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Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. I penale - sentenza 2 febbraio 2001 n. 4399

Svolgimento del processo. Con sentenza del 6/3/2000, la Corte di Assise di Appello di Salerno confermava la decisione emessa il 28/10/1998 con cui la locale Corte di Assise aveva condannato A.A. alla pena di ventisei anni e venti giorni di reclusione e R.R. alla pena di ventisei anni di reclusione perché ritenuti colpevoli di rapina aggravata, dell'omicidio aggravato di A.C., di lesioni volontarie aggravate in danno di C.S., di porto e detenzione di armi clandestine, nonché, il solo A.A., di distruzione di carte d'identità, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
Dopo avere rilevato che l'omicidio era stato commesso nel corso di una rapina compiuta da un gruppo di quattro persone in casa dell'A.C., ucciso per il fatto di avere reagito e di essere riuscito a disarmare uno degli aggressori, e che nell'episodio era rimasto ucciso anche un rapinatore ed erano rimasti feriti un altro rapinatore e la moglie dell'A.C., la Corte di secondo grado rilevava che i due imputati avevano ammesso di avere partecipato alla rapina e avevano indicato R.A., morto successivamente in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine, come l'esecutore dell'omicidio dell'A.C.: la Corte riteneva, quindi, insussistenti le condizioni perché al R.R. e all'A.A. potesse applicarsi la disposizione di cui all'art. 116 c.p., non potendo configurarsi l'ipotesi del concorso anomalo rispetto ad una situazione concreta in cui era riscontrabile il dolo omicidiario, nella forma eventuale, da parte degli imputati partecipanti, con altri due complici, ad una rapina compiuta con armi automatiche con il colpo in canna. Nella sentenza impugnata veniva altresi ritenuto che il dolo eventuale è compatibile con l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 2 c.p., che nel caso di specie era stata esattamente applicata l'aggravante della crudeltà riguardo al delitto di rapina e che erano condivisibili le statuizioni relative all'equivalenza delle attenuanti con le aggravanti e alla determinazione della pena. Infine, la Corte distrettuale negava l'applicazione della diminuente del giudizio abbreviato, considerando inapplicabile la disposizione introdotta dall'art. 30 lett. b) della L. n. 479/99 che ha ammesso il rito speciale anche per i reati puniti con la pena edittale dell'ergastolo.
Gli imputati proponevano ricorso per cassazione.
Nell'interesse del R.R. venivano denunciate erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la Corte di merito aveva considerato inapplicabile la figura del concorso anomalo, pur essendo stato accertato che il R.R. doveva identificarsi per il rapinatore non armato e non travisato che prese parte solo alla fase iniziale della rapina in casa dell'A.C., allontanandosene prima che iniziasse la sparatoria. Il ricorrente deduceva che la ritenuta esistenza del dolo eventuale era stata basata su una incompleta e illogica valutazione delle risultanze probatorie, da cui era scaturita una ricostruzione dei fatti non attendibile nel punto in cui aveva fatto discendere dal possesso delle armi la volontà di uccidere. Censurava altresi l'applicazione dell'aggravante ex art. 61 n. 4 c.p., giacché la condotta non era finalizzata a procurare inutili sofferenze alle vittime della rapina: lamentava altresi l'illegittimità della mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e la violazione dell'art. 30 lett. b) della L. n. 479/99 per l'omessa riduzione di pena giustificata dalla richiesta di giudizio abbreviato disattesa in sede di udienza preliminare.
Anche nell'interesse dell'A.A. venivano denunciate violazione di legge e mancanza e illogicità manifesta della motivazione in ordine all'omessa applicazione della disposizione di cui all'art. 116 c.p. per la ragione che il convincimento della Corte di merito era derivato da un ragionamento cosparso di lacune logiche e di incongruenze argomentative, onde doveva considerarsi priva di base logica e giuridica l'opinione che aveva condotto all'affermazione del dolo eventuale. Il ricorrente censurava, infine, la mancata riduzione di pena per il giudizio abbreviato denunciando l'erroneità dell'analisi interpretativa che aveva fatto escludere la natura sostanziale della nuova disciplina e aveva fatto negare che essa potesse trovare applicazione anche nei processi in corso.

