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Lunetta e le allegorie dell'orrore
 

di Francesco Muzzioli

 

 

Il nuovo romanzo di Mario Lunetta, Montefolle (pubblicato dalle edizioni associate di Quasar e Manni, a inaugurare la nuova collana "Codici" diretta da Piero Sanavio), è una macchina narrativa i cui plurimi strati e livelli di significato vengono convergendo su di un senso soffocante e ossessivo. Il titolo, Montefolle, appunto, ci dice subito che saremo introdotti nei territori della patologia mentale e allude quindi a un romanzo psicoanalitico. E infatti l'impianto realistico, con i suoi luoghi riconoscibili (Roma, Montepulciano) e i suoi personaggi a tutto tondo si apre nelle vertiginose voragini dell'inconscio, parte per le tangenti del sogno e dell'allucinazione, scivola in sensazioni labirintiche e stranianti. Sempre di più il personaggio protagonista, Konrad, si trova sbalzato fuori dalla normale disposizione delle cose, sia che abbandoni lo stato di coscienza nella figura di un automa disinnescato o di un aliante in caduta libera, sia che venga sottoposto a un processo di "estraneazione" ("Konrad in quello stravolgimento catastrofico si meravigliava del fatto che non ne fosse minimamente coinvolto, e vi partecipasse da spettatore, come vedendo la scena apocalittica di un film, o meglio, di un cartone animato"). Pur essendo un adeguato alter ego dell'autore (è uno studioso di storia), Konrad è destinato ad essere osservato come la cavia di un esperimento sui confini e i margini della follia. La scelta della terza persona, allora, marca una differenza decisiva: mentre il personaggio mette a rischio la sua attività scrittoria (e infatti termina sulla rinuncia alla stesura del suo libro: "Come scriverlo? si chiese soltanto disperatamente. E poi: Perché scriverlo, ormai"), l'autore invece ottempera al compito di scrivere il proprio (e in quel medesimo momento lo sta esattamente portando a termine). C'è discrasia tra enunciazione ed enunciato. Del pari il personaggio, che avrebbe dovuto identificarsi con l'oggetto della sua ricerca storica, riscontrerà in esso motivi di conflitto e di rivalsa (il Cardinale Bellarmino è, alla fine, un "Cardinale scardinato"), per cui il passato, invece di essere restituito alla pietas, si trova proiettando tra feroci fantasmi, compreso quello dell'incesto che costituisce il nucleo esplosivo dell'intera vicenda. Col che, neanche il passato offre rifugio, empatia, salvezza alcuna. Davvero Lunetta ha scritto un romanzo dell'incubo dell'io, in cui l'io - come vuole la seconda topica freudiana - si trova pressato tra due inconsci, un Super-io vendicativo e un travolgente Es. Un cosiffatto io è sottile quanto il lenzuolo che Konrad alla fine si porta sul viso, a connotare la posa mortuaria; che è anche un analogo del fazzoletto di Hamm nella Fin de partie di Beckett: la parodia di un sipario tragico (ed è davvero, in tutto e per tutto, un "finale di partita", quello di Lunetta: "Era come la sua vita, a questo punto: senza senso, senza speranza").

Romanzo psicoanalitico, esistenziale, storico, Montefolle è ancor di più un romanzo governato dalla ricerca linguistico-retorica. Per questo carattere è in forte controtendenza rispetto alle scritture depauperate e "plastificate" della narrativa attuale, che ci propone prevalentemente sceneggiature mascherate da romanzi. Il libro di Lunetta, invece, si presenta continuamente sostenuto ed arricchito da un lavoro linguistico che crea immagini e suggerimenti interpretativi, in una strategia di accumulo e di testarda correzione dell'investigazione del reale. A partire dall'inizio, con l'episodio dell'extracomunitario (che incarna una "alterità" incompresa e rimossa) il cui mugolio è paragonato al "lamento di un gatto malmenato", poi a un "grido cupo e lungo, da lupo", poi a un "sibilo" e a un "muggito sordo" (con una serie di aggiustamenti comparativi che la retorica classica avrebbe attribuito all'epanortosi).

Le immagini di Lunetta sono contrassegnate da una carica deformante e grottesca. Così, in un esempio tra tanti, la città diventa una "trappola", una "grande tagliola rugginosa"; e questa similitudine è così "forte" che il personaggio la risente addirittura sopra di sé, nel suo proprio corpo ("gli pareva di poterne avvertire il dolore, proprio fisicamente"). E tali sensazioni e scuotimenti si accavallano: subito dopo tocca alla "furia paranoica" dell'"urlo di un antifurto", ed è, di nuovo, un'iperbole espressionista: "Fu una scudisciata che gli frustò le orecchie per un tempo che sembrava non finire più".

