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DOCUMENTI Anche la volontà di evitare noie può far scattare la concussione
     (commento a cassazione 15 settembre 2000 n. 9737 - di Ilaria Feola, Avv. in Napoli)



I delitti di concussione e corruzione sembrerebbero presentare fisionomie ben composte e differenziate: l'una integrando "un'estorsione" perpetrata dal soggetto pubblico, l'altra uno scambio tra questi ed un extraneus che liberamente sceglie di "stipulare" un pactum sceleris.

Ma, al di là delle apparenze, il distinguo tra la corruzione e la concussione - segnatamente nella forma dell' "induzione" o "ambientale" - resta uno dei più tradizionali problemi dogmatici.

La stessa riforma della materia, introdotta con la legge n. 86 del 1990, non ha recato, al riguardo, alcun apporto decisivo.

Tradizionalmente, le maggiori difficoltà interpretative ruotano intorno alla condotta concussiva di induzione. Il fatto che la corruzione sia caratterizzata da una "ricezione" da parte del soggetto pubblico e che la concussione possa realizzarsi anche semplicemente con costringimento ed induzione ai danni del privato da cui consegua una "dazione" e, di contro, una "ricezione", individua il piano della possibile sovrapposizione.

Il criterio tradizionale, seguito dalla giurisprudenza più antica, distingueva concussione e corruzione secondo che l'iniziativa dell'azione delittuosa fosse stata assunta rispettivamente dal pubblico agente o dal privato.

Tuttavia contro questa ricostruzione furono mosse, da dottrina e giurisprudenza, alcune obiezioni di fondo.

Innanzitutto, si osserva, si avrebbe concussione anche senza l'iniziativa del pubblico funzionario, qualora quest'ultimo tenesse un comportamento volutamente ostruzionistico, tale da spingere il privato a prendere l'iniziativa ed a fare l'offerta: "l'abuso delle funzioni del pubblico ufficiale, richiesto dalla legge per la configurabilità del reato di concussione, ben può esser realizzato mediante l'omissione o il ritardo di un atto dovuto. Pertanto porre in essere sistemi defatigatori, di ritardo o di ostruzionismo nel corso di una verifica fiscale, facendosi dare o promettere denaro in cambio di una sollecita e favorevole definizione della verifica, e ritardare l'espletamento di essa, in attesa della realizzazione dell'indebito profitto, costituisce, nel concorso delle altre condizioni volute dalla legge, il reato ipotizzato di concussione" (Cass., 6/12/1988, in Cassazione penale, 1990, p. 408).

Nello stesso senso, si afferma che "sussiste il reato di concussione anche quando sia lo stesso privato ad offrire al soggetto pubblico denaro o altra utilità, qualora l'offerta rappresenti non già l'atto iniziale, bensì il logico sbocco di una situazione gradatamente creatasi anche attraverso allusioni o maliziose prospettazioni di danni, che possono consistere anche nella pratica impossibilità di lavorare nel settore pubblico. Tale intimidazione può cogliersi anche quando il comportamento, all'apparenza non coartato, del privato sia in realtà conseguenza di una situazione ambientale nella quale l'atteggiamento concretamente tenuto dai pubblici amministratori non offra alternative differenti dal piegarsi alle illegittime pretese o aspettative dei medesimi" (Appello Roma, 3/6/1993, n. 940018).

Va, inoltre, tenuto presente che con la riforma del 1990 si è introdotta la figura della istigazione alla corruzione passiva (art. 322, commi 3 e 4): di conseguenza il criterio dell'iniziativa appare oggi inutilizzabile ai fini della distinzione.

Accertata l'inadeguatezza del criterio dell'iniziativa, venne affermandosi quello cd. del pactum sceleris, secondo il quale si dovrebbe ritenere configurata la corruzione ogniqualvolta la promessa o la effettiva dazione dell'indebito sia stata il risultato di un accordo paritario fra il pubblico ufficiale ed il privato; mentre si avrebbe concussione in caso di accordo "viziato" dal cd. metus publicae potestatis. Solo nel secondo caso, quindi, verrebbe a mancare la par condicio contractualis: il privato, per evitare conseguenze negative indesiderate, deve accettare.

La giurisprudenza orientata in questo senso è dominante: si sostiene che "i reati corruzione e concussione hanno in comune la qualità del soggetto attivo, l'abuso delle funzioni e la illiceità del profitto, ma differiscono tra di loro per la posizione in cui agiscono i soggetti, che nella corruzione è di parità e di libera volontà nella formazione dell'illecito, mentre nella concussione la volontà del privato è viziata dal prepotere su di essa esercitato dal pubblico ufficiale, dal metus pubblicae potestatis, dalla coartazione o dalla induzione operata dal pubblico ufficiale" (Cass., 4/10/1981, in Rivista penale massimario, 1982, p. 295).

