La mia posizione nei confronti di questo libro di racconti o testi
(Tiziana Colusso, Né lisci né impeccabili, Roma, Arlem, 2000) non
è del tutto distaccata, non può esserlo. Me lo impedisce l'essere
stato complice dell'autrice nel ragionar d'amore. Me lo impedisce,
soprattutto, la copertina del libro, su cui appare l'immagine di
una Perturbazione, cioè di una mia opera. Un'opera visiva che Tiziana
Colusso volle porre in risonanza con il titolo - poi revocato -
di Una sindone formato A4. Un racconto dallo strano destino, scritto
appositamente come soglia del libro, caduto in prescrizione come
titolo e sparito dalla pubblicazione come racconto, ma in cui io
credo di ravvisare la chiave di questa raccolta, o piuttosto di
una raccolta a venire.
A questa silloge di testi, Tiziana Colusso ha cambiato più volte
titolo e immagine di copertina. Quando, nella primavera del 2000,
ne lessi la redazione dattiloscritta, s'intitolava Il Buddha femmina
(il racconto è tuttora presente nella raccolta). Ma l'aveva già
intitolato Ancora un satòri a Parigi, e, successivamente, Anche
la voce non avrà fine (entrambi parte dell'attuale scelta). A metà
settembre optò per Crespature. Ai primi di ottobre, dopo una breve
suggestione per Movenze, puntò definitivamente su Né lisci né impeccabili.
Quando la informai che uno dei racconti intorno ai quali si sarebbe
mosso questo mio discorso sarebbe stato Les acrobates en gris (Gli
acrobati in grigio) venni a sapere (o avevo dimenticato?) che il
famoso quadro di Léger a cui il racconto s'ispira avrebbe dovuto,
a suo tempo, prestare anch'esso e titolo e immagine al libro. Non
solo, venni anche a sapere (ma forse l'avevo dimenticato) che l'immagine
legata a Una sindone formato A4 avrebbe dovuto essere, in un primo
tempo, un'opera di Ives Klein, l'impronta di un nudo femminile -
in blu-Klein, naturalmente - su lenzuolo bianco.
Se mi dilungo sulla scelta del titolo e dell'immagine di copertina,
è perché il dilemma di Tiziana Colusso io non credo fosse legato
a una questione di soglia o di strategia comunicativa, ma a un'esigenza
profonda di cogliere, nel modo più esatto possibile, qualcosa di
instabile, di sfuggente, qualcosa che aveva a che fare con il tema
dei racconti, con la tecnica della loro scrittura e con l'architettura
complessiva del testo: in tutti e tre i casi, con qualcosa che si
comincia a possedere a partire dalla sua stessa perdita o dalla
minaccia di una perdita definitiva, e che "chiede di essere salvato".
Sindoni, satòri, crespature, movenze. Ogni racconto, in fondo, è
una sindone, un satòri, una crespatura, una movenza. In ogni racconto,
qualcosa muta nell'ordine piano delle cose, un evento prende le
mosse a partire da un altro, si stacca, si staglia, coglie il soggetto
di sorpresa, lo spiazza dall'interno, lo conduce di fronte a qualcosa
d'inaspettato, di rivelato. Un desiderio in fieri, che porta alla
deriva o prende alla gola, un desiderio perduto o un desiderio goduto
le cui tracce stanno dileguando.
Les acrobat en gris
Più che un racconto, è un'immagine in sospensione, la cui fragranza
di desiderio appena appagato ristagna nell'aria ferma e sui corpi
acquetati: nelle dita di lui che accarezzano la fronte e le labbra
di lui, nella coppa della mano di lui che contiene il seno ancora
ansante di lei, nella prossimità della testa di lei all'inguine
di lui. Bave di desiderio esaudito, madori di piaceri goduti, dissolvenze
di turbamenti carnali. Una perturbazione dei sensi, còlta un attimo
prima del suo totale dissolversi. Prima che la superficie della
vita, increspata dal desiderio, torni alla dimensione piana a cui
il desiderio l'ha sottratta.
