15-16) e l'Anarchia (p.60) che
a quelle persone hanno dato speranze. Mentre gli avversari sono
indicati nelle categorie topiche: sfruttatori, repressori, ladri,
attraverso la figura dell'energico
(p.12) magnaccia, che verrà ammazzato [...] come
una bestia dei campi, scannata (p.105), quella dei soldatini
(p.54) con il sarcastico diminutivo, e quella dei ragazzi
senza bisogno (p.71) che rubano per capriccio. Ecco allora
operai, manovali, sguatteri, commesse, contadini, artigiani, osti,
una puttana, un regista, studenti e due medici e tutto ruota attorno
alla vita del protagonista, un giardiniere, ex guerrigliero, operaio,
mozzo, pastore, falegname, che adora leggere. Ma tutti i personaggi
si possono suddividere in due serie parallele, in relazione simmetrica.
Quelli del passato hanno caratteristiche e peculiarità che richiamano
quelli del presente e viceversa. L'ospitalità nell'oste argentino
e italiano, l'amore in Dvora e Laila, l'interesse in Maria e la
Donna delle lettere, il senso del debito nel Creolo e Selim, l'intellettualità
nel Curdo e in Mimmo, l'investigazione nelle domande della 'Storia'
(pp.78-80) e nella Moglie di Mimmo, la brutalità nei Militari e
nel Magnaccia, la assistenza nel Medico inglese e nel Medico italiano,
la memoria nel Protagonista in Argentina e in Italia. Addirittura
si può osservare una relazione fra il libro del passato: la Bibbia
e il Libro del presente attraverso la lettura e fra l'Orto del nonno
e il Giardino di Mimmo mediante la cura, o un richiamo alla poesia
dell'antichità, Davide, in relazione con quella del recente passato,
Dante. Fatti e personaggi del presente trovano una corrispondenza
in fatti e personaggi del passato, proprio per quella binarietà
che è la condizione umana.
Eros e thanatos
Quattro sono le donne che il protagonista ama:
una anonima, Dvora, Maria, Laila. Le relazioni binarie che si
possono stabilire rimandano ad una forma di aggressività nel caso
dell'anonima e di Maria per il sottrarsi del protagonista all'amore.
La prima gli rinfaccia la duplicità non
sei mai stato tu (p.30), la seconda, cui non è data la
parola, chissà se [...] paga
una taglia per i miei testicoli o se le basta maledirmi
(p.54). Mentre i due amori intensi per Dvora e Laila rimettono
alla morte. Nel caso di Dvora, che, se si può riportare a Deborah,
significa ape ma allude alla guerriera contro il potere maschile
(2),
si tratta del coinvolgimento nella guerriglia, dopo il suo sequestro
e uccisione. Mentre nel caso di Laila, che significa notte e allude
all'erotismo sgargiante, comporta l'eliminazione del magnaccia.
Ma anche, proprio perché il protagonista incontra Laila sette
volte, si potrebbe pensare anche ad una sua funzione iniziatica,
visto che questo topos esiste nella tradizione dell'ascetismo
mistico. In ogni caso il protagonista si stacca o è staccato dalle
donne o da altri personaggi con una perdita che si rivela una
ferita insanata, devo smettere di perdere persone (p.58), incontro
solo persone che stanno per andarsene (p.105). Tutto è legato
alla violenza e alla morte. Anche negli incontri con il creolo
(pp.55-56) e con Selim (pp.100-101). In fondo l'amore (donne),
l'amicizia (Selim), la premura (creolo), la cortesia (curdo),
l'ospitalità (osti) sono connessi ad una separazione. La condizione
di solitudine del protagonista è cosi assoluta che sogna proprio
di trovare un'isola in cui ritirarsi (p.69). La relazione simbolica
più interessante è quella con Selim, che significa immagine, dunque
lo specchio del protagonista. Non è un caso se si sostituisce
a lui, anche se la causa è il debito, nell'uccisione, (3)
eppure ciò non scarica il protagonista della colpa, non
sono innocente [...] altro uomo sta
al mio posto di assassino senza togliermi
colpa (p.108), anzi il suo nome diventa un tabù. Mi proibisco
il suo nome (p.107). Proprio perché un assassino, il protagonista
è condannato all'assenza di relazioni, ad un vagare continuo,
come Caino, ad un isolamento totale fino all`acquisizione della
responsabilità. Un assassino deve stare
in un vuoto (p.103).