La Cassazione afferma poi che "si ha delitto di concussione e non quello di corruzione quando il privato si è determinato ad una promessa indebita, non per effetto di una deliberazione spontanea, sia pure favorita da iniziativa del pubblico ufficiale, ma a causa di timore del danno minacciato dal pubblico ufficiale o per la necessità di evitare maggiori danni o molestie. L'eventuale insorgenza di una fase di trattative fra il pubblico ufficiale e il privato può verificarsi anche nella concussione, ma non per questo la condotta del funzionario si trasforma automaticamente nel meno grave reato di corruzione" (Cass., 10/2/1982, in Cassazione penale, 1983, p. 1755).

Anche la giurisprudenza più recente non dà rilievo alla fase delle trattative per distinguere le diverse ipotesi di reato poiché "l'eventuale insorgere di trattative tra il pubblico ufficiale ed il privato non comporta necessariamente il configurarsi del delitto di corruzione, quando la volontà del privato stesso sia coartata e non sia libera di determinarsi" (Cass., 23/9/1993, in Cassazione penale, 1995, p. 52).

Inoltre, la stessa Corte stabilisce che vi possono essere diverse forme del metus pubblicae potestatis. Si afferma che "il metus pubblicae potestatis, pur essendo presente in ogni forma del reato di concussione, si atteggia in modo diverso a seconda che il soggetto passivo soggiaccia alla costrizione ovvero alla induzione per persuasione, ovvero ancora alla induzione per frode. Nel primo caso esso consiste in un danno apertamente minacciato dal pubblico ufficiale. Nel secondo si risolve nella soggezione alla posizione di preminenza del pubblico ufficiale medesimo, il quale abusando della propria qualità o funzione, faccia leva su di essa per suggestionare, persuadere o convincere a dare o promettere qualcosa allo scopo di evitare un male peggiore. Nel terzo, infine, il metus, si riduce, per effetto dell'inganno, al timore delle conseguenze della propria condotta non conforme alle esigenze artatamente prospettate dal pubblico ufficiale, e in definitiva, al modello di comportamento da lui rappresentato come opportuno" (Cass., 6/7/1984, in Cassazione penale, 1985, p. 1819).

Ma il criterio del metus pubblicae potestas non è parso da solo sufficiente. Anche quando la posizione tra il pubblico ufficiale e il privato non è paritaria, infatti, si avrebbe corruzione e non concussione se il privato tende a conseguire un vantaggio illecito a danno della pubblica amministrazione, sia che questo vantaggio consista nell'evitare un giusto provvedimento per lui pregiudizievole, sia che si concreti nel conseguire un utile che non gli compete. Questo parametro aggiuntivo viene espresso affermando che nella corruzione il privato "certat de lucro captando" (mira a realizzare un vantaggio ingiusto) mentre nella concussione il privato "certat de damno vitando" (mira ad evitare un danno ingiusto) (Venditti, Corruzione (delitti di), in Enciclopedia del diritto, X, 1969, p. 762).

Ma anche questo criterio può essere confutato, sol che si consideri che si ha corruzione (nonostante che il privato certat de damno vitando) nell'ipotesi in cui il privato offra denaro al pubblico ufficiale per indurlo, ad es., ad omettere un rapporto per un reato dal privato effettivamente compiuto: ad un'attenta analisi, si può dire che i due parametri tendono a confondersi poiché il privato cerca di evitare un danno ossia il deferimento all'autorità giudiziaria, ma nel contempo consegue un ingiusto vantaggio ossia l'omissione del rapporto (Segreto De Luca, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, 1991, pp. 297 s.).

Sull'argomento, anche in giurisprudenza si sono registrate posizioni divergenti.

Le Sezioni Unite della cassazione hanno privilegiato il comportamento dei soggetti rispetto alla natura dell'atto. Si afferma, infatti che "non rileva tanto la circostanza della contrarietà dell'atto ai doveri di ufficio, quanto la condotta del pubblico ufficiale, il quale, in caso di concussione, deve aver creato o insinuato nel soggetto passivo uno stato di paura o di timore atto a eliderne o viziarne la volontà, di guisa che sia costretto ad esaudire la illecita pretesa al fine di evitare il nocumento. La contrarietà ai doveri di ufficio ed il fatto che il privato già versi in illecito e tragga giovamento dall'atto del pubblico ufficiale, non sono elementi idonei a far escludere la concussione, potendo benissimo verificarsi che la gravità del male minacciato o la subdola pericolosità dell'azione fraudolenta, mantengano inalterata la posizione di preminenza intimidatrice del pubblico ufficiale sulla turbata e intimorita volizione della vittima. Se non c'è questa preminenza, il privato, ove sia consapevole dell'antigiuridicità dell'atto offerto dal pubblico ufficiale, accettando di pagare, o comunque, sollecitando lo stesso pubblico ufficiale a ricevere l'iniqua mercede, agisce in piena coscienza, posto che il suo consenso, non solo non è viziato, ma è finalizzato al pari di quello dell'intraneus a realizzare un indebito lucro in condizioni di parità contrattuale: di qui l'ipotesi di corruzione propria ex art. 319 c.p." (Cass. s.u., 27/11/1982, in Giustizia Penale, II,1983, p. 257).