Motivi della decisione. 1. Nell'ordine logico, devono essere esaminate, anzitutto, le censure formulate dai ricorrenti per contestare la correttezza delle linee argomentative poste a base dell'interpretazione delle risultanze probatorie e delle enunciazioni in punto di diritto alla stregua delle quali è stato escluso che nel caso in esame possa applicarsi la disposizione di cui all'art. 116 c.p., che regola la figura del concorso anomalo.
La giurisprudenza di questa Corte si è, da tempo, adeguata ai principi stabiliti dalla Corte Costituzionale, che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 116 c.p., ha escluso che tale disposizione configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la fattispecie da essa delineata esige anche un rapporto di causalità psicologica, concepito nel senso che il reato diverso o più grave debba potere rappresentarsi alla psiche del concorrente - nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani - come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza (Corte cost., 31 maggio 1965, n. 42). Nel solco di tale linea interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che per la configurazione del concorso anomalo sono necessari tre elementi, e cioè l'adesione dell'agente ad un reato concorsualmente voluto, la commissione, da parte di altro concorrente, di un reato diverso o più grave e, infine, l'esistenza di un nesso causale, materiale e psicologico, fra l'azione del compartecipe al reato inizialmente voluto e il diverso o più grave reato poi commesso da altro concorrente, che deve porsi come il prevedibile sviluppo di quello concordato (Cass., Sez. I, 10 aprile 1996, Angeloni ed altro; Cass., Sez.I, 9 novembre 1995, Fortebracio ed altro). Ditalché l'esclusione della responsabilità ex art. 116 c.p. postula che il reato più grave si presenti come un evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, mentre allorquando la condotta dell'imputato sia connotata non dalla sola prevedibilità, ma dalla effettiva previsione dell'evento diverso e dalla conseguente accettazione del rischio dell'avveramento, non potrà più parlarsi di responsabilità a titolo di concorso anomalo ma di piena responsabilità concorsuale ex art. 110 c.p. sotto il profilo del dolo eventuale (Cass., Sez. I, 28 giugno 1995, Cocuzza ed altro; Cass., Sez. I, 2 luglio 1993, Frandina; Cass., Sez. I, 22 giugno 1993, Rho).
Per tali ragioni, il limite della sfera di operatività della disposizione di cui all'art. 116 c.p. è segnato dal dolo eventuale: questo si distingue dalle altre figure di dolo per il fatto che mentre nel dolo intenzionale la volontà persegue l'evento come scopo finale della condotta o come mezzo ritenuto necessario per conseguire un ulteriore risultato e nel dolo diretto l'evento non costituisce l'obiettivo della condotta ma è accettato dall'agente come certo o altamente probabile, il dolo eventuale è caratterizzato, invece, dal rischio di verificazione e dall'accettazione dell'evento, che nella rappresentazione psichica appare soltanto probabile (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 1996, Mele; Cass., Sez. Un., 12 ottobre 1993, Cassata; Cass., Sez. Un., 15 dicembre 1992, Cutruzzolà; Cass., Sez. Un., 6 dicembre 1991, Casu). In questa stessa prospettiva ricostruttiva della normativa è stato precisato che l'omicidio non può considerarsi quale evento eccezionale e imprevedibile rispetto alla concordata rapina a mano armata, in quanto - come più volte riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte - il più grave reato di omicidio risulta collegato al reato di rapina con l'uso di armi da un rapporto di regolarità causale, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit (Cass., Sez. I, 25 marzo 1994, Giugni ed altro; Cass., Sez. V, 17 dicembre 1991, Vizzini).
Dai precedenti rilievi deve inferirsi che, nell'ipotesi di omicidio commesso durante una rapina con uso di armi, la questione relativa alla responsabilità per l'omicidio da parte di chi non abbia fatto uso delle armi) a titolo di concorso anomalo o pieno, deve essere risolta caso per caso, senza aprioristiche opzioni concettuali, accertando - in riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete - se l'evento mortale fosse solo prevedibile oppure se esso sia stato realmente previsto e voluto, per lo meno nella forma del dolo eventuale.
La Corte territoriale ha dato esatta applicazione ai principi dianzi illustrati, escludendo che nella specie i due imputati possano rispondere dell'omicidio ai sensi dell'art. 116 c.p. per la ragione che le risultanze probatorie sono state reputate inequivocamente comprovanti che l'uccisione dell'A.C. è addebitabile ad entrambi a titolo di dolo eventuale.
Infatti, la Corte di merito ha accertato che l'A.A. era armato e che i due imputati hanno partecipato alla rapina nella consapevolezza che gli altri due complici erano muniti di armi automatiche e che, all'occorrenza, erano pronti ad usarle in caso di resistenza delle vittime: in tal senso sono state considerate univocamente conducenti le circostanze che le armi avevano il colpo in canna, che tale fatto era conosciuto dagli imputati, in quanto mentre erano ancora sull'auto avevano sentito il rumore caratteristico dello "scarellamento" dell'arma, e che lo stesso R.R. aveva riferito che il M. la sera precedente aveva commesso una rapina, con le medesime modalità, nel corso della quale si era registrata la reazione armata della vittima. Tali puntuali elementi fattuali sono stati valutati con prudente apprezzamento dalla Corte distrettuale, che, con argomentazioni del tutto coerenti e legate da piena coordinazione logica, ha accolto la conclusione che l'A.A., il quale era munito di un'arma, e il R.R. avevano concretamente previsto la probabilità dell'uso delle armi per superare la resistenza delle vittime della rapina, accettando il rischio dell'uccisione e del ferimento di una di esse.
Ne consegue, che l'ineccepibilità logica e giuridica della motivazione rende non censurabili nel giudizio di legittimità sia l'affermata sussistenza del dolo eventuale nei due imputati sia la dichiarazione della loro responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110 e 575 c.p., dovendosi escludere la correttezza del riferimento fatto dai ricorrenti alla figura del concorso anomalo.