Altrettanto iperbolico e smitizzante è il paragone della folla giovanile al concerto con un "esercito in rotta"; ma in questo caso è poi soprattutto lo sfondo naturale del paesaggio a vedersi spostato dalla notazione coloristica verso complesse funzioni conoscitive: vediamo che "il cielo alto sembrava quasi succhiare dolcemente il confine estremo, verso un orizzonte disfatto che era più che altro una idea sommaria di orizzonte". Sono tocchi descrittivi, dove però i significati retorici inseriscono un giudizio morale lungo il percorso che conduce da un certo infantilismo (l'atto apparentemente innocente del succhiare) verso il farsi indistinto di ogni limite e norma (l'orizzonte "disfatto"), stigmatizzando con ciò il nesso tra l'erogazione di merci al consumatore-poppante e una concettualità affatto insufficiente (quell'"idea sommaria", in cui si può scorgere il motivo dominante del pragmatismo facilone all'italiana, fatto prevalentemente di tali "idee sommarie" e legalità malcerte).

Le analogie e le somiglianze adombrano dunque dei giudizi. Ed è un verdetto di condanna sulla società contemporanea quello che il romanzo non perde occasione di promulgare: contro l'"arena torera" del mondo d'oggi, contro "l'epoca della simulazione totale", del "Kitsch planetario" (a scorno di certe ipotesi postmoderne secondo le quali il kitsch sarebbe semplicemente scomparso - ma del resto è detto esplicitamente che il postmoderno "è un manicaretto senza sapore"), contro l'"epoca sordida": "un labirinto di gomma (...) qualcosa, in tutti i casi, di alienato, di impraticabile e di mendace (...) a un tratto tutto gli si rivelava illusorio, uno scenario di simulacri, falsità su falsità, teatro dentro il teatro, finzione di una finzione. Una spirale di polvere". La "scrittura dell'orrore", che Lunetta ha formulato in sede di poetica, spalanca qui gli occhi sul degrado politico e civile: la patologia, prima ancora che essere nell'interiorità dell'individuo, è "esterna" e collettiva (e il titolo potrebbe contenere un'indicazione di quantità: Montefolle, ovvero una montagna di follia).

La stessa ricerca storica nel passato ci dà la conferma del peggio: Bellarmino è solo un primo apprendista della "colonizzazione delle menti", oggi giunta al culmine; altrettanto, oggi è come ieri: siamo ancora tutti gesuiti e allievi di gesuiti (sia pure in versione "postmoderna" e "elettronica"); insomma, siamo bloccati nell'"Eterna Italia". Mentre la lezione della storia, mostrandoci la trama del divenire, dovrebbe convincerci della prossima mutabilità delle cose, nel suo romanzo, shakespearianamente pieno di "urlo" e "furore", Lunetta la dispone all'inverso a ribadire la chiusura di una oppressiva invariante. Dalla Controriforma al craxismo fanno "quattrocento anni di disastri" e di mancato cambiamento.

Alla luce di questa polemica, possiamo cercare di reinterpretare anche il tema centrale dell'incesto. L'incesto è certo il tema tipico del "ritorno del represso" (non per nulla Francesco Orlando ricavava la sua "teoria freudiana della letteratura" dall'analisi della Fedra di Racine); un tema proibito e lacerante, che difficilmente può essere assunto dalla scrittura in maniera tranquilla e con una accettazione senza conflitto. È dunque il giusto tema per il romanzo psicoanalitico dell'incubo dell'io. Ma può essere inteso anche allegoricamente: innanzitutto come caduta del limite, sintomo di quella concettualità ed eticità difettosa che ormai la sragione imperante reputa funzionale alla rapidità dell'agire, non abbia quest'ultima impacci né rallentamenti. L'incesto, poi, contribuisce alla rappresentazione di un mondo chiuso, autosufficiente, affascinato dal raddoppio speculare. Il mondo possibile in cui Lunetta ci ospita si fa progressivamente sempre più scomodo e soffocante; per tal via, davvero, ci rende palpabile l'odierno "sistema unico" (del capitale finanziario e speculativo che concresce su se stesso; quindi, "incestuoso", visto che sembra combinarsi solo con quanto gli è "parente").

Senza speranza? Non è compito della letteratura fornire soluzioni di comodo che sarebbero scorciatoie o illusioni. Il suo dovere è piuttosto - come fa Lunetta - esercitare l'opposizione di uno sguardo non consolatorio e nello stesso tempo non arreso, che assolve il compito dell'indagine "implacabile" nell'universo della follia generalizzata.

 

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