"Qu'est-ce donc que le rythme?
C'est l'image même de l'âme."
Diderot
VIII
A quanto seguirà possono servire da accompagnamento
quattro versi tratti dal Wallensteins Tod (Morte di Wallenstein,
atto IV, scena 12) di Friedrich Schiller
- Da kommt das Schicksal - Roh und kalt Faßt es
des Freundes zärtliche Gestalt Und wirft ihn unter den Hufschlag
seiner Pferde - Das ist dal Los des Schönen auf der Erde!
[- Ecco viene il destino - Crudo e freddo Afferra dell'amico
la dolce figura E lo getta sotto lo zoccolo dei suoi cavalli - Questa
è la sorte della bellezza sulla terra!]
Giambi rimati, che si stagliano nel decorso dei
blank verse come lamento di Thekla per l'amato Max Piccolomini caduto
nel combattimento fra cavallerie. Li chiude una sentenza che imprime
il proprio sigillo sul dirge, sul canto funebre; dalla cesura dopo
la seconda arsi (Das ist das Los|...) essa riceve l'energia espressiva,
dalla rima finale la misura: Thekla ha trovato le parole che la
sua disperazione cercava per assumere una forma degna di consenso.
Questo passaggio sarebbe però non drammatico e nella sua brevità
scarsamente credibile, se la di-sperazione non avesse già prima
preso la parola con vigore davanti al pericolo mortale. È stato
de-scritto ciò che è accaduto all'amico e la durezza dei due versi
chiusi da rime "maschili" dice con sufficiente perspicuità lo spietato
irrompere del fato. Quel che poi avviene nella ragazza - tanto che
solo ora può tentare di riprendere fiato - si esprime con piena
e chiara evidenza nel terzo verso, con il quale Thekla non soltanto
porta davanti ai suoi occhi la fine dell'amato, ma testimonia anche
il proprio smarrimento: qui il metro inciampa, il ritmo va fuori
misura. Il dattilo unter den fa saltare la metrica.
Questo errore metrico è in analogia a quanto avviene con gli alessandrini
dell'atto quarto della se-conda parte del Faust, di cui ora parleremo:
se a Thekla si facesse dire unter'n Hufschlag, il verso verrebbe
privato della sua funzione e del suo effetto (almeno possibile).
Al crollo delle speranze, all'inganno del destino, la donna defraudata
della propria felicità risponde, per così dire, con voce rotta ossia
appunto rompendo il ritmo. Per questo già nel verso successivo può
dire questa, perché l'evento noi l'abbiamo udito, siamo stati presenti.
Dich wähl ich zum Erztruch|seß! Also sei fortan...
[Te eleggo a Gran Scal|co! Quindi d'ora innanzi]
Sugli alessandrini maldestri dell'atto quarto della
seconda parte del Faust ha richiamato l'attenzione Albrecht Schöne
- nel commento all'ultima edizione dell'opera riallacciandosi a
Julius Frankenbger - e ha parlato di una "declamazione franta" dell'imperatore
e dei suoi dignitari. Dietro la scelta di questi versi non è obbligatorio
vedere una intenzione caricaturale. Di fatto suonano cupi, e cupo
do-vrebbe essere l'effetto dell'ordinamento imperiale e clericale
che attraverso di essi viene qui restau-rato. Solo che, per questo,
sarebbe bastato dare evidenza all'alessandrino tedesco, che nel
corso del diciottesimo secolo si era poco evoluto e aveva conservato
alcunché di goffo e impettito. Goethe stesso tradusse qualche dramma
francese in blank verse (come fece Schiller con la Fedra) mentre
per le proprie composizioni epiche scelse l'esametro; solo nel diciannovesimo
secolo l'alessandrino divenne in tedesco un verso da ballata, ricevendo
una nuova statica ritmica per il tramite della cesu-ra epica:
Es stand in alten Zeiten | ein Schloß so hoch und
hehr
[C'era nei tempi antichi | un maniero alto e imponente]
Sia detto come digressione: gli alessandrini del
classicismo francese terminano variamente con rime maschili (sillabe
toniche) o femminili (sillabe atone). Le meunier, son fils et l'âne
(Il mugnaio, suo figlio e l'asino) di Jean de La Fontaine :
Quant à vous suivez Mars, ou l'Amour, ou le Prince;
Allez, venez, courez ; demeurez en province ;
Prenez femme, abbaye, emploi, gouvernement:
Les gens en parleront, n'en doutez nullement
[Quanto a voi, seguite Marte o Amore o il Demonio ;
Andate, venite, correte; fermatevi in provincia;
Prendete moglie, prebende, impieghi, governo:
La gente ne parlerà, non abbiate dubbi]
Una volta però introdotta la cesura epica, viene
meno la possibilità estetica della terminazione fem-minile. Ma,
tornando agli alessandrini del Faust, qui assistiamo allo sforzo
linguistico di chi vuol mettere di nuovo in scena qualcosa di risaputo,
di già "verificato". L'imperatore e il suo entourage si impossa-no
delle formule in cui si parlava e si agiva nel passato, ma i versi
antiquati, che danno espressione a un atteggiamento faticoso di
restaurazione voluta con ogni energia, rispecchiano immediatamente
l'ordinamento feudale, che nel pesante drappeggio del broccato cela
soltanto il diritto del più forte, e lo rispecchiano prima ancora
che si sappia come saranno ora il governo e l'amministrazione, che
è poi quanto essi dovrebbero mascherare.