2. Non ha pregio la doglianza con cui è stata dedotta l'insussistenza dei presupposti necessari per l'applicazione della circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 4 c.p. Invero, deve premettersi che la costante giurisprudenza richiede, per la configurabilità dell'aggravante in esame, un quid pluris rispetto alla condotta tipizzata dalla norma incriminatrice, nel senso che è necessario che l'agente, nel commettere il reato, infligga alla vittima sofferenze non necessarie per la causazione dell'evento, onde le modalità dell'azione rivelano un'indole particolarmente malvagia e l'insensibilità ad ogni sentimento umanitario. La Corte territoriale ha riconosciuto il connotato della crudeltà nella condotta dei rapinatori osservando che l'applicazione dell'aggravante trova idonea base giustificativa nelle esasperate minacce rivolte alle vittime, nei toni gratuitamente ingiuriosi, nelle violenze esercitate nei confronti della C.S., strattonata, afferrata per i capelli e ferita al labbro. La valutazione delle circostanze fattuali e la classificazione di esse nell'ambito dell'aggravante ex art. 61 n. 4 c.p. risultano, dunque, sorrette da una motivazione del tutto adeguata sul piano logico e giuridico, ditalché il punto della sentenza impugnata non presta il fianco a censure rilevanti nel giudizio di legittimità.

3. Deve essere disatteso anche il motivo di ricorso rivolto contro il punto della sentenza riguardante il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, conclusosi con dichiarazione di equivalenza. Invero, con motivazione esauriente ed immune dai vizi, la Corte di secondo grado ha ritenuto di non poter attribuire prevalenza alle attenuanti, richiamando la complessiva gravità dell'episodio, le allarmanti e malvagie modalità di commissione della rapina, nonché il comportamento processuale degli imputati improntato al continuo tentativo di minimizzare il proprio contributo all'azione delittuosa.

4. Non hanno fondamento neanche le doglianze vertenti sulla mancata applicazione della riduzione di pena per il giudizio abbreviato di cui alla L. n. 479/1999, che ha ammesso il rito speciale anche per i reati puniti con la pena edittale dell'ergastolo, e alla L. n. 144/2000 di conversione del d.l. n. 82/2000.
Dopo qualche isolata oscillazione, la giurisprudenza di questa Corte ha assunto una posizione univoca sulla natura delle disposizioni riguardanti la disciplina del giudizio abbreviato, riconoscendo che esse hanno indubbiamente natura processuale in quanto fissano le condizioni, le modalità e i tempi per l'accesso al rito speciale, sicché, pur essendo innegabile la produzione di effetti sostanziali riflettentisi sulla pena, esse sono soggette al principio tempus regit actum che ne impedisce l'applicazione retroattiva (cfr. Cass., Sez. I, 5 giugno 2000, Hasani). La conclusione è avvalorata dal contenuto delle norme transitorie dettate dall'art. 4-ter, commi 2 e 3, della L. n. 144 del 2000, che, per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, consente la richiesta di giudizio abbreviato per le sole fasi di merito (primo grado, appello e giudizio di rinvio), escludendo che questa possa essere presentata nel giudizio di legittimità: e tale esclusione è stata ritenuta compatibile con i principi della Carta fondamentale, tanto che è stata giudicata manifestamente infondata la relativa questione di legittimità costituzionale (Cass., Sez. VI, 20 giugno 2000, Occhipinti).

5. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, risultando infondati in tutte le articolazioni, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento in solido delle spese processuali.
I ricorrenti devono essere altresi condannati a rimborsare alle parti civili le spese del presente grado del giudizio, che vengono liquidate complessivamente in lire 4.500.000, di cui lire 4.000.000 per onorari.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, che si liquidano in complessive lire 4.500.000, delle quali lire 4.000.000 per onorari.


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