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Riappropriamoci del libro

di Pierluciano Guardigli

 

L'Arcilettore è un'idea realizzata in Lombardia, nata tra Milano, Brescia e Sondrio. Negli ancora pochi circoli in cui l'iniziativa è stata presentata ha raccolto un rassicurante consenso, ma i circoli in Italia sono decine di migliaia e di svariati generi: associazionismo ispirato ora dalla caccia, ora dalla cucina, ora dalla musica, qualche volta dalla poesia talvolta marginalmente politico, sempre di sinistra, ma sempre con una prospettiva, in un modo o nell'altro, culturale. La madre Arci ha un milione e duecentomila iscritti, se anche solo il cinque per cento fosse interessata al libro si tratterebbe di un pubblico di sessantamila persone pensanti. Ma si può credere che siano molti di più, perché la gran parte dei circoli Arci fa cultura nel territorio, spesso in rapporto con le istituzioni locali. Il libro, sempre più assediato dai media digitali, ma anche dai vecchi media analogici (il rilancio della radio quest'anno ci costerà altri lettori), è stato tradito dagli editori, non dai lettori. I cd-rom sono diventati gadget per vendere i giornali. Internet è lasciato ancora fortunatamente a sé stesso in attesa di diventare una Las Vegas di pubblicità e di vendite di ogni tipo non appena avrà la giusta diffusione planetaria. Sono già tutti pronti a sbranarselo Internet e temo che anche la nostra bella esperienza, ammesso che prenda il largo, si troverà nella burrasca. Una contraddizione, a voler vedere con serenità, c'è comunque già: Internet è lo strumento galoppante della globalizzazione, mentre il libro è universale ma elitario. Il pianeta resta una babele di linguaggi e anche l'inglese non è più così sicuro di vincere. A parte le resistenze nazionali ci si comincia a preoccupare anche di alcuni esiti del trend: tra dieci anni più naviganti cinesi e indiani che europei e americani e già oggi l'inglese è in calo mentre crescono non solo le lingue orientali, ma anche l'ispanico. Il libro non è mai stato un affare, bene che vada non rende più del cinque per cento dei capitali investiti e la concentrazione è il segno dell'imminente asfissia. Sono proprio le grandi case editrici a buttarsi sui nuovi media e non sarebbe una sorpresa se buttassero, prima o dopo, la zavorra del libro. Che esito avrà, a questo proposito, un organico e diffuso ingresso dei nuovi media nella scuola? Perso il libro scolastico l'editoria non rappresenterà più neanche il misero affare che è attualmente. Credo che tutta l'industria libraria non concentrata dovrà, prima o dopo, rifugiarsi nel no profit, nel cosiddetto terzo settore. La cultura non è in grado di pagarsi gli strumenti, perché per la prima volta nella storia al progresso economico generalizzato non corrisponde una crescita della scolarità e della cultura. In alta Italia, dove c'è lavoro, i giovani disertano le scuole superiori. Altro che agganciarci culturalmente all'Europa. Molte nazioni europee aiutano massicciamente l'editoria di cultura e anche da noi, per mille rivoletti clientelari, di soldi ne arrivano. Si tratta di spenderli meglio. Già si è estirpata la domanda di poesia. Nessuno conosce più la musica classica del nostro tempo se non frequenta i santuari dei conservatori e poco anche lì. Le nostre tre reti nazionali non trasmettono musica jazz più di tre o quattro volte l'anno, per propagandare qualche iniziativa, come Umbria Jazz. Nell'ultimo anno sono passati in Italia dei mostri di questa musica straordinaria e non hanno conquistato più della notizia nel telegiornale. Ma di calcio se ne vede ormai tutti i giorni. Niente va più se non sostiene la pubblicità e non è un caso se dopo aver fatto pochi anni fa una nobile battaglia al suono di non si interrompe un'emozione, oggi anche la RAI, pagata con il canone perché sia in qualche modo diversa, interrompe quatta quatta i film con una manciata di spot. Siamo sommersi dalla pubblicità. Il libro non la sopporta e muore anche per questo. Siamo alla resistenza. Bene, i circoli dell'Arcilettore potrebbero in questo deserto rappresentare i cento fiori della resistenza culturale. Esiste ancora una cultura alta? Ce lo chiediamo mentre università e docenti universitari aumentano a dismisura nel paese e la scuola, che non ha mai creato un'editoria universitaria degna di questo nome, conquistata oggi l'autonomia, si accinge a gestire tutti i pochi soldi destinati alla cultura oltre che alla scuola. Intanto le magnifiche sorti dei musei sostenuti da sponsor privati, cantate da cari compagni, stanno già dissolvendosi. Perché non credere, dunque, che valga la pena di occupare l'ultima spiaggia del libro, ora che non interessa più nessuno?


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