1. Intro esclusiva: via ciò che appare
Non azzardatevi a chiedere a un testo come questo le solite dimostrazioni.
Dunque via le citazioni immediate, via il Faust. E via i corollari
che ne potrebbero conseguire del "più o meno", quindi i pirandelli
e consimili seduti in sala si alzino e se ne vadano. E se ne vada
pure chi si aspetta la còccola – ormai – dolce del "riconoscersi",
del "dire giusto" in letteratura, esausta – ancora ormai – la vena
dei pochi antagonisti, materialisti, critici delle odierne peripezie
del capitale. Questa barba già tonsa non basta più per un testo
che percorre… - no, percorre è troppo lineare - che forza e strappa
i ricci, i nodi, gli impedimenti – appunto - della barba che fu.
Un decennio, tempo breve in letteratura, è un’era nel nostro mondo.
Non c’è il tempo anzi – sembra dire Muzzioli – non c’è lo spazio,
se non quello per rappresentarlo il decennio e le sue contraddizioni.
Siamo già nell’azione, nella frenesia e nell’agire frenetico. E
se tanto ci dà tanto, come ad una teoria si risponde con un incremento
teorico – Sanguineti docet – ad un’azione si risponde con un incremento
d’azione. Va da sé che non si può pretendere di rimanere puliti.
L’azione è corpo che di per sé – si sa – è limitato e si sporca.
Il fondamento allegorico che mi appare chiaro nel testo di Muzzioli
è questo. È tra queste righe, in un rigore teorico corporeo, ormai
divenuto corpo, che è vivissimo e nitidissimo il testo, e presentissimo.
I superlativi valgono una sottolineatura, quella che se la letteratura
e le teorie intorno ad essa si compiacciono – alle volte anche le
nostre di convinti materialisti – allora smettiamole. Se sono inutili
e non incidono più, smettiamole.
Allora, cosa fare? I capitali, l’opposizione ad essi, la messa
in scacco ed altro va bene, è una legge universale, così universale
da sembrare sterile. Le lobbies, i poteri forti, il riconoscimento
delle trame e l’antagonismo vanno bene, sono estensibili all’intera
storia dell’uomo. E non ci costa alcuna fatica ammettere la loro
giustezza, ma non costa fatica a chicchessia, anche agli stessi
detentori del potere.
Ripeto: ma ora, cosa fare? E le cose stanno esattamente così?
È l’ordito di questo testo a fornire un criterio, a dare una risposta.
Un ordigno "altro" che più che storicizzare il presente – abbiamo
una certa mano ormai - presentifica la storia. Ovvero raccoglie
la sfida, se infila nel mondo più presente che c’è, mette da parte
carte e bussole utili per misurazioni passate e ricomincia daccapo.
E ci prende in pieno.
2. Una contraddizione in termini: il diavolo (tra virgolette)
positivo
Il diavolo etimologicamente si oppone al simbolo. Il primo divide,
il secondo unisce. Ecco l’accezione tradizionalmente positiva che
si dà al simbolo (Dio, del resto è uno e trino). In sostanza se
il diavolo non dividesse più, se non conservasse la sua natura dia-bolica,
dunque dia-lettica, riuscirebbe perfettamente accettabile sotto
tutte le latitudini. Sarebbe plausibile una sua riuscita e perfetta
integrazione.
Questa riflessione ha origine in un intervento di un autore molto
stimato da me e da Francesco Muzzioli, che risponde al nome di Sandro
Sproccati. E torna buona in questa lettura che riconosce l’azione
critica del testo proprio lungo questa strada. "Non c’è altra strada
– dice Faust – tra post-modernismo e neotradizione". Ancora: "o
il sapere è potere (…) o è impotente", dunque la massima divaricazione
dialettica si pone sulla questione "se dobbiamo costruire rotelle
per gli ingranaggi (…) o dobbiamo incartapecorire dei nostalgici
eremiti che sognino quel che non c’è più". Ma quale dialettica vive
se la soluzione obbligata è quella di mettere "le due cose insieme"?
Nessuna, se la legge che se ne ricava è quella del "finché tu sei
io esisto. E finché esisto tu sei".
Finalmente, ci siamo. L’analisi è completa. Il diavolo è spento,
è possibile solo un gioco di varianti ed è tutto facile, tutto esposto.
Basta partecipare. Il bello è che perfino lo "spiritello" ne ha
coscienza. Se prima "ab sempre diceva no", ora è ridotto a un misero
"calabraghe", a un povero "corrotto". Di più: non solo è spento
(accezione autocritica), ma il diavolo è "positivo" per la controparte.
Si mette in fila, accetta e aspetta. È in questa piega che si insinua
– ben oltre la rappresentazione dunque – la riflessione di Francesco
Muzzioli. Del diavolo resta il nome, il ricordo, il vessillo. Accetta
l’esistente, il consolidato, il certo. Ma è questo il mestiere del
diavolo?
Torniamo dunque – come già nell’introduzione – alle intenzioni
fondamentali: se il diavolo e la dialettica, se l’antagonismo e
tutti gli annessi e connessi non incidono più allora smettiamola
di chiamare il diavolo diavolo, dichiariamone la fine e non riconosciamolo
più come tale. Non c’è più (sempre accezione autocritica), peggio,
è figura positiva a detta di tutti, riconosciuto e tollerato perfino
da Dio. Portando il discorso alle estreme conseguenze, Muzzioli
intravede un ulteriore paradosso e tragico: il diavolo non parla
più. Ormai è inibito. Nemmeno di se stesso, della sua casa, dell’inferno.
