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Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. V penale - sentenza 31 gennaio 2001 n. 3901

Svolgimento in fatto e diritto. Con sentenza in data 25.6.1998 il Tribunale di Palermo aveva dichiarato R.M.A., P.V., R.R., M.G. e L.G. - tra gli altri - colpevoli dei delitti di falso in atto pubblico per avere falsamente attestato - nella qualità di dipendenti dell'(omissis) - sul foglio di presenza il loro regolare servizio sino all'orario di uscita al fine di eseguire il reato di truffa ai danni della stessa azienda (omissis) consistito nell'essersi procurato un ingiusto profitto inducendola in errore e con suo danno (artt. 61 n. 2, 479, 493 c.p.; 640 c. 2 n. 1 c.p.), nonché A.F., A.E., R.G., D.M. A e M.P. colpevoli del reato di cui agli artt. 81 c.p.v., 110 e 328 c.p. per aver omesso la raccolta di rifiuti solidi urbani in alcune strade.

L'impugnata sentenza assolveva M. e L. dal reato di falso, confermando nel resto, la pronuncia del primo giudice.

Il ricorrente R. allegava i seguenti motivi.

1) Violazione di legge in relazione all'art. 493 c.p., per mancanza della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" ed alla stessa definizione del p.s. ex art. 358 c.p.. La compilazione del foglio di presenza non aveva, del resto, alcuna attinenza con le mansioni svolte dall'operatore ecologico.

2) Vizio di motivazione quanto alla truffa, ritenuta sulla base di un dato meramente formale senza alcuna concreta prova sull'assenza dal lavoro.

I ricorrenti P. e R.R. deducevano i seguenti motivi.

1) Violazione di legge in ordine al reato di falsità, per carenza del pubblico servizio, anche in relazione alla natura di "ente pubblico" dell'(omissis), ed alla qualifica di "incaricato di p.s." ex art. 358 c.p..

2) Violazione di legge in relazione alla "induzione in errore" per la truffa, considerato che l'artificio era ben noto alla azienda parte offesa.

M. e L. allegavano il solo motivo concernente la truffa (n. 2).

Gli altri ricorrenti (A., A., R. G., D.M. e M) denunziavano violazione di legge e carenza di motivazione su qualifica di "incaricato di p.s." (art. 358 c.p.), escludente ogni attività meramente materiale o le semplici mansioni d'ordine, su interesse al buon funzionamento della pubblica Amministrazione tutelato dall'art. 328 c.p..

Chiedevano tutti l'annullamento dell'impugnata sentenza.

Ritiene questa Corte che i ricorsi L. e M. (concernenti il solo reato di truffa) nonché di R., P. e R.R. (limitatamente alla medesima imputazione di truffa), debbano essere rigettati.

Il R. invero, cesura la motivazione dell'impugnata sentenza ritenendo l'irrilevanza - in relazione all'artificio - dell'opposizione di una firma di "uscita" prima dell'orario fissato (ore 11.00), quando poi non era stata accertata la effettiva assenza dal servizio fino a quell'orario.

La Corte di merito ha, invece, adottato una motivazione congrua e logica in ordine alla sussistenza dell'artificio (ritenuto risultante "per tabulas" dal fatto che al momento dell'irruzione Digos - ore 10.15 - la firma attestante la cessazione dal servizio alle 11.00 era stata già apposta) ed alla prova della sua assenza comportante un danno - sia pure di lievissima entità - ai danni dell'Azienda.

Costituisce, poi, censura di merito la valutazione in ordine al raggiungimento della prova sulla mancata presenza fisica.

Sempre in tema di truffa, gli altri quattro ricorrenti sopra ricordati contestano, nel ricorso congiunto, la presenza dell'elemento di "induzione in errore" dal momento che la p.o. era consapevole dell'artificio.

La censura è infondata, poiché confonde palesemente l'accondiscendenza delle persone fisiche preposte al controllo con il titolare del bene protetto, costituito da un ente munito di personalità giuridica ben distinta da quella dei suoi funzionari.

Se, infatti, la presunta consapevolezza - in funzionari o anche rappresentanti dell'ente - dell'anticipazione di un firma d'uscita da parte di dipendenti avrebbe potuto comportare una partecipazione morale nel reato, non è ipotizzabile - invece - il "consenso dell'avente diritto" se non nel caso di una precisa disposizione, legittimamente assunta che consentisse una deroga alla regola fissata dall'ente.