Natura e cultura
Giardiniere e lettore il protagonista accomuna in
sé simbolicamente la figura dell'essere umano nuovo che deve ricomporre
in unità le due dimensioni. Non è un caso se proprio giardino e
libro sono gli unici elementi che non vengono "espulsi" dal racconto.
Ciò che rimane è proprio questo topos, antichissimo, dell'unitarietà
di coltura e cultura. Laila scherzando infatti chiama il protagonista
"Adamo" (p.45), che aveva il compito di accudire il giardino dell'Eden
e di dare il nome agli animali, curiosamente è proprio mettendo
in pratica queste attività che l'uomo scopre di essere solo, perciò
menomato si potrebbe dire, e quindi bisognoso dell'altro da sé:
Eva. D'altra parte è proprio nella natura che si manifesta la scrittura,
se si sa decifrare.
Le facce sono scritte. Anche
le mani, dico, e le nuvole, il manto delle tigri, la buccia dei
fagioli e il salto dei tonni a pelo d'acqua è scrittura. Impariamo
alfabeti e non sappiamo leggere gli alberi. Le querce sono romanzi,
i pini sono grammatiche, le viti sono salmi, i rampicanti proverbi,
gli abeti sono arringhe difensive, i cipressi accuse, il rosmarino
è una canzone, l'alloro è una profezia.
(p.34) Da cui traspare l'idea qabbalistica del mondo
costituito con le parole della Torah e quindi visto come realtà
leggibile, come libro che rivela. Non a caso Selim che è anziano
(p.36), che ancora prega (pp.36-37), mentre il protagonista è un
miscredente, ha questa capacità di leggere le
parole delle piante (p.72) e i segni naturali (p.73) proprio
per la sua caratteristica sciamanica: santo
d'Africa (p.73), di interrogare la natura: Ti
intendi con la cenere e col cielo, quante ne sai Selim? (p.73),
quindi capace di vedere la morte (cenere) e la vita (cielo). E per
questo la cura della natura e la lettura diventano l'esercizio che
dà il senso all'essere umano e ciò spiega perché Davide "pianta"
(p.49) un libro. D'altra parte piante e libri che sono soggetti
al tempo: tempo della crescita e della lettura, sono anche metafora
della condizione umana, cui manca, però, ciò che muove i vegetali.
Essi sono mossi dalla bellezza che è l'unica possibilità che si
oppone alle forze che tirano in basso perché
solo la bellezza in natura contraddice la gravità (p.18).
Come avviene per il libro che è il "tutt'altro" (p.109).
Ippica e geometria
Se i cavalli rimandano a una scansione del tempo
umano, il primo cavallo che rappresenta la fine del tempo delle
uccisioni, il secondo la fine del pensare di ammazzare, il terzo,
che segnerà la morte, richiede un essere nuovo. Si potrebbe addirittura
stabilire una relazione fra i primi due (la modernità) e il terzo
(la postmodernità). Mentre il moderno rinvia al conflitto per cambiare
il mondo, il postmoderno allude ad una ricerca di una nuova strategia,
per quanto contraddittoria, creativa nella gestione del mondo.
L'osteria e l'oste diventano i referenti principali
di questa ricerca. L'osteria è il luogo privilegiato per gli incontri
o per la salvezza. È vista come uno spazio di riposo, di convivenza,
o luogo di passaggio da cui trovare una via di fuga. Gli osti stessi,
anche se uno è un ex carcerato (p.76) e uno pare un orso
senza peli (p.90), proprio perché esercitano l'ospitalità,
hanno una funzione di giudice, poiché sanno "leggere" gli avventori,
possono salvare o dannare data la loro rude visione della vita.