Più di recente, si è affermato che "In tema di distinzione fra concussione e corruzione, premesso che la prima di dette figure di reato è caratterizzata dal metus publicae potestatis, per cui, di regola, il concusso certat de damno vitando mentre, nella corruzione, il corruttore certat de lucro captando, deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l'indebita dazione o promessa di danaro o altra utilità da parte del privato, nulla rilevando che anche quest'ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio, sempre che, tuttavia, si tratti di un vantaggio costituito da utilità alle quali il privato avrebbe potuto legittimamente aspirare anche prima dell'intervento del soggetto pubblico, ed al quale sarebbe altrimenti costretto a rinunciare, costituendo proprio tale forzata rinuncia l'oggetto della prospettazione di danno ingiusto da parte del concussore. Per converso, se il lucrum captandum da parte del privato non sia soltanto l'effetto naturale della mancata realizzazione del danno ingiusto, ma costituisca la finalità esclusiva o prevalente del favore offerto dal soggetto pubblico o a lui richiesto, ponendosi l'accordo fra le parti in termini di sinallagmaticità e, quindi, di libera contrattazione, con esclusione di ogni soggezione del privato nei confronti del soggetto pubblico, il reato configurabile risulta quello di corruzione" (Cass. 8/11/96 n. 10851, in Cassazione Penale, 1998, p.71).

E se il privato si decidesse a compiere l'atto desiderato dal pubblico ufficiale non per timore, ma anche al solo scopo di evitare noie o per quieto vivere? Ad avviso di parte della dottrina in siffatte ipotesi il criterio distintivo del metus publicae potestatis incontra un limite di validità.

Di qui, la proposizione di un ulteriore criterio, cd. della condotta abusiva. Nella concussione, si afferma, il contegno "abusivo" del pubblico ufficiale non rappresenta mai un comportamento desiderato dall'altro soggetto che, dunque, non si rappresenta mai, come scopo della propria prestazione, quello di favorirne la attuazione (o la prosecuzione, ove abbia già iniziato ad attuarsi). Nella corruzione, al contrario, l'indebito è dato o promesso proprio per ottenere che il pubblico ufficiale commetta l'abuso, in quanto ciò il privato desidera.

Quindi, nella concussione l'abuso è strumentale, e la promessa o la dazione indebita sono dirette ad ottenerne la cessazione. Nella corruzione il rapporto è invertito: la promessa o la dazione indebita sono strumentali, rispetto alla attuazione dell'abuso da parte del pubblico ufficiale (Contento, Concussione, in Padovani [a cura di] LP, I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, 1996, pp. 108 ss.).

Di diverso segno la soluzione proposta dalla Corte di Cassazione (sentenza 15 settembre 2000 n. 9737): "In tema di distinzione fra corruzione e concussione, devesi ritenere che nella prima figura criminosa gli agenti trattino pariteticamente e si accordino nel pactum sceleris con convergenti manifestazioni di volontà, mentre nella concussione la par condicio contractualis è inesistente perché dominus dell'illecito affare è il pubblico ufficiale che costringe o induce il soggetto passivo a sottostare all'ingiusta richiesta; lo stato di soggezione della vittima della richiesta concussiva può assumere, peraltro, molteplici aspetti, non essendo elemento essenziale del reato un effettivo metus publicae potestatis (inteso come stato psicologico di timore in cui versi il privato), essendo solo necessario che il privato, a seguito dell'abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico ufficiale, sia costretto o indotto alla prestazione indebita, e ciò anche qualora il privato acconsenta alla richiesta non per timore del pubblico ufficiale, ma (ad esempio) esclusivamente per evitare maggiori danni o per non avere noie".

In questo modo, quindi, la Suprema Corte sminuisce il criterio del metus publicae potestatis a favore della pura e semplice par condicio contractualis: se il rapporto tra privato e pubblico non è paritetico, ma squilibrato in favore di quest'ultimo, si sarà in presenza di una fattispecie concussiva. Correzione di rotta che, comunque, non pare risolvere il problema, stante la difficoltà pratica di dimostrare la sussistenza o meno della par condicio nei casi-limite di concussione per induzione ed ambientale.


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