L'Arcilettore è un'idea realizzata in Lombardia, nata tra
Milano, Brescia e Sondrio. Negli ancora pochi circoli in cui l'iniziativa
è stata presentata ha raccolto un rassicurante consenso,
ma i circoli in Italia sono decine di migliaia e di svariati generi:
associazionismo ispirato ora dalla caccia, ora dalla cucina, ora
dalla musica, qualche volta dalla poesia talvolta marginalmente
politico, sempre di sinistra, ma sempre con una prospettiva, in
un modo o nell'altro, culturale. La madre Arci ha un milione e duecentomila
iscritti, se anche solo il cinque per cento fosse interessata al
libro si tratterebbe di un pubblico di sessantamila persone pensanti.
Ma si può credere che siano molti di più, perché
la gran parte dei circoli Arci fa cultura nel territorio, spesso
in rapporto con le istituzioni locali. Il libro, sempre più
assediato dai media digitali, ma anche dai vecchi media analogici
(il rilancio della radio quest'anno ci costerà altri lettori),
è stato tradito dagli editori, non dai lettori. I cd-rom
sono diventati gadget per vendere i giornali. Internet è
lasciato ancora fortunatamente a sé stesso in attesa di diventare
una Las Vegas di pubblicità e di vendite di ogni tipo non
appena avrà la giusta diffusione planetaria. Sono già
tutti pronti a sbranarselo Internet e temo che anche la nostra bella
esperienza, ammesso che prenda il largo, si troverà nella
burrasca. Una contraddizione, a voler vedere con serenità,
c'è comunque già: Internet è lo strumento galoppante
della globalizzazione, mentre il libro è universale ma elitario.
Il pianeta resta una babele di linguaggi e anche l'inglese non è
più così sicuro di vincere. A parte le resistenze
nazionali ci si comincia a preoccupare anche di alcuni esiti del
trend: tra dieci anni più naviganti cinesi e indiani che
europei e americani e già oggi l'inglese è in calo
mentre crescono non solo le lingue orientali, ma anche l'ispanico.
Il libro non è mai stato un affare, bene che vada non rende
più del cinque per cento dei capitali investiti e la concentrazione
è il segno dell'imminente asfissia. Sono proprio le grandi
case editrici a buttarsi sui nuovi media e non sarebbe una sorpresa
se buttassero, prima o dopo, la zavorra del libro. Che esito avrà,
a questo proposito, un organico e diffuso ingresso dei nuovi media
nella scuola? Perso il libro scolastico l'editoria non rappresenterà
più neanche il misero affare che è attualmente. Credo
che tutta l'industria libraria non concentrata dovrà, prima
o dopo, rifugiarsi nel no profit, nel cosiddetto terzo settore.
La cultura non è in grado di pagarsi gli strumenti, perché
per la prima volta nella storia al progresso economico generalizzato
non corrisponde una crescita della scolarità e della cultura.
In alta Italia, dove c'è lavoro, i giovani disertano le scuole
superiori. Altro che agganciarci culturalmente all'Europa. Molte
nazioni europee aiutano massicciamente l'editoria di cultura e anche
da noi, per mille rivoletti clientelari, di soldi ne arrivano. Si
tratta di spenderli meglio. Già si è estirpata la
domanda di poesia. Nessuno conosce più la musica classica
del nostro tempo se non frequenta i santuari dei conservatori e
poco anche lì. Le nostre tre reti nazionali non trasmettono
musica jazz più di tre o quattro volte l'anno, per propagandare
qualche iniziativa, come Umbria Jazz. Nell'ultimo anno sono passati
in Italia dei mostri di questa musica straordinaria e non hanno
conquistato più della notizia nel telegiornale. Ma di calcio
se ne vede ormai tutti i giorni. Niente va più se non sostiene
la pubblicità e non è un caso se dopo aver fatto pochi
anni fa una nobile battaglia al suono di non si interrompe un'emozione,
oggi anche la RAI, pagata con il canone perché sia in qualche
modo diversa, interrompe quatta quatta i film con una manciata di
spot. Siamo sommersi dalla pubblicità. Il libro non la sopporta
e muore anche per questo. Siamo alla resistenza. Bene, i circoli
dell'Arcilettore potrebbero in questo deserto rappresentare i cento
fiori della resistenza culturale. Esiste ancora una cultura alta?
Ce lo chiediamo mentre università e docenti universitari
aumentano a dismisura nel paese e la scuola, che non ha mai creato
un'editoria universitaria degna di questo nome, conquistata oggi
l'autonomia, si accinge a gestire tutti i pochi soldi destinati
alla cultura oltre che alla scuola. Intanto le magnifiche sorti
dei musei sostenuti da sponsor privati, cantate da cari compagni,
stanno già dissolvendosi. Perché non credere, dunque,
che valga la pena di occupare l'ultima spiaggia del libro, ora che
non interessa più nessuno?
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