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GIURISPRUDENZA 2000 Corte di Cassazione sez. III penale - sentenza 16 maggio 2000 n. 5646

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del G.u.p. dello stesso Tribunale, emessa in data 1 luglio 1999.con la quale in sede di rito abbreviato, I. G. veniva condannato per il delitto di violenza sessuale continuata ed aggravata perché commetteva atti di libidine su minori infraquattordicenni ed inferiore una di anni dieci, deducendo quali motivi l'illogicità manifesta e la carenza della motivazione e l'erronea applicazione di norme di legge in ordine all'applicazione dell'attenuante ad effetto speciale di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p., giacché, dopo aver asserito la gravità dei fatti per suffragare la credibilità ed attendibilità delle affermazioni delle parti offese. concede la predetta attenuante, per la "mancanza di violenza o di atti lesivi di integrità fisica" mentre applica detta diminuente "per consentire una pena aderente ai fatti e superare il rigore delle sanzioni previste dall'art. 609 bis e ter c.p." senza valutare in concreto la fattispecie.

MOTIVI DELLA DECISIONE. Occorre rilevare che esula dai poteri del giudice di legittimità una rilettura degli elementi di fatto, su cui si fonda la decisione, essendo detta valutazione riservata al giudice di merito, mentre la Corte di Cassazione deve accertare se quest'ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l'iter argomentativo seguito, delle ragioni poste a fondamento della decisione (Cass. sez. un. 29 gennaio 1996 n. 930, Clarke rv. 203428 cui adde Cass. sez. un. 16 dicembre 1999 n. 24, Spina rv. 214793) nei limiti stabiliti dall'art. 606 lett. e) c.p.p. cioè se il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato.

Infatti la mancanza di motivazione va rilevata nell'assenza di necessari passaggi o di argomentazioni, indefettibili al fine di renderlo verificabile ovvero quando sia stato omesso il punto sottoposto all'esame del giudice oppure la motivazione sia solo apparente, dovendo tali vizi risultare "dal testo del provvedimento impugnato", sicché il giudice di merito dovrebbe evidenziare con completezza il fatto, poiché questa esposizione consente al giudice di legittimità di valutare la congruità e la logicità della motivazione e di evincere .in modo perfettamente aderente alla realtà degli accadimenti, le affermazioni di diritto, che regolano la fattispecie concreta.

Peraltro la dettagliata descrizione del fatto non è l'unico mezzo per valutare la sussistenza dei vizi della motivazione su evidenziati, giacché l'esigenza della completezza, deve essere bilanciata dalla necessità di una coincisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui si fonda la sentenza, la quale risponde a criteri di efficienza e di rapida definizione dei giudizi.

Inoltre il riferimento "al testo del provvedimento impugnato" non deve essere inteso con riguardo esclusivo al dato cartolare, ma riguarda la possibilità di considerare solo le argomentazioni svolte con le prove ivi indicate pure attraverso un mero richiamo ad alcuni atti del procedimento, limitando soltanto i poteri di accertamento del giudice di legittimità alla rispondenza di quanto indicato solamente con il pensiero svolto e le argomentazioni tratte, in conformità al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi.

Nella fattispecie in esame l'impugnazione proposta dal P.M. risponde a detti requisiti, nonostante i sintetici motivi.

Infatti già potrebbe evidenziarsi un'illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui per suffragare la credibilità e l'attendibilità delle dichiarazioni delle parti offese, si riferisce alla "gravità dei fatti" ed anche alla mancanza di volontà di "manifestare le cose in modo più odioso di quello che fossero" ed il riconoscimento dell'attenuante ad effetto speciale dei "casi di minore gravità".

Infatti, detto innegabile contrasto logico riscontrabile nel provvedimento, non era neppure necessario poiché le descrizioni delle parti offese erano suffragate dalle necessitate ammissioni dell'imputato, sicché si è in presenza di una valutazione dei fatti esaminati in maniera manifestamente illogica nella loro oggettività ed in relazione ai criteri di cui all'art. 133 c.p.

Peraltro, ove si volesse ritenere giustificabile tale aporia, poiché attinente a due piani diversi proprio il sintetico rinvio alle descrizioni operate dalle vittime consente non solo di prendere visione delle chiare imputazioni, ma anche delle dichiarazioni richiamate per relationem.

In tal modo si evidenzia che a meno di non voler accedere ad una criticata pronuncia di questa Corte (Cass. sez. III 10 febbraio 1999, Cristiano in Cass. pen. 1999, 194), contrariamente a quanto affermato in sentenza sussiste la violenza, in quanto non è richiesta la vis atrox ma è sufficiente una violenza idonea a vincere la concreta resistenza di chi ne è oggetto, anche solo limitando la sua libera determinazione al riguardo (cfr. ex plurimis nel vigore della pregressa normativa Cass. Sez. III 8 febbraio 1991 n. 1778, Moisè).

Ed invero in imputazione si legge che l'imputato afferrava con forza le mani di una sua vittima e la costringeva a toccargli i genitali, mentre con l'altra la violenza consisteva "nel trattenerla con forza presso di sé ovvero nell'afferrarle il collo e la mascella".

