Sentenza della Corte dei Conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale, n. 196 del 21 maggio 2003

 

(Sono responsabili gli amministratori locali che affidino ad una impresa, già affidataria di analoghi lavori nello stesso Comune, ulteriori lavori extra-contratto senza il minimo rispetto delle procedure di gara pubblica e in carenza di qualsiasi atto deliberativo di copertura finanziaria; in particolare la responsabilità sussiste, a titolo di colpa grave, per l''ingiustificato ritardo nei pagamenti alla ditta esecutrice e, quindi, per i maggiori esborsi, per interessi e spese legali, sostenuti dal Comune a causa dell'impossibilità giuridica e contabile di fronteggiare puntualmente i pagamenti relativi ai lavori illegittimamente disposti)

 

 


LA CORTE DI CONTI

SEZ. II GIURISDIZIONALE CENTRALE



Costituita dai magistrati:
dr. Tommaso de Pascalis Presidente
dr. Sergio Maria Pisana Consigliere
dr. Gabriele De Sanctis Consigliere
dr. Camillo Longoni Consigliere rel.
dr. Antonio D'Aversa Consigliere



ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 


Nel giudizio di responsabilità amministrativa iscritto al n. 014104 del registro di Segreteria e promosso, con atto d'appello depositato il 24 luglio 2001, dal sig. V. V. e dal sig. A.P., rappresentati e difesi dagli avv.ti C. Caggiano e F. Metta, avverso la sentenza n. 356/01 del 6 marzo/10 aprile 2001 della Sezione giurisdizionale per la Puglia;



Visto il predetto atto d'appello;
Vista la sentenza impugnata;
Viste le conclusioni del Procuratore Generale;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 6 Marzo 2003, il relatore cons. dr. Camillo Longoni e il P.M. in persona del V. Procuratore Generale dr. Alfredo Lener; assenti i difensori degli appellanti;



Ritenuto in
FATTO


Con sentenza n. 356/01 del 6.3/10.4.2001 la Sezione giurisdizionale per la Puglia, facendo uso del potere riduttivo, condannava i sigg. V. V. e A.P. al pagamento, in favore del Comune di Cerignola, della somma di £ 10.000.000 (oltre a rivalutazione ed interessi) per avere gli stessi - quali rispettivamente Sindaco e capo dell'Ufficio Tecnico del Comune all'epoca dei fatti - affidato all'impresa OMISSIS alcuni lavori di pubblica utilità senza alcuna ordinazione scritta e al di fuori di qualsiasi contratto.

La condanna trae origine dal fatto che la soc. OMISSIS, affidataria nell'anno 1989 del servizio di manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione ed aggiudicataria dei lavori di ristrutturazione della illuminazione di alcune traverse del corso cittadino (contratto reg. n. 92 del 25 gennaio 1991), era stata informalmente incaricata di eseguire altri lavori di tipo analogo. Il Comune, però, non essendo stato in grado di liquidare il corrispettivo per mancanza di fondi, ebbe a subire un danno pari a £ 44.081.045 relativo ai maggiori esborsi per interessi e spese di giudizio a seguito dell'avvio dell'inevitabile procedimento ingiuntivo.

Con atto d'appello depositato il 24 luglio 2001 i soccombenti, rappresentati e difesi, dagli avv.ti Chiara Caggiano e Franco Melta, hanno impugnato la predetta sentenza, contestando, anzitutto, la riferibilità del danno erariale al loro comportamento. I maggiori esborsi sarebbero stati originati dalla inadempienza di soggetti diversi, che non consentirono l'inserimento del credito vantato dalla OMISSIS tra i debiti fuori bilancio e si opposero, poi, in maniera errata ai decreti ingiuntivi, promossi dalla OMISSIS per la vicenda in parola. Si sarebbe, pertanto, determinata - a giudizio degli appellanti - l'impossibilità di un corretto svolgimento del processo civile e della conseguente individuazione dei soggetti veramente responsabili. Non sussiste, infatti, prova di qualsiasi responsabilità degli attuali appellanti e, meno che mai, di una responsabilità per dolo o colpa grave.

Affermano conclusivamente gli appellanti che essi sarebbero stati condannati a titolo di mera responsabilità oggettiva.

Si chiede, pertanto, la declaratoria d'insussistenza della loro responsabilità e, ove occorra, l'accoglimento della richiesta istruttoria di audizione personale di tutti i soggetti, tra i quali il responsabile legale della OMISSIS, in grado di fornire “testimonianze” utili alla ricostruzione dei fatti.

Con atto depositato il 16 maggio 2002 la Procura Generale ha rassegnato le proprio controdeduzioni.