Mi consegno a questo orso spelato che con
la stessa mano può spedirmi al largo o spezzarmi la spina delle
vertebre (p.92); qui l'oste assolve ad una funzione oracolare:
Una vita di uomo dura quanto quella di tre
cavalli e tu hai già sotterrato il primo (p.90), mette sull'avviso
del senso del tempo, annuncia una "maledizione": la sterilità (p.90),
ma anche dà una indicazione perentoria di abbandonare le armi. Butta
via il resto, non ti serve più, mai più (p.93).
Ed è in una trattoria che il protagonista, alzando
gli occhi e seguendo una linea sul muro, vede Laila (pp.11-12),
in un rifugio era entrato in contatto con Dvora (p.43). È il tema
della connessione fra gli eventi, vedo chiaro
nella geometria (p.24), del legare gli spazi, tipico degli
alberi che sono alleanza tra il vicino e il
perfetto lontano (p.19), del calcolare (p.76). A dare vita
agli avvenimenti è spesso questo approccio casuale che diventa causale
in una specie di follia fatalistica, come nel caso di Dvora (pp.41-42),
con l'insistita presenza del termine assegnata
che comporta un'attesa intrisa di speranza, una certezza paradossale.
Aspetto a vuoto (p.41), una fiducia
cocciuta ad innervare e a motivare le azioni. Anche le notazioni
temporali si ripetono, a segnare un parallelismo simbolico. Il protagonista
incontra Dvora a mezzogiorno (p.42) e Laila pure a mezzogiorno (pp.11-12)
e a mezzogiorno scompare l'ombra (p.54), è quindi un momento che
introduce un mutamento, una complicazione: amori o rimozione del
passato. La scansione stessa del racconto è segnata dallo scorrere
dei 5 momenti topici del lavoro: (sveglia alle 5, caffè a mezza
mattina, pranzo alle 12, fine lavoro al tramonto, notte) e dalla
lettura mattutina e serale in una liturgia laica canonica. E tutta
la vicenda, iniziata a mezzogiorno, si chiude con un'alba che allude
anche alla vita nuova che rimane: (l'ultimo cavallo), e al mutamento
iniziato.
Creature e bellezza
Questa serie di vicende umane e storico-politiche
è silenziosamente punteggiata dalla presenza di un "coro" animale
e vegetale che partecipa e assiste o fa da scenario all'agire
umano. Proprio nel momento di più acuta crisi nel rapporto con
la natura qui si affacciano bestie di ogni genere in una specie
di fantasmagoria animale, con prevalenza comunque dei domestici,
e viene celebrata l'attività contadina e pastorale: sembra una
regressione e il pensare nostalgico ad un mondo perduto, ed invece
è un urlo per aprire gli occhi su ciò che sta scomparendo. Sintomatico
allora la ripresa per ben tre volte del paragone con l'asino/a.
La prima volta quando si istituisce un paragone con il corpo che
durante il giorno obbedisce [...] è
un buon asino (p.19), con il portato di pazienza, sopportazione
della fatica, trascuratezza cui è sottoposto, questo stesso corpo
è poi paragonato all'asina di Bilam (p.66) quando l'animale si
impunta in faccia all'angelo della morte (4)
e che richiama perciò il bisogno di trovare la strada giusta.
Ed infine con quel paragone dello scrittore come soggetto al tempo,
manovrato dal tempo: Non sono il padrone
del tempo sono il suo asino (p.93).
E il protagonista, oltre alle armi, inizia ad aver
a che fare con piante ed animali in Argentina e poi si trasforma
in colui che accudisce un giardino, dove pianta un melo (p.18) e
un leccio (p.25), alberi che hanno a che fare, per certi versi,
con la tradizione edenica: l'albero della conoscenza del bene e
del male (popolarmente individuato nel melo) e l'albero della vita
(simbolicamente rappresentato dal sempreverde leccio). L'uno è la
dimensione della storia, dell'attività, della lotta, del dolore
e della morte, l'altro è la dimensione del creare, del pensare,
dell'accudire, del preservare, della vita. Ambedue sono tempo, il
primo corrisponde al passato il secondo al futuro. Ma proprio perché
il bene e il male stanno a monte e ci innervano dal passato, è solo
attraverso il pensare-agire che accudisce la vita che si possono
trasformare quelle modalità che hanno generato morte, individuare
percorsi che sappiano distinguere fra putrido e fiorente. Chiara
allora diventa la funzione delle bestie e dei vegetali: esseri visti
come corredo di bellezza ed eleganza, memoria da conservare, simboli
da decifrare.
