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Giurisprudenza 2001 Corte di Cassazione sez. III penale - sentenza 7 marzo 2001 n. 9421

Svolgimento del processo. All'esito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ivrea, relative alle vicende dei minori A. ed A. Z., i quali, nati rispettivamente nel 1981 e 1986 in una famiglia moralmente e socialmente degradata, erano stati oggetto di vari successivi affidamenti familiari, disposti dal competente Tribunale per i Minorenni, il padre dei predetti, V. Z., fu tratto al giudizio dell'anzidetto Tribunale sotto le imputazioni di cui agli artt. 81 cpv., 519 co.2 n. 1), 521 co.1 e 2, 512 co. 2 n. 1) e 542 co. 3 n. 1) C.P., per avere, in Ivrea ed altrove, nel periodo compreso tra il luglio 1993 e la metà di agosto 1995, ripetutamente abusato sessualmente dei due suddetti figli, compiendo sugli stessi atti di violenza carnale. coiti anali ed orali(con entrambi) e vestibolari (con la bambina),nonchè atti di libidine di vario genere.

Con sentenza del 18/9/97 il Tribunale di Ivrea ritenne tutti i fatti provati, sulla scorta, essenzialmente, dei racconti, corredati anche da disegni, che i due bambini, dopo aver palesato precocissimi ed abnormi comportamenti e conoscenze attinenti alla sfera sessuale, avevano finito col rendere agli affidatari, confermandoli successivamente agli operatori socio- sanitari i quali, prima e durante le indagini, si erano occupati della vicenda, testimoniandone, infine, in giudizio.

I giudici di merito evidenziavano, in particolare, le convergenze tra alcuni significativi episodi e comportamenti riferiti dalle parti lese, la costanza e, soprattutto, la dovizia di particolari caratterizzanti le narrazioni degli abusi subiti dalla bambina, nonchè i riscontri oggettivi, in particolare di natura topografica, acquisiti nel corso delle indagini, e confermati in dibattimento, dai collaboratori del P.M., operatori di p.g. e consulente tecnico; indicavano, infine, quale ulteriore elemento confermativo della veridicità dei fatti, le infezioni agli organi genitali, da cui la piccola A. era risultata affetta in sede di consulenza tecnica medico- legale disposta dal P.M. (la cui attendibilità era stata confermata dalla successiva perizia dibattimentale), da ascriversi a contagio paterno per via sessuale, essendone stato affetto, in precedenza e per sua stessa ammissione, l'imputato medesimo, così come la di lui moglie, e madre dei minori, M. M..

Sulla base dei suesposti elementi, quel Tribunale dichiarò, lo Z. colpevole dei delitti ascrittigli, e tenuto conto della continuazione tra gli stessi e della contestata recidiva generica reiterata, lo condannò alla pena di a. 6 e m. 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, dichiarandolo interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e da quelli attinenti alla tutela e curatela, nonchè legalmente durante l'esecuzione della pena, oltre che decaduto dalla potestà genitoriale e dai diritti agli alimenti e successori verso i figli, condannandolo, infine, al risarcimento dei danni in favore della parte civile ( i minori, rappresentati da curatore speciale) nella misura di £ 250.000.000 per ciascun figlio, nonchè al rimborso delle relative spese di costituzione e difesa.

Avverso detta sentenza proponevano appello lo Z., a mezzo difensore di fiducia, ed, in via incidentale, il P.M., e la Corte di Torino, all'esito del giudizio di secondo grado, con la sentenza in epigrafe indicata, respinto integralmente il gravame dell'imputato, in accoglimento di quello del P.M., il quale si era doluto dell'inadeguatezza, in relazione all'estrema gravità dei fatti, del trattamento sanzionatorio, rideterminava la pena in anni nove di reclusione, con conferma delle rimanenti statuizioni e condanna dell'imputato al pagamento delle spese del grado, anche in favore della parte civile.

Avverso quest'ultima sentenza il difensore dello Z. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, integrati da memoria depositata il 19/1 c.a, contenente motivi aggiunti.

All'esito della discussione in pubblica udienza e sulle conclusioni, in epigrafe riportate, questa Corte ha deciso nei termini seguenti.

Motivi della decisione. Con il primo motivo di ricorso viene denunciata, ai sensi dell'art. 606 lett. c) c.p.p., violazione della legge processuale, in relazione agli artt. 360, 392 e segg., nonchè difetto di motivazione, con riguardo agli accertamenti medico- legali nei confronti dell'imputato e della figlia A..