Osserva il Requirente che, in base alle relazioni del Capo dell'Ufficio Tecnico al Commissario Straordinario n. 7925 del 5.10.1993 e n. 7928, l'affidamento dei lavori avvenne senza che la relativa perizia di variante fosse approvata (fattura n. 193 del 28 agosto 1991 concernente i lavori eseguiti tra le vie Andorra, Taggia e Candela) ovvero senza aver prima reperito i fondi necessari per il finanziamento della spesa (fatture n. 203 e n. 204 del 5.9.1991 per i lavori riguardanti Via S. Lenardo e Via Bardonecchia). Non v'è alcun dubbio che in entrambi i casi si sia proceduto ad affidare “contra legem” ad una impresa, già affidataria di analoghi lavori nello stesso Comune, ulteriori lavori extra-contratto senza il benché minimo rispetto delle procedure di gara pubblica e in carenza di qualsiasi atto deliberativo di copertura finanziaria.

La fattispecie, caratterizzata dalla grave mancata osservanza delle norme procedurali di affidamento di lavori pubblici, non consente spazio ad esimenti basate su pretesi vantaggi economici, né permette di valutare, ai fini di una diversa valutazione del nesso causale, il comportamento di altri soggetti che non hanno inteso procedere al riconoscimento di debiti fuori bilancio o che hanno trascurato di proporre tempestivamente opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall'OMISSIS.

Ciò che, infatti, rileva ai fini dell'affermazione del nesso di causalità è che il comportamento gravemente omissivo del Sindaco V. e del Capo dell'Ufficio Tecnico A., (i quali hanno scientemente impedito l'avvio e lo svolgimento di regolari procedure amministrative e contabili di affidamento di pubblici lavori) è stato sufficiente ad attivare il fenomeno dannoso.

La fattispecie - ribadisce il Requirente - deve essere inquadrata nel contesto della normativa vigente all'epoca dei fatti (con particolare riferimento alla legge 24 aprile 1989, n, 144) secondo cui le amministrazioni locali possono effettuare spese esclusivamente in presenza di apposita deliberazione autorizzativa e del relativo impegno contabile; sicché in mancanza di tali presupposti il conseguente rapporto obbligatorio sarebbe intercorso soltanto tra il privato fornitore o esecutore dei lavori e l'amministratore o il funzionario che avessero “consentito” la fornitura o l'esecuzione dei lavori.

Il Sindaco era a perfetta conoscenza dei lavori “de quibus” la cui esecuzione non si peritò di impedire. Lo stesso è a dirsi dell'ing. A. . Questi era anch'egli perfettamente consapevole dell'esecuzione dei lavori, per i quali non erano stati approvati il progetto suppletivo e la perizia di variante.

Lo svolgersi della vicenda denota lo scarso interesse e la grave negligenza, con cui sia il Capo dell'Amministrazione sia il Capo del settore tecnico del Comune hanno curato gli interessi pubblici, laddove consentirono ad una impresa, sol perché già operante sul territorio comunale, di avviare ed eseguire lavori di pubblica utilità di propria iniziativa, al di fuori di ogni copertura giuridica e finanziaria.

Il Requirente conclude chiedendo il rigetto dell'appello e la condanna alle spese processuali degli appellanti.

Con fax del 4.3.c.a. l'avv. Caggiano ha chiesto un rinvio, per motivi di salute, dell'udienza dibattimentale fissata per la data odierna. Il Collegio, sentito il P.M., ha ritenuto di non accedere alla richiesta nella considerazione che il mandato difensivo risulta conferito dagli appellanti anche all'avv. Metta, per il quale non è dato rilevare un giustificato impedimento a partecipare all'udienza dibatti-mentale.

Avviato il dibattimento, è intervenuto il P.M. il quale ha confermato le argomentazioni scritte.



Considerato in
DIRITTO


Giova precisare, anzitutto, al fine di una corretta impostazione della lite che ne occupa, che i soccombenti in primo grado, ora appellanti, sono stati chiamati in giudizio e condannati per aver essi ordinato, o tollerato che fossero eseguiti, lavori non autorizzati nelle forme di legge e senza alcuna copertura finanziaria; con ciò determinando un ingiustificato ritardo nei pagamenti alla ditta esecutrice dei lavori e, quindi, un maggior onere, per interessi e spese legali, a carico del Comune beneficiario dei lavori in parola. Esula, quindi, dal “petitum” risarcitorio ogni riferimento ai lavori in sé, la cui “utilitas” è stata di fatto pacificamente riconosciuta dall'ente locale interessato.

Posta in tali termini la questione, non può non prendersi atto dei seguenti punti, risultanti “de plano” dagli atti di causa.

I lavori di ampliamento e di attivazione della rete di illuminazione pubblica, indicati nella parte in fatto della presente sentenza, erano stati avviati e condotti a termine prescindendo da un progetto esecutivo preventivamente approvato e senza il supporto di qualsiasi copertura finanziaria;

2- sia il V., quale Sindaco pro tempore, sia l'A., quale capo dell'U.T. del Comune, erano ben  consapevoli dell'avvio dei lavori di cui sopra. Ne fanno fede, senza margini di dubbio, le relazioni del Capo dell'Ufficio Tecnico n. 7925 del 5.10.1993 e n.7928 del 5.10.1993, nelle quali si pone in evidenza che i lavori eseguiti tra le via Andorra, Taggia e Candela vennero affidati dagli amministratori dell'epoca pur in difetto della approvazione della relativa perizia e che i lavori riguardanti la via S. Leonardo e la via Bardonecchia vennero affidati in assenza di alcuna progettazione e “in attesa di reperire i fondi necessari per il finanziamento”.