Non è un caso se ripetutamente si incontri il simbolico
numero della compiutezza: il sette. Sono 7 i fiori: mandorlo, mimosa,
viola, glicine, gelsomino, bougainville, girasole; 7 le erbe aromatiche:
salvia, origano, rosmarino, basilico, timo, lavanda, prezzemolo;
7 le piante sempreverdi: leccio, alloro, abete, cipresso, pino,
larice, cocco; 7 gli alberi da frutto: melo, mandorlo, vigna, albicocco,
castagno, noce, olivo; 7 gli ortaggi: aglio, lenticchia, fava, fagiolo,
cipolla, pomodoro, patata; ma lo stesso numero si incontra pure
per gli animali, infatti 7 sono gli animali da 'giardino': cicala,
formica, grillo, ape, vespa, lepre, pipistrello; 7 gli uccelli:
aquila, pettirosso, passero, cicogna, fringuello, rondine, corvo;
7 gli animali temibili: orso, serpente, avvoltoio, pulce, pidocchio,
tigre, lupo; 7 sono pure le bevande: latte, acqua, vino, caffè,
acquavite, nocino, birra. Mentre 10 sono gli animali domestici:
cane, maiale, cavallo, gatto, vacca, toro, capra, pecora, gallina,
asino. Basta scorre il testo e la numerologia simbolica si presenterà
eclatante. Dieci sono anche le sezioni temporali con cui viene scandita
la storia e che si potrebbero far corrispondere alle 10 sefirot,
dal primo giorno sotto il segno di Malkut (regno, realtà) al decimo
sotto quello di Keter (corona) in un'ascesa verso una misteriosa
pienezza, guidati da Tiferet, la bellezza.
Senso e scrittura
Scegliere di scrivere al presente, con frasi brevi,
spesso formate di un unico sintagma verbale e di uno nominale,
non è nuovo nella tradizione italiana. (5)
De Luca però, molto probabilmente, si rifà al linguaggio sapienziale
e poetico biblico e non è da escludere che si intrufoli pure l'insegnamento
della Scuola di Barbiana, per un linguaggio chiaro, semplice,
fatto di cose e non di ghirigori. È quindi il realismo, non solo
di fatti, ma anche di linguaggio che si impone. Basta vedere qualche
dialogo, come la telefonata (p.20), ad esempio, per mettere in
risalto come sia la mimesi del reale a trionfare. Questo spiega
anche la dichiarazione di un programma di scrittura che vuole,
paradossalmente, opporsi alla tradizione:
Che me ne faccio delle girandole dei verbi? Non sono il padrone
del tempo sono il suo asino.
Va bene per gli scrittori il
passato e il suo ceraunavolta.
E il futuro fa comodo agli
indovini che si arricchiscono coi pronostici.
Io conosco le vite che durano
un giorno e arrivare a notte è già morire.
Al futuro non servono verbi,
vuole nomi. (p.93)
Allora un pregio del libro risiede nella scelta dell'essenzialità,
della stringatezza, al punto di usare spesso ellissi dell'articolo:
arrivano da mare (p.73),
gli do mano (p.101), volto spalle
(p.106), ma soprattutto nella trasparenza, in una semplicità che
è bellezza e magia di termini, sostantivi, oggetti, in una quasi
assenza di aggettivi, a rendere ancora più netta la descrizione.
Anche è marcata la presenza sottile di pause nel discorso, quasi
il silenzio accompagni ogni espressione per spingere al pensare.
