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Né lisci né impeccabili

Enrico Frattaroli

 

 

 

 

 

La mia posizione nei confronti di questo libro di racconti o testi (Tiziana Colusso, Né lisci né impeccabili, Roma, Arlem, 2000) non è del tutto distaccata, non può esserlo. Me lo impedisce l'essere stato complice dell'autrice nel ragionar d'amore. Me lo impedisce, soprattutto, la copertina del libro, su cui appare l'immagine di una Perturbazione, cioè di una mia opera. Un'opera visiva che Tiziana Colusso volle porre in risonanza con il titolo - poi revocato - di Una sindone formato A4. Un racconto dallo strano destino, scritto appositamente come soglia del libro, caduto in prescrizione come titolo e sparito dalla pubblicazione come racconto, ma in cui io credo di ravvisare la chiave di questa raccolta, o piuttosto di una raccolta a venire.
A questa silloge di testi, Tiziana Colusso ha cambiato più volte titolo e immagine di copertina. Quando, nella primavera del 2000, ne lessi la redazione dattiloscritta, s'intitolava Il Buddha femmina (il racconto è tuttora presente nella raccolta). Ma l'aveva già intitolato Ancora un satòri a Parigi, e, successivamente, Anche la voce non avrà fine (entrambi parte dell'attuale scelta). A metà settembre optò per Crespature. Ai primi di ottobre, dopo una breve suggestione per Movenze, puntò definitivamente su Né lisci né impeccabili.
Quando la informai che uno dei racconti intorno ai quali si sarebbe mosso questo mio discorso sarebbe stato Les acrobates en gris (Gli acrobati in grigio) venni a sapere (o avevo dimenticato?) che il famoso quadro di Léger a cui il racconto s'ispira avrebbe dovuto, a suo tempo, prestare anch'esso e titolo e immagine al libro. Non solo, venni anche a sapere (ma forse l'avevo dimenticato) che l'immagine legata a Una sindone formato A4 avrebbe dovuto essere, in un primo tempo, un'opera di Ives Klein, l'impronta di un nudo femminile - in blu-Klein, naturalmente - su lenzuolo bianco.
Se mi dilungo sulla scelta del titolo e dell'immagine di copertina, è perché il dilemma di Tiziana Colusso io non credo fosse legato a una questione di soglia o di strategia comunicativa, ma a un'esigenza profonda di cogliere, nel modo più esatto possibile, qualcosa di instabile, di sfuggente, qualcosa che aveva a che fare con il tema dei racconti, con la tecnica della loro scrittura e con l'architettura complessiva del testo: in tutti e tre i casi, con qualcosa che si comincia a possedere a partire dalla sua stessa perdita o dalla minaccia di una perdita definitiva, e che "chiede di essere salvato".
Sindoni, satòri, crespature, movenze. Ogni racconto, in fondo, è una sindone, un satòri, una crespatura, una movenza. In ogni racconto, qualcosa muta nell'ordine piano delle cose, un evento prende le mosse a partire da un altro, si stacca, si staglia, coglie il soggetto di sorpresa, lo spiazza dall'interno, lo conduce di fronte a qualcosa d'inaspettato, di rivelato. Un desiderio in fieri, che porta alla deriva o prende alla gola, un desiderio perduto o un desiderio goduto le cui tracce stanno dileguando.

 

Les acrobat en gris

Più che un racconto, è un'immagine in sospensione, la cui fragranza di desiderio appena appagato ristagna nell'aria ferma e sui corpi acquetati: nelle dita di lui che accarezzano la fronte e le labbra di lui, nella coppa della mano di lui che contiene il seno ancora ansante di lei, nella prossimità della testa di lei all'inguine di lui. Bave di desiderio esaudito, madori di piaceri goduti, dissolvenze di turbamenti carnali. Una perturbazione dei sensi, còlta un attimo prima del suo totale dissolversi. Prima che la superficie della vita, increspata dal desiderio, torni alla dimensione piana a cui il desiderio l'ha sottratta.
Ho sempre concepito il tempo del desiderio come verticale rispetto al tempo orizzontale in cui si dispongono gli eventi non toccati dalla sua ferocia, o dalla sua grazia. Il tempo del desiderio è incommensurabile col tempo in cui scorre il resto della vita. Se in un momento qualsiasi, di una qualsiasi giornata, un desiderio di colpo ci sorprende e prende forma in noi, noi sentiamo che quel desiderio, per sua natura, esige il distacco dalla concatenazione degli eventi. Suadente o dispotico, il desiderio vuole tutto il tempo per sé, tutta l'attenzione, tutta la dedizione, la sospensione totale di qualunque altro avvenimento in corso di vita. Ecco dissolversi, allora, il tempo tout court ed ergersi, al suo posto, il tempo del desiderio. Un tempo che non scorre, ma si contrae, o si annoda, o si espande in se stesso. I nostri "acrobati" in viaggio, colti dalla lievitazione di un desiderio divenuto ormai "irrevocabile", sono stati costretti a sospendere il viaggio, a dismettere la meta, ad arrestare la corsa per dar corso a un turbamento che li aveva già oltrepassati. Tutto è avvenuto nell'ora panica del meriggio, nella calura estiva che allenta le fibre e la logica, spopola il paesaggio, rende immobile il tempo. In scrittura, un'isotopia della quiete: "riposo", "immobilità", "spossatezza", "levigatezza", "quiete geometrica", "inespressività marmorea". Più che un racconto, è un fermo immagine. Ancora pochi istanti, giusto il tempo che sopisca del tutto l'ansimare di lei, che la coppa delle dita di lui si stanchi intorno al seno di lei, che il movimento delle dita dell'altro si perda sulla fronte di lui, che la testa di lei abbandoni l'inguine dell'uomo al volante ed ecco che il viaggio riprende, e nell'orizzonte tornano a inscriversi di nuovo la strada e la meta.

