Svolgimento del processo. 1. R. C. con ricorso al Tribunale di Roma in data 2 novembre 1995,
esponeva che detto Tribunale, con sentenza n. 5587 del 1980, passata
in giudicato, aveva dichiarato cessati gli effetti civili del
matrimonio da lei contratto con F.G. in data 3 maggio 1958,
attribuendole un assegno divorzile di lire 100.000 mensili. Deduceva
che, non prevedendo la sentenza alcuna rivalutazione automatica,
l'assegno era divenuto del tutto inadeguato, tenuto anche conto
della mutata situazione economica degli ex coniugi, che aveva
accentuato la disparità di reddito fra di loro. La C. chiedeva,
pertanto, che l'assegno fosse aumentato a lire 1.000.000 mensili,
rivalutabili automaticamente.
Il F. si costituì, opponendosi alla domanda e chiedendo in via
riconvenzionale la soppressione dell'assegno.
Il Tribunale, con decreto in data 26 giugno 1996, aumentò l'assegno
a lire 450.000 mensili, rivalutabili dal giugno 1997. Il F. propose
gravame, insistendo nel chiedere la soppressione dell'assegno e, in
subordine, la reiezione della domanda ovvero, in ulteriore
subordine, l'aumento dell'assegno a lire 158.990, pari a quello
risultante dagli aumenti ISTAT. La C. chiese la conferma
dell'assegno nella misura determinata dal Tribunale.
La Corte di appello di Roma, con decreto in data 23 febbraio l998,
rideterminò l'assegno in lire 300.000 mensili a decorrere dalla
domanda, rivalutabili annualmente.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questa Corte la C.,
formulando due motivi di gravame. Il F. resiste con controricorso e
due motivi di ricorso incidentale, ai quali la C. replica a sua
volta con controricorso. Il F. ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione 1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi unitariamente ai sensi
dell'art. 335 c. p. c., riguardando il medesimo provvedimento.
2.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la
violazione dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, in correlazione
con l'art. 5, come modificato dalla legge n. 74 del 1987.
Si deduce specificamente che dalla succinta motivazione del
provvedimento impugnato emerge il dato pacifico del consistente
divario fra le situazioni economiche degli interessati, godendo
il F. di un reddito annuo di lire 270.000.000 e la C. di lire
40.000.000. Si deduce che, muovendo da tale accertamento di fatto,
la Corte di appello ha ritenuto di ridurre l'assegno, quantificato
dal Tribunale in lire 450.000, a lire 300.000 mensili, in base alla
mera affermazione del principio secondo il quale il ragguardevole
divario fra le rispettive situazioni economiche dei coniugi, non
legittima di per se l'adeguamento dell'assegno di divorzio tenuto
conto che la funzione di esso è quella di evitare il deterioramento
delle condizioni economiche dei coniugi rispetto a quelle godute in
costanza di matrimonio, e non quella di assicurare vantaggi
derivanti da eventuali miglioramenti della situazione economica
dell'ex coniuge.
Così statuendo, peraltro, secondo la ricorrente la Corte di appello
si sarebbe posta contro il principio, più volte affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, essendo
l'accertamento dell'esistenza del diritto all'assegno di divorzio
dipendente dalla verifica della inadeguatezza dei mezzi del
richiedente a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in
costanza di matrimonio, o che poteva ragionevolmente fondarsi su
aspettative maturate nel corso del matrimonio, gli eventuali
miglioramenti del reddito dell'obbligato, addotti a sostegno della
revisione dell'assegno, debbono rapportarsi all'attività svolta
dallo stesso all'epoca del matrimonio, includendo nel parametro di
riferimento tutti gli incrementi delle condizioni patrimoniali
dell'ex coniuge, che si configurino come ragionevole sviluppo di
situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 737 c.p.c. e
la nullità del provvedimento impugnato per mancanza di un
requisito di forma indispensabile, per essere questo motivato in
maniera tale da non estrinsecare la ratio decidendi in base alla
quale è stata determinata la misura dell'assegno, non essendo in
alcun modo spiegato in base a quale criterio l'assegno originario di
lire 100.000 mensili, elevato dal Tribunale a lire 450.000, sia
stato ridotto a lire 300.000, non essendo il richiamo al diminuito
potere di acquisto della lira sufficiente a giustificare detta
determinazione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la
violazione della legge n. 74 del 1987. Si deduce specificamente al
riguardo che a seguito delle modifiche introdotte da tale legge
l'assegno di divorzio ha natura esclusivamente assistenziale,
cosicché non è dovuto ove si sia in grado di mantenere il medesimo
tenore di vita goduto durante il matrimonio. Si deduce che, essendo
stato dimostrato dinanzi alla Corte di appello che il tenore di vita
durante il matrimonio era assai modesto e inferiore a quello
attualmente goduto dalla C., non sarebbe dato di comprendere perché
la Corte di appello non abbia eliminato l'assegno di divorzio.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 9 della
legge n. 898 del 1970. Si deduce specificamente al riguardo che ai
sensi di tale norma la revisione dell'assegno è condizionata alla
sopravvenienza di circostanze nuove che determinino un mutamento
della situazione di fatto esistente al momento della pronuncia, la
quale non può essere costituita dalla mera svalutazione monetaria,
ne dal permanere di una situazione di maggiore redditività del
soggetto obbligato, quale riscontrata dalla Corte di appello.
