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Le parole del'amore

Graziano Pampaloni

 
 

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Significativo come il nostro lessico amoroso ed erotico sia praticamente tutto di derivazione greco-latina, a significare che il fenomeno, che ha a che fare con l’evoluzione stessa della specie, è fortemente ancorato al suo passato. Per questo è proprio lí che forse si possono incontrare indicazioni. Anche le poche parole penetrate da altre lingue, soprattutto per via colta, come ad esempio kama (desiderio), yoni (vulva), lingam (fallo), drudo (amante) da cui drut (amico), e il semitico dodi (amato), di per sé sono di tradizione antichissima. Ai moderni non resta che divertirsi nel campo della variazione allusiva e metaforica.

Eros

è termine intatto da oltre tremila anni in occidente. Dal greco è passato non solo al latino (anche se in concorrenza con il calco Cupido) e a tutte le lingue neolatine, ma pure ad altre lingue indoeuropee come inglese, russo, tedesco e non indoeuropee come l’ungherese, ad esempio. Ma quello che per i moderni è un termine che rimanda all’ambito del piacere sessuale, era per gli antichi un dio. Che significato ha simile complessità semantica? Che cos’è l’“eros”?

Esiodo, il primo sistematore dei miti orali greci, nella sua Teogonia racconta che la realtà prese avvio da tre entità: Kaos, Gaia, Eros.(1) Kaos è “il primissimo”, cioè il fondamento; Gaia, oltre che “solida sede degli immortali”, è “petto vasto”, cioè la grande madre, la fornitrice del materiale costitutivo; Eros è definito “il più bello degli dèi immortali”, ma soprattutto lusimeles (scioglimembra), vale a dire una forza che, spiazzando gli esseri, si impadronisce della loro mente e volontà (noon e boulen), rendendoli incapaci di agire autonomamente, in modo da dominarli e manovrarli irreparabilmente.

Assieme ad Imeros (desiderio), accompagna la voluttuosa Afrodite, a dire che il campo della sessualità è attivato da questa triplice forza unitaria. Curiosamente, però, mentre Kaos e Gaia producono nuove realtà, Eros è sterile. Nell’unica vicenda sentimentale attribuitagli: la relazione con Psiche, anche se già in epoca smaliziata (quella di Apuleio), non è fecondo, diversamente da tutte le altre divinità che, appena s’accoppiano, generano! Ciò sottolinea ulteriormente la funzione simbolica di Eros.

Fondamentalmente Kaos ed Eros sono due princìpi antitetici, che agiscono su Gaia: la materia, per produrre la realtà. Sono due forze complementari ma distinte, che si contrappongono e relazionano. L’una, Kaos, rimanda alla formazione per separazione, rottura, segmentazione: l’autogenesi; l’altra, Eros, rimanda alla spinta che provoca fusione, lo stimolo che determina l’unione e l’accoppiamento, dunque la sessualità: l’eterogenesi. Si potrebbe anche dire che sono: spazio e tempo.

D’altra parte anche le probabili etimologie definiscono questi ambiti: Kaos rimanda al verbo chaino (aprirsi, fendersi: separare), mentre Eros al verbo erao (bramare con passione irresistibile: unire). Il primo indica una fissura, il secondo una giuntura. Per questo Gaia: la materia, sottoposta alle due energie, dà origine per fissura (senza sesso) a: Urano, montagne, mare, poi per giuntura (coito con Urano) a: Oceano, Coio, Crio, Iperione, Giapeto Teia, Rea, Temi, Memoria. Febe, Teti, Crono, Ciclopi e tutta una serie di esseri potenti e spaventosi. Più propriamente, perciò, i due princìpi non sono che le due forze che nella tradizione indoeuropea costituiscono il principio distruttore e fondatore Shiva e il principio regolatore e conservatore Visnù. O si potrebbe anche dire che Kaos stacca l’antimateria, dà avvio agli antiesseri; Eros amalgama i componenti e produce gli esseri. Insieme fanno emergere e sussistere la vita e le sue condizioni. Corrispondono al principio negativo e al principio positivo caratteristici della tradizione orientale.