Questo rapporto di reciproca esclusione, o di indeterminazione, fra tempo quotidiano e tempo del desiderio si riscontra in più racconti, forse in tutti. In Alba d'inverno, un'improvvisa accelerazione del desiderio spinge l'operaio a derogare dalla tabella di marcia di fabbrica e di vita e a deviare nelle braccia di una prostituta. Nello splendido Passeggeri in transito, ci si muove in un'atmosfera panica artificiale, in una sorta di luogo senza tempo, sospeso in un crepuscolo perenne, luogo di incrocio e mescolamento di mete, di provenienze e di fusi, clima quanto mai fertile per accendere il desiderio come in un meriggio estivo. In Hammam la protagonista si lascia intorpidire dai vapori, dai massaggi, dai profumi fino a non avere più la forza di rientrare nel tempo, di guardare l'ora, prendere l'aereo, ricordare la meta. Nella Canzone dell'acqua un desiderio più vasto e profondo distoglie la donna dall'appuntamento con l'uomo che l'attende: il piacere che già comincia a colmarla entra in risonanza con l'acqua di una fontana, di fronte alla quale si è fermata a dissetarsi sulla piazza al tavolo di un bar, un piacere fluido e sonoro che l'invade fino a cancellare tutto lo spazio (la piazza, il tavolo, il caffè) e il tempo (l'appuntamento amoroso). In Nemmeno una goccia, dove sembrerebbe accadere esattamente il contrario, l'uomo gode nel porre il proprio godimento in bilico sulla porta di casa, sull'orario di uscita per il lavoro; piacevolmente e crudelmente rifutatosi per tutta la notte al desiderio della moglie nel letto coniugale, ora gode nel contrapporre il tempo quotidiano al tempo del desiderio, il calpestio dei bambini per le scale alla sua fellatio, la camicia immacolata al suo orgasmo, la perfezione del suo vestito in lino azzurro al suo sperma, da nessuna delle gocce del quale dovrà essere macchiato.

 

Una sindone formato A4

Fin dalle prime righe di Una sindone formato A4, la scrittura si prefigura come rapporto fisico, corpo-a-corpo emblematicamente cercato nell'uso di una vecchia macchina per scrivere che implichi sforzo fisico. Scrittura già metaforicamente legata ad un rapporto d'amore, al raggiungimento di un acme per violazione di "vetta immacolata".
Anche qui, la situazione è post-amorosa, il tempo rilevato è l'istante "incerto", "infido", in equilibrio tra la notte e il giorno, sospeso tra la conservazione e la perdita. Qui, scrivere è trattenere qualcosa che sta per dissolversi, non narrandolo, ma trascrivendone le tracce odorose direttamente sulla pagina. La traccia dell'evento, infatti, è già scrittura, e il corpo è la pagina su cui è già inscritta.
Ma troppo labile è la traccia "di cannella e corteccia", troppo fragile la carta del corpo. Non c'è tempo per la narrazione: "sfila il foglio dalla macchina e lo appoggia con delicatezza al suo ventre odoroso, come una sindone in formato A4". Trasmutazione diretta del desiderio in scrittura. Scrittura come impronta di tracce che il desiderio ha lasciato sul corpo in forma di odori, di umori. Non narrazione di qualcosa, ma trasmutazione di quel qualcosa in scrittura. "Il corpo del foglio è un lenzuolo immaginifico…": doppia trasmutazione, quindi, e di scritture e di corpi: delle tracce odorose in scrittura, della pagina del corpo nel corpo del foglio.
La sindone è corpo, dunque: non semplice orma, ma forma fisica, corporea della mancanza.

