copertina  |   giurisprudenza  |   legislazione  |   documenti  |   link  |   studi legali  |   ricerche    

Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. VI penale - sentenza 18 gennaio 2001 n. 352

Fatto e diritto. 1. P.C., colonnello dell'aeronautica militare, è stato condannato dal Tribunale di Roma alla pena di tre mesi di reclusione per il reato di abuso di ufficio, perché quale direttore del servizio sanità della II Regione aerea presso l'aeroporto di Roma Centocelle, si faceva accompagnare con l'autovettura di servizio, una volta alla settimana, presso il poliambulatorio medico "Caravaggio" dove l'ufficiale svolgeva la sua attività di medico privato (reato commesso in Roma, sino al dicembre 1993).

2. La decisione di primo grado veniva confermata dalla Corte d'appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe. Rilevava la Corte che, a seguito della entrata in vigore della L. 16 luglio 1997, n. 234, doveva trovare applicazione quest'ultima norma, più favorevole all'imputato, in luogo di quella dell'art. 323 c.p. vigente all'epoca del fatto: della prima disposizione ricorrevano, infatti, tutti gli estremi sia perché il comportamento dell'imputato era contrario alla normativa contenuta nel r.d. 30 aprile 1926, n. 746, che disciplina l'impiego di veicoli militari, normativa che, a parte il caso dei mezzi assegnati ad personam, non ricorrente nella specie, prevedeva l'assegnazione per servizi tecnici, per i quali l'autovettura era utilizzabile solo per ragioni di servizio. La realizzazione della nuova fattispecie di abuso di ufficio era comprovata dalla esistenza, nella specie, degli ulteriori requisiti richiesti, ravvisabili in un danno ingiusto per l'amministrazione di appartenenza e in un vantaggio personale.

3. Ricorre per cassazione il P.C. deducendo tre motivi: col primo lamenta la violazione dell'art. 323 c.p. e la contraddittorietà della motivazione, perché non era stata effettuata nessuna contestazione nuova - come dovuto - a seguito della entrata in vigore della nuova legge n. 234/1997; col secondo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 521, n. 1, c.p.p., perché non gli era stata contestata con l'originario capo d'imputazione la violazione di legge; col terzo si duole della erronea applicazione dell'art. 323 c.p. non essendo stato indicato dai giudici di merito in cosa sarebbe consistito il danno per l'amministrazione e il vantaggio per il P.C.

4. Ritiene questo Collegio preliminarmente di dover rilevare la non esatta qualificazione giuridica del fatto in quanto in essa sono ravvisabili gli estremi del reato di peculato (art. 314 c.p.), caratterizzato da un abuso specifico che esclude l'applicabilità della residuale ipotesi criminosa dell'art. 323 c.p.

5. La Corte anzitutto condivide l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la diversa qualificazione del fatto è ammissibile nel giudizio di legittimità, ribadendo l'orientamento di questa stessa sezione la quale ha ritenuto che:
Salvo il divieto di reformatio in peius, il principio generale di cui all'art. 521 cod. proc. pen. (potere del giudice di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione) - presidio del principio di obbligatorietà della legge penale - vale anche nel giudizio di legittimità. Tale facoltà di riqualificazione riguarda, oltre al fatto per come descritto nell'imputazione, anche il fatto per come accertato nella sentenza impugnata, in ipotesi diverso, con la conseguenza che la correlazione tra l'imputazione e la decisione può ridursi alla sola identità dell'episodio storico dedotto nel processo, quando il giudice dell'impugnazione constati che in base agli accertamenti contenuti nella sentenza di primo grado il medesimo episodio storico doveva essere considerato più grave per il titolo, per il grado o per le circostanze ed i relativi elementi non appaiano menzionati nell'imputazione contestata.
Invero, il potere del giudice di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella contenuta nell'imputazione - riferendosi ai fatti accertati e superando così la contestazione - deriva sia dall'art. 521 cod. proc. pen., che riguarda la definizione giuridica diversa da quella imputata, sia dall'art. 597 stesso codice, che nell'enunciare tale potere, non fa più menzione dell'imputazione. Ne consegue che i limiti della riqualificazione dell'imputazione sono segnati dalla competenza del giudice di primo grado determinata dall'imputazione e dall'accertamento compiuto (Cass., sez. VI, u.p. 18 settembre 1997, Donna, rv. 208616; successivamente, nello stesso senso, Cass., sez. VI, u.p. 3 novembre 1999, Possamai, rv. 216323).