Il metro segue una regola. Ciò lo predestina immediatamente
ad essere la forma espressiva di una norma.
La Fontaine:
L'invention des arts étant un droit d'aînesse,
Nous devons l'apologue à l'ancienne Grèce.
Mais ce champ ne se peut tellement moissoner
Que les derniers venus n'y trouvent à glaner
[Poiché l'invenzione delle arti è un diritto
di primogenitura,
Noi dobbiamo l'apologo all'antica Grecia.
Ma questo campo non lo si può arare al punto
Che gli ultimi non vi trovino nulla da spigolare]
Il richiamo all'antichità produce insieme il riferimento
a un canone. In quanto inventori di una for-ma letteraria, gli antichi
ne garantiscono la correttezza: il suo seguire regole incontestabili.
La for-ma - l'apologo, la favola - rispettando la regola prescritta
diviene credibile come contenitore di una osservazione corretta
e di un giudizio giusto: della morale. Oppure al contrario: quel
che la favola insegna è vero; ma allora anche la favola in sé deve
essere vera, e qui vengono in questione il mot juste, la purezza
del metro e la rima che, nel suo indefettibile e in apparenza spontaneo
comparire, dà piacere e appagamento. Spesso vengono mescolati alessandrini
con versi più brevi e talora bre-vissimi, per sottolineare con tali
variazioni metriche i contrasti, i subitanei trapassi da un punto
di osservazione all'altro, oppure per evidenziare direttamente il
mosso ductus della lettura al alta voce. La tradizione letteraria
custodisce questo ductus; lo delimita e restringe un po', ma al
medesimo tempo gli concede, per dir così, la licentia docendi. Il
metro resta sempre mobile tanto da coincidere con il mutevole ritmo
del discorso. Il ritmo assume molto più esplicitamente la guida
nella lirica di Hölderlin. Dei suoi tardi inni si è pensato per
lungo tempo che fossero stati scritti in "ritmi liberi", ed effettivamente
il calco delle strofe di Pindaro è appena avvertibile per il lettore,
anche quando egli sappia che c'è. Qui la struttu-ra metrica diviene
semplicemente un'armatura sussidiaria e la coincidenza con una forma
antica è un convincimento quasi segreto di un poeta fuori dalla
norma contemporanea. Il tono alto Hölderlin lo trova mediante oscillazioni
che, certo, non spezzano il ritmo, ma lo trasformano in un sottilissimo
intonaco del discorso. Del tutto all'opposto di Stefan George, i
cui versi si esauriscono totalmente nell'attività metrica. Ritmo
e metro possono però divenire tutt'uno anche nella maniera inquietante
della Natürliche To-chter (La figlia naturale) di Goethe. I blank
verse tedeschi al culmine della loro evoluzione sem-brano eliminare
la differenza fra regolarità e regola, si susseguono uno dopo l'altro
come perle in un filo e la loro simmetria ha fatto sorgere il giudizio
corrente secondo cui in tali casi si avrebbe a che fare con un'opera
"non drammatica", il che vale però solo quanto all'azione teatrale
del testo. Il dramma invece sta proprio nella crescente tensione
fra bei discorsi e brutti fatti: l'innocenza e la bassezza mantengono
il medesimo alto livello espressivo; una esistenza viene messa in
pericolo e spinta nella strettoia della distruzione senza che neppure
una parola - sia dell'aggressione, sia del patimento - vada fuori
tempo; la lingua scorre su assassini e vittime come una densa camicia
d'aria. In nessun momento il ritmo mette in questione il metro,
la vita non mette in questione la regola; ritmo e metro si uniscono
nell'incrollabile cadenza dell'oppressione.
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