I giudici di merito avrebbero, in proposito, erroneamente ritenuto utilizzabili non solo il prelievo di reperti organici dall'apparato genitale della minore, ma anche i successivi esami di laboratorio eseguiti sugli stessi da parte del c.t. del P.M., indagini specifiche compiute in eccedenza rispetto al mandato conferito e, soprattutto, in assenza ed in violazione dei diritti della difesa, non avvisata, tenuto conto della irripetibilità degli accertamenti ( essendo stata poi la bambina curata e guarita) e della correlativa necessità di compierli nelle forme dell'incidente probatorio, con le garanzie del contraddittorio.

La censura, pur cogliendo nel segno per quanto attiene all'evidenziata irregolarità processuale degli accertamenti di laboratorio, che, eseguiti su reperti deteriorabili e relativamente a persona il cui stato era soggetto a modificazione (tant'è che era poi guarita, in breve volgere di tempo, dalle rilevate infezioni) avrebbero dovuto e potuto essere svolti dal P.M. e dai suoi ausiliari (tale dovendosi ritenere il c.t. dell'accusa) nelle forme e con le garanzie difensive previste dall'art 360 c.p.p., prevedente la facoltà delle parti di promuovere incidente probatorio, ancorchè evidenzi una palese nullità, in parte qua, degli atti d'indagine, non è tuttavia di rilevanza tale da comportare l'annullamento della sentenza impugnata.

La prova indebitamente acquisita (la nullità, va sottolineato, si riferisce esclusivamente alle analisi di laboratorio e non anche al prelievo del materiale organico dal corpo della minore, quest'ultimo assolutamente imprevedibile ed indifferibile), alla cui inutilizzabilità non può ritenersi aver ovviato a posteriori la perizia dibattimentale, svoltasi necessariamente sugli atti (e, pertanto, inidonea a sostituire quei fondamentali ed irripetibili atti d'indagine, l'esame di laboratorio dei reperti, dei quali pur vi sarebbe stata possibilità di rendere partecipe la difesa), tuttavia, dall'esame delle motivazioni delle sentenza impugnata (integrata, sul punto, da quella di primo grado, alla quale i giudici di appello si sono esplicitamente e ripetutamente richiamati), non risulta decisiva, essendo stata valutata e considerata solo quale ulteriore elemento di riscontro, a riprova della responsabilità dello Z. (v. pag. 28 sent. Tribunale) che peraltro dal contesto della decisione risultava già sufficientemente provata, come si vedrà oltre.

Ultroneo, pertanto, si appalesa l'esame dei rimanenti profili di censura, con i quali vengono prospettati vizi di motivazione in ordine alla circostanza, dubbia secondo la difesa, che anche l'imputato fosse stato affetto dalle due malattie infettive diagnosticate alla figlia, ed alle recepite conclusioni peritali, contestate dal c.t. della difesa, in ordine sia alla diagnosi, sia alle modalità di contrazione delle infezioni in questione.

Considerazioni non dissimili a quelle sopra svolte inducono a ritenere l'irrilevanza del secondo motivo, denunciante analoghe violazioni processuali in relazione alle attività di indagine ( segnatamente un ritenuto esperimento giudiziale), svolte da ausiliari del P.M., presso il bar di Savigliano, luogo di consumazione di alcuni tra i più significativi e gravi fatti di violenza sessuale incestuosa.

Tali atti, che hanno consentito di verificare la rispondenza dei luoghi alla descrizione fornita dalla minore, non possono ritenersi, in tale parte, inficiati da nullità, non essendo le attività ispettive (di mera descrizione dei luoghi, ai fini del riscontro delle veridicità della denunzia) comprese tra quelle per le quali le disposizioni processuali, in precedenza citate, comportano la necessità della partecipazione dei difensori (ancorchè facultati ad intervenirvi).

Per quanto attiene, invece, a quella parte delle indagini, relativa alla ricostruzione della posizione che sarebbe stata mantenuta, durante il compimento degli atti sessuali, dall’imputato, è innegabile che le stesse abbiano assunto i connotati dell’esperimento giudiziale, così come delineati dall’art. 218 c.p.p., essendo state finalizzate a ricostruire, nella loro dinamica e nelle possibilità materiali di attuazione, le condotte incriminate.

Ma anche a tal proposito deve rilevarsi che tale irrituale verificazione si è innestata su un quadro probatorio (contemplante, tra l’altro, la stessa, già evidenziata, precisa corrispondenza del luogo alla descrizione della vittima) già di per se sufficiente, nell’economia complessiva della decisione di merito, a comprovare la veridicità dei racconti.