È sospeso nel limbo di un "teatro politico muto". Non gli è possibile
l’espressione ma soprattutto non gli è – a questo punto - concessa
l’esistenza.
Da che parte si guardi la faccenda, s’arriva alla medesima conclusione:
il diavolo è carino, ci ricorda bei momenti e in fondo non fa male
a nessuno. E perché allora farlo parlare o parlare di lui? Non esiste
e se non ne parliamo esiste ancora meno. Oppure: il diavolo è alla
prova dei fatti un ricordo, esiste ma è disperso e non ha possibilità
comunque di dire. Forse, qualcosa, da dire l’avrebbe anche, magari
ancora non perfettamente a fuoco… È qui che il testo di Muzzioli
"riaccende" il diavolo e oltre le consuetudini.
3. La roba che non c’è (materia not found)
Il diavolo è positivo, la letteratura insufficiente, il silenzio
– dicono – d’oro.
Le Recitazioni di Muzzioli dipanano la matassa con estrema
lucidità e individuano il campo di applicazione e l’ambito in cui
operare da adesso in poi. È facile menar botte contro il capitale,
i poteri forti, la globalizzazione. Ci riusciamo tutti. Ma sa –
come si diceva in precedenza – di un’azione sterile, dunque una
"non-azione". Più difficile interrogare il presente, entrare a piè
pari nella contemporaneità e portare a conseguenze estreme i discorsi
intorno alle nuove forme (ancora fuori giurisdizione) di pericolo.
"Il denaro che prima era rappresentativo, metafora reale del capitale
che consisteva essenzialmente nei mezzi di produzione, tende a conquistare
una sempre maggiore autonomia dalla materialità e determinazione
dei mezzi di produzione". Di più: il denaro non è più materia. Il
suo potere è nominale, comunicato, virtuale. Paradosso del paradosso:
anche la comunicazione non è più materia, sempre più disgiunta dalla
realtà. Non è più comunicazione, tutto qui.
Il tutto si risolve in una formula che non ha legge sotto: siamo
nell’epoca della metacomunicazione del metadenaro e del metapotere.
E la roba non c’è più. Materia not found. O meglio, si distingue
in analogica e digitale: una questione di impulsi elettrici, linguaggi
complessi dispersi in codici binari, pagine visibili solo se visibili
su motori di ricerca, polarizzazioni continue dell’informazione
che si fa e si disfa, finanze che si annodano e si sciolgono, e
si fanno e si disfano nella "terra di nessuno".
Uno spazio da occupare, con frenesia. Il tavolo di una roulette
con i numeri che vanno da zero ad infinito. Praticamente la libertà.
La "terra di nessuno" per i capitali – seppur virtuali – è la libertà.
L’azione è ingenua e barbara per frenesia di occupazione, comunque
tendente alla dominanza. Una dominanza immateriale e pericolosissima.
E questo mi sembra il segno forte, il luogo dove Muzzioli vuole
riaccendere il diavolo. In questo mercato allo stato puro, nella
diffusione e dispersione dei poteri, nelle concentrazioni momentanee,
intangibili, "retificate", golpistiche. In una parola, nel selvaggismo
virtuale, sul "prodotto nell’epoca della sua creazione e riproduzione
digitale".
Dunque il prodotto come "oggetto od evento"? In questa chiave direi
il secondo. La merce si sposta sempre di più verso l’evento. E dà
inizio ad un nuovo modo di acquisire la merce stessa: l’evento non
si compra, si partecipa all’evento. Ed è questo particolare aspetto
che sancisce l’esclusione:"c’era una volta lo sfruttamento che opprimeva
tutti insieme" e oggi invece c’è "l’esclusione" individuale. Chi
non partecipa – dunque chi non "compra" – è escluso.
Una domanda era in principio però: è possibile girare siffatta
modernità – intendendo con essa lo strumento, il linguaggio che
la rappresenta per antonomasia e cioè internet – verso sinistra?
Non voglio attribuire a Muzzioli ciò che non dice, ma mi sembra
che molto concorra a riconoscere in lui l’autore di cotanto quesito.
4. Conclusioni inclusive: enumeratio e grazie
Qualche forzatura l’ho usata, riconosco. Ma il testo già di per
sé forza. È questo il metodo e il merito di questa scrittura in
movimento, complessa e "attiva".
E di sguincio e in sintesi renderei all’autore alcuni momenti essenziali
di questo delirio: via le citazioni immediate (troppo esposte per
non essere facile preda delle autonomie letterarie), piuttosto presentifichiamo
la storia (lungi dalla neutralità e dal piattume post-moderno, ma
nel senso di un’azione critica e contrastiva). Dunque agiamo (ci
vuole un incremento di azione) in questa terra di nessuno, riaccendiamo
il diavolo contro la roba che non c’è (che è evento, materia not
found, virtuata ed è metaroba infine).
Questo, uno spettatore della tua vocazione teatrale ti rende. Aspetterebbe
in verità anche una risposta da chi – forse per primo – ha messo
a fuoco un nuovo scenario di intervento, attuale e concreto.
Chiuderei con un grazie alle "recitazioni" così ricche in un corpo
così piccolo ed elegante, nucleo essenziale di una riflessione a
venire – che chissà quale forma prenderà – per l’autore e il suo
pubblico.
(1) Francesco Muzzioli, Recitazioni,
Le Impronte degli uccelli, 2000. Riprendi
la lettura
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