Ho sempre concepito il tempo del desiderio come verticale rispetto
al tempo orizzontale in cui si dispongono gli eventi non toccati
dalla sua ferocia, o dalla sua grazia. Il tempo del desiderio è
incommensurabile col tempo in cui scorre il resto della vita. Se
in un momento qualsiasi, di una qualsiasi giornata, un desiderio
di colpo ci sorprende e prende forma in noi, noi sentiamo che quel
desiderio, per sua natura, esige il distacco dalla concatenazione
degli eventi. Suadente o dispotico, il desiderio vuole tutto il
tempo per sé, tutta l'attenzione, tutta la dedizione, la sospensione
totale di qualunque altro avvenimento in corso di vita. Ecco dissolversi,
allora, il tempo tout court ed ergersi, al suo posto, il tempo del
desiderio. Un tempo che non scorre, ma si contrae, o si annoda,
o si espande in se stesso. I nostri "acrobati" in viaggio, colti
dalla lievitazione di un desiderio divenuto ormai "irrevocabile",
sono stati costretti a sospendere il viaggio, a dismettere la meta,
ad arrestare la corsa per dar corso a un turbamento che li aveva
già oltrepassati. Tutto è avvenuto nell'ora panica del meriggio,
nella calura estiva che allenta le fibre e la logica, spopola il
paesaggio, rende immobile il tempo. In scrittura, un'isotopia della
quiete: "riposo", "immobilità", "spossatezza", "levigatezza", "quiete
geometrica", "inespressività marmorea". Più che un racconto, è un
fermo immagine. Ancora pochi istanti, giusto il tempo che sopisca
del tutto l'ansimare di lei, che la coppa delle dita di lui si stanchi
intorno al seno di lei, che il movimento delle dita dell'altro si
perda sulla fronte di lui, che la testa di lei abbandoni l'inguine
dell'uomo al volante ed ecco che il viaggio riprende, e nell'orizzonte
tornano a inscriversi di nuovo la strada e la meta.
Questo rapporto di reciproca esclusione, o di indeterminazione,
fra tempo quotidiano e tempo del desiderio si riscontra in più racconti,
forse in tutti. In Alba d'inverno, un'improvvisa accelerazione del
desiderio spinge l'operaio a derogare dalla tabella di marcia di
fabbrica e di vita e a deviare nelle braccia di una prostituta.
Nello splendido Passeggeri in transito, ci si muove in un'atmosfera
panica artificiale, in una sorta di luogo senza tempo, sospeso in
un crepuscolo perenne, luogo di incrocio e mescolamento di mete,
di provenienze e di fusi, clima quanto mai fertile per accendere
il desiderio come in un meriggio estivo. In Hammam la protagonista
si lascia intorpidire dai vapori, dai massaggi, dai profumi fino
a non avere più la forza di rientrare nel tempo, di guardare l'ora,
prendere l'aereo, ricordare la meta. Nella Canzone dell'acqua un
desiderio più vasto e profondo distoglie la donna dall'appuntamento
con l'uomo che l'attende: il piacere che già comincia a colmarla
entra in risonanza con l'acqua di una fontana, di fronte alla quale
si è fermata a dissetarsi sulla piazza al tavolo di un bar, un piacere
fluido e sonoro che l'invade fino a cancellare tutto lo spazio (la
piazza, il tavolo, il caffè) e il tempo (l'appuntamento amoroso).
In Nemmeno una goccia, dove sembrerebbe accadere esattamente il
contrario, l'uomo gode nel porre il proprio godimento in bilico
sulla porta di casa, sull'orario di uscita per il lavoro; piacevolmente
e crudelmente rifutatosi per tutta la notte al desiderio della moglie
nel letto coniugale, ora gode nel contrapporre il tempo quotidiano
al tempo del desiderio, il calpestio dei bambini per le scale alla
sua fellatio, la camicia immacolata al suo orgasmo, la perfezione
del suo vestito in lino azzurro al suo sperma, da nessuna delle
gocce del quale dovrà essere macchiato.
Una sindone formato A4
Fin dalle prime righe di Una sindone formato A4, la scrittura si
prefigura come rapporto fisico, corpo-a-corpo emblematicamente cercato
nell'uso di una vecchia macchina per scrivere che implichi sforzo
fisico. Scrittura già metaforicamente legata ad un rapporto d'amore,
al raggiungimento di un acme per violazione di "vetta immacolata".
Anche qui, la situazione è post-amorosa, il tempo rilevato è l'istante
"incerto", "infido", in equilibrio tra la notte e il giorno, sospeso
tra la conservazione e la perdita. Qui, scrivere è trattenere qualcosa
che sta per dissolversi, non narrandolo, ma trascrivendone le tracce
odorose direttamente sulla pagina. La traccia dell'evento, infatti,
è già scrittura, e il corpo è la pagina su cui è già inscritta.
Ma troppo labile è la traccia "di cannella e corteccia", troppo
fragile la carta del corpo. Non c'è tempo per la narrazione: "sfila
il foglio dalla macchina e lo appoggia con delicatezza al suo ventre
odoroso, come una sindone in formato A4". Trasmutazione diretta
del desiderio in scrittura. Scrittura come impronta di tracce che
il desiderio ha lasciato sul corpo in forma di odori, di umori.
Non narrazione di qualcosa, ma trasmutazione di quel qualcosa in
scrittura. "Il corpo del foglio è un lenzuolo immaginifico…": doppia
trasmutazione, quindi, e di scritture e di corpi: delle tracce odorose
in scrittura, della pagina del corpo nel corpo del foglio.
La sindone è corpo, dunque: non semplice orma, ma forma fisica,
corporea della mancanza.