Eros tuttavia non è da confondere con il rapporto sessuale che, in quanto tale, già in Omero, nell’episodio della relazione fra Ares ed Afrodite (Odissea, VIII), è detto Filoteto (accoppiamento) come in Esiodo, che parla di Urano che si accoppia con Gaia bramoso di sesso. Risulta singolare notare come Filoteto (accoppiamento) è prodotto per scissura dalla Notte, assieme a Nemesi (vendetta), Inganno, Vecchiaia, Eris (discordia). Come a dire che il sesso, come tutto, è deperibile, fittizio nella sua seduzione, mentre solo Eros, la passione, resiste al tempo.

L’essere umano è corroso dalla morte e reso folle, se posseduto da Eros. Gli umani vengono spossessati della loro libertà, dell’autonomia di comportamento, dato che l’essere in preda ad Eros è essere in balia di un’energia che non si può controllare. Ma dire questo significa affermare che l’excessus è sperimentare un’uscita da sé, un’assenza di autodominio, non a caso gli antichi hanno immaginato un dio scherzoso, capace di sconvolgere le sicurezze e coinvolgente nella passione per un altro essere; è quindi la divinità pronuba per antonomasia. Eppure c’è uno sforzo in chi è preda della divinità, proprio per ristabilire la solidità della propria autodeterminazione, per recuperare la possibilità di agire. Perché Eros – di per sé un nome proprio, quindi un’aporia semantica – rimanda ad una attività non-umana, divina! Eppure, anche se possiamo farci gioco di una divinità arcaica, appena messole nome libido o pulsione la prendiamo seriamente in considerazione! In quanto denominiamo, pensiamo di essere padroni dei fenomeni, di controllarli. Ma si osservi come anche nella pulsione permanga qualcosa di incontrollabile razionalmente, un fatto che nell’antichità si sarebbe detto divino, e tendenzialmente le attribuiamo una forza incontenibile, addirittura causa di malanni psichici se non le diamo spazio. Non si pensa più ad un dio, ma l’amata o l’amato, che ci fa perdere la testa, assume la stessa funzione!  Però c’è una differenza sintomatica fra noi e gli antichi. Per noi tutto è diventato spiegabile, se non-spiegato, per gli antichi essere posseduti da un dio capriccioso poteva comportare certamente piacere, ma anche sfacelo: perdersi per un mostro, infrangere un tabu. Per questo l’invocare Eros era prima di tutto una preghiera, che ne riconosceva l’onnipotenza ma, contestualmente, una formula apotropaica per scongiurarne i malefizi.

Saffo ce ne dà un esempio mettendo in risalto l’aspetto ferino e perciò irrazionale, ventoso e dunque sconvolgente, incontrollabile e conferma la caratteristica invincibile del dio, che toglie le forze e fa perdere la testa:

Eros,
belva dolce-amara,
invincibile,
simile a vento scatenato fra querce sui
monti,
nell’intimo
mi eccita e sconvolge,
Eros scioglimembra.

Ma un testo ancora più significativo è il quarto coro dell’Antigone, in cui Sofocle presenta la triplice potenza che presiede alla passione e alla sessualità (Eros, Imeros, Afrodite) sottolineando in questo modo la unitarietà divina, ma anche mettendo in risalto la dipendenza totale degli esseri umani dal capriccio della divinità. Chi è posseduto si trasforma in un essere in preda al delirio, incapace di sottrarsi ad un’energia sconvolgente, che può condurre al piacere o al disastro. È infatti l’invincibilità, la caratteristica peculiare della triplice forza, che Sofocle sottolinea. Eros è “invincibile”, Imeros  “trionfa”, Afrodite ci seduce “invincibilmente”:

Eros,
nella lotta invincibile,
Eros, che sulle bestie ti slanci
e vigili sulle tenere guance
della ragazza,
tu che scavalchi il mare
e penetri anche nelle capanne dei poveri:
non immortale,
non umano, che campa una giornata,
può sfuggirti.
Delira chi è colmo di te.