3. Per ragioni di ordine logico il secondo motivo del ricorso
principale - con il quale si deduce la nullità del provvedimento
impugnato per carenza assoluta di motivazione in ordine alla
determinazione della misura dell'assegno - va esaminato
pregiudizialmente.
Detto motivo è, peraltro, infondato, tenuto conto che la carenza
assoluta di motivazione che dà luogo alla nullità del provvedimento
camerale, si verifica solo quando la motivazione sia del tutto
assente, ovvero tale da essere inidonea ad esprimere una ratio
decidendi. Viceversa, nel caso di specie, la Corte di appello ha
enunciato ragioni e criteri idonei ad esprimerla - ed ai fini della
infondatezza del motivo ciò è sufficiente - affermando per un verso
che la sussistenza di un ragguardevole divario fra le condizioni
economiche dei coniugi non legittima, di per se l'adeguamento
dell'assegno, che non è diretto ad assicurare al titolare
dell'assegno i vantaggi derivanti dal miglioramento della situazione
economica dell'ex coniuge, ma ad impedire il deterioramento delle
condizioni economiche godute in costanza di matrimonio; per altro
verso che l'assegno andava conservato, tenuto conto che il reddito
dell'avente diritto era appena sufficiente al soddisfacimento delle
necessità essenziali, e andava quantificato in lire 300.000 mensili
in considerazione del diminuito potere di acquisto della moneta.
4. Venendo all'esame congiunto del primo motivo del ricorso
principale, e del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto
fra loro strettamente connessi, va considerato che l'orientamento di
questa Corte interpretativo dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970,
nel testo modificato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987 -
applicabile anche alle domande di revisione degli assegni di
divorzio liquidati prima dell'entrata in vigore di detta legge
(Cass. 10 dicembre 1991, n. 13256; 28 luglio 1989, n. 3535) - si è
formato in correlazione con quello dell'art. 5 della stessa legge n.
898 del 1970, come modificato dall'art. 10 della legge 74 del 1987.
Secondo tale articolo, l'accertamento del diritto all'assegno di
divorzio va effettuato verificando "l'inadeguatezza dei mezzi (o
l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati
ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di
matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi
su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento
del divorzio", mentre la liquidazione in concreto dell'assegno, ove
sia ritenuto dovuto non essendo il coniuge richiedente in grado di
mantenere con i propri soli mezzi detto tenore di vita, va compiuto
in concreto tenendo conto, sempre a norma dell'art. 5, delle
condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del
contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione
familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello
comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti
elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio (Cass. SS.UU.
29 novembre 1990, n. 11490).
In correlazione a ciò si è tratta la conseguenza che la revisione
dell'assegno in senso più favorevole all'avente diritto, prevista
dall'art. 9 sopra citato in relazione alla sopravvenienza "di
giustificati motivi", è uno strumento volto ad assicurare all'ex
coniuge la disponibilità di quanto necessario, nel tempo, per
fruire di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione
economico-sociale, nonché ai suoi prevedibili sviluppi. Ciò sulla
base di una reiterata valutazione comparativa della situazione delle
parti ed in proporzione alle rispettive sostanze.
I motivi sopravvenuti che giustificano detta modificazione
consistono in mutamenti delle condizioni patrimoniali e reddituali
di entrambi gli ex coniugi, valutati bilateralmente e
comparativamente, o anche di uno solo, in quanto siano idonei a
variare i termini della situazione di fatto e ad alterare
l'equilibrio economico dettato in sede di divorzio (Cass. 26
novembre 1998, n. 12010), con la specificazione che il tenore di
vita al quale deve farsi riferimento, non è solo quello
riconducibile ai mezzi economici che i coniugi avevano durante il
matrimonio, ma anche alla sopravvenienza di miglioramenti di reddito
"che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e
aspettative presenti al momento del divorzio" (Cass. 4 aprile 1997,
n. 5720) e siano quindi rapportabili "all'attività all'epoca svolta,
e/o al tipo di qualificazione professionale" dell'onerato (Cass. 8
gennaio 1996, n. 2273), ovvero, comunque, all'evoluzione economica
prevedibile durante il matrimonio (Cass. 16 novembre 1993, n.