Con il terzo motivo viene denunciata la mancata assunzione di una prova decisiva, richiesta dalla parte, e relativi vizi di motivazione, in riferimento alla mancata rinnovazione della perizia dibattimentale, di natura psicologica, sulla personalità, al fine di stabilirne l’attendibilità, dei due minori parti lese.

La censura sottolinea, in particolare, l’illogicità della sentenza di appello, nella parte in cui ha ritenuto di non dovere procedere al rinnovo, ai suddetti fini, del dibattimento, in cospetto di una decisione di primo grado che si era ampiamente discostata dalle conclusioni, di ravvisata attendibilità dei minori, formulate dal perito psicologo, in palese contraddizione con il presupposto del provvedimento, che l’aveva officiato, costituito dalla ravvisata esigenza di verificare detta attendibilità.

Il motivo d’impugnazione è infondato.

Premesso che la perizia non costituisce un vero e proprio mezzo di prova, quanto, invece, un ausilio del giudice nella ricerca ed interpretazione del materiale processuale e che, pertanto, in tale ottica, rientra nella discrezionalità del giudice di merito non solo disporla, ma anche, eventualmente revocarne il relativo espletamento o non tenerne conto, nel caso in cui il materiale probatorio offerto dal processo si riveli, ad un successivo e più approfondito esame, tale da non richiedere quell’ausilio, ritenuto in un primo momento necessario, deve rilevarsi che nel caso di specie i giudici di merito, di primo e di secondo grado, hanno dato esauriente conto del diniego di rinnovo della perizia, spiegando, le ragioni in base alle quali ne hanno ritenuto superflua la rinnovazione, non avendo questa fornito un concreto apporto ai fini della valutazione dell’attendibilità dei minori.

La Corte d’Appello, peraltro, a fronte della censura proposta nel gravame della difesa, ha evidenziato come, in realtà la perizia G., contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non avesse formulato un netto giudizio di inattendibilità sui minori, affermando solo che l’attendibilità della bambina non può essere valutata mentre quella del piccolo A. sarebbe esclusa, ma solo in ragione dell’età.

In cospetto, dunque, di un giudizio sostanzialmente neutro ed agnostico, al riguardo espresso dal perito, e di una motivazione, della sentenza di primo grado, che si era fatta carico da un lato, di evidenziare i limiti della perizia, marcatamente critica nei confronti delle metodologie d’indagine fino a quel momento seguite e sterile nelle, prevalentemente polemiche, conclusioni, e, dall’altra, di addentrarsi nell’esame (praticamente omesso dal perito) di quei racconti resi dalle parti lese, in particolare da A., con dovizia di crudi e realistici dettagli, anatomici (circa la conformazione dell’organo maschile) e fisiologici (sulle modalità dell’orgasmo paterno), la cui conoscenza è stata è stata ascritta solo alle dirette e personali esperienze sessuali vissute e non alle, pur frequenti, più o meno fugaci e non ravvicinate, subite visioni di amplessi tra adulti, non carente, ne illogica deve ritenersi la motivazione della sentenza d’appello che ha ritenuto non necessario il rinnovo della perizia, sul rilievo che le esaurienti argomentazioni, esposte dei giudici del primo grado e fatte proprie da quelli del secondo, fossero più che sufficienti a confermare l’attendibilità di quanto riferito, ai rispettivi affidatari e, successivamente, agli operatori sociali, dai minori.

Tale attendibilità è stata, ripetesi, desunta, quanto alla piccola A., dalla costanza dei racconti, ad esternare i quali la bambina era gradualmente addivenuta, fino a corredarli con disegni, riferendo gli episodi che l’avevano vista coinvolta, con il padre ed i fratellino , in rapporti sessuali abituali di ogni genere, senza alcun risentimento e quasi si trattasse di normali e dovute manifestazioni di affetto tra padre e figli.

Ed in relazione all’episodio decisivo, a seguito del quale la bambina si era indotta a rivelare i rapporti incestuosi, fino a quel momento da lei accettati a guisa di necessario completamento di un intenso legame affettivo, i giudici di primo grado hanno posto in evidenza il riscontro oggettivo, di notevole peso indiziario, costituito dal particolare visibile stato emotivo, dai capelli e l’abbigliamento in disordine, non altrimenti spiegabili, nel quale A. si presentava, al rientro da uno dei periodici incontri avvenuti in Savigliano con il genitore.