Anche la mente dei giusti

tu trascini all’ ingiustizia,
e al disastro;
tu hai scatenato questa
fra consanguinei
baruffa. Desiderio,
nato dagli occhi
della donna dell’incanto,
potere che sta
fra le leggi fondamentali del mondo,
splendente trionfa.
Seduce invincibilmente
la dea
Afrodite.

Sia Saffo che Sofocle insistono sulla a-machia:  l’impossibilità per gli umani di lottare e riuscire a sconfiggere e quindi dominare Eros. Esserne preda corrisponde ad uno scacco perenne. Però, dal punto di vista narrativo, è ciò che comporta lo scavo interiore, l’assillo analitico e l’autoanalisi.

Terpsis

è termine che indica il piacere fisico, la soddisfazione. È più intenso e perciò si distingue da edonè, che è anche il piacere immaginato nella dimensione mentale ed etica. Viene dal verbo terpo (saziare, appagare, provare piacere), che rimanda  probabilmente al sanscrito trpyati (soddisfare). Esiste infatti una musa Terpsicore (che ama la danza), alludente al piacere del movimento,  c’è il piacere della musica, del canto e dell’audizione, quindi della poesia, come caratteristica di tutte le muse (cfr. Teogonia, 917), vi è il piacere del cibo, ma, se il piacere è dolce, è il piacere per antonomasia: l’orgasmo; questo appartiene al dominio di Afrodite.

È sempre Esiodo a narrare che, nella lotta per il potere assoluto, Kronos, “dal pensare sinuoso”, castrò il padre Urano  per sostituirsi a lui nel dominio. Dal sangue gocciolato su Gaia, nel giro di nove mesi nacquero: le Erinni (tormenti), i Giganti e le Ninfe “dalla lancia di frassino”, mentre dal fallo, lanciato in mare, eiaculò dello sperma (leukos afros, bianca spuma) da cui si originò Afrodite (= nata dalla spuma)(2). Essa viene alla luce già adulta, quindi senza madre e storia, si potrebbe dire senza tempo proprio per sottolineare come l’impulso erotico è improvviso e inspiegabile, ma soprattutto si origina, in fondo, per fissura! Non a caso - al di là degli appellativi geografici come cipria, citera, dai luoghi che tocca - è definita filommede (amante dei genitali, del fallo), e questo è il segno della sua natura. In un mondo in cui il dominio è dei maschi, e in cui è convinzione che solo lo sperma generi, la dea del piacere è definita come amante dell’organo maschile, tanto è vero che Omero, giocando sulla rabbia di un marito tradito, Efesto, ma proprio per questo potendo giudicare senza offesa una divinità, la definisce ouk echethumos (sfrenata, incontinente). La dea è bella (Teogonia), al suo passare spunta l’erba e, in un distico raffinato, con un doppio climax, ascendente e discendente disposto a chiasmo, viene espresso il suo dominio:

le confidenze intime delle ragazze, i sorrisi ammiccanti, gli inganni,
l’orgasmo (dolce terpsis), il sesso (filotes), la seduzione.

Certo è il principio generativo, non a caso Lucrezio ne farà l’energia vivificante del cosmo, ma soprattutto è la dea della sensualità e della sessualità senza freni, proprio per il suo emergere per separazione. Ciò spiega come anche per Afrodite la caratteristica fondamentale sia l’imprevedibilità, per cui gli umani prima di tutto devono invocarla affinché sia benevola: summachos  (compagna nella lotta, alleata), come dice Saffo. D’altra parte per la sua natura la dea, all’operosità di Efesto, preferisce la baldanza di Ares e da questa unione nasceranno: Eros, Anteros, Deimos, Fobos (e altre tradizioni attribuiscono ad essa pure la nascita di Armonia e Priapo, di per sé all’origine esclusivamente divinità della vegetazione e della fertilità, comunque segnate dalla doppia valenza), come a dire la passione individuale, quella mutua, il terrore e la paura, o, alla moderna, il principio erotico e quello tanatico. (3)

Ma è anche vero che, essendo il sesso un’attività in genere piacevole, è la descrizione del coinvolgimento fisico ad emergere sempre più dettagliatamente nelle narrazioni.

