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Le code
La pace, come la guerra, ha le sue regole; la notte ha il suo canto

Michelangelo Tomarchio Levi

 

Non è bene fidarsi delle verità apprese in sogno e nemmeno di quelle apprese dai libri. Sono pericolose quelle verità che ci giungono dal sonno. Insidiosi sono i nostri sogni, ma ancora di più quelli degli altri. Bisogna diffidare anche di quelle verità che, sovente, ci giungono accompagnate dal suono di mille zampogne. E danzano, quelle verità insolenti, sotto la luce incerta delle candele, quasi fossero faville pronte per appiccare nuovi incendi. Quelle verità non danzano, invero, ma camminano zoppicando, con i sandali sciolti, sul ciglio di un dirupo.

Frequenta, fratello mio, se non vuoi perire anzitempo in fondo ad un burrone, la più comoda geografia disegnata sugli atlanti e lascia agli scalatori nati la vera roccia, la sublimità dell'altezza, il pericolo dell'ascesa, il rischio delle alte vette dove soggiornano le aquile con due teste, quelle bestiole rare che sono il simbolo della regalità e d'ogni impero. Le due teste non sono un bizzarro scherzo della natura, come ti hanno fatto credere, fratello mio, ma una necessità: ad una certa altezza, quando si sale sopra ogni misura, occorre mantenere un costante equilibrio fra il cielo e la terra. A cosa servirebbero le due teste, fratello, se non a tenere d'occhio il livore dei mediocri che strisciano per terra, parati a festa come generali in congedo, e a schivare le loro frecce avvelenate, senza perdere mai di vista il trono che sta al di sopra le nuvole?!

Vai dove svernano i camosci e intona un canto coi ruscelli, e non stancarti mai, non fare come l'acqua che si congela d'inverno e così trova la sua pace, e il suo sonno è muto fino a primavera. Non fare come l'acqua che lega il suo canto con spine di cristallo perché non disseti più il camoscio, e ai pesci argentati nega il suo asilo.

Strozza il tuo pianto sotto il cuscino, prima di dormire, fallo simile ad un canto, perché non è bene dar da bere al sonno le nostre lacrime, e alle orecchie delicate degli uccelli notturni poco importano i nostri singhiozzi. Solo facili prede essi cercano e non pianti.

Non ricercare nei libri le tue verità e le tue virtù; i libri nascondono terribili menzogne, e più sono antichi e più terribili sono quelle menzogne. L'unica verità è quel tanfo acido e quell'acre odore di carogna che il vecchio libro mastro dei precetti e delle verità eterne trasmette al suo lettore. Lasciali dormire nei sepolcri, questi libri d'oro, perché sono simili a mummie, non hanno più i segni della vita che fu, ma il tanfo della cartapecora e dei bauli.

Non tentare i tuoi esorcismi coi tacchini che stridono come forsennati nel pollaio: non hanno in corpo il diavolo, credimi, ma tanta fame e si contendono rabbiosi una manciata di baccelli. Sappi che il demonio finì in mare coi suoi porci, e lì attende il marinaio, e al naufrago tende tranelli. Non fidarti, dunque, del primo scoglio che incontri in mare aperto, e ad esso non ti aggrappare, fratello mio: interrogalo prima, perché potrebbe essere la coda del demonio e non la terra del demanio quella che t'accoglie.

Guardati da chi sospira e invoca in silenzio il cielo nel chiuso di un augusto tempio, perché potrebbe volere la tua morte.

Guardati dai santi, e prima di leccare le loro stigmate fai un esame di coscienza e cerca di ricordare bene dove hai visto quell'uomo il giorno avanti, se non era forse quell'infame che rubava all'entrata del mercato nella borsa di una povera vecchina. Guardati bene, fratello mio, e arrotola la tua lingua in fretta prima che la tarantola sferri il suo terribile morso.

Guardati dagli umili e da chi dice di sapere di non sapere. Guardati da costoro, perché sono i peggiori: non sanno quello che dicono e vogliono apparire simili ad oracoli quando recitano le loro insensate litanie, e della conoscenza fanno la loro latrina privata dove in segreto vanno a pisciare, e non si lavano le mani, i porcelloni, per non dare nell'occhio!

Osserva le iene quando ridono mentre lacerano coi denti aguzzi la carne putrida di una carogna. Osserva le iene e taci. Osservale però da lontano, perché non si rivoltino per sbranarti. Osserva la saggezza dei loro stomaci e la servizievole pazienza delle loro mascelle. Le iene sono creature della notte, fratello mio, che non sorridono alla vita ma davanti alla morte intrecciano voti. Osserva le loro code tozze: lì si trova tutta la loro saggezza. Parla con le code perché la testa è intenta a mangiare e lo stomaco ad ingozzarsi di carne stagionata. La coda della iena è pronta a parlare. Interrogala, fratello mio, perché molto hai da imparare dalla coda di una iena, e poco dalla bocca di un maestro saggio.

E dico a te, iena vorace: "Non rosicchiare del tutto quelle ossa, perché ci sono ancora dei vermi appostati che attendono impazienti il loro turno, e le formiche verrebbero anch'esse banchettare. Lascia qualcosa pure al pellegrino che va in cerca del suo maestro per queste terre desolate. Lasciagli almeno le ossa nude, siano queste le sue stampelle nella folle corsa verso la saggezza".

Tu che gridi nel cuore della notte, e con la tua voce stridula spaventi l'usignolo che canta al cielo stellato la sua beatitudine, chiedi alle code delle rondini quante stelle ci sono in cielo e non turbare più la pace di queste foreste e di questi monti. Chiedi alle code delle aquile di descriverti la rotta dell'altezza. Chiedi alle code delle iene il senso della vita, ma non disturbare me e i miei usignoli: nostre sono le regole della pace, nostre sono le regole della guerra, e nostro è pure il silenzio della notte e il suo terribile canto.

 

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