Quanto al piccolo A., i giudici di merito, segnatamente quelli di primo grado (la cui motivazione è da considerarsi recepita da quella di appello, in virtù dell’operato richiamo, si da costituire con la stessa un’unitaria entità logico- giuridica, agli effetti dell’impugnazione di legittimità), hanno rilevato come il bambino, pur con le limitazioni dei mezzi espressivi connesse all’età ed alle turbe psicologiche che lo affliggevano, abbia rivelato attendibili ed essenziali particolari di quei rapporti, da lui considerati in un ottica essenzialmente ludica, costituenti conferma della veridicità delle, molto più dettagliate, narrazioni fornite dalla sorella.

Particolarmente significativa è stata, dai giudici di merito, evidenziata la convergenza dei racconti resi dai due minori, separatamente ai rispettivi e diversi affiddatari (tra i quali non era stata comunicazione di sorta al riguardo), dei turpi comportamenti di coprofilia, loro più volte imposte dal genitore.

Ed, ancora, i racconti ed i disegni, sia pur elementari, forniti dal piccolo A. non hanno avuto ad oggetto solo le proprie vicende sessuali, ma anche e soprattutto quelle tra la sorella ed il padre, dei quali era stato testimone.

Tali i riscontri di attendibilità delle dichiarazioni poste a base dell’accusa, sulla base dei quali i giudici di merito hanno ritenuto di poter prescindere dal perplesso e polemico responso peritale della psicologa officiata in primo grado e superflua, per l’esaustività del quadro probatorio, la sollecitata riapertura del dibattimento, finalizzata al rinnovo di una perizia, in definitiva risultata inutile.

Tale giudizio, adeguatamente motivato sul piano logico, in quanto tale si sottrae, in questa sede, agli ulteriori profili di censura, che si risolvono, come evidenziato dal P.G. di udienza, in inammissibili censure di merito. Manifestamente infondato è il quarto motivo d’impugnazione, con il quale si deduce violazione di legge, ex art. 606 lett. c) c.p.p. in rel. Agli artt. 85, 89 e segg. c.p., 603 e segg. c.p.p., e connesso vizio di motivazione, in ordine al denegato espletamento, richiest0o in grado di appello dalla difesa, di una perizia psichiatrica sull’imputato.

Va premesso, al riguardo, che nel vigente sistema penale l’imputabilità, costituita dalla capacità di intendere e di volere, nell’adulto è presunta, sia pure iuris tantum, sicchè il relativo obbligo di motivazione da parte del giudice va posto in stretta correlazione con le prospettazioni difensive che, sul punto, al fine di superare la suddetta presunzione o, comunque, dar luogo ad un’indagine tecnica, devono essere specifiche, vale a dire supportate da concreti elementi atti a far ritenere plausibile l’ipotesi che le facoltà psichiche, non quelle morali, dell’imputato siano in tutto o in parte disturbate da fattori patologici.

Ne tali elementi possono essere desunti dalla particolare gravità o efferatezza delle condotte delittuose, ove queste non appaiano rapportabili a vere e proprie alterazioni della sfera psichica dell’agente.

Sulla scorta di tali principi, da decenni consolidati nella costante giurisprudenza di questa S.C. (v., tra le altre, Cass. 1^ , n. 6234/90, 382/93, 1298/93, 5347/93), corretta ed incensurabile, nella presente sede di legittimità, deve ritenersi la decisione del giudice di merito, che ha disatteso la richiesta (peraltro avanzata solo in secondo grado, su questione che nel primo non aveva formato oggetto di discussioni e nell’assenza di fatti sopravvenuti che potessero giustificarne la posizione), osservando come, non essendo stata ipotizzata alcuna specifica patologia psichica affligente l’imputato, ma solo anomalie caratteriali e della sfera morale, inidonee ad incidere sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, la richiesta non meritasse accoglimento, tanto più che nel luogo e complesso corso del processo, durante il quale lo Z. aveva avuto incontri non solo con gli inquirenti, ma anche con qualificati operatori socio- sanitari (assistenti sociali, psicologi, etc.), nessuno di costoro aveva sollevato dubbi circa le capacità psichiche del soggetto; sicchè, l’estremo grado di aberrazione morale, caratterizzante gli atti compiuti, poteva solo costituire una delle componenti da valutare, ai sensi dell’art. 133 c.p..

Ciò posto, anche le doglianze alla motivazione, al riguardo del tutto logica ed aderente al dettato delle norme sostanziali e processuali in materia (a termini delle quali ultime, in particolare, il ricorso ai poteri di riapertura del dibattimento ex art. 603 c.p.p., da parte del giudice d’appello, salvi i casi di prove sopravvenute, è consentito nei soli casi in cui non sia possibile assumere una decisione allo stato degli atti), si risolvono in inammissibili censure attinenti ai profili di merito della vicenda.

