copertina  |   giurisprudenza  |   legislazione  |   documenti  |   link  |   studi legali  |   ricerche    

Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. III penale - sentenza 15 gennaio 2001 n. 250

Svolgimento del processo e motivi della decisione. Con sentenza in data 9 luglio 1999, la Corte d’Appello di Milano condannava V.F. alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione per i reati di cui agli artt. 81, 494, 527, 609 bis, 609 bis n.2 c.p.
L’imputato proponeva ricorso eccependo:
la nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 521 c.p.p. per mancata correlazione tra le imputazioni contestate e la sentenza sostenendo che all’imputato erano stati contestati i reati di cui all’art. 609 bis n. 2 C.P. mentre la Corte aveva ritenuto la sussistenza dell’art. 609 bis n.1 (reati tra loro diversi e incompatibili), circostanza che aveva inciso sul diritto di difesa dell’imputato;
l’erronea applicazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione sostenendo che l’inganno finalizzato ad avere rapporti sessuali non è penalmente rilevante se non accompagnato dall’ulteriore elemento della sostituzione di persona, elemento ritenuto insussistente dalla Corte d’Appello;
l’erronea applicazione di legge in relazione al tentativo di violenza sessuale nei confronti al tentativo di violenza sessuale nei confronti di N. P. per aver volontariamente desistito dall’azione;
l’erronea applicazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla violenza sessuale nei confronti di C. M. che non aveva subito violenza o minaccia;
la manifesta illogicità della motivazione relativamente all’attenuante della minore gravità.

Il ricorso non è fondato.

Sub I va anzitutto rilevato che il principio di correlazione tra sentenza ed imputazione è volto a tutela del diritto di difesa dell’imputato per evitare che lo stesso possa essere condannato per un fatto per il quale non ha avuto modo di difendersi.
Mentre nel caso in specie è pacifico che il V.F. ha esercitato pienamente il suo diritto di difesa sul punto specifico della ritenuta sostituzione di persona.
Ma, poi, l’affermazione che all’imputato erano, stati contestati i reati di cui all’art. 609 bis n. 2 C.P. per aver indotto le persone offese a subire atti sessuali abusando delle loro condizioni di inferiorità psichica (art. 609 bis n. 1 C.P.) è del tutto infondata.
La Corte di Appello non ha mai ritenuto l’abuso delle condizioni psichiche delle persone offese.
Ha solo posto l’accento sul contesto psicologico ed ambientale che le poneva in uno stato di inferiorità, rilevando che il V.F. ha sorpreso la buona fede e l’ingenuità delle parti offese che, obnubilate dal fiume di parole dell’imputato e dalla speranza di conquistare un lavoro, ha imposto loro toccamenti insidiosi dissimulandone il fine libidinoso con artifici e raggiri.
Facendo leva sul loro bisogno di lavorare, ha tenuto sulla corda le malcapitate che non osavano ribellarsi alle richieste anche sconcertanti dell’imputato.
Ma tale stato di sudditanza evidenziato dalla Corte non significa che si è ritenuta la sussistenza di una condizione di inferiorità psichica di cui al n. 1 dell’art. 609 bis C.P..
Questa ricorre quando vi sia una condizione di menomazione di tale consistenza da comportare l’assenza del consenso o un evidente vizio assoluto nella formazione dello stesso che ne determina l’invalidità non consente al soggetto passivo di poter liberamente sottrarsi alle altrui voglie sessuali.
E la Corte di Appello non ha ritenuto ciò, ha solo affermato che il comportamento fraudolento dell’imputato ha indotto in errore le persone offese carpendone in tal modo il consenso al congiungimento carnale.

Sub II come già evidenziato, non sussiste il dedotto vizio di illogicità della motivazione in quanto la Corte si Appello non ha mai ritenuto insussistente l’elemento della sostituzione di persona.
Il V.F. ha ingannato le persone offese inducendole a subire atti sessuali con l’elemento della sostituzione di persona.
Il delitto di violenza sessuale introdotto dall’art. 609 bis consiste in uno o più atti sessuali compiuti senza il consenso della vittima con violenza, minaccia o abuso di autorità da parte del’agente (primo comma).
A questa fattispecie è equiparata quella in cui gli atti sessuali sono compiuti con il consenso della vittima, che, però, il legislatore considera viziato perché l’agente ha abusato della sua condizione di inferiorità fisica o psichica o ha tratto in inganno la persona offesa sostituendosi ad altra persona (secondo comma).
Tale ultima fattispecie che ha sostituito, riproducendolo integralmente, l’art. 519, secondo comma, n. 4 C.P. non richiede una sostituzione di persona in senso fisico (sostituzione ad altra persona effettivamente esistente e nota alla vittima, così come sostiene la difesa) ma solo una delle azioni previste come reato dall’art. 494 C.P. non essendovi nella norma alcuna forma riduttiva.
La sostituzione di persona che invalida il consenso comprende e riflette una vasta gamma di rapporti vari, che non sempre hanno una forma giuridica e che differiscono anche nettamente tra loro con la comune caratteristica di trarre in inganno la vittima viziandone il consenso.
La violenza carnale e gli atti di libidine violenti commessi secondo le modalità previste dall’art. 519 CPV n. 4 Cod. Pen. Realizzano una forma tipica di reato complesso, in quanto la sostituzione di persona cui si riferisce la stessa norma può consistere in una qualsiasi delle azioni previste come reato dall’art. 494 c.p.
Deve ritenersi responsabile del reato di cui agli artt. 521 e 519 n. 4 colui che, attribuendosi falsamente la qualità di medico e affermando di dover procedere ad esame sanitario onde accertare l’idoneità fisica richiesta per un rapporto di lavoro, visiti una ragazza a scopo lascivo (Cass., sez III, sent. 3456, 29 gennaio 1962).
E tale requisito è stato esattamente ritenuto e ravvisato dalla Corte di Appello negli atti compiuti dall’imputato con lo specifico fine di indurre in errore, traendo da tale errore un vantaggio.

