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Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. I penale - sentenza 2 febbraio 2001 n. 4397

Svolgimento del processo. 1. Con sentenza 27/11/1995 il Tribunale di Roma dichiarò Federico Giuseppe MENNELLA, Eugenio SCALFARI, Mario PENDINELLI, Aldo VARANO, Gianfranco MANFREDI, Alberto CUSTODERO, Marcello LAMBERTINI PADOVANI, Paolo POLLICHIENI, Vladimiro SETTIMELLI e Pantaleone SERGI, colpevoli di reati di diffamazione a mezzo stampa e li condannò ad una pena pecuniaria (avendo concesso a tutti le attenuanti generiche valutate prevalenti sulle aggravanti), nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita da liquidarsi in separata sede; assegnando una provvisionale di lire 45 milioni complessiva, oltre a lire 18 milioni a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 12 della legge sulla stampa ed indicando i singoli importi dovuti da ciascun imputato.
2. Il processo era scaturito da una serie di querele proposte dall'avv. Pietro Muscolo oggi deceduto, contro i direttori responsabili dei giornali "l'Unità", "la Repubblica", "Il Tempo", "Il Messaggero", ed i redattori di una serie di articoli apparsi sui predetti quotidiani tra il 31 ottobre 1992 ed il 12 giugno 1993 a commento di una perquisizione eseguita il 29/10/1992 presso l'abitazione e lo studio del Muscolo, in Genova, per ordine della Procura di Palmi, su decreto autorizzativo del GIP di quel Tribunale.
3. Con sentenza 20/01/1997 la Corte d'appello di Roma confermò la sentenza di primo grado; ma, con sentenza 27/01/1999, la Corte di cassazione annullò quest'ultima sentenza. Giudicando in sede di rinvio la Corte d'appello di Roma, con sentenza 08/01/2000, ha ridimensionato i fatti costituenti reato, ha ridotto le pene inflitte agli imputati, e per il resto ha confermato la sentenza del Tribunale.
4. Contro quest'ultima sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Mennella, Varano, Settimelli, Scalfari, Sergi, Custodero, Manfredi, Pollicheni e Lambertini Padovani.
5. Gli articoli incriminati sono:
5-1. Articolo comparso sull'Unità del 31/10/1992 a firma Varano (e che coinvolge il direttore responsabile Mennella).
5-2. Articolo a firma Sergi comparso su "la Repubblica" del 31/10/1992 (e che coinvolge il direttore responsabile Scalfari).
15-3. Articolo a firma Pollichieni (e che coinvolge il direttore Lambertini Padovani) comparso su "Il Tempo" del 31/10/1992.
5-4. Articolo redatto da Manfredi comparso su "Il Messaggero" del 31/10/1992.
5-5. Articolo redatto da Custodero, comparso su "la Repubblica" il 12/06/1993.
5-6. Articolo redatto da Varano e Settimelli, comparso su "l'Unità" il 01/11/1992.
5-7. Articolo redatto da Sergi, comparso su "la Repubblica" il 01/11/1992.
5-8. Articolo redatto da Varano, comparso su "l'Unità" del 02/11/1992.
5-9. Articolo redatto da Sergi, comparso su "la Repubblica" il 03/11/1992.
6. In particolare.
Gli articoli pubblicati sull'Unita facevano riferimento al Muscolo quale «custode di elenchi di persone appartenenti ad una loggia massonica coperta», e ne accostavano il nome a quello di Miceli Crimi e Sindona, con i quali egli si sarebbe impegnato per l'unificazione delle tre grandi logge massoniche italiane. Il nome del Muscolo inoltre, secondo tali articoli, era stato trovato nell'ambito dell'inchiesta dell'allora giudice Violante riguardante il cosiddetto "golpe bianco" attribuito a Edgardo Sogno (e in un articolo si accennava al fatto, più specifico, che egli fosse stato «interrogato» da Violante). Secondo il primo di tali articoli il Muscolo era stato individuato dalla Guardia di Finanza nel corso di una inchiesta su una truffa in danno della CEE.
Gli articoli pubblicati su "la Repubblica", a loro volta accostavano il nome del Muscolo ad una loggia massonica occulta scoperta in Genova affermando che le associazioni segrete avevano un legame con i poteri criminali (in particolare con la 'ndrangheta calabrese). Anche in questi articoli si parlava di progetti comuni con Miceli Crimi e Sindona e del fatto che il nome del Muscolo era stato trovato nell'inchiesta del giudice Violante. Infine, nell'ultimo articolo, si affermava che dietro alla loggia massonica segreta si celava un traffico di armi.
Negli articoli comparsi su "Il Tempo" e "Il Messaggero" venivano riportate notizie concernenti: - il ritrovamento presso il Muscolo di nomi non rientranti negli elenchi della Massoneria ufficiale, (e quindi indicanti l'esistenza di una super-loggia segreta e «coperta»); - i collegamenti con Sindona e Miceli Crimi; - il ritrovamento del nome di Muscolo nell'inchiesta di Violante. Nell'articolo de "Il Messaggero", poi, era pure contenuta l'affermazione secondo cui i massoni delle logge «coperte» hanno fini oscuri ed hanno connessioni con la mafia ed il traffico d'armi.