6. Ritiene, inoltre, che, nonostante un diverso orientamento giurisprudenziale escluda la sussistenza del peculato nel caso in cui il soggetto attivo distolga l'attività lavorativa del pubblico dipendente dalla sua naturale destinazione, rientri nel concetto di disponibilità di altra cosa mobile altrui anche l'attività lavorativa del pubblico dipendente, ciò specialmente alla luce dell'orientamento dottrinario più recente che riconduce l'offensività del reato, oltre che all'interesse patrimoniale della pubblica amministrazione, anche, e in maggior misura, alla violazione dei principi costituzionali del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. (per l'orientamento giurisprudenziale che ritiene che anche l'impiego di pubblici dipendenti per scopi privati da parte del superiore gerarchico integri la fattispecie del peculato, v. Cass., sez. VI, u.p. 29 marzo 1990, Del Vecchio, rv. 185339; Cass., u.p. 6 dicembre 1983, Russo, rv. 090505).

7. Osserva, infine, che, pur se il ricorrente riveste la qualità di militare, non v'è dubbio che lo stesso non debba rispondere di peculato militare (art. 215 c.p.m.p., che punisce i fatti di peculato commessi da parte del militare «incaricato di funzioni amministrative o di comando»), bensì di peculato comune.

8. Va, in proposito ricordato che: «Ai sensi dell'art. 357 cod. pen., come novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati... (e che) rientrano nel concetto di "poteri certificativi" tutte quelle attività di documentazione cui l'ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado» (Cass., sez. un., u.p. 27 marzo 1992, Delogu, rv. 191173).

9. Ora, non può mettersi in dubbio che il medico militare sia, per lo meno, investito di poteri di accertamento e di certificazione di condizioni psico-fisiche di persone, destinati ad avere riflessi nei campi più disparati della vita civile, previsti da una vasta casistica di provvedimenti legislativi (di cui non è necessario fare in questa sede neppure una sia pur sommaria e incompleta elencazione, data l'ampiezza, e nello stesso tempo, la notorietà del fenomeno), poteri che travalicano lo stretto ambito dell'amministrazione militare per riflettersi anche nei confronti dell'ambiente ad essa esterno. E generalmente si riconosce che se il militare sia da qualificare pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, ex artt. 357 e 358 c.p.p. potrà commettere solo peculato comune, laddove il peculato militare è concepibile esclusivamente nei confronti del militare che svolga funzioni interne all'amministrazione militare; ciò in quanto il concetto di militare «incaricato di funzioni amministrative o di comando» è più ristretto di quello di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio: i due concetti operano su piani diversi e alternativi tanto che, individuato quello di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, ne viene automaticamente escluso l'altro.

10. Da tutto quanto sopra consegue che mentre l'appropriazione dell'autovettura rientra, nella fattispecie in esame, nella tipica configurazione di cui al peculato d'uso (art. 314, comma secondo), il distoglimento dell'autista dalle sue funzioni di esecutore di un servizio pubblico integra il reato di peculato di cui al primo comma dell'art. 314 c.p. II ricorso va quindi rigettato.

PQM

Qualificato il fatto come peculato di cui all'art. 314 c.p. co. 2° c.p. quanto all'impiego della macchina e come peculato di cui all'art. 314 co. 1° quanto all'impiego dell'autista militare, così modificata l'originaria imputazione, ferma la pena inflitta, rigetta il ricorso.


Torna all'inizio