Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione quinta, n. 3852 del 10 luglio 2000
 

(Ai fini della copertura finanziaria delle spese degli enti locali, sono inadeguate forme di copertura riferite ad entrate di futura e incerta acquisizione. In particolare, in caso di incarico professionale, è escluso possa costituire un'idonea copertura finanziaria il previsto finanziamento delle competenze professionali mediante l'accensione futura di un mutuo.

L'obbligazione avente per oggetto l’acquisizione di beni o servizi è riferibile all’ente locale soltanto se all’atto dell’assunzione dell’obbligazione la copertura finanziaria è certa, attuale e tradotta in un formale impegno di spesa sul relativo stanziamento. Ciò presuppone l’accertamento della capienza nel competente capitolo e, qualora la spesa gravi su più esercizi, il rispetto delle norme per l’assunzione degli impegni futuri. In mancanza, l’obbligazione non si perfeziona in capo all’amministrazione ma intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura)

 

 

 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale,

 

  Quinta Sezione

 


ha pronunciato la seguente


DECISIONE



sul ricorso in appello nr. 7753 del 1994, proposto dal Comune di Beinasco, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti P. Scaparone e F. Lorenzoni, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, (....),
 

contro


la Regione Piemonte, in persona del presidente in carica della giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti M. Sorniotto Grella e E. Romanelli, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, (....),


per la riforma


della sentenza del T.A.R. del Piemonte, sezione II, 26 ottobre 1993. n. 311



Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’ atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte,
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 7 marzo 2000, relatore il consigliere Marcello Borioni, uditi gli avv.ti Loria, su delega dell’avv. Lorenzoni, e Romanelli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:



FATTO


Con deliberazione 24 ottobre 1989, n. 476 il consiglio comunale di Beinasco incaricava l’arch. M. V. della progettazione concernente la ristrutturazione delle sedi comunali per l’eliminazione delle barriere architettoniche, prevedendo nella convenzione allegata in cento milioni il compenso dovuto, da sostenere mediante la futura contrazione di un mutuo.

In data 19 ottobre 1990 perveniva all’ente un “preliminare di parcella” per £.43.404.080, delle quali veniva pagato un acconto di £.10.000.000, utilizzando le disponibilità di bilancio.

Con successiva deliberazione 19 dicembre 1991, n. 141, il consiglio comunale approvava un atto transattivo, avente per oggetto il pagamento dell’onorario professionale. L’atto veniva annullato dal Comitato regionale di controllo con determinazione 9 marzo 1992, n. 487, impugnata dal Comune davanti al T.A.R. del Piemonte.

Il T.A.R. rigettava il ricorso con sentenza 26 ottobre 1993, n. 311, che il Comune ha appellato, contestandone la motivazione e la conclusione.

Si è costituita la Regione Piemonte, che ha resistito all’appello, del quale ha chiesto il rigetto.

Alla pubblica udienza del 7 marzo 2000, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.



DIRITTO


L’appello del Comune di Beinasco è infondato.

Con l’atto controverso il Comitato regionale di controllo ha annullato la deliberazione 19 dicembre 1991, n. 141, con la quale il consiglio comunale di Beinasco aveva approvato un atto transattivo relativo al compenso spettante all’arch. M. V. per la progettazione di lavori per la ristrutturazione delle sedi municipali.

La precedente deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n. 476, nell’approvare la bozza di convenzione relativa all’incarico conferito all’arch. V., impegnava “l’onere di £.10.000.000 derivante dal presente provvedimento, al cap. 1086 (770) del bilancio 1989…”. Nell’art. 9 della convenzione si legge che “il saldo delle competenze professionali sarà liquidato a presentazione di regolare parcella…e finanziata congiuntamente allo stanziamento previsto per l’opera”.

L’amministrazione appellante sostiene che la previsione dell’accensione di un mutuo costituiva un’idonea copertura finanziaria e, pertanto, la successiva deliberazione di approvazione della transazione avrebbe soltanto modificato il finanziamento originariamente stabilito. Pertanto a torto il Co.Re.Co. avrebbe ritenuto che con essa sia stato posto in essere un riconoscimento di debito.