 

Perturbazioni

L'algoritmo delle mie Perturbazioni è questo.
Primo passaggio. Stendo una tela (una trama di cotone, finora in bianco o in nero, impregnata di collante liquido) su un piano di eguale forma e dimensione (una lastra in vetro, perspex o PVC). La rendo perfettamente liscia e distesa, perfettamente coincidente col piano geometrico che la sottende.
Secondo passaggio. Imprimo alla superficie un movimento o una sequenza, ridondante o contrastante, di movimenti: la sfioro, la sospingo, la sollevo, l'accarezzo, la tendo, la contraggo: la superficie s'increspa, si corrùga, si tende, sale, ricade: pieghe di varia natura si creano, si sommano, si formano protuberanze, turgori … Terzo passaggio. Mi fermo: la lascio asciugare, rapprendere, fissare.

Sotto la perturbazione impressa dalle mie mani, la tela ha lasciato scoperte intere regioni del piano sottostante. Essendo le due superfici equivalenti, ne consegue che l'area scoperta del piano è identica all'area della tela turbata. Spesso questa equipollenza sorprende, sembra impossibile che uno slittamento così modesto abbia prodotto un movimento così ampio. Che una così scarsa superficie piana abbia dato luogo a un'orografia così turbata e complessa. Ma il piano, immutabile nella sua geometria, sta lì ad attestarlo, a rendere tangibile la misura dello slittamento, la distanza fra i due stati, geometrico e perturbato, della tela. Nello spazio di questa oscillazione, si inscrivono tutte le perturbazioni di uguale equipollenza, pur nell'infinita diversità della forme raggiunte.

Sindone & Perturbazione

La scelta di una mia Perturbazione come chiave visiva del libro ha fatto sì che il libro diventasse chiave poetica della mia opera visiva. Un'opera ne interroga un'altra. Un'opera dà all'altra l'occasione di capirsi, spiegarsi, interpretarsi, trasfigurarsi… Non un rapporto emblematico, araldico, quindi, ma un rapporto di traduzione, di trasmutazione reciproca.
Non avevo mai pensato alle mie perturbazioni come sindoni. È vero, un giorno un mio amato, osservandola da lenzuola mosse da ben altri desideri, mi aveva chiesto - tra il candido e il provocatorio: "è una sindone!?".Sulle prime rimasi sconcertato, certamente per l'immediata e involontaria associazione con quella Sacra. In più, il concetto di sindone non mi restituiva il carattere autoreferenziale della Perturbazione, irrelato a un qualsiasi oggetto di cui fosse la forma. Se di qualcosa era l'impronta, pensavo, lo era unicamente del corpo-a-corpo con le mie mani.
E non era forse concepibile che questo corpo-a-corpo fosse esattamente il corpo di cui la tela era l'orma, l'impronta, e, quindi, la sindone? L'effetto sindone non è dato solo dal lenzuolo, o dall'impronta, ma anche dall'istante raggelato, fissato sulla tela, nella tela, dalla tela come da un'emulsione fotografica.(Forse la Sacra Sindone è la prima lastra fotografica, il primo dagherròtipo ante litteram della storia. Non a caso è un negativo, un'orma, un'impronta.) Non impronta di un corpo, quindi, ma di un evento, di un turbamento in atto, del movimento di un desiderio direttamente trasferito nella materia della tela stessa.

 

Ricapitolando

Il titolo e l'immagine del quadro di Léger credo fossero troppo definiti e circoscritti per abbracciare la varietà di attraversamenti di desideri e scritture.
Le impronte di Klein sono impronte di corpi, pure orme fisiche. La tela è un supporto, il blu è l'orma, il corpo è l'oggetto.
Invece.
Nelle mie perturbazioni la perturbazione è corpo, la tela è impronta (materia perturbata), il supporto memoria della sua forma geometrica, non perturbata (il formato astratto).
Nella sindone di Colusso, il desiderio è corpo (il perturbante), la tela è scrittura (linguaggio turbato), il supporto è il formato (l'A4).

Ciò che Tiziana Colusso alchimicamente cercava, quindi, era il paradigma, la matrice, l'algoritmo fondamentale di un'operazione di scrittura a cui ricondurre ogni satòri, ogni crespatura, ogni movenza.
Vale a dire una sindone intesa come tecnica stessa di scrittura.
Scrittura del desiderio (genitivo soggettivo), verticale come il tempo del desiderio (altro genitivo soggettivo), scrittura in forma di sindone il cui libro è l'immenso "lenzuolo immaginifico, pronto a raccogliere", come lei vuole, "altre voci, altre invocazioni".

Non tutti i racconti né lisci né impeccabili riconducono a questo paradigma. Il libro delle sindoni, infatti, è ancora da scrivere.

 

 

 

 

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