7. I giudici del merito, in prima battuta, avevano ritenuto tutti gli articoli diffamatori, con l'aggravante di avere attribuito alla persona offesa fatti determinati.
Nella sua sentenza di annullamento, peraltro, la Corte di cassazione aveva censurato la sentenza di condanna nel punto in cui questa basava l'affermazione di responsabilità sulla violazione dell'obbligo del rispetto della verità. Secondo i giudici di legittimità era stato svisato il parametro stesso della verità: che non deve essere individuato in un necessario controllo della notizia. Infatti quando si verte in tema di cronaca giudiziaria, la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogni qualvolta la notizia stessa sia fedele al contenuto del provvedimento giudiziario, senza alterazioni o travisamenti. E dunque, ai fini della esimente di cui all'art. 51 c.p., è sufficiente che l'articolo corrisponda al contenuto di atti e provvedimenti della A.G. senza che sia richiesto al giornalista di dimostrare la verità obiettiva o la fondatezza delle decisioni e dei provvedimenti adottati in sede giudiziaria.
8. In applicazione del principio indicato dalla Suprema Corte, la Corte d'appello di Roma, in sede di rinvio, ha ritenuto che, limitatamente ad alcuni brani degli articoli incriminati la sussistenza del delitto di cui all'art. 595 c.p. fosse da escludere. Ciò tuttavia non copriva tutto il testo degli articoli, i quali conservavano una dimensione diffamatoria nei seguenti brani.
In articoli a firma Varano, Sergi, Pollichieni e Custodero, ove si dava per assodato che il Muscolo, unitamente a Miceli Crimi e Sindona, si era adoperato per l'unificazione delle logge massoniche (in tal caso difettava una fonte giudiziaria da cui la notizia poteva essere tratta). Secondo i giudici del merito in questo caso l'accostamento del Muscolo a soggetti noti per avere perseguito finalità illecite poneva la figura del querelante in una luce sinistra.
In un articolo di Varano ove non era affatto ricavabile da atti giudiziari che il Muscolo fosse stato individuato dalla G.d.F. indagando su una truffa miliardaria in danno della CEE (e questa notizia, così come veniva data lasciava dedurre che il querelante fosse implicato in qualche modo nella truffa).
In articoli di Varano, Settimelli, Sergi e Polichieni ove non risultava da provvedimenti o atti giudiziari la notizia secondo cui il Muscolo sarebbe stato inquisito in relazione al golpe di Edgardo Sogno, da parte del giudice Violante.
In un articolo di Sergi, la notizia che in Liguria si era rilevato un solido legame tra poteri occulti e poteri criminali, tra 'ngrangheta e massoneria, e che il Muscolo era l'avvocato della mala e protagonista della vita massonica.
In un articolo di Manfredi, la notizia che le indagini stavano scoprendo logge epigone della P2 i cui componenti irriducibili non volevano togliersi il cappuccio per perseguire fini osceni ed inconfessabili.
In un articolo di Custodero l'accostamento tra la loggia segreta di Muscolo ed un "maxi" traffico di armi.
La Corte d'appello ha ravvisato altresì il difetto di coerenza tra tutte queste notizie ed il contenuto delle indagini che si stavano svolgendo; ed ha affermato che i giornalisti erano caduti in illazioni, esorbitanze, arbitrarie elaborazioni di quei contenuti.
I reati dunque, sia pure in modo più limitato e meno grave di quanto ritenuto dai giudici di primo grado, sussistevano - ed i redattori degli articoli, assieme con i rispettivi direttori responsabili, dovevano essere condannati.
9. I motivi dei ricorsi per cassazione sono i seguenti:
9-1. Per Mennella, Varano e Settimelli (avv. Fausto Tarsitano).
9-1-1. Inosservanza di norme processuali e mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale aveva omesso ogni esame in ordine al contenuto diffamatorio degli articoli, dando per scontato ciò che invece avrebbe dovuto analizzare e valutare; e quindi si era soffermata soltanto sulla esimente della veridicità delle notizie.
La motivazione doveva poi considerarsi contraddittoria là dove la Corte d'appello da un lato afferma che il Muscolo aveva ammesso i tentativi di unificazione di alcune famiglie massoniche, mentre d'altro lato esclude un legittimo diritto di cronaca proprio su quel punto.
Inoltre i giudici di appello avevano disconosciuto ogni valore alla documentazione prodotta dalla difesa (e cioè gli allegati alla relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2), peraltro regolarmente ammessa.