Questa tesi non può essere condivisa.

Va premesso che la previsione della copertura finanziaria di provvedimenti che comportano spesa in tanto risponde ai principi di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione) e di sana finanza pubblica (art. 81 della Costituzione; art. 3A del Trattato istitutivo della Comunità Europea) in quanto presenti il requisito della effettività.

In questo senso già era orientato il T.U. 3 marzo 1934, n. 383, che non si limitava ad imporre l’indicazione, nelle “deliberazioni che importino spese”, l’ammontare delle spese e dei “mezzi per farvi fronte” (art. 284, comma I) ma richiedeva la “registrazione del relativo impegno di spesa” previo l’accertamento della “disponibilità del fondo sul relativo articolo” (art. 327, commi I e II).

Queste prescrizioni, ancora più pregnanti alla luce dei principi costituzionali e comunitari dianzi citati, escludono che il previsto finanziamento del saldo delle competenze professionali mediante il mutuo da accendersi per la realizzazione dell’opera costituisca una idonea copertura finanziaria. In ogni caso, sarebbe stata necessaria, per intrinseca coerenza con i principi predetti, una circostanziata valutazione, contestuale all’adozione del provvedimento comportante la spesa, idonea a dimostrare in concreto sia l’attendibilità della previsione circa la contrazione del mutuo sia la possibilità dell’amministrazione di fare fronte alle spese per l’ammortamento. Non risulta che ciò sia avvenuto.

Il fatto, poi, che l’accensione del mutuo non sia stata possibile a causa della sopravvenuta ridotta capacità di indebitamento conseguente all’entrata in vigore del D.L. 12 gennaio 1991, n. 6, convertito in legge 15 marzo 1991, n. 80 – come indicato nella nota 10 febbraio 1992, n. 2418, con la quale il Comune di Beinasco ha fornito chiarimenti all’organo di controllo - non aggiunge né toglie nulla alla irritualità dell’operato dell’amministrazione, ma conferma semmai l’inadeguatezza di forme di copertura riferite ad entrate di futura e incerta acquisizione.

Tanto sarebbe sufficiente per disattendere la tesi dell’amministrazione appellante e condividere l’indirizzo dell’organo di controllo, che ha ravvisato nella citata deliberazione consiliare n. 141/1991, un atto diretto a riconoscere un debito derivante da un provvedimento adottata in mancanza di una idonea copertura finanziaria.

A ciò si aggiunge che la deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n. 476, avente per oggetto il conferimento dell’incarico professionale, è stata adottata dopo l’entrata in vigore della legge 24 aprile 1989, n. 144, il cui art. 23 prevede, al comma 3, che “a tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l'effettuazione di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché l'impegno contabile registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati”; lo stesso art. 23 al comma 4 stabilisce che “nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura.”

Da tale disciplina, che, come emerge da quanto esposto in precedenza, conferma ed avvalora un criterio già rinvenibile nella norme contabili contenute nel T.U. n. 383/1934, discende che l’obbligazione avente per oggetto l’acquisizione di beni o servizi è riferibile all’amministrazione soltanto se all’atto dell’assunzione dell’obbligazione la copertura finanziaria è certa, attuale e tradotta in un formale impegno di spesa sul relativo stanziamento. Ciò che presuppone l’accertamento della capienza nel “competente capitolo” e, qualora la spesa gravi su più esercizi, il rispetto delle norme per l’assunzione degli impegni futuri. In mancanza, secondo la disciplina citata, l’obbligazione non si si perfeziona in capo all’amministrazione.

Risulta, quindi, confermato che l’atto transattivo approvato con la deliberazione consiliare 19 dicembre 1991, n. 141, presenta i caratteri propri del riconoscimento di debito.

