Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 998 del 19 febbraio 2002

 

(La prova dell'avvenuto recapito grava interamente sul mittente. La prova della conoscenza di un atto recettizio da parte del destinatario non è desumibile mediante la prova della spedizione, occorrendo la dimostrazione, con mezzi idonei e diretti  - in caso di spedizione postale: la cartolina di ricevimento restituita al mittente - della sua consegna. Solo la lettera raccomandata costituisce prova certa della spedizione attestata dall'ufficio postale con la ricevuta, da cui - anche in mancanza dell'avviso di ricevimento - può desumersi il suo arrivo a destinazione.

L’omessa convocazione di tutti i componenti di un organo collegiale determina l’illegittimità delle sedute e delle deliberazioni adottate, che può essere fatta valere dall'avente titolo a partecipare alle sedute, indipendentemente da ogni prova di resistenza sull’esito delle votazioni. Le convocazioni possono essere partecipate anche in luogo diverso dal domicilio dei componenti, ma è essenziale che per ogni riunione sia definito l’ordine del giorno e ve ne sia menzione nella convocazione)

 

 
 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale

 

(Sezione Sesta)

 


ha pronunciato la seguente


DECISIONE

  


sul ricorso in appello n. 12061 del 2000, proposto da A. F., rappresentato e difeso dall’Avv. C. Cosentino, con domicilio eletto in Roma, (....), presso lo studio del medesimo


contro


l’Università agli Studi di Salerno, in persona del Rettore in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui é per legge domiciliata, in Roma (....)


e nei confronti


di V. G., non costituita


per l'annullamento


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione di Salerno – n. 551 del 6 luglio 2000 non notificata

 


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione universitaria;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 6 novembre 2001, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; udito, altresì, l’Avv. Cosentino per l’appellante e l’avvocato dello Stato Tortora;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 


FATTO


Il prof. F., al tempo ricercatore confermato presso la Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali presso l’Università agli studi di Salerno ed unico docente di “Calcolo delle probabilità e statistica matematica", afferente al settore scientifico-disciplinare A02B di Probabilità e Statistica matematica - ebbe ad impugnare, con un primo ricorso (n. 4934/98), davanti al Tribunale Amministrativo Regionale di Salerno, le deliberazioni del Consiglio di Facoltà assunte nelle sedute del 20 maggio e del 17 giugno 1998, con le quali erano decisi, rispettivamente, la mutuazione dell’insegnamento obbligatorio di “Calcolo delle probabilità e Statistica matematica", per il corso di laurea, con quello omonimo, ma opzionale, del corso di diploma, riducendo ad uno gli insegnamenti di detta materia e, bandendo poi, contestualmente, la supplenza interna retribuita del predetto insegnamento, relativamente a quello del corso di diploma (seduta del 20 maggio) e l’affidamento dell’insegnamento, per l’anno accademico 1998/99, alla Prof.ssa V. G., docente associata di “Teoria dell’informazione”, afferente al settore scientifico-disciplinare K05C (seduta del 17 giugno).


Il ricorrente, il quale aveva dedotto - nell’ambito di articolate censure variamente volte a contestare la legittimità delle deliberazioni impugnate sotto diversi profili di violazione di legge ed eccesso di potere – la mancata convocazione alle sedute del Consiglio di facoltà, ottenne la sospensione dei provvedimenti per non avere l’Amministrazione fornito la prova dell’avvenuta convocazione, e, a seguito di ciò l’Università rinnovava il procedimento per il conferimento della supplenza, respingendo la domanda dell’interessato e confermando il conferimento nei confronti della controinteressata.


I relativi atti erano impugnati con successivi ricorsi, poi rubricati ai nn. 685/99, 746/99.


A seguito poi di ulteriore sospensiva accordata dal Tribunale adito previa riunione dei ricorsi e della constatata esiguità dei termini accordati all’interessato per partecipare proficuamente al concorso per l’assegnazione dell’insegnamento, l’Amministrazione universitaria reiterava il procedimento e l’assegnazione della supplenza in capo alla controinteressata. I relativi atti erano impugnati dal docente con ricorso n. 2499/99.


Chiamate le cause alla medesima udienza, la Sezione di Salerno del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 551 del 6 luglio 2000, li riuniva, respingeva il primo, in parte e, in parte lo dichiarava inammissibile e dichiarava improcedibili gli altri.


