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GIURISPRUDENZA 2000 Corte di Cassazione sez. VI - sentenza 2 agosto 2000 n. 8746

Fatto e diritto 1. (A) ricorre per Cassazione contro la sentenza 7 maggio 1999 con la quale la Corte di appello di Campobasso, a seguito di impugnazione del Pubblico ministero, in riforma della decisione adottata il 12 ottobre dal Tribunale di Isernia che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del ricorrente in ordine al reato di cui all'art. 361 c.p., per avere, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Rocchetta al Volturno, omesso di denunciare talune opere abusive realizzate da (B), così modificate le originarie imputazioni di falso in atto pubblico e di abuso di ufficio, per essere il reato estinto per prescrizione ritenuto non maturato il termine prescrizionale, per essere comunque cessata la permanenza il 3 aprile 1993, ed in presenza di un atto interruttivo non considerato dal giudice di primo grado, costituito dall'emissione del decreto che dispone il giudizio, condannato il ricorrente alla pena di L. 400.000 di multa. Lamenta violazione della legge penale e vizio della motivazione, per avere la sentenza impugnata, omesso di considerare che, alla stregua della decisione di primo grado, nessun atto esplicante un effetto interruttivo del decorso della causa estintiva era stato rinvenuto nel fascicolo processuale. In ogni caso, considerata la natura istantanea del reato per cui è intervenuta condanna, la prescrizione sarebbe maturata, ai sensi dell'art. 160, ultimo comma, c.p., il 27 agosto 1998; infatti, il 26 febbraio 1991, alla presenza del tecnico comunale e della (B), oltre che dell'attuale ricorrente, si provvide alla ricognizione e alla riconsegna dei beni comunali ed alla constatazione delle "migliorie" apportate ai predetti beni, "migliorie" costituenti il fatto di reato che il Sindaco avrebbe omesso di denunciare.

Il ricorso è fondato.

2. Risulta dalla decisione della Corte territoriale che il Sindaco era venuto a conoscenza delle violazioni urbanistiche nell'esercizio della sua attività istituzionale, perché la (B) aveva ammesso la realizzazione delle opere abusive nella sua richiesta indirizzata al ricorrente del 20 gennaio 1992; in più, nell'adunanza del consiglio comunale dell'8 maggio 1992 fu proprio l'(A) ad illustrare le "migliorie" apportate dalla concessionaria.

La conseguenza che il giudice a quo avrebbe dovuto far derivare dalle cadenze temporali sopra descritte non sarebbe potuta essere diversa dalla constatazione che il termine di prescrizione era comunque decorso al più tardi l'8 novembre 1999; senza contare la missiva inviata al ricorrente il 20 gennaio 1992, che, comprovando la sicura cognizione dell'illecito penale posto in essere dalla (B), avrebbe fatto maturare la data di prescrizione del reato il 20 luglio 1999; quindi, antecedentemente alla pronuncia della sentenza denunciata. Sennonché il giudice a quo, pur riconoscendo le anzidette cadenze temporali, ha ritenuto che il termine di prescrizione non sarebbe decorso, perché "il Sindaco non denunciò l'illecito né prese provvedimenti, attivandosi solo a seguito della segnalazione dei Carabinieri di Colli al Volturno del 3 aprile 1993". Il delitto, non sarebbe, dunque prescritto per la sua natura permanente, dovendosi il termine di prescrizione, fissarsi, in base alle considerazioni sopra svolte, alla data del 3 ottobre 2000. Una tesi che nasconde, pertanto, un vistoso errore di diritto.

3. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, infatti, costante nella linea interpretativa stando alla quale il delitto di cui all'art. 361 c.p. è reato istantaneo perché il termine di adempimento dell'obbligo è unico, finale e non iniziale, decorso il quale l'agente non è più in grado di tenere utilmente la condotta comandata (Sez. III, 15 maggio 1972, Visconti).

Il contegno descritto dall'art. 361 c.p. si sostanzia, infatti, nell'omettere (e cioè nel non fare) ovvero nel ritardare (ossia nel protrarre indebitamente) la denuncia; tanto che alla desistenza la legge non riconnette alcuna conseguenza giuridica, essendosi ormai verificati gli effetti (omissione o ritardo) necessari e sufficienti per la consumazione (Sez. VI, 12 dicembre 1970, Borelli). In un quadro in cui l'obbligo di denuncia sorge nel momento stesso in cui il pubblico ufficiale, nell'esercizio e a causa delle sue funzioni, riceve la notizia di reato perseguibile d'ufficio; con la conseguenza che la fattispecie deve ritenersi integrata allorché il pubblico ufficiale presenti con ritardo la denuncia, soffermandosi a valutare giuridicamente il fatto venuto a sua conoscenza, o si astenga dal presentarla, non apparendogli il fatto punibile per la presenza di circostanze esimenti (Sez. VI, 21 giugno 1972, Di Giovanna). Il tutto sta perciò a significare che parificando la legge la denuncia tardiva alla omissione di denuncia, non sono ravvisabili nei due comportamenti due diverse ipotesi delittuose, così da far ritenere che la denuncia è omessa anche quando viene effettuata con ritardo (Sez. VI, 14 maggio 1981, Camaioni; ma anche Sez. III, 27 settembre 1990, Collura).

4. In base alle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza perché il reato è estinto per prescrizione.


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