9-1-2. Avvenuta prescrizione dei reati; la commissione dei quali risaliva al 31 ottobre ed 01 e 02 novembre del 1992, per cui il termine massimo di sette anni e mezzo era abbondantemente decorso.
9-2. Per Scalfari, Sergi e Custodero. (avv. Giovanni La Pera e Giovanna Corrias Lucente).
9-2-1. Violazione di cui all'art. 606 lett. c) cpp in relazione all'art. 525 cpp e 178 lett. c) cpp. La Corte d'appello, ritiratasi in camera di consiglio per decidere, la aveva poi interrotta, ed aveva rinviato il processo ad altra udienza ravvisando una incompletezza nel fascicolo. Peraltro alla udienza di rinvio la camera di consiglio era ripresa senza nuove conclusioni delle parti e pur avendo la Corte, nel frattempo, acquisito una memoria della parte civile. Era stato violato quindi il principio di cui all'art. 178 lett. c) cpp perché in buona sostanza, dopo la sospensione della camera di consiglio erano state acquisite conclusioni di una sola parte.
9-2-2. e 9-2-3. Violazione di cui allo articolo 606 lett b) ed e) cpp in relazione all'art. 51 c.p.
Non era stato rispettato il dictum della Corte di cassazione in ordine alla verità delle notizie indicate negli articoli incriminati.
Nella specie tutte le notizie si riferivano ad una inchiesta giudiziaria (procedimento a carico del querelante da parte della Procura di Palmi) ed in particolare derivavano dal contenuto di atti dell'indagine stessa, da perquisizioni e sequestri subiti dal Muscolo, da documenti sequestrati, dalla finalità stessa della inchiesta.
Le singole notizie ritenute dalla Corte territoriale come diffamatorie in realtà o non lo erano (come quella relativa al tentativo di unificare le logge massoniche); o erano comunque necessarie per l'esatto inquadramento della vicenda, per dare indicazioni sull'ambiente e sul passato dell'avv. Muscolo, ma con stretta attinenza al procedimento in corso cui gli articoli sempre si riferivano; o, infine, erano state travisate dalla Corte (non era stato scritto negli articoli che il Muscolo risultasse inquisito nel procedimento per il presunto "golpe Sogno" ma soltanto che il suo nome era stato rinvenuto nelle carte di quell'indagine).
Nessun controllo, poi, era stato svolto sui documenti forniti dalla difesa apoditticamente definiti come informi e di dubbia autenticità. Dai quali ben poteva dedursi la veridicità (risultante da documenti ufficiali) delle notizie riferite.
In collegamento con questo motivo è stata lamentata la omessa motivazione in ordine alla sollecitata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per escutere dei testimoni.
Inoltre è stato sottolineato come nell'articolo di Sergi del 3 novembre 1992 non vi fosse alcuna notizia tra quelle ritenute diffamatorie, sicché almeno da questa specifica imputazione il Sergi avrebbe dovuto essere assolto.
9-2-4. Violazione ex art. 606 lett. b) e c) in relazione all'art. 59 co 4 c.p.
La Corte avrebbe dovuto valutare l'aspetto soggettivo della scriminante e cioè la questione attinente all'erroneo convincimento dei giornalisti in ordine alla verità dei fatti e delle notizie riferite.
9-2-5. Violazione di cui all'art. 606 lett. c) ed e) in relazione all'art. 539 cpp.
Erroneamente la Corte aveva lasciato integra la provvisionale; senza indicare alcun parametro di riferimento per la quantificazione della somma. Il danno, in vero, non era stato per nulla definito concretamente, ma restava una pura affermazione teorica, priva di alcuna prova sul quantum. In ogni caso, in relazione alla minore offesa ritenuta dai giudici di secondo grado, anche la provvisionale avrebbe dovuto essere ridotta.
Così dicasi per la riparazione pecuniaria di cui all'art. 12 della legge sulla stampa.
9-3. Per Manfredi (avv. Luigi Di Maio).
Violazione di cui all'art. 606 lett. b) ed e) cpp in relazione agli articoli 51 e 595 cp.
La Corte aveva formulato un giudizio cumulativo degli imputati senza esaminare le posizioni singole né aveva valutato la documentazione acquisita. II ricorrente aveva solo riferito quanto risultava dalla inchiesta della Procura di Palmi, e pertanto il suo comportamento era scriminato dall'avere egli riferito notizie risultanti da atti giudiziari.
9-4. Per Pollichieni e Lambertini Padovani (avv. Giorgio Angelozzi Gariboldi). Violazione di cui all'art. 606 lett. b) in relazione agli artt. 595 cp e 627 n.3 cpp.
La notizia pubblicata nell'articolo del Pollichieni corrispondeva a verità come risultava dalla stessa ammissione del Muscolo; quanto al riferimento al procedimento del giudice Violante nessun addebito specifico era stato fatto al Muscolo; sicché la notizia non era diffamatoria.