2. Propone appello l’interessato, deducendo in primo luogo l’illegittimità dl procedimento logico seguito dal primo giudice nel respingere il primo motivo del ricorso n. 4934/98. Del tutto illegittimamente il giudice di primo grado avrebbe ritenuto congrua la prova dell’avviso di convocazione delle adunanze del Consiglio di facoltà, desunta da una certificazione rilasciata da un dipendente asseritamente addetto alle comunicazioni, dal quale sarebbe risultato che, l’avviso in questione sarebbe stato immesso nella cassetta postale a lui intestata nei locali dell’università.


Erroneo sarebbe il convincimento della applicabilità alla fattispecie dell’art. 1335 c.c. e della presunzione di legale conoscenza, fatta derivare da inidonea certificazione della consegna dell’avviso, non considerando, al contrario, che i principi desumibili da tale norma, oltre che viziati dalla certificazione in sé non troverebbero applicazione nel diritto amministrativo.


Nel caso in esame, l’appellante contesta in radice che convocazione vi sia stata e che l’Amministrazione abbia fornito in giudizio una qualche prova giuridicamente rilevante, non potendosi siffatto valore annette ad una dichiarazione postuma del tutto generica, vaga ed imprecisa, proveniente da soggetto di cui pure viene messa in dubbio la qualità di addetto alla consegna delle comunicazioni.


La incongruità, erroneità ed illegittimità del giudizio espresso su tale aspetto della questione dal giudice di primo grado, sarebbe ancor più grave ove si consideri che da esso sono stati fatti dipendere l’inammissibilità degli altri motivi di impugnazione e l’improcedibilità dei successivi ricorsi.


In ogni caso, il ricorrente, criticamente considerando gli altri punti della decisione impugnata, ripropone i motivi di impugnazione già dedotti in primo grado, chiedendo l’accoglimento dei ricorsi riuniti, in totale riforma dell’impugnata sentenza.


Costituitasi l’Amministrazione per resistere all’appello, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 6 novembre 2001 e trattenuta in decisione.

 


DIRITTO


1. Nella controversia in esame, avente ad oggetto provvedimenti dell’Università degli studi di Salerno, in forza dei quali l’attuale appellante – ricercatore confermato presso la Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali - è stato sostanzialmente privato della docenza di “calcolo delle probabilità e statistica matematica”, a seguito di mutuazione disposta con deliberazione del 20 maggio 1008 del Consiglio di facoltà ed assegnata, con supplenza ad altra docente– è in contestazione, in primo luogo e con efficacia assorbente, che l’interessato, avente titolo ad intervenire alle adunanze del Consiglio medesimo, sia stato convocato per quelle in cui vennero adottate le deliberazioni impugnate con il primo dei ricorsi oggetto della pronuncia.


Il Tribunale, che in via incidentale, aveva sospeso, sulla base di tale doglianza, i provvedimenti impugnati (tanto che l’Università aveva immediatamente rinnovato il procedimento di conferimento della supplenza) ha poi deciso, nel merito, rigettando il motivo di impugnazione sul convincimento che fosse stata fornita la prova, da parte dell’Università, della convocazione, attraverso la produzione della dichiarazione di un dipendente (tale G. P., indicato dalla stessa Amministrazione come impiegato addetto alla consegna delle convocazioni del Consiglio di facoltà) - del seguente tenore “il dott. A. F. risulta irreperibile o rifiuta di ritirare le convocazioni suddette. Pertanto esperiti i tentativi suddetti la convocazione viene immessa nella cassetta postale a lui intestata”.


La contestazione di tale capo della sentenza e delle ragioni che la sostengono è fatta oggetto di puntuale censura, con pluralità di argomenti, nel primo motivo di appello, con il quale il procedimento logico giuridico seguito dal giudice di primo grado è sottoposto a sindacato sotto vari profili, sia in ordine alla applicabilità, alla materia, dell’art. 1335 c.c., sia alla possibilità di considerare “indirizzo” del docente la sede universitaria e la cassetta postale alla quale lo stesso aveva accesso, sia infine per quanto riguarda, più specificamente, l’idoneità intrinseca del mezzo offerto dall’amministrazione universitaria quale prova indiretta dell’avvenuta ricezione della convocazione. Il ricorrente insiste dunque per l’accoglimento del motivo di impugnazione proposto in primo grado (in questa sede espressamente riproposto) consistente nella denuncia di violazione dell’art. 18, n. 1, del Regolamento generale Universitario approvato con R.D. 6 aprile 1924 e dell’art. 49 dello statuto dell’Ateneo approvato con decreto rettorale del 2 ottobre 1996, nonché di eccesso di potere per difetto di motivazione.