L'intensità semantica di molti termini comporta una dimensione verbale
complessa, che congloba spesso almeno due significati. Basta osservare,
ad esempio, l'uso del verbo ricordare che, oltre alla funzione di
memoria, avvia anche quello della riflessione; o dei tre verbi che,
ad occhio, mi paiono prevalenti nelle occorrenze: pensare, sentire
e leggere, con il loro duplice valore semantico, il primo di ricordare
e riflettere, il secondo di percepire fisicamente e psichicamente,
che non è solo memoria ma anche capire (pp. 82-83), o anche percepire
intuitivamente: i ciechi che riescono a sentire
sorrisi (p.107), il terzo di darsi alla lettura ma anche
di riposare, godere. Anche in ciò si può scorgere un influsso del
linguaggio biblico in cui la parola è contemporaneamente suono ed
evento. E non solo semanticamente si avverte questo influsso. È
sufficiente leggere per accorgersi della continua presenza di parallelismi
o ripetizioni bi-tri-quadruplici, basti un esempio: Ti
amo per amore [...], ti amo perché
sei integro [...], ti amo perché
[...] ti amo per esclusione (p.86).
Ma anche di sequenze paratattiche impressionanti, quasi da cantilena
innologica, l'esempio più nitido (17+1+7+1+2) è questo:
Dura qualche settimana. Mi
scoprono a forza di frugare e scappo sugli scogli, sparano contro
il vento e c'è un sassolino di piombo che infila il polmone e
io credo di vederlo mentre mi esce davanti e scappa più lontano
e io corro dietro finché il fiato smette tutto insieme e finalmente
una bonaccia nelle orecchie e sento i loro calci come da un portone
e uno mi vuole finire lì e gli altri dicono che fanno bella figura
a spedirmi in terraferma e mi mettono sul cofano di una camionetta
come si fa con la caccia e girano la città sparando in aria che
hanno preso un terrorista e mi chiamano l'aparecido e mi mettono
in carcere e un medico inglese mi cuce l'uscita e l'ingresso e
mi dice buonafortuna e anche di resistere che i suoi stanno arrivando.
E io non so chi sono i suoi, ma anche dopo qualche notte sento
i cannoni a mare. E io sto sulla branda della cella e intorno
non ci sono più guardie e gridano di fame da altre celle e niente
cibo per giorni e poi arrivano ad aprire e sono tutti pazzi felici
e io respiro, però so che la morte mi sputa in faccia anche per
questa volta. E tutte queste storie stanno a un centimetro dalla
testa di Laila. E ora di nuovo manca il tempo e bisogna arrangiare
una nuova notte, buona per lasciarsi. (pp. 83-84)
Libro quindi che si manifesta complessità proprio
nella sua superficie verbale, ma proprio per questo richiede esegesi
e studio. In fondo porre il libro al posto dell'arma, le storie
piuttosto che gli spari, sta ad indicare che si scommette sulla
vita contro la morte, proprio perché l'antidoto contro un'arma che
semplifica annientando è un libro che amplifica creando.
Lettura, cura della natura, vino, ospitalità, lotta
al sopruso, amore, lavoro manuale e spirituale, bellezza, è quello
che ci viene indicato per il nostro ultimo cavallo.
Allora, con un tocco di nocche prima di vetri, brindiamo
anche noi per questa bellissima storia.
Salvador Bahia Giugno 2000
Note
(*) Erri De Luca, Tre cavalli, Milano, Feltrinelli,
1999. Riprendi la
lettura
(1) Una trentina le forme al passato prossimo, un solo
imperfetto indicativo pensavo (p.81), un infinito passato essere
stato (p.88), e una forma passata che invece è un futuro è già
morto (p.98). Riprendi
la lettura
(2) cf. Giudici, 5,4 Riprendi
la lettura
(3) In anagramma il nome si può anche leggere miles = soldato!
Riprendi la lettura
(4) Cf. Num. 22, 22-33. Riprendi
la lettura
(5) Tre cavalli prima, D'Annunzio aveva, pur con risultati
stucchevoli, tentato qualcosa con Notturno.
Riprendi la lettura