Perturbazioni
L'algoritmo delle mie Perturbazioni è questo.
Primo passaggio. Stendo una tela (una trama di cotone, finora in
bianco o in nero, impregnata di collante liquido) su un piano di
eguale forma e dimensione (una lastra in vetro, perspex o PVC).
La rendo perfettamente liscia e distesa, perfettamente coincidente
col piano geometrico che la sottende.
Secondo passaggio. Imprimo alla superficie un movimento o una sequenza,
ridondante o contrastante, di movimenti: la sfioro, la sospingo,
la sollevo, l'accarezzo, la tendo, la contraggo: la superficie s'increspa,
si corrùga, si tende, sale, ricade: pieghe di varia natura si creano,
si sommano, si formano protuberanze, turgori … Terzo passaggio.
Mi fermo: la lascio asciugare, rapprendere, fissare.
Sotto la perturbazione impressa dalle mie mani, la tela ha lasciato
scoperte intere regioni del piano sottostante. Essendo le due superfici
equivalenti, ne consegue che l'area scoperta del piano è identica
all'area della tela turbata. Spesso questa equipollenza sorprende,
sembra impossibile che uno slittamento così modesto abbia prodotto
un movimento così ampio. Che una così scarsa superficie piana abbia
dato luogo a un'orografia così turbata e complessa. Ma il piano,
immutabile nella sua geometria, sta lì ad attestarlo, a rendere
tangibile la misura dello slittamento, la distanza fra i due stati,
geometrico e perturbato, della tela. Nello spazio di questa oscillazione,
si inscrivono tutte le perturbazioni di uguale equipollenza, pur
nell'infinita diversità della forme raggiunte.
Sindone & Perturbazione
La scelta di una mia Perturbazione come chiave visiva del libro
ha fatto sì che il libro diventasse chiave poetica della mia opera
visiva. Un'opera ne interroga un'altra. Un'opera dà all'altra l'occasione
di capirsi, spiegarsi, interpretarsi, trasfigurarsi… Non un rapporto
emblematico, araldico, quindi, ma un rapporto di traduzione, di
trasmutazione reciproca.
Non avevo mai pensato alle mie perturbazioni come sindoni. È vero,
un giorno un mio amato, osservandola da lenzuola mosse da ben altri
desideri, mi aveva chiesto - tra il candido e il provocatorio: "è
una sindone!?".Sulle prime rimasi sconcertato, certamente per l'immediata
e involontaria associazione con quella Sacra. In più, il concetto
di sindone non mi restituiva il carattere autoreferenziale della
Perturbazione, irrelato a un qualsiasi oggetto di cui fosse la forma.
Se di qualcosa era l'impronta, pensavo, lo era unicamente del corpo-a-corpo
con le mie mani.
E non era forse concepibile che questo corpo-a-corpo fosse esattamente
il corpo di cui la tela era l'orma, l'impronta, e, quindi, la sindone?
L'effetto sindone non è dato solo dal lenzuolo, o dall'impronta,
ma anche dall'istante raggelato, fissato sulla tela, nella tela,
dalla tela come da un'emulsione fotografica.(Forse la Sacra Sindone
è la prima lastra fotografica, il primo dagherròtipo ante litteram
della storia. Non a caso è un negativo, un'orma, un'impronta.) Non
impronta di un corpo, quindi, ma di un evento, di un turbamento
in atto, del movimento di un desiderio direttamente trasferito nella
materia della tela stessa.
Ricapitolando
Il titolo e l'immagine del quadro di Léger credo fossero troppo
definiti e circoscritti per abbracciare la varietà di attraversamenti
di desideri e scritture.
Le impronte di Klein sono impronte di corpi, pure orme fisiche.
La tela è un supporto, il blu è l'orma, il corpo è l'oggetto.
Invece.
Nelle mie perturbazioni la perturbazione è corpo, la tela è impronta
(materia perturbata), il supporto memoria della sua forma geometrica,
non perturbata (il formato astratto).
Nella sindone di Colusso, il desiderio è corpo (il perturbante),
la tela è scrittura (linguaggio turbato), il supporto è il formato
(l'A4).
Ciò che Tiziana Colusso alchimicamente cercava, quindi, era il
paradigma, la matrice, l'algoritmo fondamentale di un'operazione
di scrittura a cui ricondurre ogni satòri, ogni crespatura, ogni
movenza.
Vale a dire una sindone intesa come tecnica stessa di scrittura.
Scrittura del desiderio (genitivo soggettivo), verticale come il
tempo del desiderio (altro genitivo soggettivo), scrittura in forma
di sindone il cui libro è l'immenso "lenzuolo immaginifico, pronto
a raccogliere", come lei vuole, "altre voci, altre invocazioni".
Non tutti i racconti né lisci né impeccabili riconducono a questo
paradigma. Il libro delle sindoni, infatti, è ancora da scrivere.