Tali descrizioni, contenute nel capo di imputazione, trovano puntuale e più grave riscontro nel le dichiarazioni richiamate per relationem, sicché solo scambiando la mancanza di "violenza" e "di atti lesivi dell'integrità fisica" con l'assenza di penetrazione può asserirsi quanto sostenuto in sentenza sul punto al fine di applicare la diminuente in esame.

Ma la carenza di motivazione in ordine alla concreta fattispecie determina non solo detto vizio, ma una manifestamente illogica valutazione di altri elementi così ad esempio mentre "l'età delle parti lese" ed i "collegati problemi" richiedono la previsione di una provvisionale questi elementi non sono considerati ai fini dell'applicazione dell'attenuante ad effetto speciale in esame, facendosi riferimento solo all'assenza di "atti lesivi dell'integrità fisica" quasi che i danni psichici non siano più gravi e più difficilmente curabili.

L'avere disancorato l'applicazione della diminuente in parola da una complessiva valutazione della fattispecie concreta e l'essersi soffermato ad una particellizzata e semplicistica considerazione di alcuni elementi ha prodotto pure una violazione dei vari criteri elaborati da questa Corte per affermare la sussistenza di questa diminuente.

Ed invero nonostante la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 609 bis c.p. sia compatibile con qualsiasi tipo di aggravante, necessita per il suo carattere indefinito e discrezionale di ancorarsi a criteri normativi certi quali quelli contemplati dall'art. 133 c.p. ed all'oggettiva minore lesività del fatto in concreto (cfr. Cass. sez. III 22 ottobre 1999, Ferreo in corso di massimazione).

Infatti la predetta diminuente deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui - avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione - sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, anche in relazione all'età della stessa, sicché è necessaria una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato. bensì estesa a quelle soggettive ed a tutti gli elementi menzionati dall'art. 133 c.p. (Cass. sez. III 11 ottobre 1999 n.ll558, Scacchi).

L'espressione "casi di minore gravità" poi, va inquadrata in analoghe formule più consuete quali "lieve entità", mentre, ai fini dell'individuazione delle caratteristiche peculiari, assumono rilievo, oltre al carattere oggettivo della stessa correlato con i criteri indicati dall'art.133 c.p., la dimensione del rapporto interpersonale e l'assenza di qualsiasi automaticità, qualora sia configurabile soltanto il pregresso delitto di atti di libidine violenti, giacché la "ratio" della disciplina legislativa che ha abolito la distinzione esclude che possa assurgere per se stessa ad elemento tipico o indizio dell'attenuante, la circostanza che vi sia stata oppure no una penetrazione corporale come sembrerebbe dedurre la sentenza impugnata (cfr. Cass. sez. III 27 ottobre l999, Candeliere in corso di massimazione).

L'affermazione, poi, secondo cui l'attenuante è stata applicata per consentire una pena aderente ai fatti e superare il rigore delle sanzioni previste dall'art. 609 bis e ter c.p., sebbene riecheggi le asserzioni di un noto autore, appare ancor più collegata alla distinzione fra violenza carnale ed atti di libidine in base allo schema logico seguito in parte da quello studioso, e non sembra condivisibile sia nella fattispecie concreta quale dalla sentenza impugnata sia in generale.

Infatti l'attenuante in parola non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato (vedi su questo ultimo punto amplius Cass. sez. III 5 giugno 1998 n.6652, Di Francia rv. 210974 alla cui motivazione si rinvia) e, quindi, assume particolare importanza la "qualità" dell'atto compiuto più che la "quantità" di violenza fisica; il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni, fisiche e mentali, di quest'ultima, le caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all'età, l'entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici più che l'avvenuta penetrazione.

Ed invero, secondo quanto risulta dai lavori preparatori, l'unificazione delle due fattispecie criminose di cui agli artt. 519 e 521 c.p. è stata attuata per una pluralità di ragioni quali quella di evitare indagini odiose, invasive della intimità personale della vittima, l'altra rinvenibile in una diversa concezione della libertà sessuale personale e quella di poter punire con pena adeguata ipotesi di atti di libidine non dissimili dalla vera e propria violenza carnale per l'impatto psicologico sulla vittima.

La necessità di considerare il fatto in una valutazione globale, che esclude l'ammissibilità di un simile accertamento in sede di legittimità, non elimina l'obbligo di questa Corte di individuare ed elaborare i vari criteri in maniera quanto più precisa possibile per limitare la discrezionalità insita in detta attenuante e di effettuare un esame sull'esistenza di una motivazione non manifestamente illogica, sicché, in detta ipotesi, attese la carenza e la manifesta illogicità della motivazione al riguardo e la violazione dell'art. 609 bis ultimo comma c.p. in base agli elementi indicati in maniera costante da questo giudice, non si è verificata alcuna invasione nel merito e nei compiti attribuiti in vai esclusiva a detti giudici, ma si è attuata quella funzione di nomofilachia cui la Corte di Cassazione è deputata e dovrebbe essere particolarmente sensibile in presenza di una circostanza attenuante caratterizzata da una considerevole indeterminatezza ed una conseguente notevole discrezionalità, già paventata nei lavori preparatori alla legge n. 66 del 1966.

Pertanto l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli in composizione monocratica.

II giudice di rinvio si atterrà allo schema logico su delineato ed ai principi di diritto espressi in tema di criteri applicativi dell'attenuante in parola.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo Giudizio al Tribunale di Napoli in composizione monocratica.


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