Motivi della decisione. 1. Tutti i reati, tranne quello ascritto ad Alberto Custodero, sono estinti per prescrizione.
Infatti, a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche valutate prevalenti sulle aggravanti contestate, la pena massima irrogabile, per i reati ascritti agli imputati, risulta inferiore ai 5 anni di reclusione e quindi il termine di prescrizione è quinquennale e, tenuto conto dei fatti interruttivi è di sette anni e mezzo. I reati furono commessi il 31 ottobre ed il 1, 2, 3 novembre 1992, e pertanto detto termine è decorso rispettivamente il 30 aprile ed il 1, 2, 3 maggio 2000. Per quanto si dirà in seguito, non è applicabile il secondo comma dell'art. 129 cpp e la prescrizione, a sensi del primo comma del citato articolo 129 cpp, va quindi dichiarata.

2. La prescrizione invece non si è verificata per il reato ascritto ad Alberto Custodero, che risulta commesso il 12 giugno 1993, rispetto al quale il termine di prescrizione scadrebbe soltanto alla data del 12/12/2000.

3. Occorre comunque prendere in considerazione i motivi di tutti i ricorsi, agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono interessi civili a sensi dell'art. 578 cpp. (Si veda sul punto, tra le altre, Cass. Sez V, 01/03/1997, Coltro ed altri, secondo la quale: «In tema di declaratoria di estinzione del reato,l'art. 578 cpp prevede che il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono interessi civili, e per tale decisione devono esaminare e valutare i motivi dell'impugnazione proposta dall'imputato»; con la ulteriore precisazione di cui a Cass. Sez IV, 28/05/1999, Pizzagalli, secondo cui: «...al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento dei danni dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto previsto dall'art. 129 c.2,cpp.»).

4. I ricorrenti Scalfari, Sergi e Custodero hanno preliminarmente dedotto la nullità del giudizio di secondo grado perché, terminata la discussione, i giudici si erano ritirati in camere di consiglio; poi, però, l'avevano interrotta ed avevano pronunciato ordinanza di rinvio; quindi, alla udienza di rinvio, si erano nuovamente ritirati in camera di consiglio senza rinnovare la discussione; il collegio aveva peraltro acquisito, nel frattempo, una memoria della parte civile; in tal modo, non avendo rinnovato la discussione e non avendo quindi acquisito nuove conclusioni da parte delle difese, la Corte non aveva rispettato il principio dei contraddittorio.