Ed è corretta anche l’affermazione che si trattava di una obbligazione sorta anteriormente all’entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142 (12 giugno 1990), poiché, a tal fine, non è rilevante la data in cui il professionista ha presentato gli elaborati progettuali (19 ottobre 1990) e la parcella, ma quella in cui la prestazione professionale è stata ordinata (deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n. 476).

La conseguenza è che, contrariamente a quanto si sostiene nell’appello, la fattispecie non rientrava nella previsione dell’art. 12 bis, comma 3, della legge 15 marzo 1991, n. 80, che consente la regolarizzazione delle situazione debitori “per le opere, le forniture di beni e servizi, le prestazioni ordinate o per le pendenze comunque costituite in epoca successiva al 12 giugno 1990” prevedeva l’applicazione delle disposizioni dell’art. 23 del D.L. 2 marzo 1989, n. 66. Rientrava, invece, nel disposto dei commi 1 e 2 dello stesso art. 12 bis, che fissava “in via definitiva” al 15 luglio 1991 “il termine, perentorio ed a pena di decadenza, per l'adozione della deliberazione di riconoscimento di debiti fuori bilancio” (comma 1) per “le opere, le forniture di beni, di servizi, di prestazioni ordinate o per pendenze comunque costituite in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142” (comma 2).

Sicché esattamente l’organo di controllo ha rilevato che con la deliberazione consiliare 19 dicembre 1991, n. 141, con la quale “si intende riconoscere un debito formatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 142/1990 e non riconosciuto entro il mese di luglio 1991”.

Neppure può convenirsi con l’ulteriore tesi dell’amministrazione appellante, secondo cui, anche se fosse esatto quanto affermato dal Co.Re.Co., la fattispecie andrebbe ricondotta nell’ambito dell’art. 12 bis, comma 4, della legge n. 80/1991, secondo il cui disposto i termini previsti nei commi precedenti non si applicano per il riconoscimento di alcune specifiche situazioni debitorie. Secondo l’amministrazione, i debiti derivanti da transazione, pur se non esplicitamente contemplati dalla norma, dovrebbero ritenersi compresi per “estensione analogica” nella previsione sub lett. a), che concerne i debiti derivanti da “sentenze passate in giudicato”.

Va replicato che il citato comma 4 dell’art. 12 bis presenta un’evidente natura derogatoria ed eccezionale rispetto alla disciplina generale posta dal comma 1. Vanno, dunque, escluse interpretazioni non aderenti alla sua formulazione letterale, tanto più che le fattispecie derogatorie sono individuate in modo analitico e puntuale. A ciò si aggiunge che il ricorso al metodo analogico presuppone che gli elementi essenziali delle situazioni poste a raffronto siano coincidenti e riconducibili alla logica ispiratrice della disciplina positiva. E’ sufficiente ad escludere tale omogeneità la considerazione che l’autorità del giudicato rende certa e intangibile l’obbligazione, al cui adempimento l’amministrazione è vincolata. La transazione scaturisce, invece, dall’esercizio del potere dispositivo ed, in tal caso, l’obbligazione trova fonte diretta ed esclusiva in una autonoma scelta negoziale delle parti. A ciò si aggiunge che, la tesi prospettata nell’appello, se condivisa, consentirebbe facili aggiramenti del termine “perentorio ed a pena di decadenza” posto “in via definitiva” dal citato art.12 bis, comma 1, sicché anziché armonizzarsi cade in chiaro contrasto con la sistematica e la finalità della disciplina citata.

Per le ragioni esposte l’appello va rigettato.

Le spese e gli onorari del grado di giudizio, liquidati in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.



P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello.

Condanna il Comune di Beinasco al pagamento di L. 4.000.000 in favore della Regione Piemonte per spese del grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 7 marzo 2000, con l'intervento dei sigg.ri
Salvatore Rosa presidente,
Corrado Allegretta consigliere,
Marcello Borioni consigliere estensore,
Aldo Fera consigliere,
Marco Lipari consigliere.

 

 

Le sottolineature delle parti del testo ritenute più rilevanti, sono state apportate da Dirittoeschemi

 

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