Considerazioni in gran parte analoghe a quelle sopra volte inducono a disattendere, nonostante il diverso parere del P.G., anche il quinto ed ultimo motivo d’impugnazione, con il quale ci si duole dell’eccessività del trattamento sanzionatorio, per di più inasprito in accoglimento dell’appello del P.M., non essendosi tenuto in adeguato conto, agli effetti dell’art. 133 c.p., del quadro psicologico, caratterizzante la personalità dell'imputato, descritta dal perito psicologo quale riferibile a persona mentalmente deprivata, ma non perversa, segnata dal bassissimo livello socio- culturale di appartenenza, dalle relative frustrazioni e da una tendenza, derivante da una personalità strutturata in modo primitivo al soddisfacimento dei bisogni per sacrificare tensioni altrimenti intollerabili all’interno di sé…

Di tali componenti, invero, la Corte d’Appello ha tenuto conto, per quanto di ragione, nel suo giudizio ex art. 133 c.p., dando atto della grandissima povertà morale e culturale caratterizzante l’ambiente in cui vive l’imputato, ma al solo effetto di non determinare la pena base in coincidenza con il massimo edittale (è da notare che le richieste conclusive del P.G. erano state ancor più severe, rispetto alla pena poi inflitta), osservando, per converso, come la gravità e i moventi delle condotte (questi ultimi chiaramente individuabili, anche alla stregua delle indicazioni della perizia psicologica, nel soddisfacimento dei bisogni, attinenti alla più bassa sfera di una corporalità di tipo anale, costituenti le concrete pulsioni a delinquere), l’incalcolabilità del danno cagionato alle parti offese, la personalità dell’imputato, quale emerge dal certificato in atti ed, ancora, le turpi ed abiette modalità esecutive delle condotte di abuso sessuale… l’intensità del dolo desumibile dalla reiterazione delle condotte illecite e della strumentalizzazione a fine di abuso sessuale anche degli incontri autorizzati dal Tribunale minorile, comportassero non solo il diniego delle attenuanti generiche, ma anche la rideterminazione della pena in misura più adeguata alla, quasi estrema, gravità dei reati, sotto i profili sia oggettivi, che soggettivi.

Siffatto giudizio non può ritenersi carente, ne illogico per contraddittorietà, avendo i giudici di merito, nell’ambito del potere discrezionale di cui all’art. 133 c.p., ampiamente motivato l’utilizzo, previa adeguata valutazione comparativa, dei criteri normativi in tema di determinazione della pena, operando, tra i parametri di riferimento, una scelta ponderata, benchè senza che nella presente sede risulta insindacabile, in relazione alla quale, pertanto, le residue censure si palesano, al pari di quelle precedenti, attinenti ai profili di merito della vicenda penale.

Inammissibili, infine, sono i motivi aggiunti esposti nella memoria in atti, con i quali vengono dedotti assunti vizi di motivazione della sentenza impugnata, per mancata o inadeguata valutazione di testimonianze varie, di asserito tenore favorevole all’imputato, alla stregua delle quali i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere incompatibili i fatti ascrittigli con il corretto e normale comportamento, che abitualmente sarebbe stato serbato allo Z., nell’ambito della famiglia e, successivamente, per quanto specificamente attiene alla sfera sessuale, anche nei rapporti con la propria convivente.

A parte la tenue consistenza delle doglianze (considerato che la pedofilia, aspetto recondito della sessualità di chi ne è portatore, come l’esperienza giudiziaria insegna, è spesso mascherata da una vita sessuale apparentemente normale e tranquilla), l’inammissibilità delle stesse discende da una evidente, duplice, ordine di considerazioni: a) la non attinenza di tali profili di censura, ai motivi originari di ricorso, deducendo gli stessi assunti vizi e carenze di motivazione, in riferimento a specifiche risultanze processuali di ritenuto tenore favorevole, di cui nessun cenno risulta nella ragioni esposte nell’impugnazione; b) la palese attinenza delle censure ai fatti di causa, risolvendosi le stesse nell’inammissibile proposta, in sede di legittimità, di una complessiva rilettura delle risultanze processuali in senso favorevole all’imputato) diverso da quello esposto dai giudici di merito, con argomentazioni, come si è visto, esaustive e del tutto coerenti sotto il profilo logico e, pertanto, incensurabili.

Per tutte le suesposte considerazioni, ritenuto che la decisione impugnata, pur depurata da quella parte degli elementi motivi, riferibili alle, non decisive, indagini irritualmente svolte, di cui ai primi due motivi d’impugnazione, comunque risulta sorretta da una esauriente ed adeguata motivazione, il corso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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