11326).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale indirizzo
interpretativo, che appare in linea con l'esigenza di tutela delle
aspettative del coniuge economicamente più debole, sorte durante il
matrimonio e pregiudicate dagli effetti della sua cessazione, alle
quali la legge n. 74 del 1987 ha inteso dare particolare tutela,
come si evince dall'espresso riconoscimento in suo favore (art. 16
di tale legge, che ha introdotto l'art. 12 bis nella legge n. 898
del 1970) - ove titolare di assegno di divorzio - anche del diritto
ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita
dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro,
ancorché venga "a maturare dopo la sentenza".
Questo collegio ritiene peraltro di dovere precisare innanzitutto
che, ove parte dei miglioramenti sopravvenuti nella situazione
economica del coniuge onerato siano imprevedibili e non
ricollegabili con aspettative già esistenti nel corso del
matrimonio, di questi non può tenersi conto al fine della
determinazione del suddetto tenore di vita, ma deve tuttavia tenersi
conto, al fine della revisione dell'assegno, di quegli eventuali
minori incrementi di reddito corrispondenti alle aspettative
esistenti durante il matrimonio.
Deve ritenersi, inoltre, che il legislatore, subordinando la
revisione dell'assegno alla sopravvenienza di giustificati motivi
nel senso sopra detto, non ha inteso stabilire un automatismo fra i
miglioramenti della situazione economica di un coniuge, successiva
al divorzio - se costituenti sviluppo di attività e potenzialità già
esistenti durante il matrimonio - e l'aumento dell'assegno.
La situazione, in tale caso, richiede infatti, alla stregua del
criterio legislativo della esistenza di giustificati motivi, che si
valuti in che misura il coniuge che richiede la rivalutazione
dell'assegno possa ritenersi titolare di un affidamento ad un tenore
di vita correlato a detti miglioramenti economici, valutazione che
va compiuta alla luce degli elementi indicati in via generale
dall'art. 5 per la quantificazione dell'assegno, i quali
costituiscono metro della modifica e della misura di questa.
Nel caso di specie la Corte di appello, con il provvedimento
impugnato, raffrontando un reddito al momento della decisione di
lire 270.000.000 annui dell'ex coniuge onerato di un assegno di lire
100.000 mensili, con un reddito annuo del beneficiario dell'assegno
di lire 40.000.000 annui, ha sostanzialmente negato in radice che
si possa tenere conto, in sede di esame della domanda di revisione
dell'assegno, anche in parte, dei miglioramenti della situazione
reddituale di un coniuge sopravvenuta al divorzio, senza alcuna
distinzione fra incrementi di reddito del coniuge onerato successivi
al divorzio, ma riconducibili, almeno parzialmente, ad aspettative
presenti nel corso del matrimonio, e incrementi di reddito non
riconducibili, nemmeno in parte, a tali aspettative, in quanto
interamente correlati a circostanze eccezionali. In tal modo il
provvedimento impugnato risulta emanato in violazione dell'art. 9
della legge n. 898 del 1970, nel testo vigente, così come sopra
interpretato.
Ne deriva che il primo motivo del ricorso principale deve essere
accolto.
Il primo motivo del ricorso incidentale deve invece essere
rigettato, risultando da quanto sopra detto che, ai fini della
determinazione del tenore di vita al quale va raffrontata la
situazione economica delle parti in sede di revisione dell'assegno -
contrariamente a quanto sostenuto con detto motivo - deve tenersi
conto, ove ne sussistano i presupposti, in fattore e in diritto,
nei limiti e nei modi sopra indicati, anche della incidenza degli
eventuali incrementi di reddito del coniuge onerato, che si
configurino come prevedibili sviluppi di attività e potenzialità in
atto durante il matrimonio.
Il provvedimento impugnato va pertanto cassato in relazione al
motivo accolto, dichiarandosi assorbito secondo motivo del ricorso
incidentale, e rinviandosi la causa ad altra sezione della Corte di
appello di Roma, che farà applicazione del principio di diritto
sopra enunciato, provvedendo anche sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione riunisce i ricorsi. Rigetta il secondo
motivo del ricorso principale, nonché il primo motivo del ricorso
incidentale. Accoglie per quanto di ragione il primo motivo del
ricorso principale; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso
incidentale. Cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese
ad altra sezione della Corte di appello di Roma.