2. Gli argomenti del ricorrente, ancorché non tutti condivisibili, hanno tuttavia sufficienti elementi di fondamento.


In linea di principio, non può negarsi l’applicabilità, anche nel campo degli atti amministrativi recettizi, della regola di carattere generale stabilita dall’art. 1335 c.c., ove manchino forme tassative di comunicazione o notificazione stabilite dalla legge o da norme regolamentari o comunque da disposizioni di carattere generale, che, nella specie, non si rivengono, né nel Regolamento generale universitario del 1924, né in quello proprio della Università degli studi della quale si tratta.


E’ anche esatta e può essere condivisa la definizione di “indirizzo” alla stregua di (qualsiasi) “luogo che, per collegamento ordinario o normale frequenza o preventiva indicazione appartenga alla sfera di dominio o controllo del destinatario” proveniente da consolidata giurisprudenza (anche di recente, fra le tante, Cass., sez. lav., n. 15696 del 13 dicembre 2000).


E’ tuttavia pacifico che, mentre incombe al destinatario di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di avere notizia della dichiarazione giunta al suo indirizzo, l'onere di provare l'avvenuto recapito, e, cioè, il fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma (determinante l’operatività della presunzione stabilita dall’art. 1335 c.c.), grava interamente sul mittente, ed è su tale fondamentale aspetto della questione che non possono essere condivise le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado.


La Sezione (coerentemente, del resto alla giurisprudenza civilistica, sulla quale si incentra – per i profili considerati - l’intero impianto motivazionale della sentenza appellata) ha avuto modo di precisare che la prova della conoscenza di un atto recettizio da parte del destinatario, a meno che non derivi dalla confessione dell'interessato o da comportamenti univoci che la dimostrino specificamente, non può essere desunta indirettamente, mediante la prova della spedizione, occorrendo la dimostrazione, con mezzi idonei e diretti (quale, nel caso di spedizione a mezzo servizio postale, la cartolina di ricevimento restituita al mittente) della sua consegna al destinatario, personalmente o per il tramite di persona legittimata a riceverla in sua vece (dec. n. 1304 del 9 settembre 1997).


Il suddetto principio si accompagna all’altro, di ordine generale, secondo cui soltanto la lettera raccomandata costituisce prova certa della spedizione attestata dall'ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui - anche in mancanza dell'avviso di ricevimento - può desumersi il suo arrivo a destinazione, mentre, al contrario, il ricorso a diverse forme di comunicazione esige che sia altrimenti ed idoneamente provata l'effettiva spedizione dell'atto, che deve essere fornita con mezzi idonei, anche mediante presunzioni, purché queste siano caratterizzate dai requisiti della gravità, della precisione, e della concordanza (in termini, Cass., sez. II, n. 1265 del 15 febbraio1999).


Sulla base delle regole e dei principi generali che precedono, nessuna efficacia probatoria può essere riconosciuta alla dichiarazione depositata dall’Amministrazione nel giudizio di primo grado.


Non sono stati forniti né prova né indizi univoci della spedizione della convocazione all’interessato (quale potrebbe essere l’assunzione a protocollo di una lettera indirizzata al docente, avente ad oggetto la convocazione di cui si tratta, o un brogliaccio o, comunque un atto interno dal quale risulti l’affidamento - al dipendente indicato in giudizio come soggetto appositamente incaricato - di una lettera del suddetto tenore per la consegna a mano) e non risulta neppure verbalizzata, in occasione delle sedute, l’avvenuta convocazione del componente del consiglio assente.


Quanto alla dichiarazione del dipendente, quand’anche voglia darsi per ammesso (ma per questo occorre affidarsi esclusivamente alle dichiarazioni rese in giudizio dall’Amministrazione) che lo stesso fosse “incaricato” della consegna a mano delle convocazioni del Consiglio di facoltà, la stessa è carente – per le finalità probatorie propostesi dalla resistente (e avallate dal giudice di primo grado) - sotto più di un profilo.


Viene subito in evidenza l’ambiguità della formula secondo cui (il dott. A. F.) “risulta o irreperibile o rifiuta di ritirare le convocazioni suddette”.


Trattandosi di una consegna che l’incaricato avrebbe dovuto effettuare a mano, è davvero strano che l’incaricato medesimo non sia in condizione di specificare se il destinatario fosse irreperibile, ovvero si fosse rifiutato di ritirare la convocazione.


Quanto alla certificata “irreperibilità”, mentre deve osservarsi che la situazione, in sé, non è agevolmente collegabile a soggetto tenuto alla frequenza di un “luogo” in funzione del suo ufficio, dall’altra deve ritenersi che la sua attestazione, per le conseguenze che ne derivano (anche diverse da quelle connesse alla mancata consegna dell’atto), deve recare indicazione della data e del luogo in cui il soggetto é stato ricercato e, per quanto strettamente attiene alla mancata consegna dell’atto, deve essere apposta sull’atto, o sul piego che lo contiene, ovvero su atto avente con questi sicuro collegamento.