Peraltro, che il Sindaco V. fosse a perfetta conoscenza della esecuzione dei lavori de quibus è provato dal fatto che egli ebbe a chiedere l'allaccio dell'energia illuminante prima ancora che i lavori fossero ultimati. Quanto all'ing. A., occorre convenire con i primi giudici che anche se i lavori fossero intervenuti a sua insaputa (e così non è, attese le relazioni predette), tale circostanza denoterebbe a suo carico “una maggiore colpevolezza poiché significherebbe che l'Ufficio Tecnico (da lui diretto; n.d.r.) non era capace di avere sotto controllo gli interventi che una impresa non autorizzata andava realizzando sulle strade cittadine quand'anche di periferia

3 - non era giuridicamente possibile procedere ad un autonomo riconoscimento del debito, atteso l'art. 23 del D.L. 2.3.1989, n. 66 convertito nella legge 24.4.1989, n. 144, ai sensi del quale le amministrazioni locali potevano effettuare spese solo se supportate da apposita deliberazione autorizzatoria contabile, con la conseguenza che, nel caso di acquisizione - come nella specie - di beni e servizi in violazione del predetto obbligo, il rapporto obbligatorio sarebbe intercorso tra il privato affidatario delle forniture dei lavori e l'amministratore che aveva irritualmente disposto l'affidamento.

A fronte del quadro di riferimento sudelineato si appalesa evidente la responsabilità dei convenuti ora appellanti. Essi, anche ammesso (e non concesso stanti le relazioni summenzionate) che i lavori in questione non fossero stati esplicitamente (sia pure verbalmente) affidati, avevano il primario dovere - in adempimento del corretto esercizio delle loro funzioni di capo dell'Amministrazione, il V., e di capo e quindi, di sovrintendente dei lavori pubblici comunali, l'A. - di intervenire tempestivamente per impedire che i lavori in questione fossero avviati d'iniziativa della OMISSIS prima della predisposizione e approvazione dei relativi progetti tecnici e del reperimento dei necessari fondi per la copertura finanziaria. Non avendo ottemperato a tale dovere, essi non possono non essere riconosciuti responsabili a titolo di colpa grave dei maggiori esborsi (in termini di interessi legali e di spese di giustizia ) sostenuti dal Comune per l'impossibilità giuridica e contabile di fronteggiare puntualmente i pagamenti relativi ai lavori illegittimamente disposti. Non si dimentichi che gli attuali appellanti avrebbero dovuto rispondere, a suo tempo, nei confronti della OMISSIS, ai sensi della menzionata legge n. 144 del 1989, allora vigente, per l'intero ammontare dei lavori non autorizzati nella forme di legge. Sicché è del tutto fisiologico che rispondano, adesso, dei maggiori esborsi intervenuti a seguito della procedure ingiuntive subite dal Comune a causa del loro comportamento omissivo.

Essendo preclusa in forza della citata normativa la possibilità di riconoscere l'insorgenza di alcuna obbligazione riferibile all'ente per prestazioni irregolarmente disposte, fatte eseguire o consentite al di fuori di una espressa volontà decisoria degli organi a ciò legittimati (c.d. principio di procedimentazione dell'azione amministrativa), la problematica, sollevata dagli appellanti, circa la rilevanza (liberatoria per interruzione del nesso causale) dei comportamenti degli amministratori, succeduti al V., i quali non avrebbero proceduto al “riconoscimento del debito” e alla valida a tempestiva opposizione ai decreti ingiuntivi, appare chiaramente infondata e fuorviante.

E' bene ribadire, al riguardo, che alla base della controversia insorta tra l'OMISSIS e il Comune sta, infatti, in rapporto causale diretto, immediato e sufficiente, comportamento gravemente colpevole degli attuali appellanti, che - si torna a ripetere - disposero irritualmente o comunque consentirono i lavori, che ne occupano.

In tale ottica si rendono del tutto inutili che richieste istruttorie di prove testimoniali, riproposte in questa sede dagli appellanti.

Attese le considerazioni soprasvolte, l'appello “de quo” non può trovare accoglimento; la sentenza impugnata, di cui si condividono pienamente argomentazioni e conclusioni ivi comprese quelle relative all'esercizio del potere riduttivo, va pertanto confermata.

Le spese seguono la soccombenza.



P. Q. M.


La Corte dei Conti, Sez II giurisdizionale centrale, ogni contraria istanza eccezione e difesa reietta, respinge l'appello proposto dai sigg. V. V. e A.P. avverso la sentenza n. 356/01 del 6.3/10.4.2001 della Sezione giurisdizionale per la Puglia.

Condanna i summenzionati al pagamento delle spese processuali anche per il presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 172,70 (centosettantadue/70).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 marzo 2003.

L'ESTENSORE Camillo Longoni

IL PRESIDENTE Tommaso de Pascalis
 

 

 

Le sottolineature delle parti del testo ritenute più rilevanti, sono state apportate da Dirittoeschemi

 

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