Questo motivo è manifestamente infondato. Risulta infatti dal relativo verbale che alla udienza di rinvio la Corte, presenti i difensori, i quali nulla eccepirono, dispose la ripresa della camera di consiglio, per la decisione. Per contro: non risulta alcuna ulteriore acquisizione di documenti o memorie o conclusioni provenienti dalla parte civile; e tanto meno, quindi, risulta che memorie o documenti, pervenuti medio tempore, siano stati presi in considerazione dal collegio ai fini della decisione. Non è stato violato il principio del contraddittorio. I difensori avrebbero di certo potuto chiedere la rinnovazione, alla udienza di rinvio, della discussione (comunque già ritualmente svolta alla precedente udienza): ma non hanno ritenuto di farlo. Conseguentemente, la ripresa della camera di consiglio, effettuati gli adempimenti meramente formali relativi al fascicolo processuale, (e per i quali il rinvio era stato disposto) e sulle già argomentate conclusioni delle parti, fu del tutto rituale.

5. Quanto al motivo concernente il preteso mancato rispetto del dictum della Cassazione, che aveva annullato la precedente sentenza della Corte d'appello di Roma, (ricorso Scalfari, Sergi, Custodero) esso è infondato. Si ribadiscono i principi enunciati dalla sentenza di annullamento e dalle più recenti sentenze di questa Corte e cioè: a) In tema di cronaca giudiziaria la verità della notizia mutuata da un provvedimento, giudiziario sussiste, ai fini della scriminante di cui all'art. 51 c.p. ogni qualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti. È pertanto sufficiente che l'articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e provvedimenti dell'autorità giudiziaria, non potendosi chiedere al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria e dovendo d'altra parte il criterio della verità della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo (tra le altre, Sez. V, 02/03/1999 Mennella ed altri).
b) Occorre quindi considerare il contenuto dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria e stabilire quale parte degli articoli li recepisca ovvero se ne discosti (pur tenendo conto del contesto di tutta l'indagine).
In questo quadro, (sempre secondo la sentenza di annullamento emessa da questa Corte il 27/01/1999), occorre: verificare se gli accostamenti operati negli scritti siano in linea con gli obiettivi perseguiti dagli inquirenti ovvero appaiano frutto di temeraria immutazione del vero ...; accertare se l'accostamento con personaggi (dalla cattiva fama) sia lo speculare riflesso dell'indagine ovvero ne costituisca una illazione, un'esorbitanza, una avventata o anche arbitraria elaborazione. In vero ogni accostamento di notizie vere è consentito se non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva. Questi principi sono in linea con quanto affermato da questa Corte in altre occasioni, secondo cui il limite della verità deve essere restrittivamente inteso dovendosi verificare la rigorosa corrispondenza tra quanto narrato e quanto realmente accaduto; e ciò comporta, pur in un contesto di sostanziale verità delle notizie riferite, lo stretto obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, le illazioni, i chiari significati allusivi, gli accostamenti e le esorbitanze arbitrarie; cosicché non perde il connotato della illiceità l'attribuzione a taluno in termini di certezza di un fatto che è invece rimasto non accertato, o l'inserimento, nel contesto, di circostanze non vere. (cfr. Sez I ,12/01/1996, Bocca; Sez. V 26/03/1998, Scalfari; Sez. V 03/06/1998, Pendinelli).
I giudici del rinvio hanno espressamente preso in considerazione ed applicato i principi di diritto enunciati da questa Corte; alla luce dei quali, infatti, hanno ridimensionato i reati attribuiti agli imputati. E tuttavia, proprio in applicazione di quegli stessi principi, hanno individuato alcuni brani degli articoli incriminati il cui contenuto doveva comunque considerarsi diffamatorio perché indicante dei fatti (non risultanti dall'istruttoria penale in corso, e senza il necessario collegamento con la stessa) idonei a porre in cattiva luce la persona del querelante.
Nel valutare questi brani come diffamatori la Corte territoriale, come si vedrà in seguito, non ha commesso errori di diritto.