Sub III la circostanza che tra la N. e l’imputato non vi fu alcun contatto ne alcun atto sessuale che faccia pensare alla idoneità degli atti diretti in modo non equivoco (come sostenuto dalla difesa), non esclude la sussistenza del tentativo.
Come esattamente osservato dalla Corte d’Appello il tentativo di indurre N. P. a subire atti sessuali ed in particolare congiunzione carnale, appare inequivoco.
La condotta tenuta dall’imputato costituisce innegabilmente atto idoneo diretto in modo non equivoco alla commissione del reato di atto sessuale violento.
Avendo indotto la ragazza nella camera di un motel, chiedendole esplicitamente prestazioni sessuali e l’effettuazione di provini pornografici, ed essendosi spogliato completamente, l’imputato ha posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a consumare un rapporto sessuale vincendo la resistenza della donna.
E gli atti compiuti, idonei ed inequivoci, integrano già di per sé il contestato reato che si è, indubbiamente, perfezionato anche se non vi è stata congiunzione carnale.

Sub IV la Corte d’Appello ha motivato in che cosa è consistita la violenza: l’imputato ha indotto la C. a subire atti sessuali non voluti non solo toccandole il sesso con un’azione repentina che ha sorpreso e superato la contraria volontà della ragazza, ma anche toccandole in modo insidioso le labbra, il collo e i seni adducendo a pretesto la necessità di aiutarla ad assumere un’espressione intensa nella foto da allegare al curriculum.
Anche in tale ultima circostanza l’imputato ha abusato dello stato di inferiorità della ragazza, prima creando l’aspettativa del posto di lavoro e poi tentando di farle credere con artifici che i toccamenti imposti, ancorchè singolari, venivano posti in essere nel suo interesse per un’esigenza tecnica dell’arte fotografica e non per soddisfare il fine di libidine di un impostore.
Tali considerazioni sono giuridicamente corrette.
La violenza non consiste necessariamente nell’esplicazione di una vis fisica alla quale la vittima non sia in grado di opporre una valida resistenza ma può concretarsi in varie forme quali (come nel caso in esame) la repentinità ed insidiosità dell’azione che pone il soggetto passivo in condizioni di non poter opporre tutta la resistenza che avrebbe voluto specie quando sia consumato approfittando della situazione di difficoltà e dello stato di diminuita resistenza in cui la vittima si sia trovata.
E’ sufficiente cioè che la condotta, violenta per la modalità della stessa, abbia limitato la libera determinazione della persona offesa.
Ed il giudice, esaminando le risultanze del procedimento, ha esattamente e logicamente ravvisato nel comportamento dell’agente quella violenza idonea vincere, in relazione alle circostanze concrete di fatto, la resistenza di chi ne è oggetto.
E’ stata data valida motivazione dell’entità della coartazione e delle modalità della stessa, valutando anche le particolari condizioni soggettive della vittima ed i rapporti fraudolenti creati dall’imputato che hanno agevolato la commissione del fatto.

Sub V ai fini della configurabilità del delitto di atti osceni in luogo esposto al pubblico, il giudice è tenuto ad accertare la concreta possibilità di percezione degli atti compiuti; non è però necessario che si sia realizzato l’evento.
E la Corte d’Appello ha congruamente e logicamente valutato tutte le circostanze motivando che vi era la possibilità in concreto di vedere l’interno in quanto l’autovettura era ferma su una strada pubblica a percorrenza veicolare e pedonale (i fatti tra l’altro, erano avvenuti di giorno e nel mese di aprile) e che l’imputato non aveva adottato alcuna cautela per evitare di essere visto.
E la circostanza che gli atti compiuti non siano durati a lungo (tra l’altro, non del tutto esatto perchè il V. aveva ripetutamente accarezzato il seno e messo le mani tra le gambe della ragazza fino a toccarle la zona genitale provocandone la reazione) non esclude il reato incidendo scarsamente la durata del tempo sulla concreta possibilità di sfuggire alla percezione ed alle valutazioni di terzi.
Sub VI nell’ambito degli atti sessuali sono previsti casi di minore gravità alla cui individuazione provvede, volta per volta, il giudice di merito, quando sia possibile ritenere, alla stregua del corretto esame dei dati processuali rilevanti e con adeguata motivazione, che la libertà della vittima sia stata offesa in modo non grave.
In base al suddetto principio, le violenze sessuali non possono essere considerate di minore gravità (lo stesso imputato non indica nemmeno perché) considerando la gravità e la reiterazione dei fatti e gli artifici posti in essere in danno di persone spinte dal bisogno di lavorare.
E la Corte di Appello, a proposito della gravità dei fatti, ha posto l’accento sulla circostanza che, essendo l’imputato affetto da HIV, poteva esservi la possibilità (anche se solo astratta) di cagionare alle donne infezione da HIV, malattia certamente insanabile.
Ne il rilievo che la Corte abbia valutato unitariamente i fatti e non i singoli episodi può avere alcuna incidenza essendosi esclusa la ricorribilità dall’attenuante in tutti i reati commessi.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


Torna all'inizio