Non è bene fidarsi delle verità apprese in sogno e nemmeno di quelle
apprese dai libri. Sono pericolose quelle verità che ci giungono
dal sonno. Insidiosi sono i nostri sogni, ma ancora di più quelli
degli altri. Bisogna diffidare anche di quelle verità che, sovente,
ci giungono accompagnate dal suono di mille zampogne. E danzano,
quelle verità insolenti, sotto la luce incerta delle candele, quasi
fossero faville pronte per appiccare nuovi incendi. Quelle verità
non danzano, invero, ma camminano zoppicando, con i sandali sciolti,
sul ciglio di un dirupo.
Frequenta, fratello mio, se non vuoi perire anzitempo in fondo
ad un burrone, la più comoda geografia disegnata sugli atlanti e
lascia agli scalatori nati la vera roccia, la sublimità dell'altezza,
il pericolo dell'ascesa, il rischio delle alte vette dove soggiornano
le aquile con due teste, quelle bestiole rare che sono il simbolo
della regalità e d'ogni impero. Le due teste non sono un bizzarro
scherzo della natura, come ti hanno fatto credere, fratello mio,
ma una necessità: ad una certa altezza, quando si sale sopra ogni
misura, occorre mantenere un costante equilibrio fra il cielo e
la terra. A cosa servirebbero le due teste, fratello, se non a tenere
d'occhio il livore dei mediocri che strisciano per terra, parati
a festa come generali in congedo, e a schivare le loro frecce avvelenate,
senza perdere mai di vista il trono che sta al di sopra le nuvole?!
Vai dove svernano i camosci e intona un canto coi ruscelli, e non
stancarti mai, non fare come l'acqua che si congela d'inverno e
così trova la sua pace, e il suo sonno è muto fino a primavera.
Non fare come l'acqua che lega il suo canto con spine di cristallo
perché non disseti più il camoscio, e ai pesci argentati nega il
suo asilo.
Strozza il tuo pianto sotto il cuscino, prima di dormire, fallo
simile ad un canto, perché non è bene dar da bere al sonno le nostre
lacrime, e alle orecchie delicate degli uccelli notturni poco importano
i nostri singhiozzi. Solo facili prede essi cercano e non pianti.
Non ricercare nei libri le tue verità e le tue virtù; i libri nascondono
terribili menzogne, e più sono antichi e più terribili sono quelle
menzogne. L'unica verità è quel tanfo acido e quell'acre odore di
carogna che il vecchio libro mastro dei precetti e delle verità
eterne trasmette al suo lettore. Lasciali dormire nei sepolcri,
questi libri d'oro, perché sono simili a mummie, non hanno più i
segni della vita che fu, ma il tanfo della cartapecora e dei bauli.
Non tentare i tuoi esorcismi coi tacchini che stridono come forsennati
nel pollaio: non hanno in corpo il diavolo, credimi, ma tanta fame
e si contendono rabbiosi una manciata di baccelli. Sappi che il
demonio finì in mare coi suoi porci, e lì attende il marinaio, e
al naufrago tende tranelli. Non fidarti, dunque, del primo scoglio
che incontri in mare aperto, e ad esso non ti aggrappare, fratello
mio: interrogalo prima, perché potrebbe essere la coda del demonio
e non la terra del demanio quella che t'accoglie.
Guardati da chi sospira e invoca in silenzio il cielo nel chiuso
di un augusto tempio, perché potrebbe volere la tua morte.
Guardati dai santi, e prima di leccare le loro stigmate fai un
esame di coscienza e cerca di ricordare bene dove hai visto quell'uomo
il giorno avanti, se non era forse quell'infame che rubava all'entrata
del mercato nella borsa di una povera vecchina. Guardati bene, fratello
mio, e arrotola la tua lingua in fretta prima che la tarantola sferri
il suo terribile morso.
Guardati dagli umili e da chi dice di sapere di non sapere. Guardati
da costoro, perché sono i peggiori: non sanno quello che dicono
e vogliono apparire simili ad oracoli quando recitano le loro insensate
litanie, e della conoscenza fanno la loro latrina privata dove in
segreto vanno a pisciare, e non si lavano le mani, i porcelloni,
per non dare nell'occhio!
Osserva le iene quando ridono mentre lacerano coi denti aguzzi
la carne putrida di una carogna. Osserva le iene e taci. Osservale
però da lontano, perché non si rivoltino per sbranarti. Osserva
la saggezza dei loro stomaci e la servizievole pazienza delle loro
mascelle. Le iene sono creature della notte, fratello mio, che non
sorridono alla vita ma davanti alla morte intrecciano voti. Osserva
le loro code tozze: lì si trova tutta la loro saggezza. Parla con
le code perché la testa è intenta a mangiare e lo stomaco ad ingozzarsi
di carne stagionata. La coda della iena è pronta a parlare. Interrogala,
fratello mio, perché molto hai da imparare dalla coda di una iena,
e poco dalla bocca di un maestro saggio.
E dico a te, iena vorace: "Non rosicchiare del tutto quelle ossa,
perché ci sono ancora dei vermi appostati che attendono impazienti
il loro turno, e le formiche verrebbero anch'esse banchettare. Lascia
qualcosa pure al pellegrino che va in cerca del suo maestro per
queste terre desolate. Lasciagli almeno le ossa nude, siano queste
le sue stampelle nella folle corsa verso la saggezza".
Tu che gridi nel cuore della notte, e con la tua voce stridula
spaventi l'usignolo che canta al cielo stellato la sua beatitudine,
chiedi alle code delle rondini quante stelle ci sono in cielo e
non turbare più la pace di queste foreste e di questi monti. Chiedi
alle code delle aquile di descriverti la rotta dell'altezza. Chiedi
alle code delle iene il senso della vita, ma non disturbare me e
i miei usignoli: nostre sono le regole della pace, nostre sono le
regole della guerra, e nostro è pure il silenzio della notte e il
suo terribile canto.
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