Quanto al reato di falsità, si sostiene dai ricorrenti P. e R.R. che la natura privatistica dell'Azienda (omissis) non consentirebbe la qualificazione del suo dipendente quale "incaricato di pubblico servizio" e dunque l'equiparabilità al p.u. ex art. 493 c.p..

Va, invece, rilevato che lo stesso art. 358 c.p. definisce il "pubblico servizio" e, conseguentemente, l'"incaricato di un p.s." non in una prospettiva meramente soggettivistica quanto con riferimento all'attività svolta.

Sono incaricati di un pubblico servizio "coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio". Quest'ultimo, poi, consiste in ogni prestazione volta a soddisfare un bene cui la collettività attribuisce rilevanza primaria, quale è appunto il mantenimento dell'igiene nell'ambito del territorio urbano mediante lo smaltimento dei rifiuti.

La configurazione del reato ex art. 493 c.p. va escluso, nella specie, sotto altro profilo.

La norma in esame, invero, impone che l'atto falso venga redatto nell'esercizio delle attribuzioni proprie dell'incaricato.

Ora, l'incaricato alla raccolta o al trasporto dei rifiuti quando appone la firma di presenza al momento dell'inizio e della cessazione del servizio adempie ad un onere imposto al sole fine di provare l'adempimento del sinallagma contrattuale, non redige - invece - un atto connesso alle mansioni cui, è adibito ed assumente rilevanza proprio in relazione alla specifica esternazione del "pubblico servizio". Questo basta ad escludere la responsabilità dei ricorrenti, indipendentemente dall'assunzione di posizione - per il momento sulla riferibilità del "pubblico servizio" alle mansioni meramente materiali del netturbino.

Ne consegue che tanto il R. quanto il P. e R.R. vanno assolti dal reato di falsità in atto pubblico.

Si rende necessario il rinvio alla corte di merito al fine della rideterminazione della pena per la truffa, già calcolata solo in aumento ex art. 81 cpv. c.p., una volta caduta la pena base per il più grave reato di falso.

Va accolto, ancora, il ricorso di A., A., R.G., D.M. e M., chiamati a rispondere solo dell'omissione di atti d'ufficio.

L'art. 328 c.p. ancora una volta fa riferimento all'incaricato del pubblico servizio, secondo la nozione dettata dall'art. 358 cpv. c.p..

Questa norma si riferisce ad "attività" che, per essere tale, deve esplicarsi nelle "forme della pubblica funzione".

Di per sé tale richiamo sancisce la necessità di veste "documentale" per una "manifestazione di volontà" anche se non garantita dai "poteri tipici della P.A..

In ogni caso, alla stessa nozione giuridico-amministrativa di "attività" rimane estranea l'attività meramente materiale o esecutiva.

L'ultima parte, poi, chiarisce ancora meglio la portata della disposizione laddove esclude "lo svolgimento di semplici mansioni d'ordine" e "la prestazione di opera meramente materiale".

L'operatore ecologico in senso stretto (del quale si discute in questa sede) svolge in sostanza mansioni manuali meramente materiali, pertanto va affermata la non configurabilità - nei suoi confronti - del reato p. e p. dall'art. 328 c.p..

Né può condividersi la possibilità di qualificare il fatto entro i limiti dell'art. 340 c.p. (interruzione di un ufficio o servizio pubblico), norma residuali implicante, anche nella forma meno grave, la turbativa della regolarità di un servizio inteso, comunque, in senso globale.

La pronuncia di assoluzione deve ricorrere alla formula più ampia dell'insussistenza del fatto, comportante l'annullamento senza rinvio.

La soluzione adottata consente l'estensione del giudicato, ex art. 587 c. 1 c.p.p., a T.G. e T.G., già condannati anche in secondo grado per il medesimo reato e non ricorrenti.

I ricorrenti M. e L., che vedono rigettata la loro impugnazione, vanno condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di P.V., R.M.A. e R.R. - limitatamente ai reati di falsità in atto pubblico - perché il fatto non sussiste. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per la rideterminazione della pena.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.F.P., A. E., R.G., D.M. A. e M. P. - quanto al reato di cui all'art. 328 c.p. - perché il fatto non sussiste, con effetto estensivo nei confronti di T.G. e T.G., imputati non ricorrenti.
Rigetta i ricorsi di M. G. e L. G. che condanna al pagamento in solido delle spese processuali.


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