6. Quanto alla affermazione contenuta nella sentenza, e contestata sostanzialmente in tutti i ricorsi, secondo cui le notizie, riferite nei brani riportati, non emergevano dagli atti del procedimento penale,(e quindi sarebbe stata necessaria una verifica della loro corrispondenza al vero), la valutazione è di merito, è motivata, e non può essere sindacata in questa sede. I ricorrenti lamentano che, al riguardo, e per valutare la verità delle notizie riferite dai giornalisti,(e quindi la sussistenza della scriminante di cui all'art. 51 c.p.), i giudici del merito non abbiano tenuto conto degli documenti, prodotti dalle difese, riguardanti la relazione della commissione parlamentare sulla loggia massonica denominata P2. Senonché sul punto la Corte d'appello di Roma ha ritenuto (con giudizio, ancora una volta, di merito, che si sottrae al sindacato di questa Corte) che neppure da questi atti (solo ad abundantiam definiti "informi" e "di dubbia autenticità") emergessero quelle specifiche notizie, ritenute diffamatorie.

7. Quanto al contenuto dei brani in cui la diffamazione è stata ravvisata.

7-1. A proposito della iniziativa, attribuita all'avvocato Muscolo, di unificare le logge massoniche, le difese dei ricorrenti Mennella, Varano, Settimelli, Scalfari, Sergi, Custodero, Pollicheni, Lambertini Padovani sostengono che, pur non risultando, tale notizia, da atti giudiziari, quel progetto (comunque "neutro" e la cui attribuzione ai propositi della persona offesa non integra una diffamazione) corrispondeva a verità, tanto che era stato ammesso dallo stesso avv. Muscolo. Senonché la sentenza impugnata sottolinea questa notizia non tanto per il suo contenuto relativo al «progetto unificatore delle logge» quanto per l'accostamento del Muscolo con personaggi noti per avere perseguito, anche tramite le logge massoniche da unificare, finalità illecite; e ravvisa nel complesso della formulazione della notizia, una presentazione "sinistra" della personalità del Muscolo medesimo, esorbitante dai limiti della cronaca giudiziaria.

7-2. Si deduce poi, da parte della difesa del ricorrente Sergi, un travisamento del fatto, perché il giornalista, nel suo articolo, aveva scritto che il nome del Muscolo compariva tra le carte dell'allora giudice Violante e non invece (come parrebbe dalla sentenza) che era stato, in quella occasione, "inquisito". Ma anche in questo caso la Corte territoriale ha interpretato (non incorrendo in errori di diritto) tale notizia come indicativa, di per se stessa, di un coinvolgimento del Muscolo in una vicenda, che veniva prospettata in modo tale da gettare, inutilmente rispetto alla cronaca giudiziaria relativa alla inchiesta della Procura di Palmi, una luce sfavorevole sul soggetto del quale si scriveva.
7-3. I brani degli articoli riguardanti il legame tra i «poteri occulti, e certe organizzazioni criminali, ovvero tra massoneria e 'ndrangheta calabrese» non sono (come pretenderebbero i ricorrenti) indicazioni o considerazioni soltanto generiche, indeterminate e, quindi, inidonee a diffamare specificamente la persona del Muscolo. In vero dal testo della sentenza impugnata si ricava che queste indicazioni si riferiscono agli accertamenti svolti, in modo specifico, in Liguria e finiscono per colpire il querelante laddove gli attribuiscono di essere il punto di riferimento proprio di quelle logge occulte o "coperte", le quali sarebbero collegate con organizzazioni criminose.

7-4. Sotto questo profilo anche l'articolo di Sergi del 3 novembre 1992 (rispetto al quale la difesa del ricorrente chiede in modo specifico l'assoluzione), non può sottrarsi alla valutazione negativa, secondo i criteri evidenziati dai giudici del merito.

7-5. Analogamente deve dirsi a proposito del "maxi" traffico di armi nel quale si dice essere implicata la loggia massonica segreta di cui il Muscolo era punto di riferimento. Al riguardo, la sentenza impugnata non è censurabile, avendo ritenuto, con valutazione ragionevole, che tale notizia (riferita, segnatamente, nell'articolo di Alberto Custodero) non fosse provata ed esorbitasse dall'argomento specifico di cronaca giudiziaria trattato; senza contare la sua affermazione in termini di perentorietà.