Quanto al “rifiuto” (ove non sia direttamente dichiarato e sottoscritto dall’interessato), la sua certificazione – comportando qualificazione di un comportamento omissivo di un soggetto diverso dal dichiarante, cui si riconnettono effetti negativi per il soggetto al quale si riferisce – affinché possa essere ritenuta valida e probante – oltre a richiedere ordinariamente una particolare qualificazione dell’ufficiale certificatore (derivante dalla qualifica in sé o, in difetto, dalla formalizzazione dell’incarico, di cui, nella specie, non è traccia in atti) – deve essere apposta sullo stesso atto del quale è rifiutato il ritiro, ovvero sul piego chiuso che lo contiene, accompagnato dalla data e dall’ora in cui è stato effettuato il tentativo di consegna.


Ma anche a prescindere dalle considerazioni che precedono, non sussistono elementi da quali possa essere desunto che il sito in cui è stata riposta la convocazione – secondo la dichiarazione resa dal dipendente – ossia la “cassetta postale a lui intestata”, avesse connotazioni tali da renderlo a lui sicuramente ed esclusivamente accessibile e che, per le caratteristiche proprie dell’ufficio ricoperto e delle funzioni svolte, fosse anche quotidianamente visitato.


A parte ciò, non è dato stabilire alcun collegamento contenutistico fra la dichiarazione resa e la convocazione di cui è stata denunciata la mancanza ed il relativo ordine del giorno.


Il coacervo di tutti questi elementi conduce a conclusioni totalmente diverse da quelle alle quali è pervenuto il giudice di primo grado.


La Sezione ha avuto, da tempo, modo di chiarire il proprio orientamento in tema di validità delle deliberazioni di organi collegiali assunte in assenza di un membro non convocato, nel senso che l’omessa convocazione della totalità dei componenti del collegio determina l’illegittimità delle sedute e delle deliberazioni adottate, che può essere fatta valere dal soggetto avente titolo a partecipare alle sedute, indipendentemente da ogni prova di resistenza sull’esito delle votazioni, in quanto l’omessa convocazione (con conseguente mancata conoscenza dell’ordine del giorno), costituente impedimento alla partecipazione del componente non convocato alla riunione, lede la sfera degli interessi del singolo con riferimento all’esercizio dell'ufficio di cui è contitolare e del potere decisionale di intervenire o meno alla riunione, e di concorrere, dunque, o meno, al risultato della seduta (dec. n. 909 del 16 novembre 1987).


Con la decisione citata la Sezione, mentre ha ammesso in linea di principio che le convocazioni siano partecipate anche in luogo differente dal domicilio dei singoli componenti, ha tuttavia avuto modo di precisare che in ogni caso è essenziale che per ciascuna riunione sia definito l’ordine del giorno e che se ne faccia menzione nella convocazione.


Anche nella materia civilistica è stato, del resto, autorevolmente affermato che, affinché la deliberazione di un organo collegiale sia validamente assunta è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni, anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla deliberazione (Cass., sez. II, n. 1511 del 19 febbraio 1997).


Correlando i suddetti principi a quanto si è avuto modo di precisare in ordine alla prova della convocazione, non raggiunta nel presente giudizio per le ragioni sopra esposte, il ricorso n. 4934 del 1998 deve essere accolto per la parte relativa alla deliberazione con la quale è stata decisa la mutuazione dell’insegnamento indicato in narrativa, non rinnovata con i successivi atti, ma idonea a travolgerli tutti, per illegittimità derivata, essendo conseguenti e dipendenti dalla suddetta determinazione.


L’appello, pertanto, deve essere accolto per le ragioni esposte, restando assorbita ogni ulteriore censura.


Per la complessità e novità della questione, le spese del giudizio possono essere interamente compensate fra le parti.

 


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), accoglie l’appello in epigrafe e per l’effetto, in totale riforma della sentenza appellata, accoglie i ricorsi nn. 4934/98, 685/99, 746/99 e 2499/99, proposti in primo grado dall’attuale appellante davanti alla sezione di Salerno del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, per le ragioni di cui in motivazione;


Compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio;


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 6 novembre 2001, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Giovanni RUOPPOLO PRESIDENTE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI CONSIGLIERE, EST.
Giuseppe ROMEO CONSIGLIERE
Giuseppe MINICONE CONSIGLIERE
Domenico CAFINI CONSIGLIERE

 

 

 

Le sottolineature delle parti del testo ritenute più rilevanti, sono state apportate da Dirittoeschemi

 

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