Già in Omero si trova spesso il termine filotes, che si riferisce alla pratica sessuale, ma è soprattutto attraverso la figura retorica della reticenza che si fa strada qualche allusione: Ares e Afrodite, non appena si incontrarono andarono a letto e “s’addormentarono”! (Odissea, VIII, 296). Prevalente è il segno dell’impetuosità irrefrenabile e del raggiungimento immediato dello scopo. Ma il dato più singolare è l’affacciarsi dell’ironia, aspetto assente, in genere, nelle situazioni determinate da Eros. (La passione non ammette sarcasmo!) Nello stesso episodio, mentre gli amanti, intrappolati dalle reti prodigiose di Efesto, sono in preda alla vergogna e le dee sono assenti per pudore, Ermes ad una punzecchiatura di Apollo risponde che accetterebbe anche un pubblico ancora più vasto e catene infinite pur di “dormire” con Afrodite.. Ma, trascurando le esagerazioni tipiche dei carmina priapea, sono soprattutto i latini a insistere sulla narrazione, con una duplice modalità.  La descrizione minuziosa del corpo della donna, valga questo esempio tratto dagli Amores (I,V) di:

Ut stetit ante oculos posito velamine nostros,
In toto nusquam corpore menda fuit.
Quos umeros, quales vidi tetigique lacertos!
Forma papillarum quam fuit apta premi!
Quam castigato planus sub pectore venter!
Quantum et quale latus! Quam juvenale
femur!
Singula quid referam? Nil non laudabile vidi,
Et nudam pressi corpus ad usque meum
Cetera quis nescit? Lassi requievimus ambo.
Proveniant medii sic mihi saepe dies!


[Quando senza vesti fu davanti ai miei occhi,
si rivelò perfetta.
Che spalle, che curve vidi e toccai!
Come era adatta ad essere palpata la forma delle mammelle!
Com’era piatto il ventre sotto il bel petto !
Che fianchi! Che cosce di ragazza!
Perché devo riferire ogni caratteristica? Era solo da mangiare, perfetta com’era.
E nuda la strinsi al mio corpo.
Chi non sa il resto? Ambedue, stanchi, ci riposammo.
Spero mi capitino spesso dei pomeriggi così!]

 

 

NOTE

(1) Esiodo cita anche Tartaro, accolto fin dall’antichità come altra divinità primigenia, però giustamente qualche tenue dubbio fu sollevato anche allora. È più logico ridurlo ad elemento geografico. Infatti il testo esiodeo può essere letto anche diversamente in modo da sottolineare come gli dèi abitassero due zone che si richiamavano per antitesi: l’Olimpo “nevoso” ed il Tartaro “tenebroso”; in fondo termini per indicare spazialità contrapposte: l’alto e il profondo, cioè luoghi invisibili o meglio tabu per i viventi umani. A conferma dell’insignificanza teogonica del Tartaro sta il fatto che, nel Simposio, Platone, citando Esiodo per bocca di Fedro, neppure lo nomina. Riprendi la lettura

(2) Ci sono pure tradizioni posteriori che la fanno nascere da Zeus e Dione , o da altri connubi, ma l’importante è individuarne le caratteristiche originarie, che Esiodo e in parte Omero danno. Riprendi la lettura

(3) Ciò potrebbe spiegare l’uso del linguaggio sessuale in funzione aggressiva. Si pensi, ad esempio, a: ‘Pedicabo ego vos et irrumabo’ (= vi inculerò e in bocca vi sborrerò) del Carme 16 di Catullo. Riprendi la lettura

 
 

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