7-6. Nulla poi obietta la difesa di Varano a proposito della notizia (di cui all'articolo 31/10/92) riguardante l'individuazione del Muscolo da parte della Guardia di finanza nel corso di una indagine su una truffa miliardaria in danno della CEE: notizia ritenuta, dai giudici del merito, con valutazione corretta, non emergente da atti giudiziari e dal contenuto diffamatorio.

7-7. In ogni caso la sentenza impugnata sottolinea come «a parte la non corrispondenza delle notizie con il contenuto degli atti giudiziari, difetta anche ai fini della applicabilità dell'esimente così come delineata dalla Cassazione, la coerenza tra le notizie stesse ed il contenuto della indagine che si andava svolgendo; per cui gli articolisti, nei casi segnalati, sono caduti in illazioni, esorbitanze ed hanno arbitrariamente elaborato quei contenuti». Ed ancora: «il modo perentorio con cui le notizie vengono fornite non concede al soggetto cui si riferiscono il diritto alla presunzione di innocenza, che lo stato del procedimento indubbiamente gli attribuiva». Questa motivazione corrisponde ad una puntuale e ragionevole interpretazione del contenuto degli articoli, e costituisce corretta applicazione sia della norma penale incriminatrice, sia dei principi enunciati da questa stessa Corte in sede di annullamento.

8. Queste ultime osservazioni della Corte d'appello valgono altresì a far ritenere sussistente (contrariamente a quanto prospettato dai ricorrenti Scalfari, Sergi e Custodero) l'elemento soggettivo del reato. Premesso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, per la configurazione del reato in esame, è sufficiente il dolo generico, va osservato che il riferimento delle difese alla (pretesa) convinzione dei giornalisti circa la verità delle notizie riferite, oltre ad essere affermazione generica e tutta da dimostrare, non è nella specie fondato: dal momento che il reato è stato ravvisato anche in accostamenti ed illazioni certamente frutto di precise scelte, e quindi della volontà e della consapevolezza, dei redattori degli articoli.

9. Quanto al motivo dedotto dal Manfredi secondo cui la Corte d'appello avrebbe valutato gli articoli nel loro complesso non distinguendo le singole condotte dei singoli imputati, esso è manifestamente infondato. Basta leggere con attenzione la sentenza impugnata per rendersi conto che i giudici del merito hanno preso in considerazione (sia pure inserendo le relative osservazioni in un discorso più ampio ed unitario: anche al fine di non ripetersi inutilmente) gli specifici brani da ciascun giornalista redatti, individuandone le caratteristiche e gli aspetti diffamatori peculiari.

10. Manifestamente infondato è il motivo riguardante la provvisionale e la disposizione a sensi dell'art. 12 della legge sulla stampa di cui al ricorso di Scalfari, Sergi e Custodero.
A fronte di un reato di diffamazione il danno certamente esiste. Il fatto che non sia provato nella sua specifica entità non fa venire meno la possibilità, per il giudice, di stabilire una provvisionale: la quale, nella specie, è stata determinata in modo ragionevole, con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità. Né i giudici dell'appello, nel determinare la pena in misura minore rispetto a quanto deciso dai giudici di primo grado, erano tenuti a ridurre proporzionalmente anche la provvisionale. Le due valutazioni infatti, quella penale e quella civile, sono ovviamente autonome e, nella entità la seconda non è di certo ricollegabile alla prima in termini di aritmetica proporzionalità. L'essenziale è che, in ambedue gli ambiti, il giudice (come puntualmente ha fatto nella specie) eserciti il suo potere discrezionale secondo ragionevolezza. (cfr. Sez.V 29/01/1997, Pendinelli).

11. II ricorso di Alberto Custodero va quindi rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. Con riferimento, invece, agli altri ricorrenti, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché i reati sono estinti per prescrizione. Le statuizioni concernenti gli interessi civili devono essere confermate a sensi dell'art. 578 cpp. Tutti i ricorrenti devono essere condannati in solido alla rifusione delle spese di questo grado sostenute dalla parte civile; spese liquidate così come in dispositivo.

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ad eccezione del capo ascritto a Custodero Alberto, perché i reati sono estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso di Custodero Alberto, che condanna al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 578 cpp conferma le statuizioni concernenti gli interessi civili relativamente a tutti i ricorrenti, che condanna in solido alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, che liquida in complessive lire 3.600.000 - delle quali lire 3.500.000 per onorari.


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